mercoledì 30 agosto 2017

I cognomi più diffusi in Garfagnana e la loro storia

Buffi, stravaganti, curiosi e talvolta simpatici: i cognomi hanno un
legame strettissimo con la storia, narrano le vicende di individui o di intere famiglie, sono strettamente legati ai luoghi e alle circostanze che li hanno generati. Infatti studiare questa materia, esplorare la genesi e l'etimologia di un cognome è il modo migliore per scoprire come vivevano i nostri antenati, che mestiere facevano e perfino quali caratteristiche fisiche li contraddistinguevano.
Naturalmente nemmeno la Garfagnana sfugge a queste peculiarità e la nascita dei nostri cognomi non si differenzia da quelli di tutto il resto d'Italia, ed effettivamente la loro comparsa vedeva la necessità di distinguere le persone fra loro e di censire la popolazione. I primissimi registri di nomi erano già presenti in epoca romana(questi romani erano proprio un passo avanti !!!) e i cittadini venivano segnati in base a tre criteri:

-praenomen: paragonabile al nome proprio di persona
-nomen: anche se il termine inganna è assimilabile al cognome odierno
-cognomen: riconducibile alla definizione contemporanea di soprannome

Tanto per far capire bene presumiamo che il prenomen (il nome) fosse Caio e il nomen o gens (ovverosia la famiglia di provenienza) fosse Giulia, quando questi due nomi non furono più sufficienti per distinguere le persone, poichè gli omonimi erano diventati troppi si aggiunse il cognomen (un soprannome)ad esempio Cesare che
curiosamente significa colui con gli occhi chiari. Ma perchè mi direte voi questi cognomi romani non sono giunti fino a noi? Semplicemente perchè dopo la caduta dell'impero romano i registri anagrafici andarono distrutti o perduti e nei secoli a venire con l'imbarbarimento della società non si senti il bisogno nè di cognomi nè di registri. Però come si sa i tempi cambiano e fra il X e l'XI secolo si ebbe una forte crescita demografica e per distinguere le persone e per rendere sicuri anche gli atti pubblici diventò nuovamente usuale l'uso del cognome da registrare poi nei municipi in cui si abitava. I campi in cui darsi un cognome erano vastissimi e potevano derivare da una caratteristica fisica (Biondi, Gobbi, Bassi, Mancini) o da un soprannome: Rossi ad esempio era attribuito alle persone rosse di capelli, ma non solo, anche dalla provenienza(Dal Colle, Monti, Piacentini), dal mestiere (Fabbri Cacciatori, Barbieri, Tintori), o anche dal capofamiglia (Di Francesco, Di Matteo), figuriamoci che anche i più sfortunati come "i trovatelli", (i piccoli pargoletti che venivano abbandonati negli orfanotrofi) troveranno il loro cognome, ma grazie al loro stato di abbandonati, ecco allora gli Esposito, Innocenti e Trovato. Ma c'è di più, e questo ci fa capire veramente quanto si può nascondere dietro ad un semplice cognome, dal momento che da un'attento studio linguistico si può capire il luogo d'origine della famiglia che lo porta. Analizziamo un cognome derivante da un mestiere, per esempio il fabbro e vediamo  così che di regione in regione ha prodotto cognomi diversi. In Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna è diventato Ferrari, Ferrario, Ferreri, in Toscana e Veneto eccolo trasformarsi in Fabbri e Favero, in Campania e Lazio in Forgione. A dissipare ogni dubbio e a rendere obbligatorio l'uso del cognome  ci pensò Santa Romana Chiesa nel 1564 quando con il Concilio di Trento stabilì che i preti dovessero tenere un registro con nome e cognome di tutti i battezzati. Oggi il 75% dei cognomi esistenti possono essere comprensibili nel loro significato originale, il
Il Concilio di Trento, qui si stabilì
l'obbligatorietà del cognome
resto hanno subito variazioni fonetiche o di trascrizione che ne hanno stravolto il senso originario.

Adesso per tirare le somme e per tornare alla nostra Garfagnana guardiamo comune per comune i primi cinque cognomi più diffusi. Ognuno poi tragga le sue conclusioni e faccia le sue ricerche o ne faccia tesoro per la pura e semplice curiosità.

Camporgiano

  1. Suffredini
  2. Luccarini 
  3. Comparini
  4. Grassi
  5. Bravi
Careggine
  1. Conti
  2. Franchi
  3. Puppa
  4. Poli
  5. Rossi
Castelnuovo Garfagnana
  1. Biagioni
  2. Dini
  3. Rossi
  4. Pieroni
  5. Bertoncini
Castiglione Garfagnana
  1. Rossi
  2. Pioli
  3. Lucchesi
  4. Giannotti
  5. Pieroni
Fabbriche di Vergemoli
  1. Graziani
  2. Giusti
  3. Mariani
  4. Paolini
  5. Rigali
Fosciandora
  1. Bonini
  2. Bertoncini
  3. Lunardi
  4. Nardini 
  5. Salotti
Gallicano
  1. Simonini
  2. Mazzanti
  3. Franchi
  4. Saisi
  5. Poli
Minucciano
  1. Romei
  2. Casotti
  3. Orsi
  4. Paladini
  5. Torre
Molazzana
  1. Biagioni 
  2. Battaglia
  3. Bertozzi
  4. Pieroni
  5. Rossi
Piazza al Serchio
  1. Bertei
  2. Fontanini
  3. Bertolini
  4. Ferri
  5. Borghesi
Pieve Fosciana
  1. Angelini
  2. Toni
  3. Bertoncini
  4. Pieroni
  5. Rossi
San Romano Garfagnana
  1. Satti
  2. Bravi
  3. Biagioni
  4. Crudeli
  5. Salotti
Sillano Giuncugnano
  1. Pagani
  2. Angeli
  3. Bertolini
  4. Danti
  5. Bosi
Vagli di Sotto
  1. Orsetti
  2. Coltelli
  3. Baisi
  4. Balducci
  5. Braccini
Villa Collemandina
  1. Lemmi
  2. Cerretti
  3. Manetti
  4. Mariani
  5. Pieroni
Aggiungerò a questa statistica anche Barga seppur considerata fuori dai classici "confini" garfagnini, in omaggio ai tanti lettori che ho in questo comune

