venerdì 25 marzo 2022

Storie di guerra. I devastanti bombardamenti aerei in Garfagnana

Castelnuovo G.NA bombardata
Guernica per chi non la conosce è oggi una cittadina spagnola di
appena quindicimila abitanti. Nonostante sia così piccola ha da sempre avuto un ruolo centrale nell'identità dei paesi baschi, la regione nel nord della Spagna che da secoli rivendica una maggiore autonomia dal governo centrale. La sua fama però raggiuse l'apice il 26 aprile 1937, quando nel pomeriggio di quel giorno 
venne colpita da uno dei bombardamenti più conosciuti e rappresentativi del novecento. Il contesto era quello della guerra civile spagnola, cominciata meno di un anno prima tra i nazionalisti del generale Francisco Franco e i repubblicani guidati dal Fronte Popolar. A compiere il bombardamento furono 24 aerei militari, in buona parte della Luftwaffe, l’aviazione tedesca, e tre dell’esercito italiano: sia Adolf Hitler che Benito Mussolini, infatti, erano alleati delle forze nazionaliste. Questo bombardamento criminale, che cambiò per sempre il modo di fare la guerra, causò una strage di civili inermi. Un reportage del giornalista inglese del "Times", Georghe Stear, dette visibilità internazionale al fatto, attirando così le condanne della politica e della società
Guernica bombardata 
civile occidentale, diventando di fatto il simbolo delle stragi di civili. Quel "nuovo" sistema di fare guerra, bombardando dal cielo, a quel tempo
(ma anche oggi) fu visto  come un evento sommario, le bombe colpivano senza distinzioni civili e militari, senza nessuna regola umana e guerresca che dettasse legge. Un'analisi perfetta a riguardo la fece lo storico inglese Paul Preston: "A Guernica è stata effettuata la prima prova di una chiara strategia: rompere i vecchi limiti morali e le regole della cavalleria del 19° secolo e promuovere la guerra totale, senza regole, che stermina le vite non solo dei militari che prendono le armi ma anche dei familiari che sono rimasti a casa”. La fama di Guernica e di questo infame modo di guerra fu poi amplificata da uno dei più grandi pittori contemporanei: Pablo Picasso, che era già un pittore famosissimo e che nel maggio del 1937, pochi giorni dopo il bombardamento, cominciò a dipingere un’enorme tela, lunga quasi otto metri e alta tre e mezzo. Il governo repubblicano spagnolo gli aveva commissionato un’opera da esporre nel padiglione della Spagna all’esposizione internazionale di Parigi, e lui aveva avuto 
Guernica di Picasso
l’ispirazione dopo il bombardamento. Il quadro, che si intitola "
Guernica", fu apprezzatissimo per la sua capacità di rappresentare il caos e il terrore del bombardamento, ed è diventato probabilmente la più famosa opera d’arte di sempre sulla guerra. Sette anni dopo dai fatti di Guernica, 
in piena seconda guerra mondiale, anche la Garfagnana fu colpita dalla stessa sorte: da una serie impressionante di bombardamenti. La strategia americana in questo caso era molto chiara, bombardare vie di comunicazione ed infrastrutture strategiche e militari e dovunque si credesse, da fonti di intelligence, si potesse nascondere il nemico, in tutto questo però a farne le spese furono soprattutto i civili. La situazione si fece poi ancora più drammatica quando  qui si attestò il fronte della guerra. Gli attacchi aerei in Garfagnana
cominciarono il 18 maggio del 1944, era il Giorno dell'Ascensione. Le prime vittime da bombardamento ci furono invece il 29 giugno per San Pietro e Paolo, l'abitato di Piazza al Serchio fu preso di mira, morirono così le prime 14 persone di una lunga serie. Di fronte a queste significative date il piano americano si manifestava in tutta la sua nefandezza. In quei giorni specifici, in quei luoghi non c'era nessun obiettivo militare perseguibile, erano "solamente" due giorni di festa che a quel tempo venivano celebrati non solo nel calendario liturgico, ma anche in quello civile. La gente era a casa, in famiglia a godersi un giorno di meritato riposo. Quale miglior momento, secondo le cervellotiche strategie militari alleate, ci poteva essere per fiaccare il morale della popolazione se non essere bombardati in un giorno di festa? E difatti così fu... Qualche giorno dopo, il due luglio, cominciarono i primi bombardamenti a tappetto, anche qui era un giorno di festa: domenica. Gli obiettivi stavolta oltre che ad essere palesemente civili, colpirono anche quelli strategici: il bersaglio era la stazione ferroviaria di Castelnuovo Garfagnana. Prima di arrivare a Castelnuovo lo stormo di 12 aerei americani Douglas A-20 Havoc passò prima sopra Gallicano e per la prima volta 
Douglas A-20 Havoc
