mercoledì 27 gennaio 2016

Dal diario di Leo Kienwald, ebreo polacco internato a Castelnuovo Garfagnana...

Erano i primi giorni di febbraio dell'anno passato,erano trascorsi pochi giorni dalla pubblicazione di un mio articolo sugli ebrei internati a Castelnuovo Garfagnana (leggi:http://paolomarzi.blogspot.it/2015/01/27-.html) ed è mia abitudine la sera dopo cena di mettermi comodamente sul divano a controllare tutte le e mail arrivate durante la giornata e fra le varie pubblicità e altrettante futilità nello scorrere con le dita il mio tablet scorgo un cognome familiare alle mie ricerche: Kienwald...Il dottor Eli Kienwald dopo aver letto il mio pezzo mi contattava da Londra. Eli era un discendente della famiglia ebrea omonima di origine polacca fuggita da Castelnuovo nel momento del rastrellamento, evitando così di finire ad Auschwitz. Non vi immaginate la mia meraviglia e il mio stupore.Il dottor Kienwald innanzitutto si complimentava con me per l'articolo, preciso nella narrazione storica dei fatti e stilisticamente ben fatto,inoltre ricercava ulteriori notizie sul soggiorno forzato della sua famiglia a Castelnuovo (notizie che con piacere gli fornì documentandolo anche con varie foto che furono poi pubblicate sulla rivista ebraica Hamaor)).Nel susseguirsi dei giorni a venire la nostra corrispondenza telematica si infittì e si instaurò anche un certo rapporto di fiducia,tale fiducia mi fu ripagata un bel giorno quando con mia grande soddisfazione e onore mi inviò un pezzo di storia veramente unico e toccante: il memoriale di suo padre Leo Kienwald scritto nel 1996, pochi anni prima della sua scomparsa. Il dottor Kienwald mi fece partecipe di questo suo intimo ricordo del padre,
Castelnuovo Garfagnana
fine anni 30
(foto archivio Fioravanti)
un diario bellissimo e particolareggiato nonostante fossero passati cinquantatre anni da quei giorni in Garfagnana. Raccontava di momenti tremendi, di giorni scampati alla morte e donati alla vita. Proprio oggi è "Il giorno della memoria", dove si ricorda l'immane tragedia dell'olocausto e questa è la mia testimonianza o meglio la testimonianza di Leonard Kienwald, attraverso un brano del suo diario dove racconta il girovagare suo e della sua famiglia attraverso le nostre montagne,il rapporto avuto con i garfagnini che lo tenevano nascosto e dove narra dei mille escamotage fatti per sfuggire dalle grinfie naziste.Ma prima un po' di antefatto è d'obbligo per inquadrare bene la situazione.

Tutto ebbe inizio quel disgraziato 4 dicembre 1943 quando arrivò l'ordine dall'Oberkommando der Wehrmatch (comando generale tedesco) dove si ordinava a tutti gli ebrei in domicilio coatto a Castelnuovo Garfagnana di presentarsi il mattino seguente presso la caserma dei carabinieri reali,il motivo non era spiegato. Molto probabilmente il giorno dopo tutte le famiglie ebree della zona si sarebbe presentate se non fosse stato per un maresciallo dei carabinieri che il giorno stesso confidò al dottor Meier (medico ebreo) l'imminente trasferimento della comunità ebraica presso il campo di concentramento di Bagni Lucca.Il maresciallo si raccomandò di avvertire tutti e di darsi alla fuga il prima possibile. In questa soffiata pochi vi credettero, fra questi pochi la famiglia Meier e la famiglia Kienwald che cominciò la sua fuga sulle montagne.

