mercoledì 29 aprile 2020

La vecchia vita di paese di una volta... personaggi, fatti e vecchie abitudini

Quando nascevi in un paese della Garfagnana possedevi già la prima
certezza della tua vita, non avevi ancora emesso il primo vagito e tutti sapevano che eri al mondo. La vita nei nostri paesi è sempre stata così, volenti o nolenti, appena muovevi un passo tutti ne erano a conoscenza prima che tu lo facessi. Questa d'altronde è vita vera è la quintessenza della storia, non della storia che si legge sui libri di scuola, quella no, ma è storia di tutti i giorni, quella più intima e personale perchè, come diceva Leopold Von Ranke (storico tedesco) "le epoche felici dell'umanità sono le pagine vuote della storia" e la vita di paese faceva parte di queste pagine vuote...
I giorni nei paesi garfagnini si susseguivano seguendo il ritmo delle stagioni, ovvero l'estate si rimaneva fuori sfruttando l'ultimo raggio di sole, e d'inverno già alle dieci di sera non si vedeva più un'anima in giro e non perchè la gente aveva paura di uscire come nelle città, ma perchè la vita del contadino cominciava quando il sole ancora dormiva. Il tempo d'altra parte in questi luoghi sembrava fermarsi...  Lavatoi con mamme che lavavano ridendo e scherzando, bambini che giocavano per le vie, le persone s'incontravano e si salutavano caldamente, erano posti dove ci si
conosceva tutti e dove ci s'informava del perchè la Maria stamani non era uscita a comprare il pane. Erano giornate lunghe, intense, faticose ma ricche di parole, di ascolto e di condivisione e volti estranei non esistevano. 
La maggior parte della vita del paese si svolgeva in strada, in essa s'incontravano persone, si svolgevano tutti gli avvenimenti che caratterizzavano la vita di una piccola comunità nella quale tutti si conoscevano e dove le gioie e i dolori diventavano emozioni comuni e coinvolgenti. Le strade erano il primo ritrovo delle donne, che, con la secchia, andavano all'acqua schivando qua e là i ragazzetti che si divertivano e che giocavano ai quattro cantoni, alle corse, a nascondino o a mondo. Non c'erano macchine, nè sfreccianti centauri a seminare sgomento, la vita trascorreva tranquilla. Per la strada era tutto un andirivieni,
passavano donne ed uomini più o meno frettolosi e si formavano più che altro gruppetti di perdigiorno che osservavano curiosamente chi entrava e usciva dalle case: quando il medico, quando la levatrice, o quando, chissà perchè, la guardia comunale... Insomma "si leggeva" nelle famiglie come in un libro aperto. 
Che stupore,che meraviglia e che interesse quando la carrozza dalla stazione portava dei forestieri, allora ecco che si formavano subito ennesimi gruppetti di persone a domandarsi chi fosse codesto forestiero, da li nascevano così mille supposizioni dalle probabili a quelle più fantasiose e bizzarre, ecco allora che improvvisamente la serrata discussione veniva interrotta da quelle due o tre auto private che strombazzando e alzando un tremendo polverone si facevano largo fra i curiosi. Eh si, le auto erano una rarità assoluta, la maggior parte delle persone andava a piedi, o meglio le donne andavano a piedi e gli uomini in bicicletta, salire in sella ad una bici per molte donne era considerato scandaloso... chissà cosa avrebbero pensato le più anziane del paese...
Poi esistevano paesi e paesi, c'era il paese più piccolo e poi c'era "il paesotto", fornito di negozi, di un mercato settimanale e di qualche altra comodità in più, li giungevano gli abitanti dei paeselli limitrofi, che arrivavano seguendo i tracciati di
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millenarie mulattiere. Le donne che giungevano a farvi le spese oltre ai fagotti necessari, ne avevano sempre uno supplementare con dentro gli zoccoli buoni e poco prima di arrivare nella piazza principale sostituivano gli "scappini" (una sorta di scarpa rustica fatta in casa), che venivano nascosti in una siepe, li pronti per essere presi e calzati al ritorno. Nel "paesotto" si comprava tutto ciò che era necessario alla sopravvivenza delle piccole comunità: generi alimentari, attrezzi e utensili vari e pure cianfrusaglie per le vezzose del paese. I mulattieri, altri tipici personaggi di un tempo, erano invece i postini, i raccoglitori e i divulgatori di notizie dei paeselli, a volte all'interno di queste piccole comunità erano anche gli unici che sapevano leggere e scrivevano ai parenti lontani per tutto il paese... se il prete non c'era. 

Quei negozi di alimentari però erano una gioia per gli occhi, buona parte della merce era esposta fuori dalla porta: granate, baccalà, verdure di stagione e dentro i sacchi di riso e delle minestre e poi i barattoli di latta dei biscotti, marmellate, salsicce appese,
lardo e strutto... 
Ma ecco che arrivava anche il momento del silenzio, intorno le botteghe chiudevano le porte, le serrande venivano abbassate, i ragazzi smettevano di gridare e correre... passava un funerale. Avanti al mesto corteo si trovava una lunga fila di uomini con cappa e cappuccio nero, erano i confratelli della Misericordia che nascondevano il volto per dimostrare che la carità e la pietà sono anonime. Dietro il prete c'era il carro funebre trainato dai cavalli, ma questo carro non era per tutti uguale. Di solito quello che si vedeva passare era il carro di terza classe, semplice con il cavallo coperto con una striscia nera ricamata e disegni oro e argento, ma se il morto era un poco più "importante", il carro era di seconda, più adorno di fregi ed il cavallo più vestito. Il massimo dell'onore era riservato al funerale di prima classe, il prete era avvolto nel mantello nero e argento, il carro issava quattro pennacchi e il cavallo era parato in pompa magna e il cocchiere poi... era vestito come per le grandi
occasioni. Ai funerali poi partecipava tutto il paese...in fondo in Garfagnana siamo quasi tutti parenti. 
Una volta passata la triste processione la vita come per magia riprendeva e a proposito di vita il vero centro nevralgico del paese per la vita sociale era il bar. Il bar in Garfagnana non era un luogo, ma uno stile di vita: si capiva dal bar che uno frequentava la propria estrazione sociale, c'era il bar per il signorotto e il bar per il povero diavolo, ma qualsiasi fosse questo bar all'interno si facevano le solite cose: si beveva(e tanto...), si giocava a carte e si parlava di tutto e di più. Del resto erano bar "tosti", veri, autentici, bar che non esistono più, quelli con il giornale spiegazzato e le carte da briscola unte e logore e fra il fumo di quelle stanze c'erano capannelli di pensionati, lavoratori e nullafacenti e fra tutti questi esistevano personaggi memorabili: c'era il "briachella" di turno e poi c'era lui: "quello che tutto sa", lui sapeva tutto, dalla politica, al
calcio, a come far ripartire l'economia, a trovare funghi, a fare l'orto, sapeva pure guarirti da tutti i malanni...
Erano storie di una volta, di ricordi di un tempo passato, storie e modi vivere dei nostri nonni, che si potevano e si possono riflettere su un qualunque  paese garfagnino, non occorre menzionarne uno specifico, ogni paese della valle viveva in questa maniera. Storie di vita più tranquilla, più vivibile, di un mondo dove riuscivi a sentirti meno "numero" e più persona. Un mondo dove potevi uscire per andare a prendere un caffè al bar, sapendo che sicuramente avresti trovato qualcuno con cui scambiare due chiacchiere... 
   


