mercoledì 22 dicembre 2021

Storia e caratteristiche di un albero di Natale tutto garfagnino

Con il tempo e i secoli che trascorrevano sono cambiate tante cose,
figuriamoci se in questi cambiamenti epocali non rientrava l'albero di Natale. Finto, vero, monocolore, futuristico, minimale, oramai le versioni di un albero natalizio sono molteplici. Nel suo allestimento ci si sono perfino cimentati rinomati artisti, spacciando queste creazioni come vere e proprie opere d'arte. Non parliamo poi dei suoi addobbi, siamo passati dalle caramelle colorate, alle palline di ogni foggia e tipo, per arrivare a futuristiche installazioni a led. Insomma, volendo ce nè per tutti i gusti, c'è addirittura chi lo addobba già a fine novembre, impaziente di assaggiare il clima natalizio, non manca nemmeno chi lo tiene in soggiorno fino a primavera, aspettando che possa miracolosamente "spacchettarsi" da solo. Fattostà, bando a quello che ognuno pensi sul suo uso e sul suo addobbo, l'albero di Natale rimane una vera e propria tradizione e con la sua storia e la sua simbologia è diventato parte integrante della nostra cultura. Naturalmente prima di arrivare in Garfagnana l'albero di Natale ne ha fatta di strada, tant'è che le sue radici affondano nella notte dei tempi in culture puramente pagane e precisamente furono i celti i primi che attribuirono un significato profondo a quell'abete. I druidi, gli antichi sacerdoti di quelle
popolazioni, lo consideravano un simbolo di lunga vita, proprio perchè era una pianta sempreverde, ed era con l'avvicinarsi dell'inverno che questo albero veniva addobbato con nastri, fiaccole e animaletti votivi, il tutto per propiziarsi il favore degli spiriti. Non solo i celti però, anche altre popolazioni del nord Europa si appropriarono di questo rituale, dato che furono i Vichinghi a seguire "il culto dell'abete rosso", pianta capace di esprimere poteri magici, infatti questi alberi venivano tagliati, portati a casa e decorati con frutti, ricordando in questo modo la fertilità che la prossima primavera avrebbe ridato a loro. Naturalmente l'avvento del Cristianesimo, così come fece per altre tradizioni pagane, decise che anche questa usanza andava "convertita" e fu così che l'uso di tale albero si affermò anche in molti altri luoghi. Bisognava però dargli un significato di fede e quindi era doveroso trovare un nesso (piuttosto) logico con la religione. Studia che ti ristudia il legame fu trovato nella scena biblica dell'Eden: nella notte in cui si celebra la nascita di Cristo, l'albero posto al centro del giardino dell'Eden diventava anche l'albero intorno al quale l'umanità ritroverà il perdono. Nei secoli a seguire la Chiesa, non proprio convintissima da tale motivazione, cercò di perfezionare il tiro e proprio in quell'abete, così come molto tempo prima i Celti, trovò la pianta principe per celebrare il Santo Natale, la sua forma
triangolare ricordava infatti la Santa Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. La spiegazione fu azzeccata e in men che non si dica
 la tradizione natalizia dell'albero decorato cominciò a prendere piede soprattutto nei Paesi dell'Europa del nord. Il primo albero natalizio di cui si ha menzione fu quello di Tallin, in Estonia, correva l'anno 1441. Di li l'usanza fu poi ripresa in Germania e precisamente a Brema, era il 1570. Insomma, questa consuetudine si sparse a macchia d'olio e in breve tempo arrivò in tutte le altre nazioni del mondo. E In Italia quando giunse? Bhè, in Italia eravamo molto più dediti al presepe, già nel 1223 esisteva questa usanza e fu San Francesco il primo ad introdurla. L'albero di Natale da noi era ritenuto quasi una sciccheria, una cosa che non ci apparteneva, lontana dai nostri modi di fare e pensare. La situazione cambiò nel 1898 quando la Regina Margherita di Savoia di ritorno da
La Regina Margherita di Savoia
