mercoledì 1 dicembre 2021

"La febbre del sabato sera"... di una volta (in Garfagnana)

Non capitemi male per favore... Il suddetto titolo non vuole esse
re nè irrispettoso e nè tanto meno irriverente, vuole essere semplicemente esplicativo su quello che era il sabato sera e il divertimento per i nostri antenati. Anche per loro esisteva un sabato dedicato al riposo e allo svago, non era tutto un lavorare nelle fabbriche e nei campi, ci mancherebbe altro... Quello che è certo è che nessuno dei nostri avi era un Tony Manero che bazzicava le fantasmagoriche discoteche di New York, quello no, però l'essenza del film si può applicare anche alla nostra gente, infatti il film narra di un ragazzo che ha una passione sfrenata per il ballo, questo suo passatempo trova il suo sfogo il sabato sera nelle disco newyorkesi, uno svago che lo fa rifuggire (anche)dalle amarezze e dai problemi della vita. Un po' quello che succede pure oggi e che forse una volta accadeva di più, quando la vita era ancora più grama e misera e il sabato era l'occasione per distrarsi, divertirsi e lasciar da parte per qualche ora le preoccupazioni famigliari. D'altronde il sabato è stato sempre un giorno speciale, non per nulla il nome deriva dall'ebraico "shabbat", ovvero, giorno di riposo. Per i romani invece era "Saturni dies", il giorno di Saturno (ancor oggi in inglese sabato è saturday)e ad onore del vero bisogna dire che era un giorno di cattivo augurio. Tutt'altra cosa durante il periodo fascista  ci pensò "lui" a cambiargli nome in "sabato fascista", si evidenziava in quel giorno la conclusione anticipata dal lavoro per dedicare il resto della
giornata ad attività culturali, sportive e paramilitari. Meglio di tutti però lo descrisse Giacomo Leopardi nella poesia "Il Sabato del Villaggio", il sabato paragonato alla metafora delle speranze e delle illusioni umane: "
Questo di sette è il più gradito giorno/pien di speme e di gioia/diman tristezza e noia recheran le ore/ ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno". Insomma vediamo allora com'era un sabato garfagnino nei primi anni del 1900. Però, prima partiamo da lontano, da molto più lontano. Il concetto di tempo libero cominciò a prender piede  già nel medioevo anche se non era proprio come lo intendiamo oggi, però anche in quell'epoca in cui vita e lavoro spesso coincidevano vi erano feste e passatempi e non solo chiesa, lavoro, politica e guerre. Naturalmente il tipo dei divertimenti medievali variava da classe sociale a classe sociale, l'unica cosa che accomunava tutte le persone erano infatti gli ultimi due giorni della settimana: il sabato che poteva (sottolineo, poteva...) essere dedicato alla distrazione e la domenica che era obbligatoriamente dedicata al Signore. Fattostà che il cavaliere nel giorno di svago iniziava il pranzo alle dieci circa e dopo qualche ora di riposo riceveva i suoi ospiti nel giardino e li si dilettavano a raccontar novelle, discorrere, fare giochi di società ed eventualmente ad improvvisare danze, in certe Signorie non mancavano nemmeno i giocolieri e i musici. Ma anche i contadini garfagnini si divertivano, anche se in modo diverso, il divertimento qui era incentrato più che nel sabato nelle numerose feste religiose in cui esisteva l'obbligo di non lavorare e allora si abbondava in bevute e scherzi. In alcuni documenti storici degli archivi garfagnini si parla anche di rappresentazioni teatrali basate sui misteri della fede, ma c'erano anche i cantastorie che narravano imprese eroiche di guerre lontane e poi c'erano soprattutto quei giochi di strada, croce e delizia del misero popolino. Il più famoso nella Valle del Serchio era il gioco della ruzzola (l'attuale tiro della forma). Il gioco
radunava decine e decine di persone, ben presto queste assemblee si trasformavano in un clamoroso e scomposto vociare, e quando gli animi più focosi ed energici, sollecitati da qualche bicchierotto di vino si trovavano al culmine della gara, per ogni minimo screzio o per qualche contestazione sulla regolarità della competizione in men che non si dica si passava alla baruffa e dalla baruffa alla rissa collettiva il passo era breve. In questo contesto era chiaro che di secolo in secolo per questi giochi seguiranno proibizioni e divieti vari, quello che doveva essere un semplice divertimento spesso e volentieri si trasformava in un turbamento per l'ordine pubblico. Era ad esempio il caso di Camporgiano dove nel 1605 si ordinava che: "per evitare li scandali, ed ogni altro buon rispetto, nessuna persona terriera o forestiera aderisca, nè presuma tirare trottole di legno". Neppure a Gallicano nel 1668 si badava tanto per il sottile: " Per l'avvenire s'intende e sia proibito nel castello di Gallicano e suo territorio ad ogni persona di tirar formaggio e girelle per le strade o