Bibliografia:
  • "Stasera venite a vejo Terè" . Gruppo vegliatori di Gallicano. Banca dell'identità e della memoria. "La strada" testimonianza di Maria Valentini

mercoledì 22 aprile 2020

Garfagnini ad Ellis Island: l'isola delle lacrime...

"Eravamo una tra le tante famiglie sgomente che ogni nave in arrivo
a New York scaricava in un luogo tetro, chiuso da sbarre di ferro... Ellis Island era una bolgia spaventosa di uomini, donne, bambini che si agitavano come un gregge senza pastore. Mi sentii gelare il cuore. Quella scena creò in me un senso di paura e d'angoscia che doveva perseguitarmi per molto tempo. Fummo trattenuti li dentro per tre eterne giornate". Questa era la bolgia degli sgomenti di Ellis Island nel 1907, vista dagli occhi di un bambino di 11 anni. Erano gli occhi di Edoardo Corsi, emigrato dal lontano Abruzzo con tutta la famiglia. Ventiquattro anni dopo questo sbarco, destino volle che il presidente degli Stati Uniti d'America Herbert Clark Hoover, nominasse quell'uomo Commissario dell'emigrazione di Ellis Island. Durante il tempo in cui diresse il centro logistico dell'emigrazione, Corsi annotò un vasto campionario di casi umani: famiglie divise da un'assurdo ingranaggio legislativo, schiere di immigrati rispediti come vuoti a perdere nel loro paese d'origine per un difetto fisico o una malattia. Alla fine della sua carriera trascrisse in un
libro(All'ombra della libertà), la disperazione di quanti venivano truffati, derubati e maltrattati e fra questi disperati narra di alcuni garfagnini. D'altronde lui queste persone di montagna le conosceva bene, suo padre, Filippo Corsi, era stato eletto deputato nel collegio di Massa Carrara (provincia di cui al tempo faceva parte la Garfagnana), perdipiù questa gente era simile a quella del suo luogo d'origine: Capestrano, un borgo di poche anime in provincia de L'Aquila, abitato da gente umile e dedito alla pastorizia, proprio com'era la nostra valle agli inizi del secolo scorso.
Prima però di leggere quello che subirono i garfagnini su quest'isola è bene capire cos'era questo triste luogo situato al largo della baia di New York. E' stimato che da li, quasi la metà degli americani può rintracciare nella propria storia familiare almeno una persona passata per Ellis Island. Prima che Samuel Ellis, intorno al 1770 diventasse proprietario di quest'isolotto, il sito era un'avamposto militare per difendere la città dagli attacchi dei pirati. Fort Gibson, così si chiamava il forte che presidiava l'isola, aveva un porto fortificato pieno di munizioni e depositi d'armi. Con il tempo i pirati cessarono di essere una minaccia per New York e l'isola così passò di mano in mano cambiando più volte proprietario e nome (Kioshk, Oyster, Dyre, Anderson's Island), tutto ciò fino al 1892 quando l'isola si trasformò in una stazione d'ispezione per l'immigrazione per milioni di migranti che venivano negli Stati
L'arrivo ad Ellis Island
Uniti. D
el resto di li transitarono 22 milioni di persone che attraverso le loro testimonianze fecero ben presto diffondere la fama dell'isola in tutto il mondo, facendo diventare questo luogo una vera icona dell'immigrazione. L'arrivo degli emigrati italiani non era facile, dopo la lunga fatica del viaggio altre difficoltà incombevano: l'ammissione negli Stati Uniti. I passeggeri di prima e seconda classe venivano esaminati dai funzionari direttamente sulla nave, erano infatti considerati abbastanza ricchi per non essere di peso allo Stato, quelli di terza invece venivano condotti proprio ad Ellis Island dove ricevevano la visita medica, chi fra questi doveva subire ulteriori accertamenti veniva marchiato con un segno sulla schiena fatto con il gesso: PG per le donne incinta, K per l'ernia,  X per problemi mentali e così via, la legge americana a riguardo purtroppo parlava chiaro:"...i vecchi, i deformi, i ciechi, i sordomuti e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose,
aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità sono inesorabilmente esclusi dal suolo americano", per loro il reimbarco sarebbe stato immediato.  Quelli che invece superavano il controllo accedevano alla sala registrazione per espletare la parte burocratica: nome, luogo di nascita, stato civile, destinazione, disponibilità di denaro ed eventuali carichi penali. I malati venivano messi in quarantena nell'ospedale locale in attesa di ricevere il nulla osta per entrare in America. L'accesso non era poi consentito alle donne e ai minorenni soli: le prime dovevano sposarsi ad Ellis Island, mentre i secondi, dovevano trovare un garante o essere adottati se orfani. Dopodichè, dopo aver affrontato per giorni interi la dura legge di Ellis Island, i fortunati ricevevano il permesso per sbarcare e venivano accompagnati al traghetto per Manhattan, per vivere il loro American Dream.
Ma per molti il sogno americano non sarebbe mai cominciato e fra questi alcuni garfagnini: "...le nostre leggi sul rimpatrio sono inesorabili e in molti casi disumane, particolarmente quando si
Il salone principale di
Ellis Island
riferiscono a uomini e donne dal comportamento onesto il cui unico crimine consiste nel fatto che hanno osato entrare nella Terra Promessa senza conformarsi alla legge. Ho visto centinaia di persone del genere costrette a ritornare nel paese di provenienza, senza soldi e a volte senza giacche sulle spalle. Ho visto famiglie separate che non si erano mai riunite, madri separate dai loro figli, mariti dalle loro mogli, e nessuno negli Stati Uniti, nemmeno il Presidente in persona, poteva evitarlo"
. Sono sempre le parole di Edoardo Corsi che ricorda anche di certi accadimenti riferiti ai "toscani della Garfagnana" . Un caso emblematico fa riferimento ad una donna garfagnina che anni dopo gli rilasciò la sua impressione  per la stesura del suo libro: "Grazie a Dio eravamo di nuovo liberi e lontani dall'inferno di Ellis Island. La notte mi svegliavo sempre dalla paura. Questo trauma rimarrà in me tutta la vita. I miei figli che erano con me soffrivano, come soffrivano gli altri bambini. Non
New York da Ellis island
c'erano bagni, ne aria fresca e per i piccoli nemmeno un posto dove dormire se non fra le mie braccia. Il fetore e il caldo erano insopportabili e ogni giorno che passava le forze mi venivano meno, se fossimo rimasti un giorno di più non so cosa sarebbe successo. Quando  dopo alcuni giorni ci dissero che non potevamo sbarcare fu un sollievo, non m'importava più niente, volevo tornare sulle mie montagne, non m'interessava se avessi dovuto cominciare nuovamente a tribolare, meglio tribolare che rimanere ad Ellis Island fra orrori e crudeltà"
A qualcuno andò peggio, la disperazione, lo sconforto e la delusione presero una piega tragica per "un massese della montagna apuana" (n.d.r: la persona potrebbe essere massese o anche garfagnino, 
la Garfagnana  era in provincia di Massa): "il pover'uomo ricevette l'ordine di rimpatrio. Le guardie di Ellis Island lo condussero sul transatlantico francese "Lorraine" la notte del 7 luglio. La mattina dell'otto luglio, alcuni attimi prima che il vascello salpasse,
Ellis Island dall'alto
disse ai compagni che avrebbe voluto morire piuttosto che ritornare in Italia dopo le promesse che avrebbe avuto successo in America. Dopo aver detto così premette il grilletto e pose fine alla sua vita".

