giovedì 19 ottobre 2023

Il Monte Forato agli Uffizi... Storia di un quadro unico e del suo pittore

 Michele Mointaigne, Sthendal, John Ruskin, il poeta Keats, per non
parlare del celebre scrittore Johann Wolfgang von Goethe, il poeta inglese George Byron e perfino la scrittrice Mary Shelley, autrice del celebre "Frankestein". Questi furono fra i personaggi più famosi che intrapresero "il Grand Tour". Il Grand Tour, per quelli che non lo sapessero era un viaggio in tutta Europa dove i giovani imparavano a conoscere la politica, l'arte e la cultura del vecchio continente, che (nella maggior parte dei casi) facevano i rampolli aristocratici. La meta principe naturalmente era l'Italia, che era considerata dai più un vero e proprio museo a cielo aperto. Questo giro per l'Europa raggiunse il suo massimo splendore verso la fine del 1700 e la metà del 1800. D'altronde c'era un tempo in cui non esistevano viaggi organizzati, nè tour operator, nè tantomeno crociere di qualsivoglia itinerario e se volevi conoscere il mondo questo era il modo che intraprendevano i giovani dell'alta borghesia europea, che così si prendevano un anno sabbatico dai loro impegni per conoscere il mondo esterno, per conoscere nuova gente e vedere diversi stili di vita. L'Italia era l'obiettivo finale che sicuramente immergeva il visitatore dell'epoca nella storia e nella cultura che forse nessun'altro paese europeo gli poteva dare. Tappe obbligate erano città come Venezia, Roma, Firenze, Napoli, Pompei, c'era anche chi s'avventurava in Sicilia e ai quei segni rimasti della cultura greca.
Naturalmente non era semplice muoversi, non esisteva la guida turistica, ci si spostava lungo un percorso ben definito dai precedenti viaggiatori, non era consigliabile uscire da questi tragitti per via dell'alto rischio di essere rapinati dai briganti. Ma come facevano poi questi illustri giovanotti ad immortalare per sempre questi viaggi unici ed irripetibili? Smartphone di ultima generazione? Macchine fotografiche ultramoderne? Ovviamente niente di tutto questo. L'usanza dei giovani nobili era quella di viaggiare con i loro ritrattisti o paesaggisti al seguito, così da poter fare degli schizzi durante i loro viaggi, in alternativa questi rampolli commissionavano gli schizzi ad artisti locali. Uno di questi intrepidi viaggiatori portava il nome di Karol Markò, lui sicuramente non aveva bisogno di portarsi al suo seguito nessun disegnatore, dato che lui era già uno dei più grandi paesaggisti ungheresi. Lasciò così nel 1822 l'Ungheria, il suo viaggio prosegui in Cecoslovacchia e di li continuò per l'Austria dove si stabilì per alcuni anni a studiare all'Accademia di Belle 
Karol Markò
Arti di Vienna. Dopodichè, riuscì finalmente a realizzare il suo sogno. Nel 1832 grazie all'intervento di un ricco mecenate si trasferì in Italia. Andò ad abitare a Firenze e di lì non si muoverà più per tutta la vita. Attratto dall'arte rinascimentale fiorentina, dalle opere del Michelangelo, del Vasari e di Leonardo pensò che tanta bellezza doveva essere condivisa con i suoi figli, doveva così trovare il modo di fargli raggiungere la Toscana dalla lontana Ungheria. Messi da parte un po' di risparmi riuscì a farli arrivare in Italia. Anche loro erano pittori di tutto rispetto, ma fra Karol (junior) e Andrea, nell'arte pittorica sembrava primeggiare quest'ultimo. Fu così che Andrea per niente intimidito dai giganti dell'arte toscana cominciò a fare scuola di paesaggio. Era stanco di rifugiarsi nel buio di uno studio, condusse così i suoi allievi fra pastori e greggi, prima intorno al Castello di Staggia e poi in Versilia e fu proprio in Versilia che rimase attratto da quei  monti che vedeva in lontananza: le Alpi Apuane, chiese così informazioni agli abitanti del posto che gli raccontarono la bellezza di tali vette e gli narrarono in particolar modo di due singolari montagne: il Monte Forato e il Procinto. Nel frattempo la sua fama cresceva, le sue mostre in giro per l'Italia avevano un 
"Paesaggio Montano"
 di Andrea Markò
Il Procinto sullo sfondo
successo unico, la sua pittura era una pittura vera, rappresentava i paesaggi con meticolosità unica. In questo suo girovagare per mostre il bizzarro destino volle che il Monte Forato ritornasse un'altra volta nei suoi pensieri, visto che fra le mani gli capitò una litografia della disegnatrice Charlotte Bonaparte, nipote di Napoleone, questo disegno s'intitolava proprio "Vue de Monte Forato" (Veduta del Monte Forato). Pensò così che il destino non andava sfidato e armato di cavalletto e pennelli si inerpicò su quei difficili sentieri apuani per poter fissare su tela questa bellezza miracolosa. Era il 1871 quando Andrea creò 
questo dipinto che ci offre una lettura del fenomeno naturale ferma e chiara, che non rinuncia però ad un tocco di sublime romanticismo: la pastorella infatti, piccola insieme ai suoi animali, ci offre la misura e la maestosità della conformazione rocciosa e induce in noi stupore e meraviglia. Negli anni a venire l'opera d'arte passò nelle mani del pittore anglo-fiorentino Robert William Stranger, che nel 1913 la donò alla Galleria d'Arte Moderna
di Palazzo Pitti. Ora il quadro è sotto la tutela de "La Galleria degli Uffizi".


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