Dalle memorie di Leo Kienwald

"Eravamo arrivati a Castelnuovo in confino libero il 4 novembre 1941 da un campo internamento forzato in provincia di Cosenza. Personalmente vi rimasi solo un paio di mesi perchè nel frattempo ricevetti il permesso di recarmi a Padova per terminare gli studi. Ritornai a Castelnuovo dopo l'otto settembre '43 quando i tedeschi entrarono in Padova. A Castelnuovo vivevamo abbastanza tranquilli fino a quel maledetto 5 dicembre 1943
Il girovagare in Italia
da un campo d'internamento
all'altro della fam Kienwald
Il cielo era grigio,quasi un segno della tragedia incombente. Perchè gli altri sono tutti finiti ad Auschwitz.E sono morti.  Noi,padre,madre e due ragazzi,camminavamo su una strada sterrata,nella Valle Turrite,nella direzione opposta a quella della caserma dei carabinieri.Il giorno prima era stato impartito un ordine:presentarsi quella mattina alle otto.Un'ora prima ebbi ancora un fuggevole incontro con Elizabeth,tentai di convincerla a seguirmi,non poteva abbandonare la madre. Qualche anno fa la ritrovai nel "Libro della Memoria",ebbi così la conferma del tragico destino suo e degli altri internati a Castelnuovo Garfagnana. Che sarebbe stato il mio,il nostro.
Eravamo in fuga. In assoluto silenzio camminavamo su quella strada e non ci voltavamo,fuggivamo senza saperlo,dall'orrore, incontro all'ignoto,sapevo solo che dovevamo arrivare ad un certo punto dove si doveva attraversare il torrente. Ci arrivammo dopo circa quattro ore di cammino,attraversammo il torrente e cominciammo a salire nel bosco,al calar della notte arrivammo ad una capanna. Pioveva e ci sistemammo su paglia e foglie di castagno,il tetto tratteneva in parte la pioggia,bagnarsi non importava. C'era un solo pensiero salvarsi. Il mattino dopo ci rimettemmo in cammino salendo per la montagna senza precisa meta,raggiungemmo infine alcuni casolari. Era Colle Panestra. Ci presentammo come sfollati da una città bombardata in cerca di un rifugio,non avevamo nè documenti,nè soldi,solo le ultime carte annonarie di Castelnuovo. Trasformai il cognome Kienwald scritto a mano in "Rinaldo",un nome straniero poteva destare sospetti. Fummo infine accolti da una famiglia nei pressi di Fontana Grande a Piritano di Sotto,allora sapevo solo che ci trovavamo sull'Alpe di S.Antonio. Mio padre e mia padre dormivano in una camera messa a loro disposizione,a noi ragazzi diedero una capanna nel bosco dove si raccoglievano le foglie secche di castagno,ricevemmo una lampada ad acetilene e due coperte,scavammo un giaciglio nel cumulo delle foglie e ci avvolgemmo nella coperta. Il vento fischiava attraverso i tronchi della capanna,era dicembre, ma come era caldo quel letto naturale. Ricordo con commozione la bontà di quelle persone,ma non potevamo approfittare a lungo dell'ospitalità. Ci mettemmo quindi in cerca di un casolare abitato e lo trovammo a Pasquigliora non lontano da Colle Panestra. Era il casolare di un pastore, che prima della guerra portava su le pecore dalla Versilia. Il casolare era attrezzato giusto per quattro persone,ma non mancavano materassi,coperte e cuscini.Il custode del
Pasquigliora oggi, in inverno,
dove i Kienwald si stabilirono
(foto Emanuele Lotti)
rifugio Rossi, sotto la Pania della Croce abitava a Pirano di Sotto e si offrì di salire al rifugio con noi ragazzi per prelevare quanto occorreva per soggiornare. Fu un escursione memorabile, non avevamo le scarpe adatte. Lassù la neve era ghiacciata e non fui in grado di arrivare al rifugio,i cristalli di neve mi facevano girare la testa. Attesi il ritorno del custode e di mio fratello che portavano il materiale sulle spalle,presi anch'io una parte del carico ed iniziammo la discesa come meglio potevamo ed era inevitabile che scivolassi con il carico e solo per miracolo evitai di precipitare fermandomi all'ultimo secondo con i piedi contro le rocce,i pantaloni sul fondo schiena erano spariti. Potemmo così preparare i letti, ma non mi ricordo se abbiamo rimediato anche le lenzuola. La cucina sotto era grande e c'era un bel caminetto,c'erano paioli,scodelle e quant'altro serviva. Andammo nel bosco a procurare fascine di legna, imparammo a portare i carichi sul collo calzando sulla testa una specie di cuscino,occorreva tanta legna anche per scaldarci. Incominciammo a lavorare per i contadini che in compenso ci regalavano farina di castagne e qualche salsiccetta e addirittura fino all'esaurimento delle carte annonarie potevamo comprare un po' di pane,ma essenzialmente ci nutrivamo di castagne.

