mercoledì 25 settembre 2019

Garfagnana: i più curiosi mestieri di una volta...

Ambite o pericolose, ricercate e più spesso sottopagate, ma sempre
di pubblica utilità, sono quelle occupazioni, quei mestieri che in Garfagnana non si fanno più, lavori estinti e di cui forse non avete mai sentito parlare. Ogni anno nascono nuove professioni, mai immaginate e gli analisti fanno a gara per stabilire quale sarà la più ricercata o la più pagata. Lavori come lo sviluppatore di app o l'insegnante di pilates, cent'anni fa non esistevano ed erano ben lontani dall'essere previsti. Ma chi si ricorda invece di quelle professioni che sono scomparse dalla Valle del Serchio? Scalzate dalle tecnologie, dalle macchine e dal progresso? Ben pochi credo e men che meno i più giovani. Questo articolo infatti lo dedico in parte anche a loro, penso infatti che saranno le nuove generazioni i più curiosi di apprendere l'esistenza di tanti mestieri diversi, alcuni molto strani o addirittura incredibili, d'altronde in queste
righe è impossibile catalogare tutti quei lavori che il tempo si è "mangiato" e quindi mi limiterò a scrivere di quelle attività che ai ragazzi (e anche a me)risulteranno per lo più sconosciute.
"La fame aguzza l'ingegno" dicevano i nostri nonni e loro d'ingegno ne avevano tanto, difatti era un continuo reinventarsi di mestieri, dove esisteva una possibilità di creare o inventare un nuovo lavoro, loro trovavano il modo di crearsi anche un occupazione duratura. La maggioranza della gente in Garfagnana certamente era occupata nell'agricoltura, nella pastorizia e più avanti con l'avvento dell'industrializzazione il garfagnino occupò in massa la fabbrica, pur non dimenticando "il campo", gli altri lavori gravitavano però intorno a quella cultura contadina e arcaica tipicamente nostrale fino a 60-70 anni fa.
Uno di questi mestieri era il chiodaio. Eppure stiamo parlando di un banale chiodo, ne troviamo a migliaia dentro una ferramenta. Al
tempo però venivano realizzati esclusivamente a mano. Dalle nostre parti tale arte veniva sviluppata sopratutto verso le zone di Vergemoli, Fornovolasco e dintorni, che erano luogo di miniere di ferro, qui si poteva reperire facilmente la materia prima. Per fare (all'apparenza) questo insignificante oggetto bastavano pochi attrezzi: un'incudine, un martello e naturalmente una forgia. Per prima cosa si prendevano delle piccole verghe di ferro che venivano tagliate in tanti pezzi quanto era la lunghezza del chiodo desiderato, dopodichè venivano messi nella forgia in modo di arroventarli, una volta estratti venivano lavorati per dargli la forma voluta, a questo punto si procedeva in maniera di formargli la testa che poteva essere piatta o sfaccettata (a diamante), servendosi di una matrice che era nell'incudine (detta chiodaia). Ma si fa presto  dire chiodo, c'era chiodo e chiodo. Ecco che per fissare le lamine di ardesia sui tetti si adoperavano chiodi specifici, poi c'era il chiodo da ruote per fissare queste ai barocci e alla carrozze, inoltre esistevano i cosiddetti brocconi servivano per bloccare il cuoio alla sella dei cavalli, oppure i calderai, chiodo per riparare paioli e padelle, insomma ne esistevano un'infinità per gli usi più disparati... dimenticavo un altro tipo di chiodo in "voga" nel XIX secolo, era fatto di una pezzatura più piccola e serviva per caricare i fucili, i suoi effetti erano devastanti.
Quest'altro lavoro che sia sparito sono felice... lo scrivano era colui che scriveva le lettere o documenti vari per terze persone. Fino agli inizi del 1900 la Garfagnana aveva un livello di
analfabetismo al di sopra della media nazionale (che già quella era alta), perdipiù la necessità di scrivere lettere aumentò di pari passo con l'incrementarsi dell'emigrazione. Lo scrivano lo si poteva incontrare specialmente nei giorni di mercato, che (come oggi) con cadenza settimanale si svolgeva nei principali paesi garfagnini. Aveva il suo banchino solitamente nella piazza principale, pronto a scrivere per l'innamorato di turno appassionate lettere d'amore, oppure a leggere anche le notizie inviate per lettera del caro parente emigrato nelle lontane Americhe, non mancava nemmeno di redigere anche missive di notevole importanza. Lo scrivano nella scala sociale del tempo aveva un posto di rilievo, esercitava un lavoro di prestigio e si faceva pagare pure bene. Si può dire che fosse considerato genericamente un impiegato: ben vestito con giacca e camicia, indossava manicotti neri muniti di elastici alle estremità, in modo cosi di non sporcarsi l'immacolata camicia con l'inchiostro del pennino.
E sempre a proposito di analfabetismo un'altra professione sempre legata a questa piaga era colui che era impiegato
come banditore. Non ci facciamo ingannare dall'uso odierno che si fa