Un'altra testimonianza la riportò Monsignor Scalabrini. A pochi giorni dal suo arrivo a New York, dove era stato accolto calorosamente da italiani ed americani, si era recato al porto di Ellis Island per assistere allo sbarco 650 boscaioli italiani provenienti dalla Garfagnana, dalla montagna pistoiese e dalla Maremma, lì presenziò ad un fatto a dir poco spiacevole. Racconta infatti di una guardia
Ellis Island oggi
  che aveva invitato uno di questi emigranti ad uscire in fretta dallo stabile. L'italiano impossibilitato a correre dalla folla presente e dalle due valigie che portava aveva ricevuto una tremenda bastonata nelle gambe, il boscaiolo prontamente reagì dando due schiaffi al bastonatore...

Comunque sia andata per oltre sessant'anni questo anonimo isolotto fu la porta d'accesso al "nuovo mondo" e riflettendoci bene oggi è quasi impossibile non volgere un pensiero ai nostri avi che intrapresero questo viaggio
della speranza. Per chi vuole trovare tracce di questi avi garfagnini(e non) emigrati nelle "lontane americhe", esiste un modo."The statue of liberty foundation", da libero accesso al proprio archivio per cercare coloro che passarono da "l'isola delle lacrime"... (per la ricerca clicca https://www.libertyellisfoundation.org/passenger)


Bibliografia:

  • In the Shadow Liberty, 1935 Edoardo Corsi (ed. it. All'Ombra della libertà – Ed Il Grappolo, Mercato San Severino, 2004)

mercoledì 15 aprile 2020

Prima della lira in Garfagnana... Viaggio nel confusionario mondo delle antiche monete garfagnine

E' un mondo veramente difficile, sinceramente non me lo aspettavo...
Non sto parlando però del mondo in generale, quello già lo sappiamo tutti che è ostico... Sto parlando del mondo della numismatica. Dal latino "nomisma", ovvero moneta, la numismatica è lo studio scientifico della moneta in tutte le sue forme: storiche, geografiche, artistiche ed economiche. Mi sono affacciato a questo
sapere per la prima volta proprio per scrivere questo articolo e per fare alcuni studi, ma vi giuro, miei cari lettori, solamente chi ha una grande passione per questa materia può riuscire a districarsi nei meandri del complesso universo delle monete. Al giorno d'oggi, anche in questo campo forse è tutto più facile (credo...). Infatti, prima dell'Unità d'Italia le valute che circolavano nel nostro Paese erano alcune centinaia: svanziche, talleri, fiorini austriaci, zecchini, rusponi e così via... Con l'avvento dell'unione nazionale e conseguentemente della lira, la moneta circolante diventò unica per tutti i cittadini del regno e quindi anche la vita dei
5 lire con Vittorio Emanuele II
primo re d'Italia
numismatici si semplificò. La storia della lira bene o male la conosciamo tutti, ma quello che però ha stuzzicato maggiormente il mio intelletto (e spero anche il vostro) è stata la curiosità di fare  un viaggio nelle antiche monete garfagnine. Con che denaro si compravano la verdure al mercato a Castelnuovo? Forse anche al tempo esistevano monete per così dire "speciali" o commemorative? E le monete chi le produceva? Esistevano zecche? Ne leggeremo sicuramente delle belle e di bizzarre... Prima di addentrarmi nell'argomento mi voglio però già preventivamente scusare con gli appassionati e gli studiosi di questa disciplina per eventuali imprecisioni e ipotetiche inesattezze...Chiedo venia...
Le vicende storiche garfagnine portarono nei secoli alla coniazione di valuta monetaria di due zecche, ognuna operante per i propri possedimenti, prima ci pensò quella di Lucca "a batter moneta" e poi successivamente il compito toccò alla zecca estense di Modena.
Tondelli per la coniazione
 delle monete
Nonostante vigesse in tutto il territorio una moneta ufficiale corrente (prodotta dalle suddette zecche) il panorama della circolazione monetaria in Garfagnana era comunque vario e a dir poco confuso e in questo campo difatti regnava il caos più assoluto. Per rendere chiaro il quadro della situazione è bene capire che sul finire del 1800 nella nostra cara e vecchia Garfagnana si utilizzavano indistintamente monete provenienti da tutti gli Stati, vicini o lontani che fossero. Di tutta questa confusione, una volta conquistata l'Italia se ne accorse perfino Napoleone, che fra le varie riforme che introdusse (giuste e sbagliate) ne inserì una per snellire il disordinato mercato monetario:- "moneta unica per tutti, spendibile in ogni luogo dello stato, la chiameremo..."lira italiana"-. Malgrado ciò, l'italiano cocciuto se ne infischiò altamente di questa lungimirante riforma e continuò imperterrito a far circolare molte delle vecchie