L'inverno incominciava ad essere veramente duro quando fuggimmo da Castelnuovo non portammo quasi nulla.Gli effetti personali erano rimasti in un baule lasciato nella casa e non si poteva superare l'inverno senza quegli indumenti, bisognava in qualche modo recuperarli.Un abitante di Castelnuovo con il quale mio padre si mise misteriosamente in contatto andò in quella casa, ruppe i sigilli applicati dai carabinieri,prese il baule,lo caricò su un mulo e ce lo portò su. Mio padre gli regalò parte del contenuto. Vivevamo dunque in quel casolare a circa 1000 metri di altezza,la principale preoccupazione era procurarsi da mangiare e la legna per scaldarsi era compito di noi ragazzi. Mio fratello era minore di
Castelnuovo Palazzo Littorio
attuale caserma dei carabinieri
(foto collezione Fioravanti)
quattro anni e aveva sempre fame,i contadini erano generosi e la farina di castagne non mancava mai,imparammo a fare la polenta nel paiolo, a versarla sul piatto di legno e a tagliarla con la cordicella. Non volevamo essere mendicanti,facevamo i lavori per loro,il più terribile era caricare sul collo il cesto di letame per andare a spanderlo nei campi,la sera bisognava sottoporsi ad un intenso lavaggio. Passarono i mesi,passò l'inverno,non sapevo nulla allora di Auschwitz,avevo però la sensazione di essere scampato insieme ai miei ad un terribile destino. Spesso mi chiedevo dov'era finita Elizabeth.Certo è difficile vivere come animali braccati, in condizioni estreme.Oggi posso dire che era bello. Ero libero,eravamo liberi, in mezzo alla natura. La dignità d'uomo non era persa, ne la propria identità,non sapevo però come sarebbe andata a finire. Si viveva per sopravvivere..."


Il memoriale continua ancora, arriveranno giorni bui e veramente difficili, ma fra mille peripezie e altrettante brutte avventure la storia avrà il suo lieto fine.A me comunque piaceva fra le altre parti del diario questo brano in modo particolare perchè denota la bontà d'animo del garfagnino, pronto ad aiutare chi ha bisogno, infatti una serie di personaggi rimarranno indimenticabili per la famiglia Kienwald: dal maresciallo dei carabinieri che fa la soffiata, ai contadini pronti a dividere il cibo con quelli che erano degli sconosciuti, per arrivare al custode del rifugio Rossi che rischia la vita insieme a loro per rimediare alcune coperte.

I Kienwald non fecero ritorno in Polonia,come ebbi a dire, ma proprio grazie alle notizie avute di prima mano dal dottor Eli, oggi posso finalmente chiarire la situazione. 
Una volta riusciti a consegnarsi agli alleati, la famiglia alloggiò in un campo di sopravvissuti a Lucca,poi a fine conflitto furono trasferiti a Roma. A quel punto l'intera famiglia pensò di andare in Israele e a questo scopo furono condotti in un campo di attesa(hachshara),dove molti ebrei aspettavano il loro turno per essere accettati nel nuovo Paese. Qui Leo incontrò quella che sarebbe diventata sua moglie (la signora Celeste De Segni) e si sposarono nel 1946, decidendo di fatto di rimanere a Roma, luogo di nascita del dottor Eli Kienwald e di sua sorella Tamara.
Nel 1966 Leonard Kienwald fu insignito dallo Stato Italiano della Croce al merito di guerra, ma il suo pensiero era sempre rivolto agli ebrei di Castelnuovo,tutti morti nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.

mercoledì 20 gennaio 2016

Una First Lady degli Stati Uniti d'America sepolta nella Valle del Serchio.La sua tormenta storia e il suo amore lesbo