di questa parola, poichè al giorno d'oggi il banditore è colui che in un'asta fa determinare il prezzo di un determinato oggetto. Al tempo no, tutt'altro, il banditore era la persona che a voce rendeva pubbliche le ordinanze delle autorità comunali. Si annunciava per le vie dei paesi del comune al suono del tamburo o di una trombetta e se nel caso gli annunci fossero stati più di uno, intercalava gli stessi da uno squillo di tromba: - Udite, udite...per ordine del podestà- oppure- il signor sindaco avverte...- e oltre alle ordinanze annunciava anche l'inizio dell'anno scolastico, annunciava l'entrata in vigore della possibilità di pascolare, la denuncia di furti e il periodo per condurre il bestiame al pascolo dove vigeva l'uso dei beni civici. Nella Valle del Serchio gli annunci dei banditori venivano dati all'imbrunire, quando i cittadini rientravano dal lavoro nei campi. Le doti per fare questa attività non erano speciali, bisognava avere molto fiato e buone gambe per percorrere quelle accidentate strade. Questo mestiere ha avuto lunga vita, nacque nel medioevo e terminò quando imparammo tutti a leggere e a scrivere... 
Avete mai notato nei nostri centri storici sui quei palazzi antichi
quei meravigliosi portali di pietra? Sopra ci sono scolpiti stemmi nobiliari e non solo, e che dire poi di quei bellissimi davanzali? E delle cornici delle finestre e le soglie delle porte? Tutto opera dello scalpellino,ovverosia colui che finemente cesellava, scolpiva e modellava queste pietre di granito che armonizzavano e davano quel tocco in più ai palazzi e alle case. Naturalmente anche qui si usava pietra più o meno pregiata in base alla disponibilità economica del cliente. Il culmine di questo lavoro in Garfagnana lo si raggiunse in epoca rinascimentale, quando l'arte del bello cominciò ad avere la sua importanza. Gli attrezzi dello scalpellino erano specifici e personalissimi, c'era una squadra per misurare gli angoli, una serie di scalpelli perfettamente affilati, mazze e mazzette. Ma l'arte di questo mestiere non si limitava ai soli infissi esistevano manufatti per la cucina: mortai, pestelli e perfino gli stessi lavandini di pietra
che oggi ammiriamo tanto nelle vecchie case.
E a proposito di case, una volta nei paesi, al di fuori delle abitazioni, nella pubblica via, venivano posti e fissati al muro delle lanterne che avevano il compito di illuminare la strada, facendo poi la funzione degli odierni lampioni . L'elettricità d'altronde in Garfagnana arrivò molto tardi, figuriamoci che in alcuni sparuti paeselli negli anni 60 del 1900 la corrente elettrica non era ancora giunta ed a far luce nelle stradine interne dei borghi c'erano ancora questi antichi lampioni che funzionavano ad olio, ed accenderli (e a spegnerli) c'era il lampionaio,lui era un
dipendente comunale ed aveva un ruolo di fondamentale importanza per tutta la comunità, lo si poteva notare perchè abitualmente aveva una giacca color turchino e un berretto municipale in testa, segno inconfondibile era la lunga pertica che aveva sempre con sè e sulla cui estremità era fissata una speciale lampada munita di gancio, questa gli consentiva senza l'aiuto di scale di aprire dal basso verso l'alto lo sportellino della lanterna e accendere la lampada, altro compito del lampionaio era quello di regolare lo stoppino della lanterna e approvvigionare l'olio all'interno di esse. E la mattina? Sempre il solito lampionaio si prendeva la briga di spegnere i lampioni al sorgere del sole...
Ma non esistevano solo lavori prettamente maschili come quelli che qui abbiamo letto, esistevano lavori anche esclusivamente femminili, talvolta più duri di quelli maschili. Il classico esempio era il mestiere della lavandaia, un duro lavoro,le mani costantemente a contatto con l'acqua del Serchio, al tempo non c'erano lavatrici ne tantomeno l'acqua nelle
case, bisognava andare al fiume o nei torrenti di acqua gelida a lavare i panni, sia d'estate che nei freddi inverni, ma se si vuole il disagio peggiore non era nemmeno questo, la vera sofferenza era stare costantemente piegate sulla riva, protese in avanti sui precari sassi a insaponare, sciacquare e strizzare i panni, ore e ore in ginocchio, la brutta postura portò a soffrire di quel classico processo infiammatorio meglio conosciuto come "il ginocchio della lavandaia". Questa occupazione veniva svolta dalle donne del popolo presso le famiglie benestanti del paese e presso le famiglie in cui la donna di casa era ammalata, si dice che principalmente questo lavoro fosse svolto da donne sole, gli uomini non permettevano che le loro mogli mettessero le mani nei panni sporchi di altre persone, ma in caso di necessità anche le maritate non esitavano a mettersi al servizio delle signore del paese per portare soldi alla propria famiglia. Anche per questa attività non serviva un'attrezzatura particolare, ma semplicemente dell'olio di gomito
il lavatoio di Campolemisi
(Fabbriche di Vergemoli)
e...della lisciva. La lisciva era il detersivo del tempo che fu, fatta di una soluzione di acqua e cenere che faceva diventare bianco, morbido e profumato il bucato, per i garfagnini era meglio conosciuta con il nome di "ranno". Per fortuna con il passar dei secoli la situazione dalle lavandaie migliorò, sul finire del 1800 anche in Garfagnana comparvero i primi lavatoi, costruzione coperte, dotate di vasche capienti e che permettevano sopratutto alla donna di lavare in posizione più o meno eretta.