Barga
  1. Gonnella
  2. Biagioni
  3. Bertoncini
  4. Santi
  5. Pieroni  
Facendo quindi un rapido consuntivo generale possiamo considerare che i cognomi più diffusi in Garfagnana sono:

  1. Rossi
  2. Pieroni
  3. Biagioni
  4. Bertoncini
  5. Poli, Franchi, Bertolini e Bravi (grosso modo si pareggiano)
Curiosamente il cognome Rossi che è  il più diffuso in Garfagnana è anche il più comune in Italia con 45.677 famiglie che portano questo cognome di cui 6.092 solo in Toscana.
In provincia di Lucca il segnale è in controtendenza, il cognome Rossi si trova solamente al settimo posto. Fra i primi cinque troviamo:
  1. Guidi 
  2. Papini
  3. Lucchesi
  4. Benedetti
  5. Pardini
Infine per chiudere questo originale e interessante argomento vi lascio un ultimo dato su cui pensare, tratto da uno studio fatto da Enzo
Toscana i cognomi cinesi superano
 quelli italiani
Caffarelli docente di onomastica e pubblicato sulla rivista Anci, il giornale dell'associazione dei comuni italiani, ebbene, il cognome più comune a Brescia è Singh (provenienza India e Pakistan), a Prato vince il cinese Chen, neanche a Milano scherzano i cinesi se è vero (come è vero) che gli Hu ormai battono i Brambilla ed a Imperia la medaglia d'argento è dei tunisini Fatnassi...


Bibliografia
  • Elenco dei cognomi garfagnini tratto da: Italia in dettaglio.it i comuni e la frazioni d'Italia. Da Reti e Sistemi s.r.l (dati aggiornati nel 2016)
  • "Gli italiani del XX secolo" ricerca sui cognomi italiani del professor Enzo Caffarelli pubblicata su Anci (aprile 2012)


giovedì 24 agosto 2017

Una storia antica: il pane di patate della Garfagnana e... del forno a legna

Era proprio (ed è) un'altra cosa...Vuoi mettere una qualsiasi
pietanza cotta in un forno a legna con un altra qualsivoglia cotta in qualunque altro forno? Non c'è paragone. Il sapore, la fragranza e la bontà che da il forno a legna ai cibi resta ineguagliabile. Negli anni passati il forno a legna rappresentava un elemento fondamentale all'interno delle case contadine della Garfagnana, dal momento che il forno veniva considerato il punto focale della casa, fornendo calore, ma sopratutto cibi dai sapori antichi. Questo lo scoprirono già un milione e mezzo di anni fa, quando l'Homo Erectus riuscì a domare il fuoco ed a scoprirne le sue potenzialità, probabilmente un fulmine che infiammò un ramo di un albero fece scattare l'idea dell'utilizzo di quel ramo per migliorare il cibo. Dobbiamo comunque aspettare 29.000 anni e l'Homo Sapiens per giungere alla costruzione di un primo rudimentale forno: una fossa interrata dove veniva messo il cibo, spesso coperto da fogliame, ma tuttavia siamo sempre lontanissimi da quello che poteva somigliare al forno a legna dei nostri nonni. Il forno a legna inteso come lo concepiamo oggi è un'invenzione degli egizi nel 5000 a.C. Alcuni di questi forni sono arrivati perfino ai giorni nostri ed erano costituiti da una struttura conica costruita in mattoni d'argilla del Nilo, aveva un apertura superiore dove si metteva il cibo che era separata da quella inferiore dove si accendeva il fuoco da una lastra di pietra la quale assorbiva il calore della fiamma e lo trasmetteva poi alla parte superiore. Le migliorie con i secoli non mancarono e così anche i greci ci vollero mettere "lo zampino" perfezionando ancor di
Forno a legna egizio
più questa utilissima invenzione, sviluppando l'odierna volta a cupola che evolvendo divenne poi a camera unica con apertura frontale che insieme ad altri accorgimenti permetteva una minore dispersione del calore. I romani naturalmente non potevano mancare a questa evoluzione e una volta imparato dagli stessi greci l'arte di costruire forni vollero dire la loro in materia e siccome erano molto bravi nella costruzioni degli archi applicarono questa loro abilità al forno a legna, infatti decisero che la parte interna doveva essere ad arco, contornando il tutto da un intercapedine vuota che aveva il compito di creare un isolamento termico. Fu una vera e propria rivoluzione alimentare e gastronomica per i nostri cari romani tanto che il re Numa Pompilio introdusse una serie di festeggiamenti chiamati fornacalia. La fornacalia era un'antica festa romana che veniva celebrata nella prima quindicina di febbraio in onore della dea Fornace che era la divinità del forno in cui si cuoce il pane, era a lei che bisognava affidarsi per il buon funzionamento del forno e la buona riuscita del pane. Difatti oggi (e ancor di più al tempo dei nostri avi) il forno a legna serviva sopratutto per cuocere il pane...e che pane!!! Su questo argomento ne sappiamo qualcosa in Garfagnana, dove il pane garfagnino è noto come il pane di patate. Un antica specialità tipicamente locale che può essere datata intorno alla fine del settecento, quando le patate furono introdotte nella nostra valle, qui trovarono subito una terra adatta a ospitare la loro coltivazione, diventando ben presto uno dei prodotti principali dell'economia nostrale. Questo pane è un tipo di pane rustico, faceva parte dei cosiddetti cibi poveri nato dall'esigenza di sostituire gli altri cereali in annate di carestia, integrando così la farina di grano con patate lesse schiacciate. Aveva due caratteristiche principali questa prelibatezza, la morbidezza e sopratutto la lunga durata di
conservazione. Tutto questo era appunto dovuto alle patate che venivano messe nell'impasto e grazie proprio all'umidità di questi tuberi permetteva al pane di mantenersi morbido e di durare per molto tempo. In questo modo le massaie garfagnine impegnate nel lavoro nei campi potevano prepararlo anche una sola volta a settimana, di solito era il sabato il giorno dedicato alla panificazione e una volta sfornato e fatto freddare veniva poi riposto nelle classiche madie. Le pregiate patate indicate per il particolare tipo d'impasto del pane garfagnino (detto anche il "il panon") solitamente provengono da coltivazioni situate nel comune di Sillano, a Metello e Dalli a circa 1200 metri d'altezza. Tutt'ora nelle famiglie garfagnine non è raro che settimanalmente si prepari il pane di patate come una volta, mani sapienti ancora preparano il suo impasto che si ricava mescolando farina di grano tenero o integrale (e in alcuni casi anche di farro), acqua, un pizzico di sale, olio extravergine di oliva, patate bollite e sbucciate (circa un 20% del peso della farina), un poco di semola tritello e lievito pasta madre. Il tutto viene mescolato e lavorato per una ventina di minuti e fatto poi riposare per circa un ora, prima della cottura. Alcuni impastano nuovamente il composto prima di formare le pagnotte che, una volta cosparse di farina di mais, vengono lasciate lievitare per un'ora e mezzo, due ore circa, prima di essere messe nel forno a legna ben caldo e cotte per circa trenta minuti. Una volta pronto il pane di patate si presenta di colore marrone più o meno scuro a seconda della cottura, la sua forma è ovale e raggiunge tranquillamente i due chili di peso. Il sapore è inteso,il suo profumo inebriante, il sapore di patate non è particolarmente deciso, ed è ottimo abbinato ai salumi garfagnini, in
particolare con il biroldo, la mondiola, lardo o pancetta.