La cartolina ufficiale di
Rose Cleveland
First Lady d'America
"Le vie del Signore sono ampie ed infinite",a conferma di questo come si può spiegare che una First Lady degli Stati Uniti d'America sia sepolta proprio nella Valle del Serchio? Ebbene è proprio così, è una storia quasi sconosciuta e come tale è giusto riportare a galla i fatti e ricollocare tutto al suo posto. Lei è Rose Elizabeth Cleveland più semplicemente conosciuta come miss "Libby", nata a Fayetterville,New York, il 14 giugno 1846 e morta il 22 novembre 1918 a Bagni di Lucca e lì sepolta. La sua è una storia controversa,irriverente,era una donna al passo con i tempi e forse anche di più,una donna letterata,sapiente e che probabilmente raggiunse la Valle del Serchio per vivere in pace il suo amore lesbo. Ma andiamo per ordine e incominciamo a raccontare la sua vita nel dire come assunse il ruolo di First Lady. Rose era la sorella di Grover Cleveland il 22°e il 24° presidente degli Stati Uniti d'America(unico nella storia U.S.A ad essere eletto per due mandati non consecutivi). Il democratico Cleveland fu eletto per la prima volta nel 1885 e sedette nella stanza ovale da uomo celibe e da protocollo l'incarico di prima donna spettò alla sorella Rose.Il tutto cominciò però molti anni prima nel 1853 quando la famiglia Cleveland si trasferì in Olanda dove il padre Richard faceva il pastore della chiesa presbiteriana. Sfortuna volle che lo stesso anno morì. Dopo pochi anni i due fratelli Grover e Rose decisero di ritornare negli Stati Uniti lasciando la madre in Olanda. Grover abbandonò gli studi e andò ad insegnare comunque in una scuola per ciechi, mentre la piccola Rose fu indirizzata alla Houghton School di Clinton (New York),dove poi divenne anche insegnante.La ragazzina crebbe in mezzo alla cultura,girovagò molte scuole americane come professoressa, dapprima in un collegio a Lafayette (Indiana), poi a Muncy in Pennsylvania in una scuola femminile, era ricordata da tutti come una donna
Il presidente USA
Grover Cleveland
anticonformista, dalla forte personalità e indipendenza.Ma nel 1880 ci fu la prima 
(di una lunga serie) grande svolta della sua vita.La madre in Olanda non stava bene,così Libby dovette nuovamente raggiungere i Paesi Bassi per prendersi cura di mamma Ann e cominciò di fatto una nuova vita insegnando letteratura in una scuola domenicana.Nel 1882 morì anche la madre, ma ormai la sua esistenza era li, in Europa, la culla della civiltà e della cultura.Scorreva le sue giornate nella lettura di autori greci e latini in una fattoria di proprietà, dimenticata dal resto mondo fino a quando il 4 marzo del 1885 Grover Cleveland fu eletto presidente della nazione più potente del mondo. Rose fu richiamata immediatamente negli States per assumere ufficialmente il ruolo di First Lady,dato che il fratello non era sposato. Un incarico questo è bene capire oggi come allora tutt'altro che di facciata, un incarico non ufficiale ma rilevante, "la padrona di casa" della White House è infatti responsabile di tutti gli eventi sociali presidenziali, ha sempre assunto un effetto dirompente sulla popolarità del presidente,assumendo difatti un ruolo di primo piano nell'opinione pubblica divenendo così una delle donne più importanti del mondo. Ma Libby come si sarebbe trovata in questo ruolo? Si sarebbe subito fatta notare al secondo ricevimento ufficiale alla Casa Bianca. Il New York Times all'epoca riportava:
"...la signorina Cleveland indossava un abito di raso nero,tutto contornato di pizzo spagnolo,il corpetto di raso nero aveva le maniche corte, il pizzo trasparente rivelava le spalle".
Rose Cleveland in un abito
non troppo consono per l'epoca

Insomma fu un grande scandalo nei rigidi schemi di un età vittoriana. Rose non si sentiva a suo agio nella mondanità di Washington, si diceva appunto che:
"Rose Cleveland è un intellettuale più interessata a perseguire gli sforzi accademici rispetto che all'intrattenere mogli di politici o dignitari stranieri".
Esisteva anche il rovescio della medaglia ed è giusto dire che non furono pochi i vantaggi che Rose potè fare suoi, pubblicò così due libri che le fruttarono molti soldi e dette sfogo alla sua passione per il teatro,non mancando mai a nessuna prima.Ma c'era poco da fare la sua vita non era quella,l'amore per suo fratello era molto, tanto da sopportare comunque i rigidi protocolli puritani del tempo.L'amore di Grover però non era soltanto per lei,quando dopo solo quattordici mesi di presidenza il 2 giugno 1886 decise di convolare a giuste nozze con Frances Folsom, quella che anche oggi è considerata la First Lady più giovane di sempre, aveva solo 21 anni.Per Libby fu la fine di una specie di tortura, sarebbe tornata a vivere come a lei piaceva, stavolta non si sarebbe fermata davanti a niente e a nessuno e così fu. La vita dunque continuava e Rose si
Frances Folsom, moglie
 del presidente Cleveland
la più giovane First Lady
di sempre: 21 anni
trasferì a Chicago dove teneva conferenze e dove cominciò a lavorare come redattore in una rivista letteraria,lo stipendio non era un granchè ma i ricavi dei suoi libri gli permettevano di vivere agiatamente,tanto da comprarsi una villetta nella soleggiata Florida e fu li che cominciò a 43 anni la sua storia d'amore.Fuori ormai da ogni pressione della stampa (così credeva) si sentiva libera e iniziò la sua relazione lesbica con Evangeline Simpson una ventiseienne già vedova di un ricchissimo industriale. Naturalmente non poteva che essere una storia tormentata,è difficile vivere la propria omosessualità oggi,figuriamoci alla fine del 1800.Ci furono vari tentativi di fare vita insieme, la loro relazione era osteggiata in ogni dove e andava avanti fra alti e bassi,tanto che ci fu la clamorosa decisione di Evangeline di risposarsi e sposò il settantaquattrenne Henry Whipple vescovo episcopale del Minnessota, nella speranza di mettere a tacere ogni voce e maldicenza, ma il rapporto epistolare fra le due donne continuava più appassionato che mai, cosi scriveva Rose:

