mercoledì 23 febbraio 2022

Si viveva meglio nella Garfagnana di inizio secolo scorso o adesso? Curiosa analisi storico- culturale del tempo che fu...

Si viveva meglio nella Garfagnana di inizio secolo scorso o nella
Garfagnana del 2022? Era più longevo un contadino garfagnino o un operaio della valle del XXI secolo? Era preferibile abitare negli sperduti borghi di una volta o nei paesi di adesso? In definitiva si viveva meglio in passato? Vale sempre la regola del "bei mi tempi"? Non è facile rispondere a tutte queste domande, anche se, e ne sono convinto, se provassimo a viaggiare nel tempo alla scoperta della vita quotidiana di epoche e paesi diversi avremmo delle belle sorprese. Innanzitutto cominciamo con il dire che per fornire una risposta scientifica, storici e statistici preferiscono affidarsi ad alcuni indici che misurano la qualità della vita. Questi indicatori si basano su alcuni parametri confrontabili, di questi parametri ne esistono a decine, ma i più importanti riguardano la salute, la sanità, le condizioni del lavoro, la sicurezza, la giustizia e l'alfabetizzazione. Il periodo preso in esame per fare il raffronto con i giorni nostri è il XX secolo. Lo scorso secolo fu un epoca che segnò per sempre la storia dell'umanità, sia nel bene che nel male: due guerre mondiali, grandi innovazioni ed invenzioni, vaccini, antibiotici e così via. Guardando più nel particolare la nostra Nazione nel primo censimento del 1901 eravamo quasi 33 milioni di abitanti (oggi quasi 60
milioni), questa popolazione di media campava circa 60 anni (oggi 81 l'uomo e 83 la donna) ed era formata dal 50,3% da uomini e dal 49,7% da donne. Questo dato deve far riflettere, poichè in tempi di benessere è statistico che le donne sono sempre più numerose degli uomini (visto che vivono di più) e la probabile causa della suddetta anomalia era dovuta alle cosiddette morti "post partum", infatti queste povere donne spesso morivano di parto e talvolta, la solita fine la faceva il bimbo che portavano in grembo. A conferma di questo è il numero mostruoso dei neonati decessi, circa 46 mila perivano al momento della nascita (o comunque perivano poco dopo), oggi sono "solo" 2084 i bambini che muoiono nei primi cinque anni di vita. A casa nostra (in Garfagnana), il primo dato che anche qui balza agli occhi è riferito al numero degli abitanti e se in Italia (come abbiamo appena letto) eravamo molti di meno, in Garfagnana (sempre in quel tempo) eravamo molti di più: ben 46.916, contro gli attuali quasi trentamila. La dimostrazione palese di questa dato era il numero dei componenti familiari, la media garfagnina fino agli anni '50 era fatta da sei persone (all'interno di essa non c'erano solo i figli, ma i nonni e le zie zitelle), la
media attuale è invece di 2,3 persone. 
Di fronte a questi numeri penso che sia chiaro che l'attività principale era l'agricoltura: 8573 maschi e 3912 donne per un totale di 12.485 erano le persone impiegate "in qualità di contadini o coloni", da aggiungere a tutti questi, i piccoli proprietari che lavoravano direttamente il proprio terreno, sommando questo dato si può affermare che gli addetti all'agricoltura erano i due quinti dei residenti. Nell'industria, nei mestieri e nell'artigianato lavoravano 2416 uomini e 501 donne, numeri questi destinati a crescere dato che le cose cambieranno totalmente nel 1916, quando a Fornaci di Barga aprirà la Società Metallurgica Italiana, meglio conosciuta come S.M.I. Che dire allora? Stress e super lavoro sembrano le malattie dell'uomo moderno, ma siamo proprio così sicuri? Fino a qualche decina di anni fa (metà del 1900) una larga fetta di garfagnini era adibita ai pesanti lavori nelle campagne, sulle proprie spalle si sobbarcavano circa 11 ore al giorno di fatica per tutto l'anno, con rari momenti di festività. Nel cosiddetto  "fabbricone" lo sforzo non era da meno, vigevano turni massacranti e senza regole. E quando oggi diciamo che andremo in pensione con una misera 
Vecchia foto della S.M.I
rendita, in quell'epoca la pensione come la intendiamo oggi non c'era, infatti
