giovedì 28 aprile 2022

La leggenda del fantasma del passaggio segreto della Fortezza di Mont'Alfonso e storia misteriosa delle stanze segrete

"CASTELNUOVO GARFAGNANA (LUCCA), 06 APR - Una stanza segreta è stata
scoperta durante i lavori di restauro e recupero della Rocca Ariostesca a Castelnuovo Garfagnana (Lucca), struttura militare fortificata risalente al Medioevo. 
Gli operai delle ditte incaricate dei lavori hanno notato un abbassamento di una parte di pavimento del piano terra e da lì a poco, spostando una notevole quantità di detriti, dal sottosuolo è emersa una stanza segreta: si tratta di un vano o di un passaggio la cui presenza era finora rimasta sconosciuta e non è escluso che possa condurre ad altre stanze dell'antico palazzo che fu anche la dimora di Ludovico Ariosto". Sono le 20:15, l'Agenzia Nazionale Stampa Associata, a tutti meglio nota come ANSA (la quinta agenzia d'informazione al mondo) rilancia la clamorosa notizia. E pensa un po' che avevo creduto di chiudere quella giornata davanti alla tele in maniera tranquilla e rilassata. La notizia invece mi riportava a ricordi di quand'ero bimbetto. Infatti chi fra noi non ha mai immaginato di avere per sè un luogo dove dedicarsi ai propri hobby e alle proprie passioni, lontano da sguardi indiscreti? E' sempre stato un mio sogno, ma l'ho sempre visto come un'idea uscita solo dai libri o dai film, ma non è sempre così, anzi... Chi studia "castellologia" sa benissimo che nel primo medioevo sia nelle massicce fortezze o negli imponenti manieri era piuttosto usuale scavare cunicoli, passaggi e stanze segrete a vari metri di profondità. Un lavoro duro, da talpe, che veniva fatto con abbondante forza lavoro che creava questi sotterranei, talvolta piccoli ed angusti, altre volte talmente grandi da permettere il passaggio di una carrozza. D'altronde la vita dentro un castello era dura e abbastanza scomoda, si doveva vivere al
suo interno cinti da alte mura di protezione, si doveva rientrare dentro di esse a determinate ore prestabilite, dopodichè, chi non rientrava sarebbe rimasto fuori a passare la notte in preda ai briganti, malfattori e nemici vari. Fra tutti questi nemici i più temuti erano quegli eserciti che in alcune occasioni assediavano la roccaforte di turno e quando da parte degli assediati ormai anche l'ultima speranza di resistere al nemico spariva, quale miglior soluzione per salvarsi la vita c'era che fuggire attraverso stanze che portavano a dei passaggi segreti? Questi passaggi, spesso conducevano verso impenetrabili selve nascoste alla vista di chicchessia o anche  in direzione di altre inaccessibili fortezze. In questa fuga verso la salvezza avevano la precedenza i reali o i Signori del castello, si doveva in questo modo evitare un pericoloso vuoto di potere, ma non solo, un'altra funzione di questi passaggi era quella di avere un fondamentale ricambio di soldati fra una fortezza e un'altra. Quello che però è evidente che queste stanze segrete non sono un'invenzione medievale, già ai tempi dell'antico Egitto illustri architetti progettavano e realizzavano immensi monumenti funerari che prevedevano stanze e passaggi segreti per proteggere i tesori del loro faraone, alcune di queste ancora oggi rimangono segrete. Tornando a casa nostra uno dei passaggi segreti più famosi è quello del Castello Sforzesco di Milano, che si snoda fra cunicoli attraversabili anche a cavallo, fino ad arrivare alla campagna aperta. Altrettanto famoso è quello del Passetto di Borgo, un passaggio che collega il Palazzo Vaticano con Castel Sant'Angelo,
Passetto di Borgo
fortezza considerata inespugnabile. Sarebbe altresì sbagliato pensare che con l'avvento dell'era moderna la necessità di costruire stanze segrete sia svanita, tutt'altro. Oggi si chiamano "Panic Room". La Panic Room non è altro che una camera di sicurezza interna che permette di trovare riparo in caso di aggressione. Questa stanza ha trovato molta diffusione nei paesi anglosassoni ed è riservata a persone che se la possono permettere: attori, personaggi famosi e soprattutto politici. Essa non è una semplice stanza segreta ma un vero e proprio bunker, dotato di rivestimento in cemento armato, di porte blindate e antiproiettile, di sistemi tecnologici avanzati per comunicare con l'esterno. Manco a dirlo la più famosa è quella della Casa Bianca, accessibile attraverso porte nascoste negli angoli più impensabili. Ma torniamo però alla stanza segreta scoperta nella Rocca Ariostesca di Castelnuovo. Dopo l'incredibile scoperta la domanda più ricorrente è una sola. Dove condurranno questi misteriose camere? Alcune ipotesi sono state fatte... Chissà, potrebbe condurre ad altri locali dell'antico palazzo? O Forse potrebbe essere la classica "via di fuga"? Fra tutte le ipotesi fatte però, quella più affascinante narra del leggendario passaggio segreto che collegava la Rocca Ariostesca con l'imponente Fortezza di Mont'Alfonso, che si trova più a monte di qualche centinaio di metri. Da sempre si è parlato di questo
passaggio, molti danno per scontato che sia sempre esistito, ma in effetti nessuna l'ha mai trovato. Naturalmente le teorie di dove potesse sbucare sono molteplici. C'è chi dice che forse poteva arrivare in Piazza Umberto I, chi asseriva che arrivasse proprio dentro la Rocca. Altri ancora invece "giurarono" di averne visto una porzione durante i lavori di scavo e manutenzione degli acquedotti comunali. D'altra parte c'è chi assicura che all'interno del favoloso passaggio ci sia imprigionato un fantasma. Tutto insomma rimane avvolto nel mistero, nel mito e nell'enigma più recondito. Rimane comunque opportuno mettere in guardia coloro che andranno a fare i futuri scavi, forse potrebbero incontrare chissà chi o forse chissà che cosa... Questa è infatti la leggenda del fantasma del passaggio segreto della Fortezza di Mont'Alfonso. Come in tutte le rocche, fortezze e castelli che si
Fortezza di Mont'Alfonso
rispettino, al comando di esse vigeva sempre un castellano che aveva il compito di guidare la vita del castello, sia da un punto di vista civile che militare. Difatti a questa regola non sfuggiva nemmeno la Fortezza di Mont'Alfonso, dato che, anche li risiedeva con tutta la sua famiglia il suo Signore, in quella che oggi è denominata "la casa del Capitano". Il castellano oltre a due figli maschi aveva anche una figlia femmina di nome Lucia, di cui era a dir poco geloso, tanto geloso da proibirle l'uscita dalla fortezza stessa. Ma come ben sappiamo la fortezza era costituita da valorosi soldati e fra questi soldati c'era un fascinoso ufficiale. Nonostante i severi controlli cupido scoccò però la sua freccia e la fanciulla s'innamorò perdutamente del militare. I due giovani infatti divennero  amanti all'insaputa di tutti, il problema stava però nel dichiarare questo amore al padre geloso. Il fato tuttavia ci mise lo zampino e durante una delle frequenti guerre fra gli Estensi e i fiorentini, anche i soldati della fortezza furono chiamati a dar man forte all'esercito del Duca di Modena. La battaglia in questione fu dura, morti da entrambi le parti e nel bel mezzo di uno di questi combattimenti il giovane ufficiale salvò la vita al castellano. Una
La rocca Ariostesca
volta, come ben saprete, la cavalleria era cosa seria e il protocollo prevedeva che colui che aveva avuto salva la vita dovesse concedere al suo salvatore un desiderio e così il castellano fece con il suo ufficiale. Il giovane difatti non si fece sfuggire l'occasione e chiese al padre la mano di sua figlia Lucia, confessando pubblicamente l'amore corrisposto della futura sposa. La richiesta fu delle più ferali che il signorotto potesse ricevere, avrebbe quasi preferito perire valorosamente in battaglia che cedere a questo desiderio, ma a questo punto non poteva nemmeno negare il consenso alle nozze, e così fu. L'ufficiale felice come non mai chiese il permesso al futuro suocero di andare a Modena per avvisare i genitori della lieta notizia. Il castellano furbescamente acconsentì. Nei giorni successivi il padre prese così da parte la ragazza e dato che sarebbe diventata la Signora della Fortezza era giusto che ne conoscesse tutti i suoi segreti, che erano ad esclusiva conoscenza di colui che la comandava. Fra tutti gli arcani che ci potevano essere dentro il fortilizio, il più misterioso e segreto era quello della galleria che conduceva di lì fino al paese di Castelnuovo. Così fu che un giorno, lontano da occhi indiscreti il padre portò la ragazza a conoscere questo fantomatico passaggio. Una volta davanti all'entrata aprì il cancello d'ingresso e nell'attimo preciso che la ragazza ebbe oltrepassata la soglia d'accesso il castellano la richiuse immediatamente, imprigionando di fatto la sventurata. In men che non si dica, fra le urla disperate della fanciulla, il malvagio uomo si adoperò senza indugio alcuno a murare l'ingresso della galleria, in questo modo "l'amata" figlia non sarebbe stata sua, ma
La stanza segreta trovata
a Castelnuovo (foto de "Il Tirreno")
nemmeno di nessun'altro. La poveretta infatti li rinchiusa in poco tempo morì di fame e di sete. Il castellano nei giorni successivi raccontò alla gente che la figlia era fuggita, la stessa versione fu poi raccontata al ritorno dell'ufficiale. Il giovane disperato cominciò a cercare Lucia in ogni dove, naturalmente le ricerche non portarono a nessun esito e preso dallo sconforto, passato un po' di tempo, abbondonò l'incarico e tornò nella sua Modena. Di li a poco anche per il perfido 
castellano il destino fu avverso, una malattia misteriosa lo portò inesorabilmente alla morte. La storia però non finì qui. Si racconta che il fantasma di Lucia ancora oggi vaga in quel passaggio segreto che collega la Fortezza con Castelnuovo. La sventurata di fatto è ancora lì che cerca di fuggire da quella maledetta prigione. La sua anima non ha ancora pace, quella pace sarà ritrovata solamente quando uno dei varchi d'entrata del passaggio sarà nuovamente aperto...