"Oh Eva tremo al pensiero di te...Dolce,dolce,non oso pensare quando un giorno ritornerò fra le tue braccia..."
e il momento di ritornare fra le sue braccia ci fu nel 1901,quando il vescovo Whipple (marito di Eva) passò a miglior vita. A quel punto le due amanti erano decise più che mai,volevano vivere in pieno il loro amore, ma non negli Stati Uniti dove sarebbero stati sulla bocca di tutti. Ed è così, a questo punto che entra in scena la Valle del Serchio e Bagni di Lucca. Bagni di Lucca nel XIX secolo era chiamata "Terra di principi e poeti", presso le sue terme(che erano fra le più importanti in Europa)si curavano personalità del calibro di Da Montagne,Byron,Shelley,Heine, Lamartine, quindi quale miglior luogo dove vivere? Un posto ideale nella lontana Italia, una località nascosta fra le montagne,nonostante questo considerata fra quelle più alla moda di quel tempo,frequentata da personalità e gente di cultura, per di più di lingua inglese e fu così che nel 1910 a bordo di una nave della Cunard Line arrivarono in Italia.Dapprima le due donne si stabilirono al Hotel Continentale di Bagni di Lucca e poi
Le due innamorate: Rose Cleveland a sinistra
ed Eva Simpson Whipple a destra
acquistarono una villa in paese. Furono anni bellissimi e raggianti quelli vissuti nella nostra valle da Rose e da Eva, poterono vivere insieme senza problemi, ed anzi si prodigarono molto per la comunità, nel primo conflitto mondiale dopo la disfatta di Caporetto a Bagni di Lucca fu inviato un ingente numero di profughi, le due donne a sue spese misero su un collegio che accolse più di cento ragazzi,inoltre non mancava mai l'aiuto per tutte quelle famiglie che avevano i propri cari al fronte.Ma tutte le belle storie sono destinate a finire e così un triste 22 novembre 1918 Eva, dalle pagine del quotidiano "La Nazione" così annunciava:

"Evangeline Whipple, coll'animo straziato dal dolore annunzia la morte della Miss Rosa.E.Cleveland, sorella dell'ex presidente degli S.U.A (n.d.r:al tempo si usava l'acronimo italiano S.U.A,Stati Uniti d'America e non l'anglofono U.S.A), avvenuta dopo breve e violento morbo il 22 corr.a ore 22. L'adorata salma sarà tumulata nel cimitero anglicano di Bagni di Lucca".
Libby morì a 72 anni di febbre spagnola,l'epidemia che costò sei milioni di morti in tutta Europa.Eva continuò la sua vita a Bagni di Lucca a cui dedicò anche un libro: "A famous corner of Tuscany"(Un
Le tombe gemelle di Rose ed Eva
nel cimitero anglicano
 di Bagni di Lucca
famoso angolo di Toscana),ma i suoi pensieri e i suoi ricordi erano sempre rivolti alla sua amata Rose e alla loro storia d'amore. Eva si unì per sempre a Rose nel 1930 e trovò posto accanto alla sua amata come previsto dal testamento. Oggi le tombe gemelle di Rose ed Eva dominano la collinetta del cimitero inglese della cittadina termale.