Di lavori, mestieri e occupazioni ce ne sarebbero ancora tanti da
narrare, ma credo che,con queste poche righe di aver reso un omaggio
a tutte quelle generazioni che hanno svolto questi antichi mestieri, che hanno operato e vissuto nel buio le loro fatiche quotidiane e che per mezzo di questo modesto articolo voglio far riemergere, non facendo così perdere la coscienza della propria esistenza. 


Bibliografia:

  • Antichi mestieri della montagna italiana (Leonardo Ansimoni 1980 stampato in proprio)
  • I mestieri legati al primato della mano dell'uomo (mestieri artigiani . Associazione TRACCE DEL TEMPO)




mercoledì 11 settembre 2019

Storie di razzismo di garfagnini emigrati.

"Data la loro abitudine di trasferirsi nel paese che li ospita nei 
Vignetta america del 1901 ci definiva
"la fogna del mondo"
mesi invernali per poi tornare in patria in autunno, gli immigrati si caratterizzavano per una scarsa volontà di integrarsi nella società locale, fatto confermato dai bassi livelli di acquisizione di cittadinanza e di apprendimento della lingua locale".
Questo stralcio di documento non è preso da un rapporto del Ministero dell'Interno sulle orde di migranti che stanno raggiungendo le nostre coste in questi mesi, ma bensì è una relazione del Dipartimento della Sicurezza interna degli Stati Uniti d'America di inizi 1900, argomento trattato: l'emigrazione italiana...
Si, inutile nascondersi dietro ad un dito, una volta i discriminati razziali eravamo noi, o meglio, i nostri nonni e bisnonni che partiti dalla Garfagnana (e dall'Italia in genere) andavano a cercar fortuna in Paesi pronti ad accoglierli... ma questi Paesi, tanto
pronti non erano.