Bibliografia 

  • "Garfagnana isola fantastica" di Alberto Cresti, edito Banca dell'Identità e della Memoria, anno 2020

giovedì 14 aprile 2022

"Giusti fra le Nazioni". La storia di Giuseppe Mansueto Rossi e di sua moglie Maria da San Pellegrino

Calcolare il numero esatto di persone che morirono a causa delle politiche naziste è un'impresa difficile. Non esiste alcuna documentazione tenuta da funzionari nazisti che contenga il numero dei morti causati dall'olocausto. Per stimare con maggior precisione le perdite umane, i ricercatori insieme a organizzazioni ebraiche e agenzie governative hanno usato, fin dal 1940, fonti diverse quali censimenti, archivi o indagini condotte dopo la fine della guerra. Man mano che venivano trovati nuovi documenti i dati venivano perciò aggiornati. Fattostà che senza l'intervento di persone di buon cuore il numero degli ebrei sterminati sarebbe stato di gran lunga maggiore. Fu proprio per questo motivo che nel 1953 venne fondato con un atto del Parlamento israeliano lo Yad Vashem, l'Ente nazionale per la memoria della Shoa con sede a Gerusalemme. Questo ente ha infatti lo scopo (fra gli altri) di nominare, ricordare e celebrare i "Giusti fra le Nazioni". La definizione "Giusto fra le Nazioni" va fatta risalire al "Talmud", testo fondamentale per la religione ebraica e Yad Vashem ha ripreso questo termine per rendere omaggio e commemorare coloro