Lira napoleonica
con l'effige di Napoleone
e logore coniazioni, anzi, se si vuol dire tutta la confusione aumentò dal momento che nel mercato monetario fu introdotta la nuova moneta con l'effige di Napoleone e di tutto il "parentame". Nel giro di qualche anno Napoleone sparì dalle vicende storiche e furono rimessi in piedi i vecchi governi e gli Estensi ripresero anche i loro domini garfagnini. L'idea napoleonica piacque comunque al duca modenese Francesco IV che cercò di porre un limite alla circolazione di tutte queste monete straniere e con un decreto del 15 aprile 1819 così disse "...noi tolleriamo potersi spendere e ricevere le monete sopra indicate al valore però soltanto ad esse attribuito e tra i soli privati nelle provincie di Reggio, Garfagnana e Lunigiana rispettivamente, restando per tal modo vietata la loro introduzione, retenzione e spedizione negli altri luoghi dello Stato, ed il loro ricevimento nelle pubbliche Casse". Credete forse che quanto ordinato fu rispettato? Men che mai, ci mancherebbe altro. Esattorie e ricevitorie pubbliche fecero orecchie da mercante e continuarono ad incassare denari da ogni dove e provenienza. Allorchè, visto il perdurarsi dell'indisciplina, il duca ordinò l'ispezione di tutte le esattorie dello Stato per vedere realmente ciò che contenessero. Quello che venne fuori a Castelnuovo ebbe del tragicomico:"Specifica delle monete trovate nella cassa delle ricevitorie di questo Comune il giorno 6 dicembre 1823, alle ore 3 pomeridiane: francesconi fiorentini n. 163; paoli fiorentini n.20; mezzi paoli fiorentini n.10; monete da due paoli romani n. 3; mezzi paoli romani n. 4; scudi di Milano n. 14; bavare n. 4; lire di Milano n. 8; mezze lire di Milano n. 1; colonnati di Spagna n.2; lire di Modena n. 32; lire austriache o svanziche n. 56; napoleoni n. 48; centesimi di lire italiane n. 662; lire italiane n. 64; quarti di lire italiane n. 71; mezze lire italiane n. 50; scudi di Francia n. 1; monete da due terzi di scudo di Ercole III n. 1; ducatoni di Modena n. 3; quarantane di Modena n. 3; centesimi n. 100; monete italiane da 5 centesimi n. 236; monete italiane da 3 centesimi n. 145; soldi di Milano n. 54; mezzi soldi di Milano n. 72; soldi di resto n.8". Questo è quello che era nelle casse della ricevitoria castelnuovese, figuriamoci allora cosa doveva passare per le mani del privato cittadino...
Castelnuovo Garfagnana
Con il senno di poi possiamo però dire che non tutto il male vien per nuocere e nel ramo dei collezionisti di monete tutto questo "ambaradan" di denari ha fatto la fortuna di molte persone e giust'appunto  proprio come si fa adesso con i due euro, anche all'epoca si coniavano monete speciali e particolari legate a fatti ed avvenimenti e il fulgido esempio riguarda proprio tre monete "garfagnine".

Correva appunto l'anno 1606 e finalmente dopo varie lotte e scontri sia politici che militari una sentenza emessa dal Senato di Milano assegnò il possesso della Garfagnana al Ducato di Modena. Fu un grande evento per Cesare d'Este che fece suggellare il momento con la coniazione di due "grossetti" (moneta in vigore al tempo)per porre in evidenza la supremazia della casa d'Este su (quasi) tutta la valle, ma sopratutto per ringraziare il popolo garfagnino della fedeltà dimostrata. Nella rara moneta su una faccia possiamo vedere la testa del duca e l'iscrizione "Cesar.Dux.Mut.Reg", mentre nell'altra è rappresentata la famosa bomba "svampante"(un simbolo