venne colpito anche questo paese, seminando inevitabilmente morte e distruzione. Nel successivo passaggio sul capoluogo garfagnino i bombardamenti causarono un vero e proprio inferno. Alle ore 11 e 15 del medesimo mattino vennero sganciate 41 bombe da 500 libbre, alcuni minuti dopo altre 91 da 260 libbre. Fra le vittime anche tre bambini. Le persone da quel giorno capirono che sarebbero stati mesi duri e senza tregua. Infatti nei mesi successivi i bombardamenti si intensificarono, i paesi più colpiti furono quelli nel fondovalle, ma anche Camporgiano, dove aveva sede il comando della Divisione Monterosa non fu risparmiato, così come non fu risparmiato l'annesso ospedale militare e quello civile di Castelnuovo, che fu provvisoriamente trasferito nella frazione di Antisciana. Anche altri paesi come Minucciano non furono graziati e 
nei giorni successivi al Natale 1944 una serie di bombardamenti aerei investì i centri abitati del Comune di San Romano. Le uniche frazioni che non vennero colpite furono Orzaglia e Sillicagnana. Si ipotizza che vennero risparmiate per i campanili a cupola delle rispettive chiese, punti di riferimento per l’aviazione alleata. La Villetta rappresentò invece uno dei bersagli principali dell’offensiva militare. Il paese infatti era una delle sedi scelte come base operativa dall’esercito nazista e  questa presenza di truppe tedesche e italiane attirava le squadriglie degli aeroplani
Gallicano bombardata
americani. Nel corso dei bombardamenti di quel maledetto dicembre 1944 e del  successivo febbraio 1945 morirono ben quattro civili. Era sempre in quel lontano dicembre quando un ufficiale italiano raccontò nei suoi diari l'atrocità di uno di questi bombardamenti: " 
Giorno 30 dicembre 1944.
Prosegue ininterrottamente l'offensiva aerea. Gli americani vogliono far pagare a caro prezzo il successo dell'operazione Wintergewitter. 
I cacciabombardieri spezzonano e mitragliano la zona dove sono alloggiate le salmerie della linea pezzi della nostra batteria. Terminata l'incursione ricevo telefonicamente notizia dal sergente Rabitti loro comandante, che non vi sono state perdite. Felice scendo di corsa le scale per recarmi al piano terra e comunicare agli uomini la buona notizia, ma alla porta d'ingresso della costruzione incontro una giovane donna con un bambino in braccio. La mano destra della donna che sorregge la testa del piccolo è sanguinante e il bambino ha la testa sfracellata. La ragazza tutta coperta di sangue è venuta da chi sa dove per cercare soccorso. E' in stato di shock. Questa improvvisa, inaspettata visione mi fa passare in un istante da uno stato di contentezza ad uno stato di sconvolgente costernazione; ho un capogiro, devo appoggiarmi alla costruzione per non cadere per terra, non riesco a guardare" Il piccolo bambino di cui si parla non era un maschietto, ma bensì una dolce femminuccia, era appunto Ada Cassettari figlia di Carlo e di Regoli Silvia, la giovane madre che
Contraeree tedesche
 la teneva in braccio. Ada aveva appena due anni e morì in località Tineggiori (nel comune di Fosciandora) il 30 dicembre '44 dopo un violento bombardamento aereo. Una scheggia attraversò il braccio della mamma che la sosteneva, conficcandosi nella testolina della povera piccola. 
L'assiduità di questi attacchi aerei e il pericolo incombente di perdere la vita  cominciava farsi sentire, la gente abbandonava i paesi e si rifugiava  nei posti più impensati: nelle condotte idroelettriche, nelle gallerie dei treni e naturalmente nei boschi e nelle selve circostanti. D'altronde gli aerei alleati erano gli assoluti padroni del cielo garfagnino, le forze dell'Asse a quel punto del conflitto non avevano forze aeree da impiegare nella valle, la sola forza di contrasto era affidata da batterie contraeree posizionate a Piazza al Serchio, a Pieve Fosciana e in altri luoghi della valle. Queste contraeree però, potevano fare ben poco contro la potenza soverchiante dei Thunderbolt americani e questo fu da subito ben chiaro. A farne le spese maggiori di fronte a questa inaudita potenza fu Castelnuovo e il suo circondario, si calcola che tra il luglio 1944 e l'aprile dell'anno successivo nel capoluogo garfagnino ci furono più di 70 incursioni aeree, la più drammatica di queste incursioni ci fu appena a due mesi dalla fine della guerra. Il 13 febbraio '45 accadde il bombardamento più drammatico, quello che lascerà il bilancio più pesante in tutta la lucchesia. I cacciabombardieri cercando forse di colpire una postazione di artiglieria tedesca non lontana dal centro della cittadina, colpirono invece un improvvisato rifugio antiaereo in località Novicchia: morirono trenta persone. Ovviamente come succede in tutti i
Castelnuovo
bombardamenti della storia non rimane che sottolineare una cosa. Anche in questo caso gli obiettivi militari centrati da queste bombe che provenivano dal cielo furono esigui, a pagare il prezzo maggiore furono civili inermi. Per rendere chiaro a tutti i miei lettori questo concetto basta elencare solo i dati di quel tempo di Castelnuovo Garfagnana: si calcolò che ci fu un 80% di danni ai fabbricati e alle case, quattromila sinistrati, 862 persone da assistere, di cui 288 di età inferiore ai 15 anni...