altrove senza licenza del Signor Commissario, pena di due scudi d'oro per uno". Le autorità non erano preoccupate esclusivamente per le risse e gli infortuni, non si perdeva di vista nemmeno l'aspetto morale e religioso e in quel di Cascio Don Vincenzo Angeli oltre a lamentarsi delle bestemmie e degli improperi dei giocatori  diceva anche: "Il giuoco della palla o delle pallette si fa davanti a questa chiesa parrocchiale, è non è il raro caso che quest'ultima si sia arrivati a batter nei muri della chiesa stessa mentre ha fatto sempre mal sentire il fracasso e le parole improprie che spesse volte si proferiscono dai giocatori". Tuttavia il tempo passa e le cose cambiano e anche nei momenti di maggiore difficoltà e grande povertà, non si è mai smesso di cercare un modo per svagarsi ed era proprio in queste uggiose giornate autunnali quando la luce spariva sotto una fitta coltre di nuvole basse e la notte si faceva buia come la pece che in Garfagnana, davanti al camino e a una padella di mondine,
illuminati da una fioca luce proveniente da una lucerna che cominciava un classico sabato sera invernale di oltre cento anni fa. Non erano le discoteche o i rumorosi pub le location di quelle serate, erano le stalle o le ampie cucine di una volta lo scenario ideale per le sere "a veglio". Era un rituale quasi sacro che si ripeteva nel tempo. 
I vegliatori più anziani si mettevano con le loro seggiole vicino al camino e così piano piano  si avvicinavano i ragazzi e le ragazze, dopo pochi attimi ai ragazzi si aggiungevano le famiglie, intanto tutt'intorno nonostante il momento fosse di riposo e tranquillità i piccoli lavoretti andavano avanti, c'era chi aggiustava gli attrezzi, chi sgranava le pannocchie e chi badava al fuoco del camino  Nel frattempo mentre le mani erano occupate in cento cose fiorivano i racconti e le storie più o meno fantasiose, più o meno vere e tutto si confondeva in un misto fra verità e leggenda. D'altronde era durante queste feste che certi racconti rimanevano più impressi nella memoria di tutti, storie che affascinavano genitori e bambini, storie che parlavano di streghe, fantasmi e di buffardelli. Chi si avvantaggiava di questa situazione erano gli innamorati che approfittando dell'attenzione dei genitori al vegliatore sfuggivano al loro occhio vigile per scambiarsi dei fugaci baci. Arrivava poi il momento che gli estasiati bambini andavano a dormire e allora una volta messi a nanna i pargoli le
donne chiacchieravo dei fatti e fatterelli del paese e gli uomini giocavano a carte. In certe serate non mancava nemmeno il tempo per giocare a tombola, anche questo era un gioco che accomunava molte  famiglie, il problema era che anche questo divertimento non era visto di buon occhio dalle autorità religiose: "il gioco distrae i fedeli dai loro doveri di buoni cristiani, soprattutto dalla preghiera". Bando a ogni sorta di impedimento la gente ci giocava comunque, dato che il tempo in cui ci si poteva permettere maggiormente diletto era limitato nei mesi. Era difatti l'inverno, il cosiddetto "riposo stagionale", per i contadini la stagione fredda era meno laboriosa e stancante e ci si poteva concedere qualche distrazione in più, dedicandosi perfino a qualche serata danzante; 
mazurke e valzerini vari capitavano proprio il sabato sera. I Bar, le aie (dove di solito d'estate ferveva il lavoro contadino) e qualche rara sala da ballo erano i luoghi preposti al ballo. Anche qui, immancabilmente, contro questi balli "peccaminosi e tentatori" molto spesso tuonavano dal pulpito i vari parroci di quei tempi, spesso da quel pulpito il prete la domenica avvertiva le famiglie del pericolo di quei balli, un pericolo che incombeva sia sui giovani che sugli adulti. Arrivava comunque il momento dell'anno in cui la parola "divertimento" con tutti i suoi annessi e connessi doveva essere sospesa dal vocabolario di chiunque, ricco o povero, giovane o anziano che fosse, la Quaresima era il "de profundis" del sabato e dello svago, e qui nessuno doveva transigere. Paesi interi in Garfagnana si immergevano in un’atmosfera di attesa, un’attesa di silenzio paziente, con la chiusura di teatri, posti di ritrovo, perfino le radio rimanevano spente. Sempre nel silenzio, le famiglie di contadini, limitavano il loro pasto quotidiano a uno spuntino frugale, che doveva essere consumato rigorosamente al buio e dopo il tramonto. Anche talune 
osterie, per evitare tentazioni, venivano chiuse e questo significava niente bicchierino di vino o partitina a carte. Arrivò poi il tempo in cui le feste perderanno il senso di comunità, arrivò anche il tempo del divertirsi "per forza" e quei sabati "a veglio" rimarranno un lontano e nostalgico ricordo da tramandare ai più giovani in un articolo di qualche blog...

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