 fra tutti questi lavoratori coloro che godevano di pensione erano 44. E i bambini come se la passavano? Saranno andati a scuola? Direi proprio di no... I dati scolastici garfagnini difatti mettevano i brividi. Gli studenti e i seminaristi erano 1003 maschi e 1032 femmine, un numero veramente bassissimo. Eppure le scuole elementari in Garfagnana erano tantissime, ben 122, ma i bambini che la frequentavano erano pochissimi. Consideriamo che la riforma della scuola secondo la legge Coppino del 1877 prevedeva l'obbligo fino alla terza elementare e la facoltà di arrivare fino alla quinta  classe (ed eventualmente anche oltre), ma purtroppo il 65% dei bambini abbandonava l'istruzione finita l'obbligatorietà. Naturalmente con i decenni che passavano la situazione cambiò... Ma cambiò molto tardi. Per fare un esempio in Italia si è passati dal 54,3 % di analfabeti all'inizio del
secolo XX, al 20,8 % del 1921, al 2,8 del 1981, a circa il 2 % del 1991. Lasciamo perdere adesso i noiosi numeri e guardiamo quella vita da un punto di vista esclusivamente pratico... La sveglia in Garfagnana cari dormiglioni era all'alba, i contadini che lavoravano nei campi dovevano sfruttare più ore di luce possibile per lavorare (ricordo che questa abitudine salvò numerosissime vite nel celeberrimo terremoto del 1920 di Villa Collemandina, visto che, quando alle 7:56 del mattino arrivò la fatale scossa la maggior parte delle persone era già nei campi da diverse ore), per lavarsi, niente doccia calda, c'era infatti l'acqua del pozzo, in alternativa quella del fiume. Sempre ed a proposito di bagno il problema si presentava quando scappava forte, il bagno in casa era ancora un miraggio, la toilette era infatti una turca esterna all'abitazione, al limite un secondo bagno era nella stalla degli animali e se i bisogni scappavano la notte c'era il famoso vaso. Naturalmente la lavatrice non esisteva, i panni si lavavano in fiume, nei torrenti o nei lavatoi del paese, sia d'estate che d'inverno, a conferma di questo ancora oggi nella toponomastica garfagnina ci sono tuttora molte "Via Serchio",
proprio in memoria di quella strada che portava al fiume
 decine e decine di donne con la cesta dei panni in testa. Nemmeno il frigorifero esisteva, il cibo si conservava nelle fredde cantine o nel ghiaccio che veniva venduto porta a porta. Tutto questo anche perchè l'elettricità arrivò già a secolo inoltrato. Candele e lampade ad olio erano le lampadine di quel tempo. Comunque sia tutte queste comodità arriveranno nella valle abbastanza stabilmente fra la fine degli anni '50 e gli inizi degli anni '60 del 1900. E figuriamoci allora se si poteva parlare di riscaldamento nelle case... Pensiamo a quello che erano gli inverni garfagnini di quel tempo la. Gli inverni erano molto più rigidi di adesso, per scaldarsi di solito nelle case era presente il camino nella stanza principale, che però faceva calore solo in quell'ambiente lì, quindi niente bocchette d'areazione che mandavano il calduccio nelle altre stanze, anzi il resto della casa e soprattutto le camere che erano ai piani superiori erano a dir poco gelide. E da un punto di vista sanitario che dire? Gli ospedali c'erano, ma erano lontani dai piccoli borghi garfagnini, per trasportare lo sventurato all'ospedale più vicino c'erano le carrozze e i barrocci a patto però che in paese arrivasse una sorta di strada, se al posto della strada c'era una cosiddetta mulattiera il malato veniva trasportato su una lettiga improvvisata alla strada più vicina, di li la carrozza avrebbe proseguito la sua strada. Capirete voi che vista la situazione molti rimedi sanitari erano fatti in casa dalle anziane del paese, che in buona parte supplivano al medico, i bambini infatti nascevano in casa e se per caso avevi il mal di denti erano veramente dolori... i denti si toglievano senza anestesia, anzi l'anestesia c'era, era la grappa fatta in casa l'anno prima... Insomma, la conclusione di tutta questa analisi ci dice che era tutto un tribolo, un malessere ed un tormento, dunque molto meglio adesso direte voi. Cos'era allora che ai nostri nonni e bisnonni gli faceva dire: "si stava meglio, quando si stava peggio"? Io ci ho pensato e direi che era una cosa sola, importante e fondamentale: l'umanità. La fratellanza, la solidarietà, l'aiuto reciproco erano cose su cui non si scherzava. Erano i valori assoluti di un mondo povero ma più umano e che oggi è perduto e questi fondamentali valori non te li calcola  nessun freddo dato statistico. Si, è vero, una volta si viveva peggio, ma quella vita malgrado mille difficoltà era serena, tranquilla e limpida.
Alla fine possiamo dire che una volta erano poveri di tutto, ma anche la povertà veniva vissuta con dignità anche nelle piccole cose. Si aggiustava tutto perchè di ogni cosa si capiva il valore. Oggi invece viviamo nella società dell'usa e getta. Nulla si aggiusta più, si butta via tutto: sedie, ombrelli, televisori... amicizie, amori e persone.