Un antico adagio diceva che un vero contadino riconosce la sua terra dal sapore del suo pane...Niente di più vero per il pane di patate della Garfagnana!





Bibliografia

  • "Il pane di patate della Garfagnana. Un sapore frutto della tradizione toscana" La via dei pani delle Apuane di Luisa Malaguti

mercoledì 16 agosto 2017

I liberatori venuti dal Brasile. La F.E.B in Garfagnana 1944-1945

I meriti sono sempre i loro, non è che non ce l'abbiano, anzi, ma
l'America in fatto di guerra quando la vince si prende quasi tutti gli onori (senza condividerli), mentre quando la perde non la perde... non ha semplicemente vinto... è un po' il solito giochino dei nostri politici, che ad elezioni avvenute nessuno esce mai sconfitto. A parte ciò, tornando a parlare di guerra, possiamo dire che questo modo di fare  è tipicamente americano e questo ben si dovrebbe sapere anche in Garfagnana, poichè certi onori vanno condivisi e riconosciuti... Chi ha liberato fattivamente la Garfagnana dalle forze nazi-fasciste nella seconda guerra mondiale? In coro la maggioranza di voi mi risponderà gli americani (e in buonissima parte è vero), ma coloro che nei nostri martoriati paesi misero per primi il naso sotto il fuoco incessante degli MP40  tedeschi furono i brasiliani. Quindi diamo a Cesare quello che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio...Si, perchè furono loro, i brasiliani, a liberare e ad entrare per primi nei nostri borghi, furono loro che persero (circa)duemila uomini per liberare l'Italia dall'oppressione nemica, loro, che erano conosciuti semplicemente come F.E.B, ovverosia Força Expedicionária Brasileira (Forza di spedizione brasiliana). Perchè, come vedremo, Brasile non è solo calcio e samba. 
il presidente Vargas
Prima di analizzare come i brasiliani operarono in Garfagnana approfondiamo il perchè una nazione lontana migliaia e migliaia di chilometri arrivò a fare una campagna di guerra in Italia. Innanzitutto cominciamo con il dire che il Brasile fu l'unica nazione sudamericana a partecipare attivamente alla guerra, anche se nel 1939 (all'inizio del conflitto) il paese era ancora neutrale, coerente con la politica del suo presidente Vargas che furbescamente decise di non farsi nemica nessuna super potenza in modo di godere dei vantaggi offerti da queste. Questa scaltra manovra durò fino al 1942 quando gli Stati Uniti bussarono alla porta di un Brasile dal governo a dir poco vacillante, chiedendo (o meglio ordinando)l'uso dell'isola di Fernando de Noronhae e della costa nord orientale brasiliana per il rifornimento delle loro basi militari, inoltre dal gennaio del medesimo anno i sommergibili italo- tedeschi iniziarono una serie di siluramenti contro navi mercantili brasiliane, questo attacco contro le navi carioca mirava a isolare il Regno Unito impedendo così di ricevere forniture vitali dal continente sudamericano a sostegno della guerra. Questi attacchi avevano anche un'altro scopo, cioè quello di intimidire il governo brasiliano, in modo che si mantenesse neutrale, dall'altra parte agenti segreti infiltrati e fascisti brasiliani diffondevano la voce che gli affondamenti fossero opera degli stessi anglo americani interessati all'ingresso del Brasile in guerra. Insomma, la situazione non era delle più chiare ma tuttavia l'opinione pubblica non si fece abbindolare, le morte dei civili e i proclami provocatori di Hitler fecero chiedere a gran voce dal popolo lo stato di belligeranza contro i paesi dell'Asse. Detto, fatto ! Il 22 agosto 1942 il Brasile dichiarò guerra all'Italia fascista e alla Germania nazista.
Finalmente dopo due lunghi anni d'attesa da quel 22 agosto 1942
La FEB sta per sbarcare a Napoli
arrivò in Italia sbarcando a Napoli
(era il 2 luglio 1944) il primo scaglione della F.E.B sotto il comando generale di Joao Batista Mascarenhas Morais. L'ambientamento fu subito difficile, le prime settimane furono dedicate all'acclimatamento e all'addestramento, tutto naturalmente sotto la supervisione statunitense, la quale F.E.B. era subordinata. La Força Expedicionária Brasileira fu integrata così in seno al IV corpo d'armata americano sotto il comando del generale Crittemberger, corpo a sua volta assegnato alla mitica V armata comandata dal generale Clark. Quindi era tutto pronto per cominciare le difficili battaglie che attendevano i brasiliani, mancava ancora una cosa, un dettaglio se si vuole, che in qualche maniera contraddistinguesse la F.E.B dagli altri battaglioni integrati dagli Stati Uniti presenti da ogni parte del globo (giapponesi, africani, indiani...): il simbolo. Il simbolo fu infatti realizzato quando le truppe erano già in Italia e tale emblema raffigurava curiosamente un serpente che fuma la pipa, come risposta ironica a chi in Brasile
lo stemma della FEB
sosteneva che era più facile vedere un serpente fumare piuttosto che l'esercito brasiliano partecipare alla guerra in Europa. Curiosità nella curiosità il bozzetto del disegno fu approvato dal ministro della guerra Dutra, durante la visita alle proprie truppe fatta alla metà dell'ottobre '44 quando la F.E.B si trovava proprio in Garfagnana. Venne così iniziata una produzione artigianale presso le varie famiglie garfagnine che ospitavano i soldati, dove le donne si davano da fare a realizzare queste simpatiche figure che poi venivano cucite sulla manica sinistra della giacchetta militare in modo da diversificarsi dagli altri alleati che portavano il loro simbolo rigorosamente a destra. -A cobra està fumando!!!- divenne anche il grido di battaglia e anche stavolta il brasiliano seppe distinguersi, mentre gli altri usavano simboli di forza come teschi, coltelli, fucili, la F.E.B fu presto identificata come "i soldati del cobra che fuma". Fu tale il successo di questa effige che anche Walt Disney ne realizzò un ulteriore bozzetto, ma non venne mai usato dalle truppe. 