Nonostante lo stato di First Lady d'America di Rose, nessuno, né parenti,né conoscenti richiese mai la sua salma di quella che per molti fu una donna scomoda, ma che riuscì nella nostra valle a vivere in pieno la sua libertà.                              
         


mercoledì 13 gennaio 2016

Lezione di dialetto garfagnino: da un quaderno del 1973 del Gian Mirola

"Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà", così scriveva Pier Paolo Pasolini. Pasolini vedeva nel dialetto l'ultima sopravvivenza di ciò che è ancora puro e incontaminato e come tale doveva essere protetto. Il dialetto garfagnino, come ho già affrontato tempo fa è un crogiolo di lingue che differisce da paese a paese e per questo va ancor di più tutelato,(leggi http://paolomarzi.blogspot.it/le-origini-del-dialetto.html) figuriamoci poi oggi, dove internet regna sovrano, dove le parole viaggiano nell'aria. Sms e whatsapp, hanno cambiato il nostro modo di comunicare, d'accordo è il progresso che avanza ma ci tolgono il piacere di comunicare guardandoci negli occhi, figurarsi poi parlare il dialetto.Si pensa che il dialetto sia ormai un qualcosa di vecchio,lo accusano di non essere al passo con i tempi, parlato solo dagli anziani o da gente di poca cultura, si considera perciò un qualcosa di non nobile e gretto, invece è la lingua delle nostre origini ed ha una funzione primaria: fa emergere i ricordi.Il dialetto è l'espressione di un popolo è come un abito fatto su misura è come una spugna che assorbe fatti, episodi e luoghi è quella lingua che ci fa capire che apparteniamo ad un certo posto è la nostra carta d'identità e veramente questa volta non potevo esimermi dal fare un articolo sul dialetto garfagnino.L'ispirazione a questo scritto mi viene per due motivi: la prima (pochi forse lo sanno) è che il 17 gennaio ricorre "La Giornata per salvare il dialetto", organizzata dalle Pro Loco d'Italia (UNPLI),pensate nel mondo ogni 14 giorni scompare una lingua locale,portando dietro di sè tradizioni,storia e cultura.La seconda motivazione è che giusto,giusto mi è capitato fra le mani un quadernetto con una simpatica ed ironica lezione di dialetto
Almiro Giannotti, il Gian Mirola
garfagnino del Gian Mirola(n.d,r:noto scrittore e studioso di Eglio, scomparso nel 2001)che non mi potevo tenere solo per me, tale opera andava 
assolutamente diffusa(anche se in parte).Questa infatti che andrò ad illustrare è proprio una lezione come quelle che si fanno a scuola,non manca la grammatica,tanto meno i verbi (a me in parte sconosciuti) e parole quasi ormai scomparse anche dalla bocca dei nostri anziani, il tutto rigorosamente in dialetto. Ecco qua dunque un piccolo sunto.

AVVERBI DI LUOGO

LICCUSI': lì,luogo determinato
LALLADILI':là, luogo indeterminato
DIREGGIO: laggiù, luogo non determinato
DIRESSU': lassù, luogo non determinato
DIRELLA': là, ma inteso per lontano (es: direllà per le Meriche)

MODI DI ESSERE

GRONCHIO: intirizzito, ma anche lento,maldestro
ANNIGHITO: arso dalla febbre, assetato
RINCUJONITO: rincitrullito
LUPPICOSO: cisposo
MACOLOTTATO O PIEN DI MACOLOTTI: tutto lividi

SEI VERBI

SCAGANCIA': sciupare
RUMBICA': ruminare
SPRILLOTTORA':(da prillo) girare intorno facendo perno su se stessi
SPIPINA':andare per il sottile
STINCURI': intirizzirsi
RIGUMBITA': vomitare

FENOMENI ATMOSFERICI

BRUSCIGNA':piovigginare
ROSCIO: rovescio d'acqua,acquazzone
BALFOIA: nevischio portato dal vento
ALBICA': albeggiare
SINIBBIO: vento

CAMPIONARIO PER RAGAZZE DA MARITO

MERENDON: uomo da poco, un sempliciotto
LOFFARO: svogliato
BRENDOLON: che veste male,disordinato sciatto
SCIABIGOTTO: sciocco o meglio un condensato di qualità negative
BISCARO: semplicemente uno sciocco
TESTACCHION o CHIOCCORON : duro di comprendonio

PARTI DEL CORPO UMANO

STOMBICO: stomaco
CUTRION: schiena
GOMBITO: gomito
GIRELLA : rotula
PINELLA: incisivo
UGNA: unghia

e potrei continuare ancora con questo quadernetto, un vero condensato di meraviglia e di parole,modi di dire,analisi fra il serio e il semi serio e quant'altro che solo il genio del Gian Mirola poteva elaborare e a proposito, solo un'altro genio come il castelnuovese Giovanni Giorgi che nel 1892 da il periodico "La Garfagnana" buttò giù d'impeto un'
ironica (è dir poco..) poesia, sottolineando la moda di quel tempo che esortava anche i più ignoranti ad esprimersi nella lingua ufficiale:l'italiano. Il modo di parlare è come il vestito, serviva a distinguere il montanaro dal cittadino:

"Quel che fa la città"

"Se tu vai per el mondo un po' a girare
nun torni,pijo giuramento, pijo:
che montagna è montagna, Baldassare,
e noi si puzza da lontano un mijo.