alcuni viaggi fatti nelle prestigiose corti europee rimase stupita dalla visione di questi bellissimi alberi natalizi. Fattostà che tanto fu il suo stupore che decise di allestirne uno negli splendidi saloni del Quirinale. Il risultato fu sbalorditivo, si narra che le palline erano di vetro soffiato e i nastri che lo contornavano scintillavano di seta bianca. Insomma, la novità proposta dall'amata regina in men che non si dica fu apprezzata e copiata da tutte le famiglie italiane, trasformando ben presto l'abete in uno dei simboli del Natale italiano. Anche in Garfagnana ci si adeguò a quella che allora era una moda imperante e con i mezzi (pochi)che avevamo a disposizione, ognuno nella propria casetta cercò di allestire il proprio alberello come meglio poteva. A proposito di alberello, bisogna dire che in origine i nostri avi garfagnini non usavano il classico abete per il proprio albero natalizio, al tempo di abeti in Garfagnana ce n'erano ben pochi, dato che tale pianta non è autoctona. Si pensò così di ripiegare su quello che di più simile
la nostra montagna offriva e il ginepro (in dialetto zinepro) era quello che più si avvicinava. Fu così che in Garfagnana prese 
usanza di fare l'albero di Natale con il Ginepro. Naturalmente la tradizione garfagnina fece leggenda di questo uso e la favola ci racconta che quando San Giuseppe e la Madonna scapparono per andare in Egitto e il perfido Erode dava la caccia a tutti i bambini, fu proprio lo zinepro che salvò Gesù, comportandosi meglio delle altre piante. Era una notte buia e tempestosa, pioveva a più non posso, e dopo la pioggia anche la neve. Il povero San Giuseppe non sapeva come fare a riparare dal maltempo se stesso e Maria, non c'era l'ombra di una capanna, nemmanco di un metato, di fronte a se aveva solamente selve. Videro allora una ginestra e gli chiesero riparo, la ginestra stizzita le mandò via. Gambe in spalla allora, finchè non videro una bella scopa (n.d.r: un'erica), alta e frondosa, all'ennesima pietosa richiesta di riparo la scopa ebbe a dire:- Surtitimi di torno, io nun ne vo' sapè di voialtri. E poi se per disgrazia passa Erode e vi trova qui sotto mi brugia anco me. Surtitimi di torno v'ho ditto!- Intanto continuava a nevicare copiosamente e ai due poveri sposi non rimaneva altro che cercare un albero benevolo. La stanchezza però oramai le stava vincendo, fino a che non scorsero uno zinepro, anche a lui chiesero riparo:- Vinite, vinite pure- gli rispose e per ripararli meglio e perchè Erode non li trovasse protese i suoi aghi in avanti - Cusì se viene Erode si punge tutto-. Il malvagio tiranno passò, ma non le trovò. Il mattino dopo aveva smesso di nevicare e finalmente San Giuseppe e la Madonna
ripresero la strada per l'Egitto. Da quel giorno per i garfagnini lo zin
epro diventò il loro albero di Natale. Per quanto riguardava le decorazioni si facevano con quello che la casa offriva, niente palline colorate naturalmente, costavano molto e da noi erano quasi introvabili. Infatti, buona parte degli ornamenti erano tutti commestibili: frutta secca o frutta colorata come arance e mandarini, i biscotti della mamma non mancavano, così come non mancava la creatività e la fantasia nei bambini del tempo che fu: -Arrivava la vigilia ed era tradizione in casa mia fare l'albero proprio quel giorno. L'albero veniva fatto di zinebro, mia madre mi aiutava a metteva sul tavolo fichi secchi, castagne secche, noci, qualche arancio e qualche mandarino. Io mi procuravo dei pezzetti di carta  di vari colori o anche di carta argentata per incartare le castagne e le noci che avrebbero fatto da palline, poi qualche fiocco di cotone sembrava neve, la stella veniva fatta di cartone poi la coloravo di giallo con la matita e l'albero era fatto. Era bello il mio albero! A me sembrava così! Veniva messo alla finestra in cucina, la finestra dava sull'aia ,io mi sentivo
felice e passavo molto tempo ad ammirarlo".
Così la signora Iva di Gallicano ricordava il suo albero di Natale del 1948. Reminiscenze e memorie di tempi lontani, quando il Natale sapeva di comunità, di calore umano. Quando ancora tutto era legato alle piccole cose, quando eravamo più poveri di beni materiali ma più ricchi nell'anima.

Bibliografia

  • "Stasera venite a vejo Terè" Le veglie della Garfagnana. Gruppo vegliatori di Gallicano. Banca dell'identità e della memoria

  • "La Pania" dicembre 1990 "Il zinebro" professor Gastone Venturelli
  • Racconti e tradizioni popolari delle Alpi Apuane" Paolo Fantozzi. Edizioni le lettere
  • Nessun commento:

    Posta un commento