La Força Expedicionária Brasileira entrò così in combattimento in Garfagnana e nella Valle del Serchio nel settembre 1944 forte di 25.334 soldati(un secondo contingente si aggregherà nel febbraio 1945), le difficoltà però furono subito evidenti. La carenza di equipaggiamento e del vestiario soprattutto fu la prima cosa che si rese necessaria da cambiare. La divisa d'ordinanza non era sicuramente adatta ai rigidi inverni garfagnini, molti brasiliani poi nei mesi a seguire incontreranno nel loro cammino anche la neve, cosa che loro non avevano mai visto. A fargli la vita difficile ci si mise anche la caratteristica spocchia degli americani stessi, ne è testimone questo singolare episodio che è stato raccolto proprio da dichiarazioni brasiliane e racconta che in una radura in Garfagnana le truppe americane dividevano il campo con le truppe brasiliane. Gli alloggi brasiliani si trovavano a circa duecento metri da quelli americani ma c'era la totale libertà di andare e venire da un campo all'altro, ad un certo punto i brasiliani si
Brasiliani della FEB
(forcaexpedicionariabrasileira1944.
wordpress.com )
accorgono che dalla dispensa sta scomparendo del cibo e anche munizioni, i responsabili di cucina avvertono subito il comandante che gli americani sono stati scoperti a rubare. Il comandante brasiliano così va a parlare con il collega americano che una volta ascoltata la storia e si mette sonoramente a ridere:- Questa è una guerra, non un college, se non sapete proteggere il vostro materiale è un problema che riguarda solo voi...- 
.
Nonostante il piacevole episodio i brasiliani si comportarono sempre in maniera ineccepibile, infatti nell'agosto 1944 erano già entrati in linea di combattimento nella zona di Vecchiano (Pisa) e dopo aver liberato Massarosa e Camaiore e aver tenuto un buon comportamento nell'inseguimento dei nazisti in ritirata, i soldati furono spostati nella Valle del Serchio, dove trovarono subito una forte resistenza in Val Pedogna alle porte di Pescaglia. Il 28 settembre i brasiliani ebbero la meglio ed entrarono in paese, li si unirono alla 92° Divisione Buffalo e insieme il 30 settembre entrarono in Borgo a Mozzano, qui stabilirono il proprio comando. In quei giorni non mancò nemmeno la collaborazione con i partigiani locali e difatti tra il 26 e il
La FEB passata in rassegna a
 Borgo a Mozzano sullo sfondo
il Ponte del Diavolo)
27 settembre il gruppo partigiano "Valanga" prese il controllo del Monte Croce e del Matanna. Sull'altro versante il 1° ottobre gli americani riuscirono ad entrare a Bagni di Lucca, mentre i tedeschi in fuga continuavano la loro opera di distruzione delle varie infrastrutture. Nella solita settimana la F.E.B avanzò di ben 20 chilometri, liberando il 6 ottobre Fornaci e occupando di fatto anche la S.M.I. Il giorno dopo alle 12:15 una pattuglia brasiliana si spinse fino a Barga oramai abbandonata, ma tornò indietro, due giorni dopo alle 10:30 gli alleati con i volti dei brasiliani liberarono e occuparono Barga, a seguire uguale sorte toccò a Gallicano, Sommocolonia, Ghivizzano e Pian di Coreglia. Lo scoglio più duro doveva però ancora venire poichè il fronte si attestò (come ben si sa) sulla Linea Gotica, qui i brasiliani nel tentativo di sfondare per raggiungere Castelnuovo Garfagnana persero molti uomini. Il generale carioca Zenobio cercò di consolidare le posizioni e mandava di tanto in tanto pattuglie in avanscoperta per studiare le operazioni nemiche, così la mattina del 30 ottobre malgrado la forte pioggia si decise l'attacco su 
Soldati brasiliani in posa in
 Piazza Garibaldi
a Borgo a Mozzano
Castelnuovo. I contrattacchi tedeschi furono impetuosi e costrinsero i brasiliani a ritirarsi, questo fu l'unico loro fallimento nella campagna di guerra nella nostra valle. Nonostante la ritirata furono catturati 208 militari e 290 soldati della F.E.B persero la vita. Questa fu così la loro ultima operazione militare in terra di Garfagnana. Il destino della F.E.B prosegui con successo sull'appennino bolognese e modenese, nella provincia di Parma, Reggio Emilia e in parte del nord Italia. 
In questa campagna il Brasile catturò più di ventimila soldati
Brasiliani liberatori
nemici (14.779 solo a Fornovo in provincia di Parma), fece suoi ottanta cannoni, millecinquecento autovetture e quattromila cavalli, ma quello che pesò di più furono gli oltre duemila morti nelle proprie file che in parte furono sepolti a Pistoia. Nel 1960 furono poi 
trasferiti in Brasile nel monumento che fu eretto nell'Aterro do Flamengo a Rio de Janeiro .Cinque anni
dopo sempre a Pistoia nello stesso luogo dove si trovava il cimitero si inizio a costruire il Monumento Votivo al Militare Brasiliano, durante i lavori venne ritrovato un corpo mai identificato, si decise così di lasciarlo nel sacrario stesso come milite ignoto.
Nonostante le indubbie avversità la F.E.B tenne sempre un comportamento irreprensibile distinguendosi per coraggio ed energia in tutte le operazioni in cui venne impiegata. Onore alla F.E.B !!!






Bibliografia

  • Si ringrazia sentitamente il portale web portalfeb.com e il signor Caetano Silva per le preziose notizie fornite
  • Notizie tratte anche da: brasilescola.uol.com.br/historiag/forca-expedicionaria-brasileira-feb.htm
  • Questo articolo naturalmente non ha la pretesa di completare tutto l'argomento. Per una maggiore completezza consiglio il libro "Il Brasile in guerra: la Força expedicionária brasileira in Italia" dell'amico Andrea Giannasi 

mercoledì 9 agosto 2017

Leggende medievali garfagnine: " Il cerbiatto bianco e la dama ripugnante"

-Ascolta Paolo, ti voglio raccontare una storia, in modo che quando
avrò finito di raccontarla ti sembrerà di averla vissuta veramente-. Con queste parole la signora Alma inizia a raccontarmi una delle leggende più belle che io abbia mai sentito, così mi affretto a prendere il mio smartphone dalle tasche e ad impostare la registrazione vocale. La leggenda si svolge intorno all'anno mille, quando la Garfagnana  
non aveva un padrone ben definito, ma era tenuta in scacco da una folta schiera di signorotti che con un semplice:-Qui c'è mio !- istituirono posti di blocco, pretesero obbedienza, pedaggi e contributi. La leggenda difatti coinvolge uno di questi signori locali, tale Gherardo di Gottifredo signore delle Verrucole (n.d.r: personaggio realmente esistito) ed un essere mitologico fra i più belli in assoluto: il cerbiatto bianco. Questo animale nelle leggende garfagnine lo sentiamo nominare solo due volte e ciò rende ancor più rara questa storia. I nostri racconti tradizionali di solito sono infestati di lupi, orsi, buffardelli, l'Omo Verde, personaggi tipici alla conformità geografica della valle. Il cerbiatto bianco invece  è fuori da questi canoni e fa parte di quegli esseri dotati di forza magica, nella tradizione celtica sono considerati messaggeri dell'aldilà e secondo leggende sono creature impossibili da catturare e la caccia dell'animale da parte dell'uomo rappresenta la ricerca della sua spiritualità. Si dice inoltre che coloro che riescono a vedere l'animale stanno per vivere un momento di grande importanza a conferma di questo ecco il racconto della signora Alma che parla di questa leggenda ritrovata in manoscritti risalenti al XIV-XV secolo:
Sulle pagine di questo antico testo leggiamo che Gherardo di
Lo stemma di
 Gherardo di Gottifredo
Gottifredo signore delle Verrucole, durante una battuta di caccia, si imbatte in un favoloso cerbiatto bianco, che nelle leggende celtiche è spesso preludio di fantastiche avventure nell’altromondo. Affascinato dalla sua bellezza, egli lo insegue a lungo e quando finalmente riesce a raggiungerlo, lo uccide. In quell’istante, però, un cavaliere dalla sfarzosa armatura gli appare dinnanzi e, rivolgendosi a lui in maniera aggressiva, lo rimprovera aspramente per aver concesso al proprio nipote Lorenzo alcune terre che invece erano di sua proprietà. Il misterioso uomo, che dice di chiamarsi Aldobrandino, minaccia di morte il signorotto locale per questo oltraggio, ma poco prima di mozzargli la testa decide di offrirgli la possibilità di riscattarsi. Se infatti Gherardo, trascorso un anno esatto, si presenterà nello stesso luogo dell’incontro con la risposta ad una misteriosa domanda postagli dal suo avversario, potrà avere salva la vita. La domanda del cavaliere è “Qual è la cosa che la donna desidera di più?”. Gherardo dalle Verrucole accetta il compromesso e, terminata la caccia, torna al suo castello. Nonostante cerchi di non far trapelare i suoi pensieri, il nipote prediletto Lorenzo si accorge della sua preoccupazione e gli chiede quale mai possa esserne il motivo. Gherardo risponde raccontandogli la sua avventura nel bosco e il timore di non riuscire a trovare la vera soluzione all’enigma, così il nipote decide di aiutarlo. Insieme partono all’alba, prendendo direzioni diverse per porre la domanda a più donne possibili. Queste, però, rispondono dicendo che desiderano abiti lussuosi, un uomo valoroso che le sposi, oppure denaro e piccole soddisfazioni materiali; tutte cose che non convincono i due cavalieri. Intanto l’anno trascorre velocemente e Gherardo, seppur abbia riempito due

grossi libri con le risposte di tutte le donne del feudo, non ne ha ancora trovata una che sia veramente soddisfacente. Sulla via che conduce al luogo dell’incontro, in cui Aldobrandino lo attende, egli incontra una dama che cavalca un mulo, con un liuto appeso in spalla. La donna, di nome Lodovica, è davvero terrificante, indescrivibilmente brutta, con la faccia tutta rossa, i denti gialli e storti, le guance enormi, gli occhi simili a quelli di un gufo e il corpo completamente deformato. Ella dichiara che nessuna delle risposte che egli porta con sé è quella giusta, perché l’unica che conosce quella esatta è lei. Tuttavia gliela comunicherà volentieri, a patto che egli le prometta di recarla in moglie al suo caro Lorenzo, in cambio del qual gesto potrà avere salva la vita. Indeciso sul da farsi, data la tremenda bruttezza della dama, Gherardo torna di corsa al castello per confidare a Lorenzo l’accaduto. Il giovane e splendido combattente accetta senza esitazione di sposare Lodovica, nonostante il suo brutto aspetto; così Gherardo, ripresa la strada per il bosco, raggiunge la dama per riferirle la decisione e ricevere la risposta. Ludovica, allora, gli rivela che la cosa che la donna desidera di più è la sovranità. Il riconoscimento completo della sua sacra ed innata Libertà. Recatosi da Aldobrandino, Gherardo risponde alla sua domanda, così l’uomo lo risparmia. Di ritorno al castello delle Verrucole vengono subito
Gherardo di Gottifredo
Signore delle Verrucole
messi in atto i preparativi per le nozze, che la sposa desidera ricchi di cerimonie e festeggiamenti, perché tutti possano conoscere e vedere con i propri occhi qual è stata la scelta di Lorenzo. Dopo il matrimonio i due sposi si ritirano nelle loro stanze e Lodovica chiede gentilmente a Lorenzo di darle un bacio. Il giovane non esita un momento e, anzi, dice alla sua sposa che non farà solo questo, ma adempierà pienamente al suo dovere di marito, giacendo amorevolmente con lei. Ma non appena pronuncia queste parole, voltandosi verso la donna, scopre che al posto della tremenda dama ripugnante vi è la fanciulla più bella mai vista sulla Terra. Sorridendo al cavaliere, Lodovica gli svela di essere stata vittima di un incantesimo, una maledizione terribile che si sarebbe spezzata soltanto quando un uomo fosse riuscito a guardare oltre la sua bruttezza e l’avrebbe sposata. L’incantesimo però non è ancora del tutto spezzato e la fanciulla dice che solo per una metà del giorno potrà essere così bella, mentre per l’altra metà tornerà ad essere la dama ripugnante. Spetta a Lorenzo decidere se la vorrà bella di notte, tra le morbide coperte, oppure di giorno, di fronte a tutta la corte; ma il cavaliere, dopo averci riflettuto, lascia a lei la libertà di scelta, l’unica che può scegliere per se stessa. A tali parole la splendida dama esulta raggiante, poiché questa era la risposta che come d’incanto avrebbe rotto definitivamente il maleficio. Riacquistata la sua sacra Libertà, Lodovica potrà rimanere sempre bella, come ella stessa desidera. E la sua Sovranità investirà dolcemente Lorenzo fino alla fine dei suoi giorni.
 


Interrompo la registrazione, la storia è finita... ecco che piano, piano ritorno al mondo reale. Eppure ero lì, il cerbiatto bianco l'ho visto anch'io, e ho vissuto momenti di paura reale mentre Aldobrandino sta per tagliare la testa a Gherardo e che bella che è Lodovica adesso...Peccato, spariti i cavalieri e i castelli salgo mestamente in auto verso casa, ringrazio Alma per il bellissimo racconto e nonostante tutto torno a casa soddisfatto, perchè anche questa leggenda garfagnina è stata salvata dall'oblio dei tempi. 

mercoledì 2 agosto 2017

Non solo Pascoli. Viaggio nei poeti garfagnini di una volta

Per l'amor di Dio, ci mancherebbe altro! Il Pascoli è sempre il
Pascoli e i paragoni che andrò a fare possono essere effettivamente irriverenti. Lungi da me quindi fare certi confronti impari, d'altronde certi versi come questo non s'inventano a caso:

Al mio cantuccio, donde non sento
se non le reste brusir del grano
il suon dell'ore vien col vento
dal non veduto borgo montano,
suono che uguale, blando cade,
come una voce che persuade
(L'Ora di Barga 1907)

Comunque sia, proprio al tempo del Pascoli e nei decenni seguenti la Garfagnana ha avuto la sua bella  schiera di poeti locali, conosciuti però solamente negli ambiti nostrali e poi purtroppo miseramente ed ingiustamente dimenticati. Questo articolo allora rivuole dare lustro a tutti quei cantori di versi che per lungo tempo sono stati all'ombra del grande Giovanni Pascoli. Eppure anche quelli nella loro modestia erano poeti di tutto rispetto, dotati di tecniche metriche innate, di fantasia e di sentimenti profondi. Il tutto nasceva dalla spontaneità poichè nessuno insegnava loro come fare versi e la loro lingua non era il forbito e melodioso italiano di inizio secolo ma bensì il dialetto garfagnino che per molti secoli fu l'unico mezzo di espressione. Ci si sentiva liberi così da ogni inceppo della cultura, la creatività non veniva ostacolata e la metrica scorreva spontanea. Molti di questi personaggi erano persone particolari, estroverse e divertenti come Luigi Prosperi nato a Careggine nel 1832 e semplicemente conosciuto come il "Chioccoron"(per saperne di più leggi http://paolomarzi.blogspot.it/2014/03/il-chioccoron-il-poeta-che-oso-farsi.html). Di famiglia modesta, finita la scuola cominciò a lavorare nei campi, ma già il maestro
Careggine
elementare aveva visto in lui un'abilità innata nel comporre versi e la passione per la letteratura per il "Chioccoron" diventò quasi maniacale. Nelle osterie del paese non mancava occasione che gli amici lo invitassero a "poetare", riusciva a declamare "a braccio" poesie talvolta piccanti e irriguardose nei confronti delle autorità locali, tant'è che il sindaco un giorno mandò i carabinieri per riportarlo all'ordine, il Prosperi fuggì nel bosco e dalla cima di un colle cantò una quartina rimasta memorabile:


"Son venuti gli angioletti
per portarmi alle prigioni
non pensavano i minchioni
c'io passato avrei i colletti"  

L'apice il "Chioccoron" lo toccò quando menzionò in una sua poesia i quattro artefici dell'Unità d'Italia: Vittorio Emanuele II, Garibaldi, Mazzini e Cavour, questa "composizione gravemente denigratoria" (come al tempo fu definita) giunse perfino a Roma dove fu pubblicata, arrivando addirittura nelle mani del Re d'Italia Umberto I che convocò al Quirinale il poeta garfagnino, fra un rimbrotto ed un altro il re lo perdonò regalandogli anche una banconota da 50 lire; - Comprateci il pane per la vostra famiglia!- affermò il re. Oggi al "Chioccoron" è dedicata la biblioteca comunale di Careggine.
Amico e nemico del "Chioccoron" era il "Boccabugia" di Vergemoli al secolo Andrea Jacopo Vanni altro poeta estemporaneo. Rimarranno epiche le sfide del giovedì mattina (giorno di mercato) nella piazza principale di Castelnuovo Garfagnana, quando a "colpi" di versi incantavano e meravigliavano una platea divertita e numerosa. Il
Il concorso di poesia
che si tiene tutti gli
anni a Vergemoli
 dedicato al Boccabugia
"
Boccabugia" era così chiamato per la totale assenza di denti, ma questo non lo fermava nel suo declamare. La sua figura ironica e beffarda aleggia ancora a Vergemoli, dato che dal 1972 ogni anno la seconda domenica di agosto un concorso di poesia estemporanea vive ancora nel suo nome.
Personalmente parlando, Pietro Bonini poeta castelnovese, aveva qualcosa di più degli ultime due citati. Per trenta lunghi anni scrisse versi in dialetto garfagnino, poesiole niente di più, ma avevano il pregio di essere immediate, aderenti ai fatti, alle persone e agli aspetti della natura. Nel 1916 pubblicò un libro con un titolo indovinatissimo che rispettava in pieno la sua arte popolare: "Cose da contà a vejo":

"Dico quello che penso e nulla più
vojo parlà come si parla qui, 
e se a qualcun qualcosa non va giù
che si ni vadi a fassi binidi"

Alcuni letterati parlavano del Bonini come se venisse da una famiglia agiata. Altri pensavano che non avesse nemmeno un titolo di studio e forse la tesi giusta è questa, dato che lui stesso in uno dei suoi componimenti diceva:

"Da cicco mi mandavino alla scòla
senza sapè che ci dovevo fà
e infatti c'imparai una cosa sola:
la strada per andacci e per tornà"

Giovan Battista Santini (nato a Castiglione Garfagnana nel 1882)
Santini mentre dipinge
invece era tutt'altro tipo, era un'artista a tutto tondo: era pittore, scrittore e poeta. Quando il tempo si faceva uggioso e la luce non era favorevole per dipingere i suoi quadri, allora si metteva a scrivere. Pubblicò un libro di poesie intitolato "All'ombra del torrione", anche questo libro in rigoroso dialetto garfagnino. Una poesia di lui (fra le tante) mi è piaciuta molto, perchè attuale e perchè ci fa capire che nonostante tutto i tempi cambiano ma la musica è sempre la solita:


Politica

"Se tu leci un qualunque manifesto
della schifa campagna'letttorale,
sia rosso, bianco, verde, o liperale 
non ci n'è un che s'appresenti onesto

Cambia 'l colore ma nun cambia 'l testo 
per via che la promessa è sempre uguale:
pace, lavoro; e, cosa principale,
lipertà d'esse porco e disonesto.

Se ci fai caso, vederai che questo
lo promettono avanti l'elezioni;
ma doppo, che votando, hai fatto 'l gesto
ditto sovran, di nominà i mangioni, 
abbadà di stà 'n guardia e d'esse lesto,
sennò ti pijn a calci ni cojoni"

Il "Togno della Nena", ovverosia Michele Pennacchi, benchè fosse
Il Togno della Nena mentre declama
nato nell'800 fra tutti i poeti garfagnini era il più attuale e al passo con i tempi. Il professor Guglielmo Lera (uno dei maggiori esperti di cultura locale)sul periodico "La Garfagnana" così scriveva di lui:" Come tutti i veri poeti dialettali il Pennacchi canta le cose che l'hanno colpito: le conquiste spaziali, la fame nel mondo, la guerra del Medio Oriente, quella del Vietnam, il...festival di Sanremo". A conferma di ciò la famosa legge sul divorzio del 1970 stuzzicò la fantasia del "Togno":


Il Divorzio

Bella robba davero! Ma dich'io,
in du èn finiti i poveri itagliani?
li vojen fa vinì peggiod'i cani,
che cambin sempre cagna, giuraddio?

E' inutile che adesso il parlamento 
facci la cuncurrenza al Padreterno
io arispetto le leggi del guverno
ma un sagramento è sempre un sagramento

(ndr: della poesia queste sono rispettivamente la terza e la decima quartina sulle undici dell'intera versione)

Fra tutti questi cantori non poteva mancare sicuramente Alfezio Giannotti di Eglio. La sua fu una vita tormentata, presto rimase orfano del padre e dovette quindi farsi carico di tutti i fratelli, questo non gli impedì di proseguire gli studi su Dante, Foscolo e Giusti. Nel 1911 dette alle stampe il suo primo libro di poesie, "Raffiche". Tre anni più tardi fu ammesso ad un concorso letterario di una nota rivista dell'epoca: "Juventus", al quale potevano partecipare solo poeti già affermati. Fu un vero trionfo, vinse su circa mille concorrenti. Dietro l'angolo però l'aspettava la prima guerra mondiale, tornò al paesello con una gamba amputata, nonostante tutto continuò a comporre poesie e a scrivere su dei quotidiani firmandosi con lo pseudonimo "il Grillorosso". La sventura si accanì definitivamente contro di lui il 7 ottobre 1944, durante un bombardamento una granata lo uccise mentre andava a soccorrere un ferito.
Questo poeta invece l'ho lasciato volutamente per ultimo, perchè è
Silvano Valiensi (il primo a sinistra)
insieme a mio padre (il terzo in piedi)
il mio preferito e perchè ho avuto l'onore di essere suo amico. Silvano Valiensi nato a Vergemoli nel 1923 (ma trasferito da sposato a Gallicano), in paese era conosciuto semplicemente come "il maestro", era una persona che tutti amavano per la sua bonarietà-burbera dei vecchi maestri elementari di una volta. La sua fu una vita spesa in gioventù nel gruppo partigiano Valanga, nella scuola, nell'amore che aveva per le Apuane e infine aveva una forte passione per la poesia, interesse quasi sempre celato, mai pubblicizzato, tranne che in alcune rare apparizioni ai concorsi poetici. Le sue poesie infatti girano intorno a quella che fu la sua vita, la mente per esempio ritorna alle lotte partigiane e ai compagni morti:


...cari compagni miei, tutti ventenni
caduti fra le rocce,in mezzo al timo
e alle gialle ginestre, arsi dal sole,
con su le labbra spente, le parole:
"Ho dato tutto per la libertà"

Non potevano mancare poesie rivolte alle sue montagne: le Apuane che amava scalare in ogni stagione:

...d'estate sotto il sole mi bruciavo;
d'inverno fra le raffiche del vento,
fra la tormenta e il ghiaccio ero contento;
di tutto il resto mi dimenticavo...

Tornava anche a galla la nostalgia dei tempi andati quando:

Sapeimo legge e scrice gnente male
e 'n più vangà 'na porca (n.d.r: lo spazio fra due solchi della terra) e segà 'l fieno

(per leggere ancora di Valiensi leggi http://paolomarzi.blogspot.it/2014/05/silvano-valiensi-partigianomaestro-e.html)

Finisce qui questo breve viaggio nei poeti garfagnini di una volta,
un viaggio che ci ha fatto conoscere una porzione di gente di Garfagnana che forse in buona parte ignoravamo. Quindi non è vero come dicevano una volta che la Garfagnana era terra di lupi e di briganti...ma è più giusto dire: terra di lupi, briganti e poeti... 



Bibliografia:

  • "Il vernacolo garfagnino e i suoi poeti" di Gian Mirola. Nuova grafica lucchese 1973
  • "Profili di uomini illustri della Garfagnane della Valle del Serchio" di Giulio Simonini Banca dell'identità e della memoria 2009
  • "Faccio versi così come si cantas quando qualcosa dentro mi fa male" di Silvano Valiensi. Unione dei comuni della Garfagnana 2014