Prima di leggere testimonianze di garfagnini emigrati discriminati, la cui sola colpa era quella di essere italiano è bene che il mio caro lettore attraverso questo antefatto che andrò a narrare si faccia un'idea del contesto in cui si ritrovavano i nostri avi partiti dalla nostra amena (al tempo non troppo...) valle.
Il razzismo e i pregiudizi sugli italiani è bene chiarirlo subito accompagnavano i nostri compatrioti in tutto il globo, in qualsiasi terra in cui mettessero piede, dalle Americhe all'Australia e in tutto quel periodo storico che va dall'800 fino agli anni '70 del secolo passato. Su di loro pesavano un paio di secoli di stereotipi importati da decine di scrittori, letterati ed esimi professori che si erano recati nel nostro Paese in quello che in quel tempo era conosciuto come il "Grand Tours". "Grazie" dunque, anche a scrittori del calibro di Defoe, Shelley e Twain che fummo nell'immaginario 
Il tedesco Goethe definì l'Italia
"un paradiso popolato da diavoli
popolare d'oltralpe e d'oltreoceano subito marchiati a fuoco. Goethe definì l'Italia "un paradiso abitato da diavoli". Questo marchio fece ben presto il giro del mondo, quindi per gli altri eravamo come i vari scrittori ci avevano visto: sporchi, mendicanti e immorali, ma non era niente al confronto di altri tre preconcetti che costituivano il fardello che ogni singolo emigrante doveva sopportare: 
l'italiano era pericoloso socialmente, l'italiano è violento è un uomo dalla rissa e dal coltello facile, un po' come adesso noi vediamo gli immigrati provenienti dall'est Europa, fattostà che i nostri connazionali erano soprannominati nei paesi anglosassoni "dago", una storpiatura della parola "dagger"(coltello, pugnale). 
L'italiano è un terrorista: sovversivi ed anarchici per natura. Tale "bollo" accompagnò gli italiani sopratutto fra fine ottocento ed 
Luigi Luccherini
l'assasino della principessa Sissi
inizio novecento, sottoponendoli di fatto ad ogni tipo di controllo da parte delle autorità (immaginiamo grosso modo quello che succede oggi agli islamici in Italia), d'altronde ne avevano ben ragione, infatti in quel periodo gli anarchici italiani assassinarono: il presidente francese Sadi Carnot (1894), il primo ministro spagnolo Canovas del Castillo (1897), l'imperatrice Elisabetta d'Austria, la famosa principessa Sissi dei vari film, (1898)e il re d'Italia Umberto I (1900). 
Il terzo ed ultimo motivo ci accompagna ancora oggi...gli italiani sono tutti mafiosi...Fu un periodo quello di grande confusione sociale, l'opinione pubblica (specialmente americana) non riusciva più a distinguere tra minoranza criminale e una maggioranza onesta all'interno della comunità italiana. E' altrettanto innegabile che i bastimenti provenienti da Genova, Napoli e Palermo fecero sbarcare in America i Genovese, i Gambino, i Valachi e i Gotti.
Ma non finiva qui, c'era ancora un pregiudizio più grave nei 
Carlo Gambino uno dei più grossi
mafiosi d'America
confronti degli immigrati nostrali. Un motivo prettamente razziale. Esisteva difatti la convinzione che gli italiani non fossero del tutto bianchi, ma che avessero nelle vene quella che i razzisti americani chiamavano "la goccia negra". Quello che era ancora più grave, era che tutto ciò pareva supportato da un'analisi pseudoscientifica; all'esposizione universale di Buffallo nel 1901 (non alla fiera di Gallicano di settembre, per ben capirsi) venne elaborata una carta delle razze in cui venivano illustrate le diverse gradazioni di purezza biologica, insomma in tutto questo farneticare la razza italiana non era compresa fra quelle bianche, ma in un limbo situato fra i bianchi ed i neri. Tutto ciò farà si che i nostri emigrati furono i più maltrattati fra tutti gli immigrati nel suolo americano. 
Ecco, questo era il quadro che le migliaia di emigranti garfagnini si trovavano davanti e molti si troveranno suo malgrado in
spiacevoli storie di razzismo. La più delicata e fra le più clamorose testimonianze che ho raccolto riguarda Maria (nome inventato), partita dalla nostra valle negli anni 20 del 1900. Insieme al resto della famiglia raggiunse il papà che già era partito anni prima. La famiglia si stabilì in Alabama, la vita se vuoi era molto simile a quella della Garfagnana, l'attività che li prevalentemente si svolgeva era l'agricoltura e lo stile di vita campagnolo si addiceva  alla famiglia. Maria, dunque si invaghì di un giovanotto di colore- così ci racconta un suo parente- e dall'innamoramento a qualcosa di più "consistente" il passo fu breve. Peccato che in Alabama vigeva la legge della "miscegenetions", ovverosia il divieto di  mescolanza di razze fra bianchi e neri. Ci fu un processo che ebbe grossa rilevanza mediatica per il tempo, (il nostro testimone conserva ancora ritagli dei giornali americani del tempo), per farla breve l'uomo di colore riuscì a cavarsela poichè la ragazza con cui aveva avuto la relazione proibita era si americana, ma italiana di origine, dunque per il giudice: "non si poteva assolutamente dedurre che lei fosse bianca". Alla fine di tutto la famiglia garfagnina ritornò in Italia e il padre così disse: "meglio patire la fame che perdere la dignità".