che rischiarono la vita per salvare gli ebrei negli anni delle persecuzione nazifasciste. "Chi salva una vita, salva il mondo intero", così si legge nel Talmud. Nel memoriale di Gerusalemme è stato a loro dedicato un grande giardino, per ogni giusto veniva piantato un albero e ai piedi di questi alberi ogni visitatore lasciava un sasso. I sassi sono il simbolo del perpetuo ricordo, mentre l'albero è simbolo della vita che continua e che è  continuata grazie a questi  "Giusti fra le Nazioni". Fra quelli che hanno lasciato un segno indelebile nella nostra memoria non possiamo dimenticare Oskar Schindler, forse il più famoso, ma ci anche sono molti italiani (circa 700) come Gino Bartali, Giorgio Perlasca, Carlo Angela (padre del giornalista Piero)e Monsignor Angelo Riotta. Ma esistono anche personaggi meno illustri, e che hanno contributo in ugual maniera a salvare vite umane e che purtroppo non hanno mai avuto la ribalta della cronaca. Ebbene fra questi "Giusti fra le nazioni" abbiamo anche due garfagnini e queste che vado a trarre integralmente dal data base dello Yad Vashem sono le vicende che portarono Giuseppe Mansueto Rossi e sua moglie Maria di San Pellegrino in Alpe a fregiarsi di questa alta onorificenza. Nell’agosto del 1943 assieme alla madre Felicina Barocas, incinta della seconda figlia, Franca Sraffa si recò a Farnocchia di Stazzema, una località della montagna tra i boschi non lontana da Pietrasanta, dove i nonni Federigo Abramo Ventura e Ersilia Barocas possedevano un negozio di stoffe, in Via
San Pellegrino in Alpe
 Mazzini. E lavorava anche il padre, Aldo. Quella a Farnocchia doveva essere solo una breve vacanza consigliata dal medico a Felicina in vista delle sue condizioni di gravidanza e della calura estiva. Poi però con la caduta del regime fascista, e il precipitare degli eventi bellici, furono costrette a restarvi, dal momento che la situazione si era fatta particolarmente difficile in quanto la famiglia era ebrea sia dalla parte di Aldo Sraffa, che dalla parte di Felicina. Erano infatti comparse scritte antiebraiche in prossimità del negozio a Pietrasanta, e fu così che a Farnocchia arrivò anche Aldo. La famiglia Sraffa abitava in paese in una casa in piazza del Carmine, e fu a Farnocchia che il 18 ottobre 1943 nacque la piccola Donatella-Miriam. Purtroppo, l’ostetrica del paese, Siria Catelani, era di ideologia fascista, e dopo il parto si recò al comando tedesco per denunciare la presenza in paese di una famiglia ebrea.
Don Innocenzo Lazzeri
In questa condizione di grave pericolo, gli Sraffa furono accolti per alcuni giorni dal parroco di Farnocchia, don Innocenzo Lazzeri, che li nascose nella locale canonica. La stessa ostetrica tuttavia informò i nazifascisti del rifugio, e così una pattuglia arrivò a perquisire la canonica. In quel momento, l’intera famiglia Sraffa riuscì a nascondersi in un antro defilato della canonica, con Donatella-Miriam attaccata al seno materno in pieno allattamento, e l’alto rischio che se avesse smesso avrebbe potuto mettersi a piangere, permettendo così ai nazifascisti di trovarli. Dopo la perquisizione, gli Sraffa e don Innocenzo capirono che la canonica non era il posto più sicuro per loro, e così l’8 dicembre del 1943 si ritirarono a Greppolungo, un piccolo borgo del Comune di Camaiore, a circa 5 km di distanza da Farnocchia. Dopo un mese di permanenza su quelle montagne, nel corso del quale gli Sraffa cambiarono spesso luogo di residenza per evitare di essere scoperti, il dottor Mario Lucchesi, figlio del primario dell’ospedale di Pietrasanta, organizzò il loro trasferimento al Tendaio, località di montagna presso San Pellegrino in Alpe, nel comune di Castiglione di Garfagnana. Il trasferimento vide Aldo e famiglia scendere a Camaiore, ad attenderli trovarono Mario Lucchesi che con la sua auto li condusse a casa sua a Castiglione, dove trascorsero la notte e poterono rifocillarsi. La mattina seguente, all’alba alcuni membri della famiglia Rossi del Tendaio, tra cui Giuseppe Mansueto, venne a prelevare gli Sraffa per
Giuseppe Mansueto Rossi
 portarli presso la loro abitazione, a circa 15 chilometri da Castiglione. Al Tendaio, Aldo, Felicina, Franca e la piccola Donatella Miriam vennero accolti con grande generosità dalla famiglia Rossi, Giuseppe Mansueto, la moglie Maria, il figlio Franco e la sorella di Maria, Rosina. Gli Sraffa vennero raggiunti anche dagli zii Augusto Ventura e Giuseppina Trevi, e tutti rimasero dai Rossi per circa un anno e mezzo, fino al giugno del 1945, ovvero la fine della guerra, organizzando ogni notte dei turni di veglia per controllare l’eventuale arrivo di truppe nazifasciste. Allora, don Innocenzo Lazzeri aveva già trovato la morte, il 12 agosto 1944, trucidato dalle SS nel tristemente noto eccidio di Sant’Anna di Stazzema. 
L’8 dicembre 2015, Yad Vashem ha riconosciuto don Innocenzo Lazzeri, Mario Lucchesi, Giuseppe Mansueto Rossi e Maria Rossi come Giusti tra le Nazioni. Per far capire ancor meglio al caro lettore l'importanza e il significato di questo riconoscimento è giusto ricordare cosa poteva capitare a chi dava aiuto agli ebrei. Tali normative variavano secondo il Paese in cui veniva commesso il fatto. Innanzitutto le pene venivano date senza bisogno d'alcun processo e si andava dalla deportazione verso i famigerati lager, al carcere o alla fucilazione, le autorità naziste consigliavano però l'esecuzione di questi collaboratori sul posto. E' doveroso anche sfatare il mito di "italiani brava gente", non fummo tutti dei "Giuseppe Mansueto Rossi", ci furono molti "Siria Catelani", ossia dei delatori. Infatti, per quanto efficienti, i 
Maria Rossi
comandi della polizia tedesca avevano troppo poco personale e furono quindi costretti ad appoggiarsi ai funzionari della R.S.I.
Ma non fu soltanto la politica ufficiale della Repubblica a essere di aiuto. Anche la collaborazione spontanea di migliaia di «italiani comuni», di normali cittadini, fu fondamentale per l’arresto di migliaia di ebrei. I poliziotti tedeschi sfruttarono ampiamente i collaboratori italiani: spie, delatori, infiltrati, che agivano nei modi più diversi. Questo lavoro veniva pagato piuttosto bene, dato che su ogni ebreo, in media, veniva messa una taglia di 5.000 lire dell’epoca. Comunque sia come cita il Talmud: "Basta che esista un solo giusto perchè il mondo meriti di essere stato creato".


Bibliografia

  • Data Base online Yad Vashem
  • "Chi salva una vita. In memoria dei giusti toscani" di Alfredo de Girolamo. Regione Toscana 
Fotografie

  • Le fotografie di Giuseppe Mansueto Rossi e di Maria Rossi sono tratte dal libro "Dalla Versilia alla Garfagnana Storia di ebrei e di Giusti" di Marco Piccolino

venerdì 1 aprile 2022

Storia di epiche battaglie, "mestaine" insolite e di intercessioni (quasi) miracolose nella Garfagnana del 1600