moneta con la
"bomba svampante"
e la dicitura garfagnana
della casata d'Este) e la dicitura "Prin.Garfignana"(principato di Garfagnana). L'altra moneta battuta per l'occasione se si vuole è ancora più intima e concedetemi il temine "nostrale" e se in una faccia del soldo vige l'aquila estense con la medesima iscrizione della moneta precedente (Cesar.Dux.Mut.Reg), nell'altra c'è un San Pietro con tanto di chiavi del Paradiso in mano. Dapprima si credeva che la figura del santo stesse a significare l'influenza e la protezione della sede apostolica sul regno, ma poi ben analizzando si scoprì dell'onore dato alla Garfagnana, San Pietro era ed è il santo patrono della sua cittadina più rappresentativa: Castelnuovo. Comunque sia, se qualcuno ha per le tasche questi "spiccioletti" si ricordi che possono valere sui duemila euro cadauno... E se ora nelle monete commemorative ricordiamo le gesta di "Tizio, Caio e Sempronio", c'è un'altra
Moneta con il San Pietro
"garfagnino"
moneta che ci ricorda epiche conquiste, in questo caso meglio dire riconquiste. Successe che nelle battaglie fra fiorentini e modenesi "il povero" Alfonso I, duca estense, perse in men che non si dica la Garfagnana intera. Per sua buona sorte la vicenda ebbe vita breve e la conseguente morte di Papa Leone X (1521) protettore della famiglia Medici, liberò da ogni paura il duca che ben presto riconquistò le terre perse. Il sollievo e la felicità fu tanta, visto che Alfonso fece coniare una moneta d'argento (del valore di mezza lira o dieci soldi) con la sua testa da una parte e dall'altra un'immagine che voleva burlarsi degli stessi fiorentini:
La moneta in cui il duca
si burlava dei fiorentini
un uomo che trae di bocca un agnello ad un leone: l'uomo sarebbe il duca, l'agnello la Garfagnana e il leone (simbolo della città gigliata) Firenze.
Insomma, con tutti questi denari circolanti, chissà che bel da fare avevano le zecche. A proposito di zecche, forse non tutti sanno che quella di Lucca era una delle più antiche e rinomate di tutta Europa. Per circa dodici secoli, dico dodici secoli, la zecca di Lucca coniò oltre duemila monete. Già dal 650 d.C l'attività di questa industria era fiorente, talmente fiorente che la produzione durò fino al 1843, quando Lodovico Borbone decise di sospendere l'attività perchè a suo parere il denaro circolante era già troppo. Queste monete circolarono per
La zeccca di Lucca oggi
tutto il continente fra le mani di mercanti, banchieri e commercianti e dal loro monogramma "Luca" erano riconoscibili ovunque, infatti la caratteristica principale che avevano questi denari era proprio la riconoscibilità. La zecca di Lucca fu difatti la prima ad introdurre un motivo iconografico ben identificativo sulle proprie monete. Oggi questo modo di fare va tanto di moda e sulle nostre due euro(commemorative) vediamo Dante, Pascoli, Cavour, ma già nel 1200 Lucca, raffigurò sui primi "grossi" coniati niente di meno che il Volto Santo, vero elemento identificativo di una comunità intera. Sempre in fatto di zecche di Stato rimane da raccontare una
Monete con il Volto Santo
particolarità veramente originale; come abbiamo visto e letto erano le grandi città commerciali o quelle più importanti che battevano moneta, avendo di fatto una propria valuta corrente: Lucca, Padova, Milano, Firenze, Verona e fra tutte queste e tante altre c'era anche... Minucciano. Si, si, avete capito bene, Minucciano. Oggi il piccolo comune garfagnino conta poco più di duemila abitanti, ma 
sul finire dell'anno mille quando i Malaspina cessarono la loro dominazione su questo territorio , questa zona divenne con il tempo una terra di una importanza strategica ed economica a dir poco rilevante, una via di passaggio fondamentale tra la Garfagnana stessa e la Lunigiana. Lucca capì al volo il peso considerevole che potevano avere queste territori e per questa ragione se ne impossessò. I lucchesi infatti tenevamo molto in considerazione Minucciano, tant'è che al paesello gli fu conferito lo stato di "comunitas" e udite udite, il
Minucciano
privilegio di battere una propria moneta: il Barbone Minuccianese. D'altronde, in tutto questo pasticcio di denari, valute varie e quattrini non poteva non arrivare la lunga mano dei malfattori a complicare ulteriormente le cose e nonostante l'andare dei secoli vediamo che certe malvivenze non sono figlie solamente dei tempi attuali e i falsari oggi come allora erano più che mai presenti. Tant'è che una zecca abusiva del XII secolo fu rinvenuta negli anni '90 del 1900 anche in Garfagnana a Castelnuovo e precisamente sul Monte Castellaccio. Gli archeologi rinvennero una zecca di tutto rispetto, non mancava niente: tondelli per la coniazione, crogioli usati per la fusione dei metalli e quant'altro; la specializzazione di questi falsari a quanto pare era basata su monete lucchesi e genovesi.
La sede della Banca centrale
 europea a Francoforte
Ad ogni modo sono finiti i tempi degli zecchini e dei baiocchi e siamo adesso nell'era dell'euro e se prima ogni minuscolo "staterello" aveva la sua valuta, adesso la medesima valuta è usata in 37 grandi ed evolute nazioni. Con quale differenza? Nessuna! Oggi come allora il disordine e l'anarchia monetaria regna indisturbata, come se il tempo non fosse passato mai...


Bibliografia

  • "Una zecca abusiva nel XII secolo in Garfagnana" di Giulio Ciampoltrini,Paolo Notini, Guido Rossi. Le sedi delle zecche dall'antichità all'età moderna. Atti del convegno internazionale 22-23 ottobre 1999 Milano
  • "Ricerche Istoriche sulla provincia della Garfagnana Disertazione ottava ossia appendice II in cui si spiegano due monete riguardanti la Garfagnana" Domenico Pacchi, anno 1785 Modena