Bibliografia
  • "I bombardamenti su Castelnuovo" Istituto storico della Resistenza e dell'Età contemporanea. Provincia di Lucca
  • "L'incubo dei bombardamenti aerei" di Marioo Pellegrineschi https://digilander.libero.it/mariopellegrinetti/aereicaduti.htm#
  • Comune di San Romano Garfagnana "26 dicembre 1944. Il Bombardamento di Villetta"
  • Le foto riguardanti Castelnuovo mi sono state inviate gentilmente da Nicola Simonetti
  • La foto riguardante Gallicano è stata tratta dal libro fotografico "Gallicano in Garfagnana" di Daniele Saisi  

mercoledì 2 marzo 2022

I giochi di una volta in Garfagnana. Quali erano e la loro storia

C'è poco da fare, il gioco da sempre è l'espressione più autentica
della cultura umana, come fra poco leggerete, l'attività cosiddetta ludica è figlia del tempo che trascorre, passa e scorre fra i millenni e si adatta come un guanto al contesto sociale in cui si svolge. Pertanto il recupero dei giochi tradizionali rappresenta senza dubbio la riscoperta della propria storia, delle proprie origini e del senso di appartenenza. Lo stesso Platone, al pari di un pedagogo moderno affermava che il gioco era utilissimo per la formazione dell'infante, in special modo in quelle attività svolte in gruppo e che privilegiavano il movimento. Sempre ed a proposito di antiche civiltà evolute anche i nostri cari romani, attraverso "la penna" di Cicerone, Marziale e Orazio ci parlavano di giochi che sono pervenuti ai nostri bambini a distanza di oltre duemila anni. L'oscuro medioevo e più che altro la Chiesa contrastò invece in maniera netta sia i giochi per adulti che per i bambini: "I giochi sono oggetti demoniaci, fatti apposta per distogliere l'attenzione del credente
dal pensiero di Dio
". I tempi passavano e per fortuna cambiò anche il modo di vedere e pensare sulle cose e fu verso il 1400 che si trovò un atteggiamento più tollerante verso i giochi, rimanevano infatti proibiti quelli d'azzardo e per i più piccoli si prediligevano giochi che prevedevano l'attività motoria come la corsa e il salto, tutto però si doveva svolgere sotto l'occhio attento dell'adulto che doveva guidare il gioco per renderlo "morale". Bisogna attendere l'età moderna per vedere la sublimazione del gioco. L'illuminismo prende campo in tutta Europa, questa nuova forma di pensiero voleva illuminare la mente degli uomini, ottenebrata da secoli da ignoranza e superstizione, e così anche alle attività giocose gli venne attribuito un rinnovato  significato improntato sui valori pedagogici, sociali e civili. Anche i giochi dei bambini garfagnini nel corso dei secoli che passavano si sono adattati alla società del tempo, per secoli siamo stati una collettività povera e con pochi mezzi e come in tutte in tutte le collettività povere i bambini si costruivano da soli i loro giochi con i materiali che c'erano a loro disposizione, sennò era proprio la fantasia che diventava una materia
primaria. I giochi si facevano per strada o negli spazi che la natura concedeva. Per altro quello che si può affermare con sicurezza è che non esiste un gioco tipico garfagnino, visto che molti giochi sono praticati in modo simile in molte regioni della Terra. Ci sono svaghi come "il gioco dell'anello", la trottola o "mosca cieca" che si riscontrano in altre nazioni d'Europa, ma non solo, anche in Africa, fra i Pellerossa americani, o nelle tribù selvagge dell'Oceania. Questo dimostra che questi giochi hanno un fondo comune di tradizione. Guardiamo ad esempio il "nascondino" o "rimpiattino" che dir si voglia. Ci abbiamo giocato tutti, proprio tutti se le prime notizie di questo gioco si hanno da Polluce nel II secolo, quando nella Magna Grecia veniva chiamato "apodidraskinda" (fuggire,