Le possiamo sentire chiamare in svariati modi: marginette, maestà,
madonnine, edicole, per noi in Garfagnana sono semplicemente le "mestaine". La Mestaina non è altro che una piccola cappella votiva  contenente un'immagine sacra di qualche santo, di Gesù ma in particolar modo è la figura della Madonna che prevale in tutte queste piccole architetture. L'origine del nome lo si deve proprio al fatto di ciò che rappresentano: "una maestà", parola derivante dal latino "majestatem" cioè "grande", in riferimento all'immagine iconografica cristiana di Maria seduta sul trono. Nella forma "garfagnina", il vocabolo diminutivo "mestaina" significa proprio "piccola maestà", che richiama di fatto la piccola dimensione dell'icona. L'origine di questi tempietti si perde nella notte dei tempi e molto probabilmente già gli etruschi avevano l'abitudine di costruire queste opere (che rappresentavano le loro divinità), in prossimità delle strade o negli incroci viari. I romani con il tempo non mancarono di fare loro questa tradizione, che trasformarono ben presto in una ricorrenza, nella quale si rendeva omaggio ai "Lares Compitales", le divinità protettrici della
famiglia. Con l'avvento del Cristianesimo le immagini pagane furono poi soppiantate in maniera definitiva dalle icone cristiane. 
Il gran numero di mestaine nella nostra Garfagnana ci induce però a pensare che non siano frutto  di occasionali iniziative, ma bensì di un rituale consolidato nei secoli e ciò va inserito nel fermento religioso che coinvolse la valle intorno al 1600-1700, sull'onda della fine del Concilio di Trento che portò una ventata di "modernità" e di rispolvero in tutto il cattolicesimo, che vide proprio in quell'epoca un vero fiorire di queste edicole. Questi tempietti venivano collocati di norma nei pressi di incroci stradali, perchè, come spesso accade in questi casi, il sacro e la superstizione si fondono in un'unica cosa, visto che era diffusa la credenza che in queste intersezioni si potessero generare energie cosmiche tali da richiamare un confluire di streghe e demoni; da qui l'importanza della presenza di un'immagine evocante un soggetto più forte del Diavolo: la Madonna, che notoriamente schiaccia il
serpente, simbolo del maligno. 
Questo però non era il solo scopo della loro esistenza, erano soprattutto luoghi di preghiera e quelle più grandi servivano anche da riparo di fortuna per i viandanti, ma non solo, queste costruzioni spesso delimitavano i confini, ed erano pure un punto di riferimento e di orientamento. Ne esiste una che però esula da tutto questo contesto e da queste funzioni. La sua storia è particolare e al contempo curiosa, tant'è che vale la pena di raccontarla, dato che, a mio avviso (vi prego semmai correggetemi) di questo tipo in Garfagnana credo che non ne esistano altre. Infatti lo scopo della sua erezione a quanto pare lo si deve all'intercessione divina della Santissima Vergine, che non permise alle soldatesche estensi di radere al suolo il Castello di Gallicano. Ma andiamo per gradi e raccontiamo questa intrigante storia dall'inizio. Era il tempo in cui gli Estensi, padroni assoluti di quasi tutta la Garfagnana, avevano perso l'amata Ferrara che, per questioni dinastiche avevano restituito al Papa. Il conseguente indebolimento della casata d'Este non passò inosservato nemmeno agli acerrimi nemici di Lucca che da sempre aspiravano a conquistare l'intera valle, non si accontentavano più dei soli possedimenti di Gallicano, Castiglione e Minucciano, si aspirava a molto di più. Così ogni futile pretesto diventava buono per rinfocolare scontri, battaglie e guerre. L'occasione per Lucca si fece propizia nell'anno di grazia 1603 quando il generale lucchese Jacopo Lucchesini inviò a Gallicano 500 soldati e attraverso i monti del Sillico ne inviò altrettanti a Castiglione. La risposta degli agguerriti Estensi non si fece attendere e il condottiero modenese, il marchese Bentivoglio, ai primi sentori di guerra inviò una parte delle sue truppe ad assediare Castiglione e il restante del suo esercito si attestò sulle colline sotto il paese di Cascio, qui vi piazzò due potenti cannoni che puntavano le loro bocche da fuoco
Sotto le colline di Cascio
direttamente su un forte che era posto nell'odierna località detta il Broglio. Questo forte era l'avamposto di difesa di Gallicano, da qui la strada per la conquista di quel castello si sarebbe fatta molto più facile. Ci possiamo quindi immaginare la battaglia che ne scaturì. Era il 15 maggio 1603, la scontro fu cruento e sanguinoso come non mai. Il forte del Broglio era al comando di un tale "Mone" da Gallicano che chiamò a difesa dell'ultima frontiera perfino i civili, fra questi diverse donne che  prestavano 
coraggiosamente il loro aiuto. I morti però oramai non si contavano da ambo parti, furono addirittura dati  alle fiamme gli indispensabili mulini di Vescherana e un cronista del tempo raccontò che le acque del canale che di li passava rosseggiavano del sangue dei contendenti. Insomma, tanta e tale fu la confusione nel tremendo scontro, che la tradizione orale racconta che nel furore della mischia i combattenti non si riconoscevano tra loro, così uccisero per fatale errore (imbroglio) amici e nemici. Questo "imbroglio" a quanto pare dette il nome alla località dove accadde questo fattaccio: "il Broglio". A dare fine alla battaglia ci pensarono però i due cannoni posizionati sotto il paese di Cascio: "fatti collocare due pezzi da cannone sotto la collina, lo spianò (n.d.r: il forte) alle fondamenta". Gallicano era ormai spacciato, la
Il castello di Gallicano
strada per la conquista era ormai aperta. Senza se e senza ma gli Estensi in men che non si dica avrebbero distrutto il borgo e non avrebbero risparmiato nessuno, d'altronde Gallicano rivestiva un'importanza fondamentale vista la sua posizione strategica, per di più all'interno delle sue mura era costudito una buona parte dell'arsenale lucchese. Rimane il fatto che tutto quello che si crede ineluttabile così non è. Il destino, la fede, o quello che volete credere spesso e volentieri ci mette lo zampino. Fattostà che calata la notte, quando ormai a Gallicano si stavano preparando al peggio, il Marchese Bentivoglio ritirò clamorosamente e inaspettatamente le sue soldatesche. Tridui ed orazioni di tutta la popolazione si levarono al cielo per lo scampato pericolo, stavolta a difendere le mura castellane non furono i moschetti, ma la buona sorte. Ma perchè il Bentivoglio decise di ritirarsi? Le possibili risposte sono due. Bisogna ricordarsi che in quel tempo gli Stati italiani erano più o meno dei satelliti della Spagna e che a Milano risiedeva il Vicerè. Furono sempre i rappresentanti di Milano a mediare le contese, per cui è probabile che il condottiero estense si accontentasse solamente di tenere desta l'azione militare senza strafare, cercando in questo modo di non urtare le autorità spagnole che miravano sempre a tenere "la barca pari". L'altra risposta ha una considerazione puramente militare. Come scritto in precedenza anche Castiglione Garfagnana era al contempo assediata, diventava perciò
Castiglione Garfagnana
difficile sostenere due assedi, che potevano forse rivelarsi inefficaci entrambi, sarebbe stato più saggio concentrare le forze su uno dei due e in questo caso fu deciso per Castiglione. Ci fu poi una terza ragione sostenuta dagli assediati ed è quella del perchè di questo articolo. Ebbene, in primis si volle credere che su questa incredibile decisione estense contribuì il comportamento dei difensori del forte. Figuriamoci se un piccolo forte era stato difeso con tanto vigore da infliggere numerose perdite al nemico, come sarebbe stata allora la difesa della roccaforte di Gallicano? Sicuramente un fondo di verità in tutto questo ci fu, difatti non bisogna dimenticare il sostegno avuto dalle donne in questa battaglia. Il loro aiuto fu a tal punto eroico che il Consiglio Generale di Lucca, ad una famiglia di queste valorose, morta negli scontri e che si era distinta particolarmente per il suo coraggio fu attribuita una dote: "...alla figlia di Lorenzo Moni da Gallicano per il riconoscimento dimostrato portando polvere d'archibugio ai soldati del forte del Brolio nel giorno che fu assaltato dai modenesi, ne fu ferita a morte con una archibugiata
La mestaina del broglio nel
 luogo della Battaglia
nella testa. Si intenda costituita una dote di scudi 50
..." . Ma in tutto questo si volle credere ancor di più che la mano che guidò questi eventi, fu una mano divina. Per i gallicanesi ci fu l'intercessione della Madonna, solo Maria Vergine con il suo santo intervento poteva far si che il castello e la sua gente scampassero all'ineluttabile destino. Si decise perciò di rendere atto devozionale perpetuo costruendo una "Mestà" dedicata alla Madonna e che si facesse ogni 15 maggio per i secoli a venire una processione dal paese di Gallicano fino alla mestaina del Broglio:" 
Quella Comunità deliberò solennemente che, pel pericolo da cui fu scampato il paese, si facesse in perpetuo, in detto giorno 15 maggio, una festa solenne con processione generale per la terra di Gallicano; e si dovesse costruire una Mestà, ossia piccola cappelletta, al Brolio presso il
canale, ove accadde il fatto sanguinosissimo, che a tutta ragione ritiensi essere avvenuto là dove anche attualmente vedesi una Vergine dipinta nel muro della casa presso al ponte su quel canale
"... La "mestaina" dopo quattro secoli è sempre lì, ma la processione, che doveva essere perenne, non si fa più... 