Bibliografia

  • "Censimento della popolazione del Regno d'Italia" 10 febbraio 1901. Volume V. Direzione Generale di Statistica. Roma
  • "15° Censimento generale della popolazione e delle abitazioni 2011" Ufficio stampa ISTAT
  • "La Garfagnana" di Augusto Torre. Articolo pubblicato su "La Voce", 26 ottobre-2 novembre 1911



mercoledì 16 febbraio 2022

Le antiche lavorazioni. Quando in Garfagnana si produceva la seta

La vera protagonista di tutto è lei: la "Bombix Mori"... A molti il nome scientifico di questa specie di falena dirà ben poco, visto che la sua origine è data nei lontanissimi Paesi dell'Asia centro orientale. Certo la cosa cambia nel dirvi che la larva di questa farfalla è da tutti conosciuta come "baco da seta". Il piccolo baco è un gran lavoratore, produce la seta da due ghiandole che sono collocate all'interno del corpo. La seta è costituita da proteine raccolte nelle sue ghiandole, che fa uscire da aperture situate ai lati della bocca. Questa specie di bava è sottilissima e una volta che viene a contatto con l'aria si solidifica e, guidata dai movimenti della sua "testolina" si dispone in strati, formando un bozzolo di seta grezza, costituito da un singolo filo continuo di lunghezza variabile fra i 300 e i 900 metri. Il baco impiega 3-4 giorni per preparare il bozzolo, formato da circa 20-30 strati concentrici costituiti da un unico filo ininterrotto. Questi animaletti, oltretutto, sono dei grandi "mangioni", mangiano foglie di gelso giorno e notte, senza
interruzione e di conseguenza crescono rapidamente. Di tutto questo gran lavorio se ne accorse casualmente, così come leggenda racconta, l'imperatrice cinese Xi Ling Shi. Era il 4000-3000 a.C quando sua altezza imperiale nel bere il suo quotidiano tè all'ombra di un gelso, si accorse che un bozzolo gli era caduto accidentalmente nella sua tazza bollente e fu proprio grazie al calore di quella bevanda che si rese conto del filamento che se ne poteva ricavare. Da quel giorno l'allevamento dei bachi e la procedura della lavorazione dei bozzoli per secoli e secoli furono procedimenti tenuti segreti dagli imperatori cinesi che ambivano a mantenere il monopolio della produzione e della vendita di questo pregiatissimo manufatto. Verso il 550 d.C il segreto non fu più un segreto, il mondo si era aperto ai mercanti che cominciarono a fare bei soldoni con questo prezioso tessuto. Fu così che questi mercanti cinesi fecero apprezzare le qualità della seta ai paesi confinanti e di li piano piano la conoscenza di questa lavorazione arrivò anche in Europa. La storia ci racconta che furono dei monaci agli ordini dell'imperatore bizantino Giustiniano che portarono a Costantinopoli dal lontano oriente delle uova di baco, nascoste nella parte cava di alcune canne di bambù. A quanto pare fu però un principe normanno ad introdurre il baco da seta in Italia. Era verso
l'anno 1100 quando tramite gli arabi, il principe Ruggero II portò in Sicilia ed in Calabria questa nuova produzione. D
a queste due regioni ben presto l'elaborazione della seta si sparse in tutto il Paese e in circa due secoli l'Italia divenne il maggior centro europeo della lavorazione della seta. Como, Bologna e soprattutto Lucca divennero le principali protagoniste nell'arte della seta. Ma perchè proprio Lucca? La città aveva la grande fortuna di trovarsi sulla Via Francigena, una strada, come ben si sa, che collegava tutto il traffico della Pianura Padana e dei Paesi d'oltralpe verso la tomba dell'apostolo Pietro in quel di Roma. Per altro Lucca, per questi pellegrini, era meta di sosta per coloro che volevano far visita al Volto Santo. Fra i devoti della Santa Immagine c'erano anche mercanti di lana grezza e di seta, dai quali i lucchesi impararono le tecniche di lavorazione di questo nuovo e straordinario tessuto. Una volta appresi tutti i segreti di questa produzione giurarono poi di non confidarli mai a nessuno e per nessuna ragione al mondo. Fra l'altro rimaneva un mistero anche la sapiente procedura della colorazione della seta, abilità in cui i lucchesi divennero esperti maestri. Alla base di tutto c'era però il fondamentale allevamento dei bachi da seta. Fino agli inizi del 1300 questa pratica non era assolutamente esercitata in Toscana, la grave
"Lavorazione della seta"
pittore Barsotti
Archivio di Stato Lucca
mancanza fu ben presto risolta e l'attività cominciò (anche) in una lontana e remota parte della Repubblica lucchese. Questo luogo era in Garfagnana e Gallicano e il paese di Verni erano i più importanti territori deputati a questa difficile coltura. La scelta di installare nella Vicaria di Gallicano la lavorazione della seta non fu dovuta certamente a qualche abilità particolare dei gallicanesi o degli abitanti di Verni, tutt'altro, la circostanza si rifaceva a due sostanziali motivi. Il primo era di natura opportunistica: a Gallicano esistevano già delle fabbriche tessili, in questo modo non ci sarebbe stato bisogno di cercare altri telai altrove. Il secondo e più considerevole motivo era di carattere puramente economico. La Vicaria alla fine del 1500 si trovava in gravi difficoltà finanziarie per le grandi carestie di segale, frumento e castagne e per il costoso mantenimento delle soldatesche, di fondamentale importanza poichè il paese era zona di confine con il Ducato di Modena. Per questi motivi Gallicano contrasse molti debiti con la stessa Repubblica di Lucca, con i privati cittadini e soprattutto con la Corte dei Mercanti. Infatti si ha notizia da fonti di archivio che il consiglio gallicanese, di frequente inviava a Lucca dei messi in cerca di aiuti, con la promessa che questi sarebbero stati ripagati con i nuovi raccolti. Ma nonostante gli sforzi, i bandi di proibizione di trasportare fuori del territorio pani, pattone e castagne e il vile censimento per
Gallicano
controllare i raccolti, non fu mai possibile pareggiare i debiti contratti. Ad ogni modo gli esosi mercati lucchesi non sentirono discussioni, decisero così che i gallicanesi avrebbero pareggiato il loro debito con la lavorazione della seta e l'allevamento del baco per loro conto. Si iniziò così in quel lontano periodo l'allevamento di questo insetto, furono così piantati i gelsi e prese vita nelle case della comunità la produzione dei bozzoli. Le uova perchè si sviluppassero meglio con caldo costante e umidità necessaria, per dieci giorni venivano tenute in seno da alcune donne, racchiuse in sacchetti di stoffa; quindi una volta schiusesi le uova, i bachi venivano poste sui "cannicci" in stanze apposite. I "cannicci" erano sorretti da quattro colonne di legno alla distanza di 50 centimetri l'uno dall'altro e sopra di essi veniva sparsa la foglia di gelso. Dopo varie mute il baco compiva il suo sviluppo ed era pronto per la formazione del bozzolo, si facevano così delle fascine di stipa, affinchè le bave potessero attaccarsi e formare in questa maniera il bozzolo. Si passava poi alla raccolta e alla lavorazione. Il bozzolo veniva così messo in acqua bollente in modo che la crisalide morisse, una volta morta l'operaio poteva trovare il capo del filo. Si passava poi alla "torcitura", era prima necessario ripassare la seta in acqua calda per eliminare tutte le impurità, dopodichè una volta raffreddata si staccavano i filamenti e si procedeva alla torcitura di tre fili. Con l'umidità i fili s'incollavano e rimanevano
resistenti e compatti. Il passaggio successivo era la tessitura. La seta usciva dai telai grezza e per sbiancarla doveva essere sottoposta a trattamenti particolari. Ogni bozzolo produceva cento metri di filo! Come avete letto tutta la lavorazione aveva un procedimento lungo, laborioso e complicato, proprio per questo, su tutto ciò si celava il più grande riserbo, guai allora per chiunque osasse portare il segreto fuori dalle mura del paese: "Per parte e comandamento dei Signori Giudici e Consoli dell'abbondanza e magnifica città di Lucca, si fa bandire pubblicamente e notificare ciascuna persona di stato grado condizione si sia che non ardisca fuori dalle mura castellane, dare ed assegnare seta tranne alle maestre (n.d.r: le donne addette alla lavorazione)che la trarranno in loco di lavoro. La consegnazione della seta si debba fare drento alla città di Lucca". Così, nel 1593 deliberò il Consiglio della Vicaria di Gallicano, sarebbe stato cacciato dal paese chiunque avesse fatto uscire seta dalle porte
 del castello... Anche gli stessi lavoratori della seta aveva delle severe limitazioni, infatti si potevano tenere in casa non più di due mazzi di seta per volta. Coloro che invece la seta andavano a ritirarla a Lucca dovevano tenere un libro per il carico e lo scarico del tessuto, un altro libro in cui notificare tale trasporto da riconsegnare ai commissari del podestà, ed un terzo libro tenuto per il pagamento delle tasse. Dulcis in fundo, il podestà faceva giurare i maestri, le maestre e gli ufficiali addetti, di dare un vero
resoconto ai proprietari della seta. Su questo leitmotiv le leggi gallicanesi sulla lavorazione della seta continueranno negli anni, segno che, questa manifattura non fu un fatto sporadico. Anno di Grazia 1605: "...che persona alcuna ardisca vendere, comprare o mercatare seta fuori dalle mura, pena 50 scudi. Che non si possono possa portar fuori dallo Stato stracci di seta, acce, e bozzoli forati...". Insomma era il periodo del trionfo della seta. Nella Repubblica di Lucca l'apice di questa industria fu dal XIII secolo al XVI, un lungo periodo, figuriamoci che durante la Signoria di Paolo Guinigi (1400-1430) nella Repubblica di Lucca c'erano tremila telai che davano lavoro a dodicimila persone. Attilio Giovanni Arnolfini (idrologo e scrittore lucchese)  scrisse che all'inizio del 1500 si esportavano da Lucca 1440 casse contenenti libbre 36.000 di seta, pari ad un guadagno di cinquecentomila scudi. Con i secoli che passavano piano piano il grosso giro di affari cominciò però a ridursi. All'inizio del 1700 i telai attivi erano rimasti 700. Nel 1767 erano già meno della metà. La grande concorrenza di stati nazionali e di città come Venezia avevano ormai messo in ginocchio una delle industrie più fiorenti della storia della Repubblica lucchese. E a Gallicano e a Verni la storia come finì? In questi paesi garfagnini seppero
riadattarsi in maniera a dir poco egregia. I telai non furono assolutamente abbandonati, anzi, furono risistemati per nuove lavorazioni. L'intensificarsi della coltivazione della canapa dava ottimi risultati. Cominciò così la produzione di biancheria pregiata dei corredi, quei corredi che ancora oggi (grazie alle nostre nonne) sono ancora nelle nostre case.


Fonti

  • Archivio Storico di Gallcano
  • "Regolamento della lavorazione della seta nella Vicaria di Gallicano-1593-" da uno studio del Professor Gastone Lucchesi

mercoledì 9 febbraio 2022

Denunce e processi a tre streghe garfagnine. Erano gli anni della caccia alle streghe

Anno di Grazia 1424:"In quell'anno frate Bernardino(di Siena ch'era
un buon frate) fece ardere tavolieri, canti, brevi, sorti, capelli  che fucavano le donne, et fu fatto un talamo di legname in Campituoglio, et tutte queste cose ce foro appiccate, et fu a 21 iunio. Et dopo fu arsa Finicella strega, a 8 del ditto mese di iulio, perchè essa diabolicamente occise de molte criature et affattucchiava di molte persone
" . Erano gli anni tremendi della caccia alle streghe e in questo stralcio di cronaca, l'umanista Stefano Infessura ci racconta dell'importante ruolo che ebbe a Roma Frà Bernardino da Siena nell'accusare le donne che si occupavano di magia. Egli, nelle sue prediche le additava all'opinione pubblica, accendendo nei suoi ascoltatori lo sdegno e la mistica esaltazione contro queste "nemiche", non mancò di sguinzagliare le forze dell'ordine sulle loro tracce, ritenendole responsabili dei cattivi raccolti, di menomazioni o morti di neonati e di drammi individuali o collettivi. Come narra il suddetto resoconto dopo 15 giorni di estenuanti prediche alla popolazione, il frate arrivò perfino a bruciare in Campidoglio gli emblemi del lusso
e della stregoneria, ordinando ai fedeli di recarsi a baciare una sua tavoletta con l'incisione dell'ideogramma di Cristo: IHS, che era, secondo lui, l'unico vero antidoto contro le pratiche magiche. Infiammato ed eccitato da queste sue parole il popolo cercò e trovò la sua vittima sacrificale e a farne le spese fu una povera ragazza di nome Finicella, finita sotto processo come strega e data al rogo come tale, in quello che un cronista del tempo definì "un autentico spettacolo". Dopo qualche tempo da questi abominevoli fattacci, Frà Bernardino da Siena, arrivò nella nostra valle dando un'ennesimo impulso alla terrificante caccia alle streghe. In effetti la Garfagnana non avrebbe avuto bisogno dell'intervento di San Bernardino (la chiesa lo farà santo otto anni dopo la sua morte...) dato che il Tribunale Inquisitore di competenza sarà uno dei più attivi e solerti di tutta Italia. La Santa Inquisizione di Modena aveva giurisdizione su tutta la Garfagnana e il suo archivio, insieme a quello di Venezia, Siena e Napoli conserva ancora la documentazione più cospicua che testimonia di fatto la grande attività di questo tribunale durante quell'ignobile periodo, difatti nel complesso del
Convento di San Domenico sono conservati ancora oggi i fascicoli processuali di oltre seimila inquisiti in un arco di tempo che va dal 1329 al 1785. In questo importante archivio sono costuditi alcuni casi che riguardano povere donne garfagnine, accusate delle più fantasmagoriche nefandezze e per capire ancor meglio, semmai ce ne fosse bisogno, a quale livello giungeva l'ignoranza umana, ecco al mio lettore tre casi di denunce contro quelle che erano considerate delle vere e proprie streghe. Ma prima di narrarvi i tre casi mi è doverosa una premessa, necessaria per far comprendere dove nascevano simili accuse, capire a chi erano rivolte e come si svolgeva un processo per chi praticava stregoneria. Innanzitutto cominciamo con il dire che molte delle donne incolpate erano guaritrici che avevano la capacità di curare le malattie con l‘utilizzo medicinale di erbe e piante. Maldicenze e gelosie andavano a colpire quelle che erano donne sole, vedove, forestiere e che godevano di una certa libertà personale o che avevamo un particolare successo con gli uomini. Infatti, le donne nel medioevo erano considerate degli esseri caratterizzati da una innata debolezza, e per questo dovevano essere soggette al controllo di un uomo, difatti dovevano essere “proprietà“ ora del padre, ora del marito. Una donna sola, non protetta, poteva essere molto più facilmente attaccata. Per questo poi, in modo farneticante venivano accusate di tenere patti segreti con il diavolo e di riuscire, grazie ai loro poteri a piegare a loro vantaggio le forze della natura e la salute delle persone. Il processo a loro carico assumerà poi i contorni della farsa. Tale simil-processo 
si divideva in diverse fasi: la denuncia, l’inchiesta e il processo vero e proprio. La denuncia poteva avvenire sia da parte di un accusatore che aveva delle prove, sia da parte di un accusatore senza prove ma che godeva di buona reputazione. Dopo aver ricevuto le accuse il giudice avviava il processo e davanti a un notaio si faceva dire dall’accusatore se le accuse presentate erano per esperienza diretta o per sentito dire. Tra i testimoni si accettavano anche nemici
dell’imputato e nell’interrogatorio venivano fatte molte domande sulla vita privata dell’accusato. Si procedeva poi con l’inchiesta che era la prima fase per giudicare una persona. L’inquisitore, giunto nel luogo in cui sospettava abitasse la strega si presentava al vescovo locale. A questo punto il tribunale pubblicava due editti: l’editto di Grazia, con cui si concedeva la grazia a chi si fosse spontaneamente denunciata all’inquisitore entro un determinato lasso di tempo, e l’editto di Fede, con cui si obbligava chiunque fosse stato a conoscenza dell’esistenza di una strega a denunciarla all’inquisitore. Dopo l’inchiesta l’imputata veniva arrestata, la presunta colpevole poi non poteva sapere né per cosa fosse stata accusata né chi fossero i testimoni fino al giorno processo. Per ottenere delle confessioni certe, e così poi sottoporle al processo, si usavano spesso le celeberrime torture. Le torture più comuni erano la corda, la ruota, la frusta e la lapidazione. Alcune streghe resistevano alle torture e venivano rilasciate, altre non ce la facevano e confessavano anche reati non commessi, per evitare di soffrire. Dopo la tortura e la
confessione, si decideva come la strega doveva essere uccisa in base al fatto compiuto; venivano condannate per stregoneria, eresia, omicidio, avvelenamento o satanismo. Le modalità di esecuzione erano diverse: il rogo, l’impiccagione e lo schiacciamento da pietre. Detto questo non rimane che portare alla vostra conoscenza i tre assurdi casi di denuncia fatti a tre donne garfagnine in anni diversi, a testimonianza del delirio collettivo di quel nefasto periodo. Il primo caso riguarda un fatto accaduto nell'anno 1540. La circostanza è al quanto singolare e forse secondo da quale punto di vista viene interpretato l'avvenimento forse non lo è affatto... Difatti un contadino di Sillicagnana si accorse che la moglie di notte usciva da casa mentre lui dormiva... Sospettando strani sotterfugi, rivelò al padre
inquisitore che la moglie prima di uscire di casa si denudava completamente e si cospargeva il corpo con un misterioso unguento che aveva il potere di trasformarla in un asino appena varcata la soglia di casa. - Ebbi a comprendere tutto allora !!!- enfatizzava il marito- avevo a che fare con una strega, il demonio mi era entrato in casa!-. Raccontò poi, che come prova madre della possessione, una sera mentre l'asino (la moglie) usciva l'afferrò per la coda e lo condusse nei suoi campi caricandogli sulla soma quintali di letame che erano destinati a concimare le coltivazioni. Ebbene, al mattino quando l'asino tornò ad assumere le sembianze della donna, così raccontò l'uomo, la poveretta aveva tutte le ossa indolenzite e il marito certificò il fatto che dopo questo accadimento la sposa non abbandonò più il letto. Che dire, molto probabilmente la moglie di notte usciva sicuramente, ma per andare nel letto di qualcun altro... Il marito a dir poco geloso volle vendicarsi della signora denunciandola al Sant'Uffizio. Il secondo caso accadde a Vergemoli anni dopo e si racconta di questa donna che solitamente invitava altre donne a filare in casa sua. Fin qui tutto normale fino al giorno in cui una di queste filatrici si presentò al prete del paese e gli raccontò di un giorno in cui nevicava tantissimo e che tutte le donne erano a filare tranquillamente a casa dell'Anna (la presunta strega). Ad un certo punto, così continuò il racconto: -ella si alzò e indossò uno scialle unto, bisunto e consunto e uscì fuori-. Quando
rientrò aveva con sè un cestino di fichi che offrì alle ospiti:-Questi frutti non potevano che essere frutti del diavolo, facendomi il "nomine patri" (n.d.r: il nome del padre) tutti li fichi si trasformarono in legno arso-. Quelli erano tempi in cui la miseria abbondava, talmente era tanta che si poteva tagliare con il coltello e colui o colei che magari aveva qualcosina di più, suscitava la gelosia di un paese intero. L'ultimo fatto accadde a Vagli nell'anno 1607 e la denuncia alle autorità fu di un contadino di nome "Minico" (n.d.r: Domenico), che nelle sue mucche vedeva un costante deperimento. Questi poveri animali si lamentavano e dimagrivano a vista d'occhio: - E' opre del maligno!- affermava il villico:- e io so anco chi per sua mano fu- Per scoprire da chi era era stato perpetrato il maleficio, "l'astuto" bifolco, a suo dire mise a bollire in una pentole dei ciuffi di peli della coda della mucca. A mezzanotte una donna venne a bussare alla porta del Minico pregandolo di togliere la pentola dal fuoco per le opprimenti vampate di calore che aveva... I resoconti del tempo ci dicono che nessuna di queste tre donne fu data alle fiamme come strega. Rimase per tutte le indiziate la presunzione di colpevolezza e nel dubbio che avessero avuto in qualche modo legami con il
demonio, il Sant'Uffizio decideva per delle pene corporali. La gogna era la punizione prevista. Nella piazza principale dinanzi al duomo di Modena, nel giorno della Santa Messa le misere donne erano messe alla pubblica vergogna del popolo: offese, talvolta prese a schiaffi, a sputi o bruciate con tizzoni ardenti. Dopodichè potevano fare ritorno a casa... a piedi.


