mercoledì 24 gennaio 2018

Sfuggire ad Auschwitz. Dal memoriale di Leo Kienwald, ebreo internato a Castelnuovo

Leo Kienwald...un nome che ai più non dirà niente, ma è un nome legato a doppio filo con la Garfagnana e con una delle pagine più crudeli della storia dell'umanità. La famiglia Kienwald composta da papà Oscar, mamma Rachele Nadel e dai figli Erwin e Leonard (detto Leo), proveniva dalla Polonia occupata e faceva parte di quelle famiglie ebree internate coattivamente dalla Germania nazista a Castelnuovo Garfagnana dal 1941 al 1943. 
Chi è un mio assiduo lettore avrà comunque già letto più di un mio articolo riguardante questa famiglia, infatti ogni tanto nella mia mente riecheggiano le parole che a suo tempo mi disse Eli Kienwald (figlio di Leo) e che sono le stesse del filosofo George Santayana: - "Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo", quindi- continuò il dottor Eli, riferendosi a me- nei suoi articoli, ogni tanto continui a scrivere di questa tragedia, perchè la gente non dimentichi mai quello che è accaduto - e così puntualmente mi appresto a farlo.
Il rapporto fra me ed Eli Kienwald cominciò qualche anno fa, quando da Londra lo stesso Eli mi contattò dopo aver letto un mio articolo sulla tragedia della sua famiglia internata a Castelnuovo. Mi
L'articolo pubblicato sulla rivista
ebraica Hamaor: Escape from Castelnuovo
Garfagnana (Fuga da Castelnuovo Garfagnana)
propose di condurre ricerche più approfondite su quello che successe a suo padre Leo in quei terribili anni in Garfagnana, la nostra collaborazione sfociò poi in un bellissimo articolo pubblicato su una rivista ebraica a maggior diffusione (Hamaor), in più mi inviò un vero pezzo di storia, unico e toccante: il memoriale di suo padre che racconta la sua fuga per la libertà attraverso le nostre montagne, un diario bellissimo, particolareggiato, ricordi vivi e nitidi di quei tremendi giorni scampati al rastrellamento, evitando così di finire nelle camere a gas di Auschwitz.

Tutto cominciò quel maledetto 4 dicembre 1943 quando arrivò l'ordine dall'Oberkommando der Whermacht, dove si diceva che tutti gli ebrei stanziati in confino coatto a Castelnuovo Garfagnana si dovevano
Una pagina del memoriale di Kienwald
in mio possesso
presentare il mattino seguente presso la caserma dei carabinieri. Grazie ad una soffiata di un maresciallo dell'arma si capì presto il perchè di questa convocazione: l'indomani tutti gli ebrei residenti sarebbero stati arrestati e condotti nel campo di concentramento di Bagni di Lucca, per essere poi trasferiti nei campi di sterminio del nord Europa. Il maresciallo avvertì tutti  gli interessati e consigliò di darsi immediatamente alla fuga. Nonostante tutto a questa soffiata pochi vi credettero, fra questi pochi la famiglia Kienwald fu una di queste, cominciò così la sua fuga attraverso le Apuane.

Quelle a seguire sono stralci salienti del memoriale di Leo Kienwald, scritti nel 1996 poco prima che lasciasse per sempre la vita terrena.

L'inizio della fuga (N.D.R: i titoli dati ai paragrafi non fanno
Verbale della Prefettura del 1942
Corrispondenza censurata
degli ebrei di Castelnuovo
parte del diario stesso, sono stati aggiunti da me per dare ordine all'articolo).


Era il 5 dicembre 1943. Il cielo era grigio quasi un segno della tragedia incombente. Perchè gli altri sono tutti finiti ad Auschwitz. E sono morti. Noi, padre madre e due ragazzi camminavamo su una strada sterrata, nella Valle della Turrite, nella direzione opposta a quella della caserma dei carabinieri. Il giorno prima era stato impartito un ordine: presentarsi quella mattina alle otto. Un'ora prima ebbi ancora un fuggevole incontro con Elisabeth (N.D.R: Elizabeth era l'innamorata ebrea confinata anche lei a Castelnuovo). Tentai di convincerla a seguirmi. Non poteva abbandonare la madre. Qualche anno fa la ritrovai nel "Libro della Memoria". Ebbi così la conferma del tragico destino suo e degli altri internati a Castelnuovo Garfagnana. Che sarebbe stato il mio, il nostro.