Bibliografia

  • "Il Pettorale- la rocca di Gallicano" di Fabrizio Riva, edito MARIA Pacini Fazzi 2020
  • "Gallicano" - capitolo "Vicende storiche" dell'Ingegner Achille Fiorello Saisi- Maria Pacini Fazzi editore-anno 1995
  • "Descrizione geografica storica economica della Garfagnana" di Raffaello Raffaelli anno 1883
  • Gian Mirola- da La PANIA giornale del Comune di Molazzana

venerdì 25 marzo 2022

Storie di guerra. I devastanti bombardamenti aerei in Garfagnana

Castelnuovo G.NA bombardata
Guernica per chi non la conosce è oggi una cittadina spagnola di
appena quindicimila abitanti. Nonostante sia così piccola ha da sempre avuto un ruolo centrale nell'identità dei paesi baschi, la regione nel nord della Spagna che da secoli rivendica una maggiore autonomia dal governo centrale. La sua fama però raggiuse l'apice il 26 aprile 1937, quando nel pomeriggio di quel giorno 
venne colpita da uno dei bombardamenti più conosciuti e rappresentativi del novecento. Il contesto era quello della guerra civile spagnola, cominciata meno di un anno prima tra i nazionalisti del generale Francisco Franco e i repubblicani guidati dal Fronte Popolar. A compiere il bombardamento furono 24 aerei militari, in buona parte della Luftwaffe, l’aviazione tedesca, e tre dell’esercito italiano: sia Adolf Hitler che Benito Mussolini, infatti, erano alleati delle forze nazionaliste. Questo bombardamento criminale, che cambiò per sempre il modo di fare la guerra, causò una strage di civili inermi. Un reportage del giornalista inglese del "Times", Georghe Stear, dette visibilità internazionale al fatto, attirando così le condanne della politica e della società
Guernica bombardata 
civile occidentale, diventando di fatto il simbolo delle stragi di civili. Quel "nuovo" sistema di fare guerra, bombardando dal cielo, a quel tempo
(ma anche oggi) fu visto  come un evento sommario, le bombe colpivano senza distinzioni civili e militari, senza nessuna regola umana e guerresca che dettasse legge. Un'analisi perfetta a riguardo la fece lo storico inglese Paul Preston: "A Guernica è stata effettuata la prima prova di una chiara strategia: rompere i vecchi limiti morali e le regole della cavalleria del 19° secolo e promuovere la guerra totale, senza regole, che stermina le vite non solo dei militari che prendono le armi ma anche dei familiari che sono rimasti a casa”. La fama di Guernica e di questo infame modo di guerra fu poi amplificata da uno dei più grandi pittori contemporanei: Pablo Picasso, che era già un pittore famosissimo e che nel maggio del 1937, pochi giorni dopo il bombardamento, cominciò a dipingere un’enorme tela, lunga quasi otto metri e alta tre e mezzo. Il governo repubblicano spagnolo gli aveva commissionato un’opera da esporre nel padiglione della Spagna all’esposizione internazionale di Parigi, e lui aveva avuto 
Guernica di Picasso
l’ispirazione dopo il bombardamento. Il quadro, che si intitola "
Guernica", fu apprezzatissimo per la sua capacità di rappresentare il caos e il terrore del bombardamento, ed è diventato probabilmente la più famosa opera d’arte di sempre sulla guerra. Sette anni dopo dai fatti di Guernica, 
in piena seconda guerra mondiale, anche la Garfagnana fu colpita dalla stessa sorte: da una serie impressionante di bombardamenti. La strategia americana in questo caso era molto chiara, bombardare vie di comunicazione ed infrastrutture strategiche e militari e dovunque si credesse, da fonti di intelligence, si potesse nascondere il nemico, in tutto questo però a farne le spese furono soprattutto i civili. La situazione si fece poi ancora più drammatica quando  qui si attestò il fronte della guerra. Gli attacchi aerei in Garfagnana
cominciarono il 18 maggio del 1944, era il Giorno dell'Ascensione. Le prime vittime da bombardamento ci furono invece il 29 giugno per San Pietro e Paolo, l'abitato di Piazza al Serchio fu preso di mira, morirono così le prime 14 persone di una lunga serie. Di fronte a queste significative date il piano americano si manifestava in tutta la sua nefandezza. In quei giorni specifici, in quei luoghi non c'era nessun obiettivo militare perseguibile, erano "solamente" due giorni di festa che a quel tempo venivano celebrati non solo nel calendario liturgico, ma anche in quello civile. La gente era a casa, in famiglia a godersi un giorno di meritato riposo. Quale miglior momento, secondo le cervellotiche strategie militari alleate, ci poteva essere per fiaccare il morale della popolazione se non essere bombardati in un giorno di festa? E difatti così fu... Qualche giorno dopo, il due luglio, cominciarono i primi bombardamenti a tappetto, anche qui era un giorno di festa: domenica. Gli obiettivi stavolta oltre che ad essere palesemente civili, colpirono anche quelli strategici: il bersaglio era la stazione ferroviaria di Castelnuovo Garfagnana. Prima di arrivare a Castelnuovo lo stormo di 12 aerei americani Douglas A-20 Havoc passò prima sopra Gallicano e per la prima volta 
Douglas A-20 Havoc