Ma va in città; s'impara anco a parlà:
chi è tonto nun pensà, diventa spijo.
Guarda le serve! Vanno via somare
e quando tornin su,san dar consijo.

La mi fiola? Nun seppe mai gnente
finchè stiede fra noi; ma nun pensà
fu un colpo solo andà e uno venì dalla città e artornò sapiente.

E adesso quando parla io sto a'scoltà,
se capiscio mi piji un accidente!
So che parla alla moda e un vo' a indagà"


Il dialetto è il collante che ci unisce alle nostre radici, il tenue filo che ci tiene legati alla cultura popolare e alla Nostra Storia. Difendiamolo!!!

mercoledì 6 gennaio 2016

Il canto della Befana: memorie lontane. Dai precristiani, passando dal Rinascimento, fino ai giorni nostri

"...Vi ringrazia la Befana che l'avete favorita, Dio vi lasci lunga
Incisione di Bartolomeo Pinelli
"La Befana"1821
vita, buone gente state sana ..."

Così si conclude il tradizionale canto della Befana, quando i cosiddetti questuanti ringraziano del dono ricevuto.
Il canto della Befana è una delle tradizioni più diffuse e radicate in tutta la Garfagnana, non c'è paese o paesino dove la sera del 5 gennaio sulla porta di casa non vengano cantate queste folcloristiche strofe. Le origini di questi canti si perdono nella storia più antica, fanno parte di quel bagaglio ancestrale di riti pagani e che i secoli(e qualche Papa furbone...)trasformeranno in culti religiosi. Ma partiamo dall'inizio e tutto è da ricondurre a quelle feste che prima del Cristianesimo indicavano le scadenze di un periodo agricolo (una infatti cadeva proprio in questi giorni), tutto era legato indissolubilmente al buon andamento del raccolto e alla sopravvivenza della comunità che per favorirsi nuovi e floridi raccolti procedeva liturgicamente con dei canti propiziatori e lo scambio di doni che significavano l'abbondanza, segno inequivocabile di ricchezza nella quantità di frutti che la terra avrebbe (forse) generato in quell'anno. Le cose cambiarono e nel II secolo dopo Cristo, fu istituita la festa dell'Epifania e la gente imparò a tenere il piede in due staffe (un po' come si fa oggi...) da una parte si festeggiava il suo significato religioso, ma dall'altra continuava il suo rito pagano benaugurante. Arriviamo così nel periodo rinascimentale e vediamo ancora che questi canti della Befana sono più che mai presenti nella Valle, si parla in certi
Canti della Befana (foto di Keane
 tratta da "Il giornale di Barga")
documenti che addirittura dopo i canti di questua vengono donate carni di maiale, infatti erano i giorni riconducibili all'uccisione dell'animale e alla conseguente abbondanza di carni che venivano poi redistribuite meticolosamente alle persone più povere. Eccoci così arrivare ai giorni nostri, guardiamo come si svolgevano e si svolgono adesso le befanate . La vigilia dell'Epifania verso il tramonto, giovani e meno giovani si riuniscono nella piazza principale del paese per partire per il giro di questua, naturalmente dopo che uno di loro avrà indossato i vestiti da Befana. Ma vi siete mai domandati perchè  la Befana nella stragrande maggioranza dei casi è sempre interpretata da un uomo? Qui si cade nel maschilismo e nel proibizionismo dei secoli cosiddetti "oscuri", quando alle donne era vietato assolutamente sia recitare che mascherarsi. Ma torniamo però allo svolgimento di questo rito. Almeno uno dei partecipanti doveva avere con se almeno uno strumento musicale, indispensabile  per accompagnare il canto, nella maggior parte dei casi una fisarmonica o un violino, fondamentale era anche la presenza dell'asinello che nelle grandi ceste che portava avrebbe conservato i doni ricevuti nella serata. Aveva così inizio il giro del paese e anche questo non si svolgeva a caso ma aveva un preciso itinerario , prima si cominciava dalle autorità locali e dal prete. Il tutto era guidato da un suonatore che precedeva di pochi passi la Befana e il somaro e dietro stava tutta la compagnia dei befanotti, ci si fermava così di porta in porta e si attaccava con il canto, al termine del quale il padrone porgeva omaggi appositamente preparati per l'occasione: costante era la presenza di noci, nocciole, mandarini e arance. L'ultima parte del rituale prevedeva il canto di una o più strofe di augurio o ringraziamento. Il cerimoniale è abbastanza consolidato ma poteva (e può) variare per alcuni situazioni particolari. Nel caso che la casa visitata fosse abitata da ragazze in età da marito, i cantori venivano fatti entrare e generalmente si improvvisava qualche giro di danza con le giovani. Anche se si capitava nelle
Le befanate (foto di
Feliciano Ravera,
Fotocine Garfagnana)
osterie e nei bar la situazione era soggetta a piccole variazioni, il proprietario faceva accomodare il gruppo e dopo aver fatto i doni offriva da bere a tutti. Il caso era totalmente diverso se la famiglia da visitare era stata colpita da un lutto. Giorni prima ci si informava se il padrone di casa avrebbe gradito la visita dei cantori, se la risposta era positiva il canto si limitava a poche strofe e se il responso fosse stato negativo la compagnia di befanotti si asteneva dal canto, transitando nelle vicine vie mantenendo il più rigoroso silenzio, anche se poi generalmente il padrone di casa colpito da lutto in qualche maniera faceva giungere il suo dono. Prendiamo poi in considerazione se in paese vi fosse stata una famiglia talmente povera che anche il più semplice dono sarebbe costato loro un enorme sacrificio, il canto propiziatorio si sarebbe svolto comunque. Perchè mai privare una famiglia di questo momento di aggregazione? Anzi i ruoli si sovvertivano completamente poichè i befanotti, buona parte di quanto regalato fino al momento, lo donavano in parte e con generosità alla misera famiglia. Molto raramente succedeva che qualcuno non aprisse la porta all'allegra brigata, sarebbero stati dolori... Un rifiuto era come non voler partecipare alla vita comunitaria, rompere un consolidato codice di comportamento, era punito con insulti e lanci di pietre. Figuriamoci un po', proprio per queste eccezioni ci fu un periodo che le befanate di questua furono proibite, ad esempio a Barga nel 1414, così si legge nel "Liber Maleficiorum" (l'attuale codice penale)