C'è anche chi fu testimone di un fatto storico - razziale nei 
New Orleans la folla inferocita davanti
al carcere
confronti degli italiani. Alberico da Villa Collemandina emigrò negli Stati Uniti con una delle prime e forti ondate migratorie. Arrivò a New York e poi non si sa come raggiunge New Orleans- così racconta un bis- bis nipote-. Proprio in quel periodo a New Orleans fu ucciso il capo della polizia e a quanto pare oltre all'assassino (che era un italiano) furono arrestati altri 250 italiani. Il nostro Alberico che era presente in città in quel periodo si chiuse nella sua stanza d'albergo senza uscire, nè per lavorare, nè per mangiare, era cominciata di fatto una caccia all'italiano. La cronaca poi racconta che 11 di questi italiani furono assolti dal giudice, ma una folla fatta da migliaia di persone prese d'assalto il carcere dove erano ancora custoditi e dopo averli presi in consegna le uccise brutalmente, per molto tempo fu il più grave linciaggio della storia degli Stati Uniti. Alberico riuscì in qualche maniera a fuggire dalla città e raggiungere nuovamente New York, dove poi si stabilì definitivamente.
C'è ancora poi chi ricorda le paghe lavorative, Gianni veniva da
Ellis Island...prima di entrare italiani
negli Stati Uniti
 Castelnuovo e narra delle liste per le opportunità di lavoro sancite dallo stato (sottolineo lo stato) che erano divise per etnia "Bianchi 1,75$, neri 1,50$ e italiani 1,35$". Gli italiani prendevano meno dei neri, perchè si diceva che i neri erano arrivati prima- così racconta Gianni-, inoltre specialmente quando andavo a lavorare negli stati del sud degli Stati Uniti, spesso (dove sapevano chi ero) ero costretto a bere alle solite fontanelle dove bevevano gli uomini di colore.
Ma tutto questo non ci capitò solo nelle lontane Americhe, ma anche nella civile Europa (Germania, Belgio Svizzera) e non nel 1800, ma appena quaranta, cinquant'anni fa. Qui è difficile raccogliere testimonianze, che sicuramente ci sono e sono testimonianze dirette
di chi ha vissuto in prima persona queste brutte esperienze, forse la vergogna di quello che fu attanaglia ancora questi emigranti.

Eppure non fummo solo quello, nonostante le discriminazioni, gli stereotipi e i maltrattamenti, le nostre mani e il nostro lavoro ha fatto grande l'America e L'Europa e se dovessimo svegliarci una mattina e scoprire che tutti sono della stessa razza, credo e colore,- disse un giorno George David Aiken- troveremmo qualche altra causa di pregiudizio entro mezzogiorno...

Bibliografia:

  • MASSIMILIANO SANVITALE Quando essere Italiani era una colpa: razzismo, oltraggi e violenza contro i nostri immigrati nel mondo
  • Testimonianze orali