venne colpito anche questo paese, seminando inevitabilmente morte e distruzione. Nel successivo passaggio sul capoluogo garfagnino i bombardamenti causarono un vero e proprio inferno. Alle ore 11 e 15 del medesimo mattino vennero sganciate 41 bombe da 500 libbre, alcuni minuti dopo altre 91 da 260 libbre. Fra le vittime anche tre bambini. Le persone da quel giorno capirono che sarebbero stati mesi duri e senza tregua. Infatti nei mesi successivi i bombardamenti si intensificarono, i paesi più colpiti furono quelli nel fondovalle, ma anche Camporgiano, dove aveva sede il comando della Divisione Monterosa non fu risparmiato, così come non fu risparmiato l'annesso ospedale militare e quello civile di Castelnuovo, che fu provvisoriamente trasferito nella frazione di Antisciana. Anche altri paesi come Minucciano non furono graziati e 
nei giorni successivi al Natale 1944 una serie di bombardamenti aerei investì i centri abitati del Comune di San Romano. Le uniche frazioni che non vennero colpite furono Orzaglia e Sillicagnana. Si ipotizza che vennero risparmiate per i campanili a cupola delle rispettive chiese, punti di riferimento per l’aviazione alleata. La Villetta rappresentò invece uno dei bersagli principali dell’offensiva militare. Il paese infatti era una delle sedi scelte come base operativa dall’esercito nazista e  questa presenza di truppe tedesche e italiane attirava le squadriglie degli aeroplani
Gallicano bombardata
americani. Nel corso dei bombardamenti di quel maledetto dicembre 1944 e del  successivo febbraio 1945 morirono ben quattro civili. Era sempre in quel lontano dicembre quando un ufficiale italiano raccontò nei suoi diari l'atrocità di uno di questi bombardamenti: " 
Giorno 30 dicembre 1944.
Prosegue ininterrottamente l'offensiva aerea. Gli americani vogliono far pagare a caro prezzo il successo dell'operazione Wintergewitter. 
I cacciabombardieri spezzonano e mitragliano la zona dove sono alloggiate le salmerie della linea pezzi della nostra batteria. Terminata l'incursione ricevo telefonicamente notizia dal sergente Rabitti loro comandante, che non vi sono state perdite. Felice scendo di corsa le scale per recarmi al piano terra e comunicare agli uomini la buona notizia, ma alla porta d'ingresso della costruzione incontro una giovane donna con un bambino in braccio. La mano destra della donna che sorregge la testa del piccolo è sanguinante e il bambino ha la testa sfracellata. La ragazza tutta coperta di sangue è venuta da chi sa dove per cercare soccorso. E' in stato di shock. Questa improvvisa, inaspettata visione mi fa passare in un istante da uno stato di contentezza ad uno stato di sconvolgente costernazione; ho un capogiro, devo appoggiarmi alla costruzione per non cadere per terra, non riesco a guardare" Il piccolo bambino di cui si parla non era un maschietto, ma bensì una dolce femminuccia, era appunto Ada Cassettari figlia di Carlo e di Regoli Silvia, la giovane madre che
Contraeree tedesche
 la teneva in braccio. Ada aveva appena due anni e morì in località Tineggiori (nel comune di Fosciandora) il 30 dicembre '44 dopo un violento bombardamento aereo. Una scheggia attraversò il braccio della mamma che la sosteneva, conficcandosi nella testolina della povera piccola. 
L'assiduità di questi attacchi aerei e il pericolo incombente di perdere la vita  cominciava farsi sentire, la gente abbandonava i paesi e si rifugiava  nei posti più impensati: nelle condotte idroelettriche, nelle gallerie dei treni e naturalmente nei boschi e nelle selve circostanti. D'altronde gli aerei alleati erano gli assoluti padroni del cielo garfagnino, le forze dell'Asse a quel punto del conflitto non avevano forze aeree da impiegare nella valle, la sola forza di contrasto era affidata da batterie contraeree posizionate a Piazza al Serchio, a Pieve Fosciana e in altri luoghi della valle. Queste contraeree però, potevano fare ben poco contro la potenza soverchiante dei Thunderbolt americani e questo fu da subito ben chiaro. A farne le spese maggiori di fronte a questa inaudita potenza fu Castelnuovo e il suo circondario, si calcola che tra il luglio 1944 e l'aprile dell'anno successivo nel capoluogo garfagnino ci furono più di 70 incursioni aeree, la più drammatica di queste incursioni ci fu appena a due mesi dalla fine della guerra. Il 13 febbraio '45 accadde il bombardamento più drammatico, quello che lascerà il bilancio più pesante in tutta la lucchesia. I cacciabombardieri cercando forse di colpire una postazione di artiglieria tedesca non lontana dal centro della cittadina, colpirono invece un improvvisato rifugio antiaereo in località Novicchia: morirono trenta persone. Ovviamente come succede in tutti i
Castelnuovo
bombardamenti della storia non rimane che sottolineare una cosa. Anche in questo caso gli obiettivi militari centrati da queste bombe che provenivano dal cielo furono esigui, a pagare il prezzo maggiore furono civili inermi. Per rendere chiaro a tutti i miei lettori questo concetto basta elencare solo i dati di quel tempo di Castelnuovo Garfagnana: si calcolò che ci fu un 80% di danni ai fabbricati e alle case, quattromila sinistrati, 862 persone da assistere, di cui 288 di età inferiore ai 15 anni...


Bibliografia
  • "I bombardamenti su Castelnuovo" Istituto storico della Resistenza e dell'Età contemporanea. Provincia di Lucca
  • "L'incubo dei bombardamenti aerei" di Marioo Pellegrineschi https://digilander.libero.it/mariopellegrinetti/aereicaduti.htm#
  • Comune di San Romano Garfagnana "26 dicembre 1944. Il Bombardamento di Villetta"
  • Le foto riguardanti Castelnuovo mi sono state inviate gentilmente da Nicola Simonetti
  • La foto riguardante Gallicano è stata tratta dal libro fotografico "Gallicano in Garfagnana" di Daniele Saisi  

mercoledì 2 marzo 2022

I giochi di una volta in Garfagnana. Quali erano e la loro storia

C'è poco da fare, il gioco da sempre è l'espressione più autentica
della cultura umana, come fra poco leggerete, l'attività cosiddetta ludica è figlia del tempo che trascorre, passa e scorre fra i millenni e si adatta come un guanto al contesto sociale in cui si svolge. Pertanto il recupero dei giochi tradizionali rappresenta senza dubbio la riscoperta della propria storia, delle proprie origini e del senso di appartenenza. Lo stesso Platone, al pari di un pedagogo moderno affermava che il gioco era utilissimo per la formazione dell'infante, in special modo in quelle attività svolte in gruppo e che privilegiavano il movimento. Sempre ed a proposito di antiche civiltà evolute anche i nostri cari romani, attraverso "la penna" di Cicerone, Marziale e Orazio ci parlavano di giochi che sono pervenuti ai nostri bambini a distanza di oltre duemila anni. L'oscuro medioevo e più che altro la Chiesa contrastò invece in maniera netta sia i giochi per adulti che per i bambini: "I giochi sono oggetti demoniaci, fatti apposta per distogliere l'attenzione del credente
dal pensiero di Dio
". I tempi passavano e per fortuna cambiò anche il modo di vedere e pensare sulle cose e fu verso il 1400 che si trovò un atteggiamento più tollerante verso i giochi, rimanevano infatti proibiti quelli d'azzardo e per i più piccoli si prediligevano giochi che prevedevano l'attività motoria come la corsa e il salto, tutto però si doveva svolgere sotto l'occhio attento dell'adulto che doveva guidare il gioco per renderlo "morale". Bisogna attendere l'età moderna per vedere la sublimazione del gioco. L'illuminismo prende campo in tutta Europa, questa nuova forma di pensiero voleva illuminare la mente degli uomini, ottenebrata da secoli da ignoranza e superstizione, e così anche alle attività giocose gli venne attribuito un rinnovato  significato improntato sui valori pedagogici, sociali e civili. Anche i giochi dei bambini garfagnini nel corso dei secoli che passavano si sono adattati alla società del tempo, per secoli siamo stati una collettività povera e con pochi mezzi e come in tutte in tutte le collettività povere i bambini si costruivano da soli i loro giochi con i materiali che c'erano a loro disposizione, sennò era proprio la fantasia che diventava una materia
primaria. I giochi si facevano per strada o negli spazi che la natura concedeva. Per altro quello che si può affermare con sicurezza è che non esiste un gioco tipico garfagnino, visto che molti giochi sono praticati in modo simile in molte regioni della Terra. Ci sono svaghi come "il gioco dell'anello", la trottola o "mosca cieca" che si riscontrano in altre nazioni d'Europa, ma non solo, anche in Africa, fra i Pellerossa americani, o nelle tribù selvagge dell'Oceania. Questo dimostra che questi giochi hanno un fondo comune di tradizione. Guardiamo ad esempio il "nascondino" o "rimpiattino" che dir si voglia. Ci abbiamo giocato tutti, proprio tutti se le prime notizie di questo gioco si hanno da Polluce nel II secolo, quando nella Magna Grecia veniva chiamato "apodidraskinda" (fuggire,
scappare, nascondersi). In Garfagnana esisteva una variante detta "bombolo": "il bomba libera tutti" consisteva nel dare un calcio ad un barattolo che veniva sorvegliato attentamente da colui che doveva cercare i bambini nascosti. Sicuramente uno dei più appassionanti e divertenti era "il gioco del fazzoletto" o detto anche "bandiera". Il passatempo nasce da antichi addestramenti militari dove venivano misurate le attitudini guerresche, a volte infatti vinceva il più veloce, altre ancora il più scaltro o anche il più bravo a bluffare. Anche la stessa simbologia richiama il militarismo: togliere il simbolo di riferimento di chi combatte contro di te e impadronirsi del suo vessillo. Insomma, qui non vigeva
la legge del più forte, ma quella del più abile. Si rifà anche ad antiche origini il gioco della "Mosca Cieca", lo citava già nel V secolo lo scrittore romano Macrobio, chiamandolo "mosca di rame". A quanto pare Roma ha dato i natali anche ad un altro gioco, un gioco diventato veramente internazionale: in Brasile si chiama "amarelinha", in Vietnam "cò, cò", in Germania "Ichelkasten", in Italia "Campana" o "Mondo". Oggi non lo si vede giocare più da nessuna parte, ma sicuramente era già praticato ai tempi dei romani. Il classico disegno dove si saltellava da una casella all'altra è rappresentato a Roma sulla pavimentazione del Foro Romano, a quel tempo si chiamava "claudus" cioè "lo zoppo" (chiaro il riferimento di saltare su un
piede solo). Questa internazionalità è dovuta proprio alle conquiste romane che portarono gli stessi soldati ad insegnare questo gioco da cortile.
 E chi da bambino non ha giocato al girotondo? Ve la ricordate la celebre filastrocca che accompagnava il gioco? Sicuramente si! Il suo significato però non aveva niente di allegro. La filastrocca vanta una tradizione lunga almeno tre secoli ed è originaria dell'Inghilterra, infatti la vera canzone è in lingua inglese e parla di rose da odorare e di cadere tutti per terra. Quello che però racconta ha dell'orribile e risale ai tempi più bui della Gran Bretagna: la Grande Peste del 1665. Infatti i morti erano talmente tanti da invadere le strade e le persone quando giravano si portavano al naso dei sacchettini con dentro petali di
rosa o fiori profumati per non sentire il tanfo dei cadaveri in putrefazione. In quel tempo nacque la famosa filastrocca che aveva lo scopo di far accettare la morte ai più piccoli e quindi esorcizzarla, da qui le strofe "Casca la terra", "Tutti giù per terra"
. Esistevano poi tutti quei giochi che richiedevano uno "strumento". Naturalmente questo strumento era fatto in casa o con quello che la natura offriva. La fionda difatti era immancabile per ogni ragazzino del tempo. Tutti i bambini si costruivano una fionda, per cacciare gli uccelli o per i tiri di precisione. Per costruirla veniva utilizzato un ramo biforcuto e due elastici ricavati dalle camere d'aria delle ruote della bicicletta. Anche la trottola faceva parte di questi giochi che si costruivano.
I ragazzi
facevano vere e proprie competizioni per vedere chi riusciva a farla girare più a lungo. Molti di loro si procuravano il legno per la trottola e il falegname col tornio la creava
. A volte succedeva che qualche trottola fragile si spaccava e quindi rabbia e lacrime del perdente e le risate degli altri, per non correre simili rischi si ricorreva a trottole di legno molto duro. Il gioco dei tappini è il gioco più moderno, il passatempo è tipicamente italiano ed è nato nel nostro  secondo dopoguerra, in seguito alla grande diffusione dei tappi a corona. In emulazione delle corse ciclistiche, era anche diffusa l'usanza di ritagliare dai giornali i volti dei corridori preferiti e incollarli, in questo modo il giocatore otteneva la personalizzazione del proprio tappo. Si potrebbe ancora continuare a scrivere pagine e pagine sui vecchi giochi di una volta, mi limito però di far notare che nessuno di questi giochi qui sopra descritti
viene giocato più. Nella nostra epoca siamo riusciti anche in questo, a far scomparire giochi che hanno resistito alle guerre, alle catastrofi naturali e al peso della storia. Oggi tutto il gioco dei bambini sta su una semplice console... 

mercoledì 23 febbraio 2022

Si viveva meglio nella Garfagnana di inizio secolo scorso o adesso? Curiosa analisi storico- culturale del tempo che fu...