"...per ciascuna persona che ardisca, la notte della Befana, di andare alla casa di qualsiasi persona di Barga a dire quelle disoneste parole,le quali sono state dette per l'adietro,sotto pena di soldi dieci, a ribadire per ciascuna persona e per ciascuna volta che la vigilia dell'Epifania canterà quelle brutte cose che si usano da lungo tempo"
Particolare invece è la befanata di Sassi e di Eglio (comune di Molazzana). Solitamente il canto della Befana negli altri paesi garfagnini non varia di molto ed è quasi sempre uguale, mentre qui già dai giorni precedenti si preparano strofe specifiche per ogni componente della famiglia del paese. Si tratta di un modo di mettere in piazza tutti i peccati, ironizzare sui difetti di ciascuno, raccontare le disavventure occorse durante l'anno, ma la notte della Befana era tutto permesso, i padroni di casa facevano finta di gradire ingoiando amaro, comunque non si rifiutavano mai di donare. Ecco come Alcide Rossi (studioso locale) nel 1966 ricordava questi fatti:
"...al mio paese per il modo i cui venivano fatti i "rispetti"(n.d.r:le strofe dedicate), per
Giovanni Pascoli "La Befana"
quello spirito di spontaneità in cui nascevano tra il goliardico,lo scanzonato ed il rusticano, teneva in fervore tutti i canterini trenta giorni prima del 6 gennaio. Si diventava così tutti poeti...Dovevano essere rivolte affettuose,elogiative per chi donava molti "befanini"(n.d.r.:doni), invece mordaci, caustici, talvolta anche un po'
troppo sfacciati contro coloro a cui l'avara porta non si apriva".

Ma le strofe più belle rimangono quelle di Giovanni Pascoli nel 1897 che da Castelvecchio volle ricordare così la Befana, con il suo più celebre canto:

"Viene,viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda,
Com'è stanca!La circonda
neve,gelo e tramontana"