mercoledì 8 aprile 2020

Quarantena e lazzaretti in Garfagnana

Il mondo dei numeri ha mille aspetti e uno di questi ci racconta del
misterioso legame che ha con l'uomo. Una moltitudine di numeri sono legati a svariate simbologie o a dei significati nascosti, fra quelli a noi più noti ci sono il 13 e il 17... Ma c'è un numero che oggi (a malincuore) è tornato più che mai di "moda": il quaranta. Quaranta è un numero speciale, considerato in senso biblico un numero che indica una situazione di attesa e di provvisorietà. Scorrendo la Bibbia infatti, tale numero ci si presenta davanti un'infinità di volte. Vediamo così che nella Sacra Scrittura con 40 si indica la durata della vita media dell'uomo. Quaranta sono gli anni trascorsi dal popolo di Israele nel deserto, così come 40 giorni e 40 notti durò il diluvio universale. Nel Nuovo Testamento questo numero si trova ben ventidue volte, cosicchè 40 giorni fu il digiuno di Gesù nel deserto e quaranta furono i giorni che il Signore si manifestò ai discepoli dopo la resurrezione, così come sono quaranta i giorni della Quaresima pasquale. Insomma, a quanto pare anche la parola quarantena, che in questi disgraziati giorni sentiamo in ogni dove è legata anche a questi biblici fatti. La quarantena è un'invenzione tutta italiana, o meglio veneziana. Già
1400 le navi in quarantena a Venezia
dai primi del 1400 si riteneva che in questo lasso di tempo un ammalato di peste non fosse più contagioso... Tutto nacque proprio quando nel porto della città lagunare attraccavano le navi provenienti dai possedimenti dalmati ed erano sospettate di trasportare persone o animali contagiosi. Era difatti ancora vivo il ricordo della peste nera e per questo si riteneva opportuno trattenere 
per quaranta giorni tutto l'equipaggio sulla nave, merci comprese. Erroneamente si pensava che dopo questo periodo di tempo un ammalato di peste non potesse più infettare, in realtà la malattia era vivissima e diffusa più che mai da pulci e topi. Nonostante ciò, il numero ebbe comunque successo, proprio perchè legato a tradizioni popolari (e come abbiamo visto), legato a passi della Bibbia e alle liturgie religiose. Un altro vocabolo che si unisce indissolubilmente alla parola quarantena è lazzaretto. Forse i più giovani non sapranno il significato di questo termine se non hanno studiato "I Promessi Sposi"... Oggi i lazzaretti non esistono più (grazie a Dio), erano luoghi di
La peste a Milano. Promessi Sposi
sofferenza, reclusione ed isolamento, dove venivano portati tutti i malati di patologie contagiose, in particolar modo quelli affetti da lebbra e peste. Anche la parola lazzaretto trae origine da accadimenti collegati alla sfera religiosa:
"C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco...". Questa è una parabola di Gesù, sul ricco Epulone e il lebbroso Lazzaro e pare che proprio dal protagonista di questa parabola nasca la parola lazzaretto, in alternativa si pensa anche che prenda nome dal primo lazzaretto veneziano: Santa Maria da
Santa Maria di Nazareth oggi,
lazzaretto veneziano
Nazareth, da li, il nome venne poi distorto in nazaretto e poi a lazzaretto. Purtroppo questo nefasto binomio con tutte le sue funeste conseguenze non si manifestò solo nella lontana Venezia, ma fu presente più volte nel corso dei secoli anche in Garfagnana. 

Da immemore tempo le strade che hanno attraversato la valle, sono state "croce e delizia" dei suoi abitanti. Durante e dopo il medioevo proprio queste vie furono il passaggio obbligato per tutti quelle persone che si volevano recare a Roma dal nord Italia, da li infatti transitavano pellegrini, mercanti e soldati, questo grande afflusso di gente portò il grande sviluppo del commercio in tutta la Garfagnana...ma quando nel tempo ciclicamente scoppiava un'epidemia questa strada diventa la porta d'accesso della morte stessa... D'altronde per scongiurare ogni pericolo anche all'epoca se ne studiavano di tutte. Fu il Granduca di Toscana per la peste del 1630 a vietare la transumanza dei greggi provenienti dalla Garfagnana
diretti in terra di Maremma. Il colpo fu duro per l'economia garfagnina, circa quarantamila capi con l'arrivo dell'inverno avrebbero rischiato di morire di freddo e fame. Il Duca di Modena perorò allora la causa dei pastori garfagnini presso lo stesso Granduca, che accettò l'idea del regnante modenese: sia i greggi che i pastori sarebbero stati visitati dai medici ducali, se sani sarebbero stati lasciati passare, assoggentandoli però alla quarantena. 
In Garfagnana non ci siamo mai fatti mancare niente, con il passare dei lustri, dei decenni e dei secoli, lebbra, peste e colera non sono mancati. Juan Antonio Quiros Castillo ci racconta (nel suo libro dedicato all'ospedale di Tea)che fra l'VIII e il XVI secolo fra Garfagnana e Lunigiana furono fondati oltre duecento ospedali e fra questi erano contati numerosi lazzaretti. Loppia, Torrite,
Santa Lucia a Gallicano
Gallicano (Santa Lucia), erano fra i più capienti e i più importanti. Questi luoghi di sofferenza erano perfino dislocati anche nelle zone più impervie e disagiate, come l'oratorio di Sant'Ansano nei pressi di Trassilico. Situati principalmente fuori dai paesi e nati sopratutto nei pressi dei luoghi di culto, erano i religiosi che si preoccupavano di ricevere i malati, essi però si occupavano più che altro di alleviare le pene dell'anima più che quelle del corpo, la persona che in quarantena entrava in un lazzaretto probabilmente non ne sarebbe più uscita viva. Le condizioni igieniche erano precarie, per esempio si sapeva bene che quando un appestato moriva si sarebbero dovute bruciare tutte le sue cose, come gli abiti, il giaciglio, ma in condizioni di estrema urgenza, era impossibile procurarsi solo la paglia fresca dove far stendere i malati. Il sovraffollamento e la promiscuità facevano il resto, favorendo di fatto il già alto tasso di mortalità.
Il monatto

Consideriamo poi che la sorveglianza era altissima e tutto il complesso era circondato da muri invalicabili che potevano oltrepassare solo due persone: il contagiato e il monatto. Il monatto era un addetto comunale, che coperto da una caratteristica maschera (per non farsi riconoscere) girava nel paese, incaricato di trasportare i malati al lazzaretto o di scovare i contagiati che provavano a farsi curare in casa, consapevoli del fatto che se fossero finiti dentro un lazzaretto per loro sarebbe stata morte sicura. Pertanto le misure di sicurezza e prevenzione non erano una prerogativa di questi sciagurati tempi, anche all'epoca una delle paure più grandi era quella che una volta sparito il morbo si potesse ripresentare con tutta la sua virulenza. Parlando della peste del 1630 si ha infatti notizia che disposizioni sanitarie ed isolamento rimasero in vigore fino al 1632... Alcuni casi di peste in quei due anni purtroppo si ripresentarono. Si narra(sempre in riferimento a quel periodo) di un episodio di altissimo senso civico che merita di essere raccontato e
Tipica conformazione
di un lazzaretto
da prendere come esempio anche oggi, in tempi di Coronavirus. Era un 2 giugno di quattrocento anni fa...: 
"Uno di Castelnuovo di ritorno da Buti nel pisano ave infieriva il contagio, per quale eragli colà morto un figliolo, con saggio ed onesto pensiero non volle entrare in paese per non importarvi il malore, ma si fece sequestrare in luogo lontano dalle case a subirvi la quarantena". 

