mercoledì 8 aprile 2020

Quarantena e lazzaretti in Garfagnana

Il mondo dei numeri ha mille aspetti e uno di questi ci racconta del
misterioso legame che ha con l'uomo. Una moltitudine di numeri sono legati a svariate simbologie o a dei significati nascosti, fra quelli a noi più noti ci sono il 13 e il 17... Ma c'è un numero che oggi (a malincuore) è tornato più che mai di "moda": il quaranta. Quaranta è un numero speciale, considerato in senso biblico un numero che indica una situazione di attesa e di provvisorietà. Scorrendo la Bibbia infatti, tale numero ci si presenta davanti un'infinità di volte. Vediamo così che nella Sacra Scrittura con 40 si indica la durata della vita media dell'uomo. Quaranta sono gli anni trascorsi dal popolo di Israele nel deserto, così come 40 giorni e 40 notti durò il diluvio universale. Nel Nuovo Testamento questo numero si trova ben ventidue volte, cosicchè 40 giorni fu il digiuno di Gesù nel deserto e quaranta furono i giorni che il Signore si manifestò ai discepoli dopo la resurrezione, così come sono quaranta i giorni della Quaresima pasquale. Insomma, a quanto pare anche la parola quarantena, che in questi disgraziati giorni sentiamo in ogni dove è legata anche a questi biblici fatti. La quarantena è un'invenzione tutta italiana, o meglio veneziana. Già
1400 le navi in quarantena a Venezia
dai primi del 1400 si riteneva che in questo lasso di tempo un ammalato di peste non fosse più contagioso... Tutto nacque proprio quando nel porto della città lagunare attraccavano le navi provenienti dai possedimenti dalmati ed erano sospettate di trasportare persone o animali contagiosi. Era difatti ancora vivo il ricordo della peste nera e per questo si riteneva opportuno trattenere 
per quaranta giorni tutto l'equipaggio sulla nave, merci comprese. Erroneamente si pensava che dopo questo periodo di tempo un ammalato di peste non potesse più infettare, in realtà la malattia era vivissima e diffusa più che mai da pulci e topi. Nonostante ciò, il numero ebbe comunque successo, proprio perchè legato a tradizioni popolari (e come abbiamo visto), legato a passi della Bibbia e alle liturgie religiose. Un altro vocabolo che si unisce indissolubilmente alla parola quarantena è lazzaretto. Forse i più giovani non sapranno il significato di questo termine se non hanno studiato "I Promessi Sposi"... Oggi i lazzaretti non esistono più (grazie a Dio), erano luoghi di
La peste a Milano. Promessi Sposi
sofferenza, reclusione ed isolamento, dove venivano portati tutti i malati di patologie contagiose, in particolar modo quelli affetti da lebbra e peste. Anche la parola lazzaretto trae origine da accadimenti collegati alla sfera religiosa:
"C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco...". Questa è una parabola di Gesù, sul ricco Epulone e il lebbroso Lazzaro e pare che proprio dal protagonista di questa parabola nasca la parola lazzaretto, in alternativa si pensa anche che prenda nome dal primo lazzaretto veneziano: Santa Maria da
Santa Maria di Nazareth oggi,
lazzaretto veneziano
Nazareth, da li, il nome venne poi distorto in nazaretto e poi a lazzaretto. Purtroppo questo nefasto binomio con tutte le sue funeste conseguenze non si manifestò solo nella lontana Venezia, ma fu presente più volte nel corso dei secoli anche in Garfagnana. 

Da immemore tempo le strade che hanno attraversato la valle, sono state "croce e delizia" dei suoi abitanti. Durante e dopo il medioevo proprio queste vie furono il passaggio obbligato per tutti quelle persone che si volevano recare a Roma dal nord Italia, da li infatti transitavano pellegrini, mercanti e soldati, questo grande afflusso di gente portò il grande sviluppo del commercio in tutta la Garfagnana...ma quando nel tempo ciclicamente scoppiava un'epidemia questa strada diventa la porta d'accesso della morte stessa... D'altronde per scongiurare ogni pericolo anche all'epoca se ne studiavano di tutte. Fu il Granduca di Toscana per la peste del 1630 a vietare la transumanza dei greggi provenienti dalla Garfagnana
diretti in terra di Maremma. Il colpo fu duro per l'economia garfagnina, circa quarantamila capi con l'arrivo dell'inverno avrebbero rischiato di morire di freddo e fame. Il Duca di Modena perorò allora la causa dei pastori garfagnini presso lo stesso Granduca, che accettò l'idea del regnante modenese: sia i greggi che i pastori sarebbero stati visitati dai medici ducali, se sani sarebbero stati lasciati passare, assoggentandoli però alla quarantena. 
In Garfagnana non ci siamo mai fatti mancare niente, con il passare dei lustri, dei decenni e dei secoli, lebbra, peste e colera non sono mancati. Juan Antonio Quiros Castillo ci racconta (nel suo libro dedicato all'ospedale di Tea)che fra l'VIII e il XVI secolo fra Garfagnana e Lunigiana furono fondati oltre duecento ospedali e fra questi erano contati numerosi lazzaretti. Loppia, Torrite,
Santa Lucia a Gallicano
Gallicano (Santa Lucia), erano fra i più capienti e i più importanti. Questi luoghi di sofferenza erano perfino dislocati anche nelle zone più impervie e disagiate, come l'oratorio di Sant'Ansano nei pressi di Trassilico. Situati principalmente fuori dai paesi e nati sopratutto nei pressi dei luoghi di culto, erano i religiosi che si preoccupavano di ricevere i malati, essi però si occupavano più che altro di alleviare le pene dell'anima più che quelle del corpo, la persona che in quarantena entrava in un lazzaretto probabilmente non ne sarebbe più uscita viva. Le condizioni igieniche erano precarie, per esempio si sapeva bene che quando un appestato moriva si sarebbero dovute bruciare tutte le sue cose, come gli abiti, il giaciglio, ma in condizioni di estrema urgenza, era impossibile procurarsi solo la paglia fresca dove far stendere i malati. Il sovraffollamento e la promiscuità facevano il resto, favorendo di fatto il già alto tasso di mortalità.
Il monatto