Bibliografia

  • Archivio di Stato di Modena
  • https://www.asmo.beniculturali.it/home

mercoledì 2 febbraio 2022

Le visite di un Presidente della Repubblica nella Valle del Serchio

Ci stavo pensando proprio in questi giorni... Da poco è stato rieletto
Sergio Mattarella come Presidente della Repubblica e fra me e me stavo ragionando sul fatto se la Garfagnana e la Valle del Serchio avessero mai ricevuto una visita ufficiale da parte di un Capo dello Stato italiano. Quello che bisogna dire è che la nostra valle non ha mai avuto un grosso "appeal" istituzionale... Nel corso degli ultimi decenni poche volte le alte cariche dello Stato ci hanno fatto visita, la cosa non è che sia di fondamentale importanze per le nostre umili vite, però, tanto per analizzare questa circostanza possiamo dire che i motivi in cui si può ricercare il perchè di ciò sono svariati e sicuramente non mi metterò qui ad elencarli per non scivolare in quel terreno pericoloso ed infido che è la politica. Il mio lettore prenda quindi questa constatazione come un semplice dato di fatto. Comunque sia, in passato le visite importanti non sono mancate. Il 15 maggio 1930 ad esempio arrivò "lui": "Il 15 maggio 1930, il Duce si recò a visitare la tomba di Pascoli. In tutte le borgate, in tutti i paesi, attraversati dal Duce, si svolsero scene d'entusiasmo. Tutta la nostra popolazione ne attese il passaggio. Appena comparve l'automobile, la folla scattò in un'ovazione vibrante ed entusiastica al grido di: Viva il Duce!".
Mussolini a Fornaci alla SMI
(foto archivio Istituto Luce)
Questi erano i resoconti dei giornali dell'epoca, l'enfasi mediatica trionfalistica ed esuberante di quegli anni sottolineava fra l'altro l'importanza di quella visita che vide il suo motivo principale nella Metallurgica (la S.M.I) di Fornaci di Barga. Infatti era il tempo in cui l'Italia fascista cercava "un posto al sole", le maggiori potenze europee vantavano colonie in ogni dove, e l'Italia ancora no, era arrivato il momento di prepararsi ad una guerra coloniale e in quest'ottica un'ispezione alla fabbrica di munizioni di Fornaci cadde a pennello. Passeranno poi altri anni e il 17 giugno 1967 un Presidente del Consiglio della Repubblica fu accolto per la prima volta in Garfagnana, era Aldo Moro. 
Era un afosa giornata di un sabato mattina, Aldo Moro venne a Castelnuovo (e nella stessa giornata anche a Gallicano) per incontrare le amministrazioni comunali della valle, fu ricevuto dal sindaco Loris Biagioni, dall'onorevole lucchese Maria Eletta Martini e dall' onorevole Togni. Il palco d'onore fu allestito sul terrazzo della Rocca Ariostesca, proprio di fronte a Piazza Umberto I e in via
Aldo Moro a Castelnuovo
Fulvio Testi campeggiava lo striscione "W il presidente del consiglio"... Oggi di striscioni così non le leggereste più... E a dire il vero non mancò nemmeno la vista (anzi le visite) di un Presidente della Repubblica. La storia di questo Presidente nasce a circa 70 chilometri dalla Garfagnana. Giovanni Gronchi nacque infatti a Pontedera (Pisa) il 10 settembre 1887, le sue origini sicuramente non erano altolocate, il babbo faceva il ragioniere di un panificio e arrotondava lo stipendio commerciando salumi. Il 29 aprile 1955 diventò il terzo Presidente della Repubblica, il primo democristiano e fu votato al quarto scrutinio con 658 voti su 843 (78,1%). Da sottolineare, in questo senso, un fatto curioso. Quando ci furono queste elezioni presidenziali, Gronchi era il Presidente della Camera e il compito di leggere i nomi sulla scheda elettorale era suo. Lesse impassibilmente il suo nome per 658 volte senza battere ciglio, dopo aver letto l'ultima scheda abbandonò l'aula e toccò al vicepresidente della Camera Leone (anch'esso futuro Capo dello Stato) proclamare il risultato. Ad ogni modo rimase uno dei
 pochi presidenti che godrà di una certa fama nella cultura di massa. Infatti fu nel 1959 che Gronchi concesse la grazia al pluriomicida ed ergastolano Sante
Sante Pollastri
Pollastri, colui che negli anni'20 del 1900 era considerato il nemico pubblico n°1 in Italia. La sua figura rimase legata a doppio filo con la canzone di De Gregori "il bandito e il campione" . Il campione era il ciclista Costante Girardengo. Entrambi erano nati a Novi Ligure ed erano amici prima che le loro strade si dividessero per destini opposti e a quanto pare si frequentarono anche quando il Pollastri era in latitanza. Si racconta che fu proprio 
in Francia durante la corsa dei "sei giorni" che il bandito più ricercato d’Italia chiamò con un tipico fischio delle loro parti il suo vecchio amico. Dopo la gara i due si incontrano e iniziano a parlare, in particolare modo Girardengo rimase scioccato dalle parole del suo amico Sante che gli rivelò tutte la malefatte compiute. Il campione al ritorno in Italia avvisò immediatamente la polizia. Pollastri fu arrestato in Francia nel 1927 dopo mesi di ricerche e al processo intervenne anche Girardengo. Il tutto si concluse con la condanna all'ergastolo, tuttavia ebbe la grazia dal presidente Gronchi, poiché durante la seconda guerra mondiale aveva sedato una rivolta contro le guardie carcerarie. Ma l'avvenimento che rese questo presidente per sempre indimenticabile nella memoria di tutti gli italiani è legata ad un francobollo. Durante un suo viaggio in Perù (era il primo presidente italiano a viaggiare in Sudamerica) fu per l'occasione emesso un francobollo, il cosiddetto “Gronchi rosa”, ritirato poco dopo l’emissione poiché 
Gronchi rosa
sulla mappa dell’America Latina riprodotta sull’immagine, presentava un errore nei confini del Paese andino. Il “Gronchi rosa” diventò, per questa sua particolarità, un oggetto di culto per gli appassionati di filatelia ed è tutt’ora il francobollo italiano più prezioso e più falsificato. La storia del Presidente Gronchi con la Garfagnana e la Valle del Serchio, invece, parte da molto più lontano dei fatti sopra citati, era infatti il 1919 quando subito dopo la Grande Guerra (dove il futuro presidente partecipò come ufficiale di fanteria) si presentò nelle elezioni politiche di quell'anno nella circoscrizione Pisa- Lucca- Livorno e Massa Carrara, la circoscrizione che comprendeva appunto anche la Garfagnana e la Valle del Serchio, ebbene anche grazie a questi voti fu eletto inaspettatamente alla Camera dei Deputati nelle liste del Partito Popolare Italiano che aveva fondato insieme a Don Luigi Sturzo. Ma il legame andrà oltre il mero interesse politico, nella nostra valle aveva amici come l'onorevole Loris Biagioni che con lui fu uno dei Padri Costituenti, ma non solo, l'amicizia con il barghigiano professor Angelo Duilio Arrighi risaliva già ai tempi dell'università e anche il conterraneo Monsignor Lino Lombardi, Proposto di Barga, lo conosceva piuttosto bene. Il legame con questa terra era difatti talmente stretto che subito dopo la seconda guerra mondiale, alla vigilia di quel fatidico 2 giugno 1946, Gronchi venne a Castelnuovo a fare uno dei primi comizi elettorali per le liste della Democrazia Cristiana. La Democrazia Cristiana vincerà a mani basse in Garfagnana e in tutta la valle, diventando anche grazie a lui un caposaldo della "balena bianca" in tutta la rossa Toscana. Un'altra occasione si presentò (a carriera politica già bene avviata) nel settembre 1949, da Presidente della Camera salirà in quel di Barga per assistere ad una 
manifestazione pascoliana. Dopo qualche anno da questa ultima apparizione si arriverà a quel fatale 29 aprile 1955, quando scalzando "il rivale" Cesare Merzagora, Gronchi divenne il primo Presidente della Repubblica toscano (il secondo sarà Ciampi). La soddisfazione in Garfagnana fu tanta e una delegazione di sindaci di quella che era la sua vecchia circoscrizione andò a rendergli 
Gronchi al Quirinale con i
sindaci della Garfagnana
(foto archivio Quirinale)
omaggio. La comitiva era capeggiata dall'onorevole Loris Biagioni di Castelnuovo e fu ricevuta al Quirinale, la storica visita era esclusiva ed avvenne il 29 settembre 1955, appena sei mesi dopo la sua elezione. Con gli anni che passavano ci fu un successivo incontro
 legato ad grande evento, dopo sessantanove anni fu completata l'intera tratta ferroviaria Lucca- Aulla. Per veder terminata questa opera ci volle un arco di tempo che comprese due re, due guerre mondiali e due Presidenti della Repubblica... Il terzo Presidente venne infatti ad inaugurarla. La giornata di Gronchi quel 21 marzo 1959 cominciò alle otto e cinquanta del mattino nella stazione di Aulla, di li il treno presidenziale proseguì per Minucciano dove rese omaggio ai caduti sul lavoro morti nella costruzione della galleria del Lupacino. La corsa proseguì e trovò nuovamente sosta a Piazza al Serchio, di li il treno giunse poi a Castelnuovo. Il Presidente scese dal treno e salutato il sindaco e le autorità prese posto in auto e si diresse con tutto il corteo verso 
Gronchi inaugurazione Lucca Aulla
il nuovo Ospedale Santa Croce che inaugurò con solenne cerimonia. Ma le visite ufficiali non finirono qui. L'ultima fu il 6 aprile 1962, fra poco più di un mese sarebbe terminato il settennato di presidenza, ma per il 50° anno della morte di Giovanni Pascoli non mancò alle celebrazioni che si svolsero a Barga e a Castelvecchio. La giornata trascorse poi con il taglio del nastro del nuovo Istituto magistrale (intitolato proprio al poeta) e continuò con l'inaugurazione delle scuole medie di Fornaci. Insomma possiamo dire che il feeling che ci fu fra il Presidente Gronchi e la Valle non si è mai più ripetuto con nessun'altro uomo politico. Alla fine dei conti in sette anni di presidenza due furono le visite ufficiali, senza considerare quella che avvenne da
presidente della Camera e le altre volte che vi giunse da "semplice" onorevole. Gronchi morì a Roma il 17 ottobre 1978, ma la notizia passò in secondo piano, in quanto i giornali e le televisioni dedicarono i loro servizi all'elezione di Karol Wojtyla quale nuovo Pontefice, avvenuta il giorno prima. Così un grande uomo moriva, ed altro grandissimo si apprestava a scrivere pagine di storia indelebili.


Bibliografia

  • "Portale storico della Presidenza della Repubblica" archivio.quirinale.it
  • Studi del professor Umberto Sereni