Arrivò anche il tempo in cui per l'ultima volta si sentì parlare di lazzaretti in Garfagnana. La storia del lazzaretto nella valle terminò però con l'arrivo di un'altra grande pestilenza "il fatal
cholera morbus". Il colera arrivò nella valle nell'agosto del 1854 per sparire poi nel novembre dell'anno successivo. La solerzia del governo estense fu davvero straordinaria, dopo appena quattro giorni le autorità decisero di dividere la Garfagnana in tre distretti sanitari, ogni distretto un lazzaretto: nella fortezza di Mont'Alfonso a Castelnuovo, nell'ex convento delle suore a Vagli e
in casa Valdrighi (San Donnino) a Piazza al Serchio, inviando di conseguenza quattro suore da Modena per assistere gli ammalati. Nei giorni successivi (proprio come stiamo facendo adesso), altre commissioni con poteri speciali chiusero tutti i confini con permanenti posti di blocco. Nel 1855, il 15 ottobre, si ha notizia dell'ultimo garfagnino che visse "l'esperienza" del lazzaretto, "il convalescente di cholera, Giovanni Spina di Sillano" ricoverato
La fortezza di Mont'Alfonso
presso la Fortezza di Mont'Alfonso.

I tempi passano e i virus ritornano e con essi i problemi si ripresentano identici a quelli dei tempi andati... Il colera passò, lasciando però nella miseria più nera contadini, braccianti, operai e negozianti. Nel 1856 il sindaco di Castelnuovo faceva sapere che l'amministrazione non era in grado di aiutare tutte le persone che ne avevano fatto richiesta: "Per fortuna l’inverno è ormai alle spalle - disse il primo cittadino durante una riunione straordinaria del consiglio - e non ci resta che sperare nella buona stagione e nella misericordia dell’Onnipotente"...


Bibliografia:



  • "Ospedali e territorio. Lunigiana e Garfagnana a confronto" G. Cappellini 2015 "Memorie dell'accademia lunigianese di scienze"
  • "Corriere di Garfagnana" aprile 2010 "Il fatal cholera morbus del 1855" Guido Rossi 

mercoledì 1 aprile 2020

La misteriosa origine del nome delle 33 vette delle Apuane

“Da essi monti si diramano vari contrafforti, che portano sui loro
ciglioni acute prominenze ed una criniera dentellata e discoscesa tanto, che un uomo che non abbia le ali di Dedalo o di Gerione difficilmente può su quelle balze passeggiare. Essendo che simili creste, dove solo allignano piante alpine e annidiano aquile, sono fiancheggiate da profondi burroni pietrosi di color grigio, i quali si succedono gli uni appresso gli altri in direzione quasi uniforme, in guisa che visti dall’alto offrono all’immagine la figura di un mare tempestoso istantaneamente pietrificato". 
Nel 1883 lo storico e geografo Emanuele Repetti descriveva le Apuane con una similitudine fra le più belle ed espressive che siano mai state scritte su queste montagne, eppure di questi luoghi avevano scritto letterati sublimi come Dante, Ariosto e Boccaccio, tuttavia la definizione "di un mare in tempesta istantaneamente pietrificato", rende chiara l'immagine e la natura delle Apuane.
"un mare in tempesta pietrificato"
 Borra Canala
(Foto Paolo Marzi)
D'altronde le Apuane sono sempre state montagne quasi magiche, a partire proprio dal loro aspetto, dalla loro storia, dalle leggende e dalle "fole" che una volta si raccontavano la sera a "veglio". Erano narrazioni che vedevano un intrecciarsi di vicende sacre e profane: diavoli, santi, streghi, buffardelli, "omini" selvatici, erano i protagonisti di queste leggende, trame che avevano radici antichissime e che si rifacevano a coloro che dettero il nome a queste antiche vette: gli Apuani. Erano loro gli antichi abitanti di questi monti, fieri, indomiti e cocciuti, proprio come sono oggi quelli che vivono da queste parti. La denominazione Alpi Apuane compare, forse, la prima volta nel 1804 al nuovo dipartimento del Regno italico: "
L'aspetto frastagliato delle creste montuose, che ricordano quelle delle Dolomiti, e il biancheggiare quasi niveo dei detriti marmorei delle celebri cave, giustifica il nome di Alpi". A proposito di nomi ci siamo mai chiesti il significato del toponimo delle trentatrè maggiori cime delle Apuane? Chi è appassionato di passeggiate o
(Foto Paolo Marzi)
scalate sarà salito su quelle cime decine e decine di volte... e fra sè e sè non si sarà mai chiesto... ma perchè il Monte Cavallo si chiama così?...e la Pania Secca?... e il Sagro? Una buona parte di questi nomi si rifà proprio a quelle leggende narrate al caldo di un camino, o anche alle 
millenarie tradizioni di popoli remoti, altre ancora alla conformazione del monte stesso...Proviamo allora, a fare un viaggio nel misterioso mondo dei loro toponimi.

Prima di cominciare però, se mi consentite vorrei chiedere il vostro aiuto, nonostante le mie varie ricerche non sono riuscito a dare un significato ed un perchè a tutti i nomi delle vette apuane, chiedo per questo la vostra assistenza per completare la definizione delle otto cime che mancano all'appello.
L'elenco non sarà alfabetico, ma andremo per ordine di altezza, dalla cima più alta a quella più bassa.
Il Pisanino 
La vetta più alta di tutte le Apuane, che nome curioso...il rimando
Il Pisanino
(foto di Emanuele Lotti)
va subito alla città di Pisa...e così in effetti è. Eravamo ai tempi delle confederazioni etrusche e i centri urbani più ricchi come Pisa venivano regolarmente depredati. In una di queste scorribande il popolo spaventato per sfuggire alle persecuzioni scappò verso nord e uno di questi spaventati soldati arrivò fino in alta Garfagnana. Trovò rifugio presso un pastore che aveva il suo gregge su questo alto monte. Lo sventurato per paura però non rivelò mai il suo vero nome a nessuno e per gli abitanti del luogo era conosciuto semplicemente con l'appellativo di "Pisanino", al momento della sua morte quel monte dove aveva trovato riparo prese il suo nomignolo. (Per saperne di più clicca qui: http://paolomarzi.blogspot.com/2014/05/una-leggenda-struggentela-leggenda-del.html)