Consideriamo poi che la sorveglianza era altissima e tutto il complesso era circondato da muri invalicabili che potevano oltrepassare solo due persone: il contagiato e il monatto. Il monatto era un addetto comunale, che coperto da una caratteristica maschera (per non farsi riconoscere) girava nel paese, incaricato di trasportare i malati al lazzaretto o di scovare i contagiati che provavano a farsi curare in casa, consapevoli del fatto che se fossero finiti dentro un lazzaretto per loro sarebbe stata morte sicura. Pertanto le misure di sicurezza e prevenzione non erano una prerogativa di questi sciagurati tempi, anche all'epoca una delle paure più grandi era quella che una volta sparito il morbo si potesse ripresentare con tutta la sua virulenza. Parlando della peste del 1630 si ha infatti notizia che disposizioni sanitarie ed isolamento rimasero in vigore fino al 1632... Alcuni casi di peste in quei due anni purtroppo si ripresentarono. Si narra(sempre in riferimento a quel periodo) di un episodio di altissimo senso civico che merita di essere raccontato e
Tipica conformazione
di un lazzaretto
da prendere come esempio anche oggi, in tempi di Coronavirus. Era un 2 giugno di quattrocento anni fa...: 
"Uno di Castelnuovo di ritorno da Buti nel pisano ave infieriva il contagio, per quale eragli colà morto un figliolo, con saggio ed onesto pensiero non volle entrare in paese per non importarvi il malore, ma si fece sequestrare in luogo lontano dalle case a subirvi la quarantena". 

Arrivò anche il tempo in cui per l'ultima volta si sentì parlare di lazzaretti in Garfagnana. La storia del lazzaretto nella valle terminò però con l'arrivo di un'altra grande pestilenza "il fatal
cholera morbus". Il colera arrivò nella valle nell'agosto del 1854 per sparire poi nel novembre dell'anno successivo. La solerzia del governo estense fu davvero straordinaria, dopo appena quattro giorni le autorità decisero di dividere la Garfagnana in tre distretti sanitari, ogni distretto un lazzaretto: nella fortezza di Mont'Alfonso a Castelnuovo, nell'ex convento delle suore a Vagli e
in casa Valdrighi (San Donnino) a Piazza al Serchio, inviando di conseguenza quattro suore da Modena per assistere gli ammalati. Nei giorni successivi (proprio come stiamo facendo adesso), altre commissioni con poteri speciali chiusero tutti i confini con permanenti posti di blocco. Nel 1855, il 15 ottobre, si ha notizia dell'ultimo garfagnino che visse "l'esperienza" del lazzaretto, "il convalescente di cholera, Giovanni Spina di Sillano" ricoverato
La fortezza di Mont'Alfonso
presso la Fortezza di Mont'Alfonso.

I tempi passano e i virus ritornano e con essi i problemi si ripresentano identici a quelli dei tempi andati... Il colera passò, lasciando però nella miseria più nera contadini, braccianti, operai e negozianti. Nel 1856 il sindaco di Castelnuovo faceva sapere che l'amministrazione non era in grado di aiutare tutte le persone che ne avevano fatto richiesta: "Per fortuna l’inverno è ormai alle spalle - disse il primo cittadino durante una riunione straordinaria del consiglio - e non ci resta che sperare nella buona stagione e nella misericordia dell’Onnipotente"...


Bibliografia:



  • "Ospedali e territorio. Lunigiana e Garfagnana a confronto" G. Cappellini 2015 "Memorie dell'accademia lunigianese di scienze"
  • "Corriere di Garfagnana" aprile 2010 "Il fatal cholera morbus del 1855" Guido Rossi 

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