scappare, nascondersi). In Garfagnana esisteva una variante detta "bombolo": "il bomba libera tutti" consisteva nel dare un calcio ad un barattolo che veniva sorvegliato attentamente da colui che doveva cercare i bambini nascosti. Sicuramente uno dei più appassionanti e divertenti era "il gioco del fazzoletto" o detto anche "bandiera". Il passatempo nasce da antichi addestramenti militari dove venivano misurate le attitudini guerresche, a volte infatti vinceva il più veloce, altre ancora il più scaltro o anche il più bravo a bluffare. Anche la stessa simbologia richiama il militarismo: togliere il simbolo di riferimento di chi combatte contro di te e impadronirsi del suo vessillo. Insomma, qui non vigeva
la legge del più forte, ma quella del più abile. Si rifà anche ad antiche origini il gioco della "Mosca Cieca", lo citava già nel V secolo lo scrittore romano Macrobio, chiamandolo "mosca di rame". A quanto pare Roma ha dato i natali anche ad un altro gioco, un gioco diventato veramente internazionale: in Brasile si chiama "amarelinha", in Vietnam "cò, cò", in Germania "Ichelkasten", in Italia "Campana" o "Mondo". Oggi non lo si vede giocare più da nessuna parte, ma sicuramente era già praticato ai tempi dei romani. Il classico disegno dove si saltellava da una casella all'altra è rappresentato a Roma sulla pavimentazione del Foro Romano, a quel tempo si chiamava "claudus" cioè "lo zoppo" (chiaro il riferimento di saltare su un
piede solo). Questa internazionalità è dovuta proprio alle conquiste romane che portarono gli stessi soldati ad insegnare questo gioco da cortile.
 E chi da bambino non ha giocato al girotondo? Ve la ricordate la celebre filastrocca che accompagnava il gioco? Sicuramente si! Il suo significato però non aveva niente di allegro. La filastrocca vanta una tradizione lunga almeno tre secoli ed è originaria dell'Inghilterra, infatti la vera canzone è in lingua inglese e parla di rose da odorare e di cadere tutti per terra. Quello che però racconta ha dell'orribile e risale ai tempi più bui della Gran Bretagna: la Grande Peste del 1665. Infatti i morti erano talmente tanti da invadere le strade e le persone quando giravano si portavano al naso dei sacchettini con dentro petali di
rosa o fiori profumati per non sentire il tanfo dei cadaveri in putrefazione. In quel tempo nacque la famosa filastrocca che aveva lo scopo di far accettare la morte ai più piccoli e quindi esorcizzarla, da qui le strofe "Casca la terra", "Tutti giù per terra"
. Esistevano poi tutti quei giochi che richiedevano uno "strumento". Naturalmente questo strumento era fatto in casa o con quello che la natura offriva. La fionda difatti era immancabile per ogni ragazzino del tempo. Tutti i bambini si costruivano una fionda, per cacciare gli uccelli o per i tiri di precisione. Per costruirla veniva utilizzato un ramo biforcuto e due elastici ricavati dalle camere d'aria delle ruote della bicicletta. Anche la trottola faceva parte di questi giochi che si costruivano.
I ragazzi
facevano vere e proprie competizioni per vedere chi riusciva a farla girare più a lungo. Molti di loro si procuravano il legno per la trottola e il falegname col tornio la creava
. A volte succedeva che qualche trottola fragile si spaccava e quindi rabbia e lacrime del perdente e le risate degli altri, per non correre simili rischi si ricorreva a trottole di legno molto duro. Il gioco dei tappini è il gioco più moderno, il passatempo è tipicamente italiano ed è nato nel nostro  secondo dopoguerra, in seguito alla grande diffusione dei tappi a corona. In emulazione delle corse ciclistiche, era anche diffusa l'usanza di ritagliare dai giornali i volti dei corridori preferiti e incollarli, in questo modo il giocatore otteneva la personalizzazione del proprio tappo. Si potrebbe ancora continuare a scrivere pagine e pagine sui vecchi giochi di una volta, mi limito però di far notare che nessuno di questi giochi qui sopra descritti
viene giocato più. Nella nostra epoca siamo riusciti anche in questo, a far scomparire giochi che hanno resistito alle guerre, alle catastrofi naturali e al peso della storia. Oggi tutto il gioco dei bambini sta su una semplice console...