Monte Cavallo
L'etimologia del Monte Cavallo prende l'appellativo dalla sua conformazione, quattro sono le sue gobbe tondeggianti.
La Tambura
Il geologo Carlo De Stefani nel 1881 così scriveva: "...la chiamano
Il Sumbra

la Tambura o le Tambure, sebbene poi il nome di Tambura sia dato in special modo alla regione situata a nord del passo omonimo, comprendente anche il Monte Prispole, che, siccome dicevo, viene spesso chiamato, sebbene un poco impropriamente, Tambura. Si chiama Fosso Tambura il canale che scorre nella Valle di Arnetola e raccoglie le acque del versante est della Tambura e dalla Roccandagia e dalle pendici sud del Monte Fiocca e, probabilmente, il nome al fosso precede l'attribuzione del nome al monte"

Pania della Croce
La regina delle Apuane, conosciuta in antichità come "Pietrapana" , ovvero Monte degli Apuani. Agli inizi del 1800 si pensò però di fare
La Pania della Croce
di questa vetta l'altare delle Apuane. Dalla sua sommità si poteva ammirare, quasi toccare i tre elementi di vita terrena: acqua (il mare della Versilia), la terra (i monti garfagnini) e il cielo. Tale era la magnificenza che lassù ci si sentiva a stretto contatto con Dio e in segno di devozione fu eretta la sua prima croce che era in legno.(Per saperne di più clicca qui:http://paolomarzi.blogspot.com/2014/04/la-pania-della-crocee-la-problematica.html)

Monte Contrario
Veramente bizzarro il nome di questo monte. Questo appellativo fu usato per la prima volta in un documento ufficiale nel 1899 da Axel Chun (noto industriale ed appassionato di montagna). Già così era comunque chiamato dai pastori locali, poichè tale denominazione ha origine dal fatto di essere inserito nella linea di spartiacque apuana con andamento diverso da quello delle altre montagne, ma, naturalmente, anche per l'aspetto completamente diverso che offre all'osservatore se visto dall'Orto di Donna o dalle valli massesi.
Pizzo d'Uccello
La presenza dei corvi che li nidificano e in passato la maestosa
Pizzo d'Uccello
(Foto Daniele Saisi)
aquila reale che su quella cima aveva la sua casa gli attribuirono il nome

Monte Sumbra
Molte leggende ci sono su questa montagna nella zona di Vagli, dove il Sumbra incombe con la sua imponente mole. Il nome a quanto pare deriva dall'aspetto di un animale accovacciato sulla sua ombra.
Monte Sagro
I Liguri Apuani raccontavano che sulla cima vivesse un Dio pietoso elargitore di piogge, un monte sacro quindi, legato proprio al culto delle vette.
Monte Sella
Il toponimo nasce dalla sua forma a schienale d'asino
Pizzo delle Saette
Proprio lì, cadono tutti lì: lampi, fulmini e folgori. Sarà perchè il monte ha vene minerarie ferrose? Probabile.
Pania Secca
Verrà forse chiamata così per il suo aspetto brullo e spoglio? Ma
Pania Secca
(foto Paolo Marzi)
anche altre montagne apuane hanno il solito aspetto..Infatti la sua storia, o meglio il perchè di questo nome affonda le radici nella tradizione popolare e racconta che Gesù venne a far visita ad un pastore che li abitava. Il Signore bisognoso d'acqua la chiese all'uomo che malamente gliela rifiutò. Il gesto richiamò la collera di Dio su quel luogo e quando le nubi si addensarono sul monte e cominciò a piovere ogni goccia che cadeva si trasformò in una pietra, rendendo il monte spoglio e arido così come oggi lo conosciamo.(Per saperne di più clicca qui: http://paolomarzi.blogspot.com/2014/07/la-leggenda-della-pania-seccavoluta.html)

Monte Corchia
Per Corchia si può intendere conchiglia, riferito alla
Monte Corchia
caratteristica del monte che vede il suo interno vuoto e dove esistono numerose cavità.

Monte Altissimo
Il suo aspetto inganna, visto che altissimo non è, ma se visto dal mare la sua imponenza fa impressione.
Monte Croce
Più che altro famoso per la fioritura delle giunchiglie, ma il suo nome lo deve alle sue quattro creste, che in pianta formano una croce.
Monte Freddone
Nel suo nome c'è il suo perchè... Il luogo deve il suo appellativo all'ambiente umido di torbiera che lo contraddistingue.    
Monte Borla
Probabilmente dal greco bothros, che significa fosso, cavità, buca. Da lì anche il nome Borra Canala, zona situata ai piedi delle Panie.
Monte Maggiore
Visto da Carrara è il più grande, inevitabile che si chiamasse così
Monte Matanna
Qui facciamo nuovamente riferimento alle antiche divinità apuane: Thana, era la dea della luce lunare.
Monte Forato:
Credo che il suo toponimo non abbia bisogno di spiegazioni. L'arco
Monte Forato
(foto Daniele Saisi)
naturale si è formato per l'erosione di acqua e vento. Ha una campata di 32 metri e una altezza massima di 25 m, lo spessore della roccia che forma l'arco è circa 8 metri mentre l'altezza è circa 12 metri, queste misure ne fanno uno dei più grandi archi naturali italiani.

Monte Gabberi
In tempi lontani detto anche monte Gabbaro, da gabbro, glabro: liscio, pelato.
Monte Lieto
Che bel nome questo. In questo luogo sono stati trovati reperti dell'età del ferro che documentano l'occupazione da parte dei Liguri Apuani tra il 300 e il 200 a.C. Probabilmente anche questa era una montagna sacra a queste antiche popolazioni. Il suo toponimo è possibile che derivi da Leto parola legata al passaggio dalla vita terrena all'aldilà.
Montalto
La sua altezza era sfruttata dai Liguri Apuani, dove li insediarono torri di vedetta. L'ampia visuale sulla vallata e sul Mar Tirreno faceva si, che si potessero avvistare i nemici in lontananza.

Questa era l'ultima montagna da me studiata e analizzata. Come avete letto all'appello mancano alcune cime a cui non sono riuscito a
Foto Paolo Marzi
trovare il certo significato etimologico. A questo elenco mancano: il Grondilice, Roccandagia, Fiocca, Macina, Nona, Piglione, Prana e Procinto. Questo articolo perciò rimane incompiuto... Chiunque volesse darmi una mano a completare questo pezzo ne sarò ben lieto.

Spero comunque di aver fatto cosa gradita a tutti i miei lettori, agli amanti della montagna e ai suoi abitanti.

Bibliografia: