mercoledì 6 maggio 2015

"Calamitas Calamitarum": la peste in Garfagnana nel 1630, una vera e propria ecatombe

Un'immagine della peste a Firenze del 1348
Venne soprannominata "calamitas calamitarum" per la sua particolare virulenza, si manifestava con alcuni gonfiori all'inguine e sotto le ascelle, da questi rigonfiamenti usciva sangue con pus a cui seguivano macchie sulla pelle, il malato emetteva un odore ripugnante, i primi sintomi si manifestavano con vomito, cefalea, dolore articolare e malessere. La temperatura corporea saliva fino a 40° e il polso e la respirazione di colpo aumentavano, le vittime sputavano sangue per tre giorni, poi morivano. Questa è la peste bubbonica che nel 1630 colpì tutto il nord Italia, Garfagnana compresa. Di questa epidemia raccontò anche Alessandro Manzoni ne "I Promessi sposi": "La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c'era entrata davvero,come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò buona parte d' Italia". 
Ne "I Promessi sposi" si racconta
della peste del 1630
Manzoni qui faceva riferimento a "bande alemanne". Si, perchè a diffondere l'epidemia furono proprio loro, i Lanzichenecchi, soldati mercenari arruolati nelle regioni tedesche del Sacro Romano Impero. Con l'arrivo nel nord Italia di questo esercito, la popolazione fu sottoposta a ogni sorta di violenza e saccheggio e quando l'esercito si ritirò, dietro di se, oltre che devastazioni, lasciò anche il terribile morbo. Anche le pessime condizioni igieniche fecero si che la diffusione della malattia proliferasse in ogni dove: fogne a cielo aperto, acque stagnanti e sporche, la poca pulizia delle persone, fu stimato che all'epoca vi fosse almeno una famiglia di ratti per abitazione e la solita tragica situazione si viveva in Garfagnana. La Toscana fu il confine italiano più a sud in cui si manifestò la peste, il contagio si fermò nel senese e anche la nostra terra fu colpita. La malattia ben presto si diffuse in tutta la nostra valle, complice anche i tardivi ed inefficaci provvedimenti presi da Francesco I d'Este duca di Modena. Le prime notizie di contagio in Garfagnana arrivarono nel dicembre del 1629 e tosto il reggente governatore Giacomo Spaccini da Castelnuovo, in difesa della popolazione mise delle guardie sui confini appenninici a spese dei comuni, si provvide subito a istituire consigli di sanità, si pubblicarono grida con le quali si proibiva l'entrata di forestieri senza fede sanitaria (n.d.r:senza certificato medico)pena la morte, inoltre si vietò l'introduzione di pelli di animali, chi le introduceva la pena era di scudi 200 e la galera, si vietarono perfino i mercati e le fiere. Ma ciò non bastò e nel 1630 il male si era già diffuso a Castelnuovo e nelle montagne circostanti. Il primo giugno una certa Margherita da Magnano, che era stata a Bologna da sua figlia morì con sospetto di peste e lo stesso giorno poco distante, Antonio il mugnaio che aveva portato della farina alla donna si ammalò e morì, intervennero le autorità e sequestrarono i morti e gli oggetti delle case. Ben presto panico e morti cominciarono a dilagare, non si sapeva più a quale Santo affidarsi, la peste era arrivata con tutta la sua potenza. Il 30 giugno il consiglio generale di Castiglione Garfagnana stabilì che per sei mesi continui si facesse celebrare ogni giorno una messa, e che poi si andasse in processione alla chiesa di San Pellegrino e San Bianco, la chiesa stessa infatti
A San Pellegrino nel 1630
si facevano continue
 processioni per ingraziarsi
 la benevolenza del santo contro la peste
credeva che la peste fosse una punizione divina. Dall'altra parte anche i domini fiorentini (Barga) e  lucchesi erano altrettanto presi dall'angoscia e cominciarono a impedire l'accesso ai lombardi (n.d.r: così venivano chiamate le popolazioni a nord dell'appennino)  e ai garfagnini, mandarono così anche loro i soldati a Foce a Giovo e sul Monte Rondinaio con l'ordine di sparare su chiunque avesse voluto attraversare il confine. Ormai eravamo al delirio e alla disperazione più totale, si diede imposizione di uccidere tutti i cani e tutti i gatti della valle per paura che fossero veicolo di contagio, di bruciare case e mobili di coloro che fossero stati colpiti da peste. La maggior parte delle famiglie erano distrutte, la gente si mise alla ricerca dei responsabili, identificati nei vagabondi e nei più poveri La folle paura di presenze diaboliche giustificò una vera e propria caccia all'untore da parte dell'autorità che si servivano di tutti gli strumenti allora previsti: denunce anonime, torture ed esecuzioni in pubblico. Su ordine del duca di Modena si decise di aprire dei lazzeretti e di inserire una nuova figura allora mai vista in Garfagnana: il monatto. I monatti erano addetti ai servizi più pericolosi e penosi della pestilenza, dovevano togliere i cadaveri dalle strade e dalla case e portarli nelle fosse comuni, dovevano accompagnare il malato al lazzaretto e avevano il compito di bruciare gli oggetti infetti e le case dei malati, erano assunti dal governo cittadino, erano brutali e senza pietà. Il loro abito rosso, il campanello al piede e l'inconfondibile maschera (n.d.r: la maschera serviva per non farsi riconoscere) era simbolo di orrore. Fra i maggiori lazzaretti della valle si ha conoscenza di quello di Loppia, quello nei pressi di Torrite e a Gallicano nelle vicinanze della chiesa di Santa Lucia. Questi luoghi erano gestiti dai frati cappuccini, erano
Il Monatto
situati fuori dal paese e servivano per accogliere tutti i malati di peste. Di solito questi posti contenevano oltre la loro naturale capienza, molti infatti in gran segreto provavano a farsi curare a casa, finire dentro un lazzaretto significava morte sicura. Venivano quindi provati tutti i rimedi possibili ed immaginabili per guarire, si credeva di poter guarire dalla peste con la recita del rosario o con l'ungersi il corpo con l'olio benedetto e a tal proposito ecco un "rimedio" contro il morbo del 1630 rinvenuto nell'archivio storico di Modena e trovato a sua volta a San Romano Garfagnana:
-Unguento:Cera nuova,olio comune,olio lamino,olio di sasso,erba d'ameto,granelle di lauro numero sei,aceto forte un poco.Tutto si faccia bollire tanto che si riduchi in forma d'unguento e con esso si unta le narici, li polsi delle mani e le piante dei piedi-
La peste paralizzò la già povera economia garfagnina. Si interruppero tutti i commerci con gli stati vicini per pericolo del contagio, le coltivazioni furono tutte abbandonate, le persone non lavoravano e di conseguenza non guadagnavano e per di più coloro che potevano dare una mano, come le persone ricche e con denari, fuggivano dai paesi per raggiungere lidi più tranquilli e sani. Si continuò così per tutto il 1630 e con il finire di quell'anno parve che l'epidemia si fosse calmata, ma non fu così. Finito l'inverno e con l'arrivo della primavera del 1631 il morbo riprese più forte che mai e così ancora nel 1632, per poi finalmente cominciare a scemare. Ormai non c'era quasi rimasto più nessuno da uccidere, interi nuclei familiari scomparvero, altri furono decimati, questa peste aveva fatto orfani su orfani. Ci fu una particolare ed inevitabile tendenza, si racconta che in quel periodo si formarono molti nuclei familiari fra i superstiti. 
I numeri precisi delle morti nella Valle del Serchio e in Garfagnana non si sanno, si può stimare che ci fu un calo demografico dal 40% al 60% e un crollo totale delle nascite. Tanto per prendere come metro di paragone, possiamo vedere che città come Bologna, che prima della peste (1628) contava 62.000 abitanti, nel 1631 erano già 47.000. Nel solito periodo Firenze passò da
L'indice demografico dal 1550 al 1800 da
notare gli anni relativi alla peste(1630)
70.000 a 63.000 unità, per non parlare di Milano, da 130.000 a 65.000...

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