Si viveva meglio nella Garfagnana di inizio secolo scorso o nella
Garfagnana del 2022? Era più longevo un contadino garfagnino o un operaio della valle del XXI secolo? Era preferibile abitare negli sperduti borghi di una volta o nei paesi di adesso? In definitiva si viveva meglio in passato? Vale sempre la regola del "bei mi tempi"? Non è facile rispondere a tutte queste domande, anche se, e ne sono convinto, se provassimo a viaggiare nel tempo alla scoperta della vita quotidiana di epoche e paesi diversi avremmo delle belle sorprese. Innanzitutto cominciamo con il dire che per fornire una risposta scientifica, storici e statistici preferiscono affidarsi ad alcuni indici che misurano la qualità della vita. Questi indicatori si basano su alcuni parametri confrontabili, di questi parametri ne esistono a decine, ma i più importanti riguardano la salute, la sanità, le condizioni del lavoro, la sicurezza, la giustizia e l'alfabetizzazione. Il periodo preso in esame per fare il raffronto con i giorni nostri è il XX secolo. Lo scorso secolo fu un epoca che segnò per sempre la storia dell'umanità, sia nel bene che nel male: due guerre mondiali, grandi innovazioni ed invenzioni, vaccini, antibiotici e così via. Guardando più nel particolare la nostra Nazione nel primo censimento del 1901 eravamo quasi 33 milioni di abitanti (oggi quasi 60
milioni), questa popolazione di media campava circa 60 anni (oggi 81 l'uomo e 83 la donna) ed era formata dal 50,3% da uomini e dal 49,7% da donne. Questo dato deve far riflettere, poichè in tempi di benessere è statistico che le donne sono sempre più numerose degli uomini (visto che vivono di più) e la probabile causa della suddetta anomalia era dovuta alle cosiddette morti "post partum", infatti queste povere donne spesso morivano di parto e talvolta, la solita fine la faceva il bimbo che portavano in grembo. A conferma di questo è il numero mostruoso dei neonati decessi, circa 46 mila perivano al momento della nascita (o comunque perivano poco dopo), oggi sono "solo" 2084 i bambini che muoiono nei primi cinque anni di vita. A casa nostra (in Garfagnana), il primo dato che anche qui balza agli occhi è riferito al numero degli abitanti e se in Italia (come abbiamo appena letto) eravamo molti di meno, in Garfagnana (sempre in quel tempo) eravamo molti di più: ben 46.916, contro gli attuali quasi trentamila. La dimostrazione palese di questa dato era il numero dei componenti familiari, la media garfagnina fino agli anni '50 era fatta da sei persone (all'interno di essa non c'erano solo i figli, ma i nonni e le zie zitelle), la
media attuale è invece di 2,3 persone. 
Di fronte a questi numeri penso che sia chiaro che l'attività principale era l'agricoltura: 8573 maschi e 3912 donne per un totale di 12.485 erano le persone impiegate "in qualità di contadini o coloni", da aggiungere a tutti questi, i piccoli proprietari che lavoravano direttamente il proprio terreno, sommando questo dato si può affermare che gli addetti all'agricoltura erano i due quinti dei residenti. Nell'industria, nei mestieri e nell'artigianato lavoravano 2416 uomini e 501 donne, numeri questi destinati a crescere dato che le cose cambieranno totalmente nel 1916, quando a Fornaci di Barga aprirà la Società Metallurgica Italiana, meglio conosciuta come S.M.I. Che dire allora? Stress e super lavoro sembrano le malattie dell'uomo moderno, ma siamo proprio così sicuri? Fino a qualche decina di anni fa (metà del 1900) una larga fetta di garfagnini era adibita ai pesanti lavori nelle campagne, sulle proprie spalle si sobbarcavano circa 11 ore al giorno di fatica per tutto l'anno, con rari momenti di festività. Nel cosiddetto  "fabbricone" lo sforzo non era da meno, vigevano turni massacranti e senza regole. E quando oggi diciamo che andremo in pensione con una misera 
Vecchia foto della S.M.I
rendita, in quell'epoca la pensione come la intendiamo oggi non c'era, infatti
 fra tutti questi lavoratori coloro che godevano di pensione erano 44. E i bambini come se la passavano? Saranno andati a scuola? Direi proprio di no... I dati scolastici garfagnini difatti mettevano i brividi. Gli studenti e i seminaristi erano 1003 maschi e 1032 femmine, un numero veramente bassissimo. Eppure le scuole elementari in Garfagnana erano tantissime, ben 122, ma i bambini che la frequentavano erano pochissimi. Consideriamo che la riforma della scuola secondo la legge Coppino del 1877 prevedeva l'obbligo fino alla terza elementare e la facoltà di arrivare fino alla quinta  classe (ed eventualmente anche oltre), ma purtroppo il 65% dei bambini abbandonava l'istruzione finita l'obbligatorietà. Naturalmente con i decenni che passavano la situazione cambiò... Ma cambiò molto tardi. Per fare un esempio in Italia si è passati dal 54,3 % di analfabeti all'inizio del
secolo XX, al 20,8 % del 1921, al 2,8 del 1981, a circa il 2 % del 1991. Lasciamo perdere adesso i noiosi numeri e guardiamo quella vita da un punto di vista esclusivamente pratico... La sveglia in Garfagnana cari dormiglioni era all'alba, i contadini che lavoravano nei campi dovevano sfruttare più ore di luce possibile per lavorare (ricordo che questa abitudine salvò numerosissime vite nel celeberrimo terremoto del 1920 di Villa Collemandina, visto che, quando alle 7:56 del mattino arrivò la fatale scossa la maggior parte delle persone era già nei campi da diverse ore), per lavarsi, niente doccia calda, c'era infatti l'acqua del pozzo, in alternativa quella del fiume. Sempre ed a proposito di bagno il problema si presentava quando scappava forte, il bagno in casa era ancora un miraggio, la toilette era infatti una turca esterna all'abitazione, al limite un secondo bagno era nella stalla degli animali e se i bisogni scappavano la notte c'era il famoso vaso. Naturalmente la lavatrice non esisteva, i panni si lavavano in fiume, nei torrenti o nei lavatoi del paese, sia d'estate che d'inverno, a conferma di questo ancora oggi nella toponomastica garfagnina ci sono tuttora molte "Via Serchio",
proprio in memoria di quella strada che portava al fiume
 decine e decine di donne con la cesta dei panni in testa. Nemmeno il frigorifero esisteva, il cibo si conservava nelle fredde cantine o nel ghiaccio che veniva venduto porta a porta. Tutto questo anche perchè l'elettricità arrivò già a secolo inoltrato. Candele e lampade ad olio erano le lampadine di quel tempo. Comunque sia tutte queste comodità arriveranno nella valle abbastanza stabilmente fra la fine degli anni '50 e gli inizi degli anni '60 del 1900. E figuriamoci allora se si poteva parlare di riscaldamento nelle case... Pensiamo a quello che erano gli inverni garfagnini di quel tempo la. Gli inverni erano molto più rigidi di adesso, per scaldarsi di solito nelle case era presente il camino nella stanza principale, che però faceva calore solo in quell'ambiente lì, quindi niente bocchette d'areazione che mandavano il calduccio nelle altre stanze, anzi il resto della casa e soprattutto le camere che erano ai piani superiori erano a dir poco gelide. E da un punto di vista sanitario che dire? Gli ospedali c'erano, ma erano lontani dai piccoli borghi garfagnini, per trasportare lo sventurato all'ospedale più vicino c'erano le carrozze e i barrocci a patto però che in paese arrivasse una sorta di strada, se al posto della strada c'era una cosiddetta mulattiera il malato veniva trasportato su una lettiga improvvisata alla strada più vicina, di li la carrozza avrebbe proseguito la sua strada. Capirete voi che vista la situazione molti rimedi sanitari erano fatti in casa dalle anziane del paese, che in buona parte supplivano al medico, i bambini infatti nascevano in casa e se per caso avevi il mal di denti erano veramente dolori... i denti si toglievano senza anestesia, anzi l'anestesia c'era, era la grappa fatta in casa l'anno prima... Insomma, la conclusione di tutta questa analisi ci dice che era tutto un tribolo, un malessere ed un tormento, dunque molto meglio adesso direte voi. Cos'era allora che ai nostri nonni e bisnonni gli faceva dire: "si stava meglio, quando si stava peggio"? Io ci ho pensato e direi che era una cosa sola, importante e fondamentale: l'umanità. La fratellanza, la solidarietà, l'aiuto reciproco erano cose su cui non si scherzava. Erano i valori assoluti di un mondo povero ma più umano e che oggi è perduto e questi fondamentali valori non te li calcola  nessun freddo dato statistico. Si, è vero, una volta si viveva peggio, ma quella vita malgrado mille difficoltà era serena, tranquilla e limpida.
Alla fine possiamo dire che una volta erano poveri di tutto, ma anche la povertà veniva vissuta con dignità anche nelle piccole cose. Si aggiustava tutto perchè di ogni cosa si capiva il valore. Oggi invece viviamo nella società dell'usa e getta. Nulla si aggiusta più, si butta via tutto: sedie, ombrelli, televisori... amicizie, amori e persone.


Bibliografia

  • "Censimento della popolazione del Regno d'Italia" 10 febbraio 1901. Volume V. Direzione Generale di Statistica. Roma
  • "15° Censimento generale della popolazione e delle abitazioni 2011" Ufficio stampa ISTAT
  • "La Garfagnana" di Augusto Torre. Articolo pubblicato su "La Voce", 26 ottobre-2 novembre 1911