La paura,le bugie e la prima sistemazione

Raggiungemmo infine alcuni casolari. Era Colle Panestra. Ci
Vecchia foto L'Alpe di Sant'Antonio
presentammo come sfollati. Non avevamo documenti ne soldi. Solo le ultime carte annonarie di Castelnuovo. Trasformai il cognome Kienwald scritto a mano in "Rinaldo". Un nome straniero poteva destare sospetti. Fummo infine accolti da una famiglia nei pressi di Fontana Grande a Piritano di Sotto. Allora sapevo solo che ci trovavamo sull'Alpe di Sant'Antonio. Mio padre e mia madre dormivano in una camera messa a loro disposizione. A noi ragazzi diedero una capanna nel bosco dove si raccoglievano le foglie secche di castagno. Ricevemmo una lampada ad acetilene e due coperte.


La fuga continua: una nuova sistemazione

Ricordo con commozione la bontà di quelle persone. Ma non potevamo
Rifugio Rossi...una volta
approfittare a lungo dell'ospitalità. Ci mettemmo quindi in cerca di un casolare disabitato. E lo trovammo a Pasquigliora, non lontano da Colle Panestra. Era il casolare di un pastore, che prima della guerra portava su le pecore dalla Versilia. Il casolare era giusto attrezzato per quattro persone, non mancavano materassi, coperte e cuscini. Il custode del Rifugio Rossi, sotto la Pania della Croce, abitava a Pirano di Sotto. Si offrì di salire al rifugio con noi ragazzi per prelevare quanto occorreva.


Il ritorno a Castelnuovo e il recupero dei vestiti per affrontare il rigido inverno 

A Castelnuovo vivevamo abbastanza tranquilli fino all'ordine
Castelnuovo nel 1930. Nel cerchio rosso
l'appartamento dove abitavano i Kienwald
in Piazza Umberto i
impartito dai carabinieri. Quando fuggimmo da Castelnuovo portammo quasi nulla con noi. Gli effetti personali erano rimasti in un baule lasciato nella casa a Castelnuovo. Non si poteva superare l'inverno senza quegli indumenti e bisognava in qualche modo recuperarli. Un abitante di Castelnuovo, con il quale mio padre si mise misteriosamente in contatto, andò in quella casa, ruppe i sigilli applicati dai carabinieri, prese il baule, lo caricò su un mulo e ce lo portò su. Mio padre gli regalò una parte del contenuto


La nuova vita e le nuove abitudini

Vivevamo dunque in quel casolare a circa mille metri di altitudine.
Sfollati in Garfagnana in tempo di guerra
La principale preoccupazione era procurarsi da mangiare e legna per riscaldarsi. Era compito di noi ragazzi. Mio fratello era minore di quattro anni e aveva sempre fame. I contadini erano generosi e la farina di castagne non mancava mai. Imparammo a farci la polenta nel paiolo, a versarla sul piatto di legno, a tagliarla con la cordicella. Non volevamo essere mendicanti. Facevamo vari lavori per loro, il più terribile era caricare sul collo il cesto di letame per andare a spanderlo sui campi. La sera bisognava sottoporsi ad un intenso lavaggio. Passarono i  mesi, passò l'inverno. Non sapevo nulla allora di Auschwitz. Avevo la sensazione di essere scampato, insieme ai miei, ad un terribile destino.


La vita è in pericolo

Nella primavera del 1944 ci trovavamo praticamente al fronte. La
Calomini, sul fronte della Linea Gotica
(foto Gruppo Linea Gotica Garfagnana)
linea gotica passava a qualche centinaio di metri da noi. C'era una strada sterrata a mezza costa del Monte Piglionico, che finiva ai piedi della Pania della Croce. Alle Rocchette poco sopra la strada, c'era una postazione. Li dovevamo passare per entrare nella terra di nessuno
(N.D.R: Per "terra di nessuno" si intende una porzione di territorio non occupata)


Una battaglia nella notte...bisognava fuggire e salvarsi

N.D.R: Qui si racconta della celeberrima battaglia del Monte Rovaio (o Colle del Gesù), fra i partigiani del "Valanga" e le truppe germaniche, dove i nostri protagonisti furono attenti testimoni, prima, durante e dopo i fatti. Ecco un piccolo brano di quel ricordo:

Sia arriva così alla fine di agosto, esattamente il 29 agosto 1944.
Il Monte del Gesù, luogo della battaglia
raccontato da Leo Kienwald
Quella mattina, era ancora notte, si sentì una forte sparatoria intorno a noi. Mi affacciai alla finestra e vidi dei razzi illuminanti salire verso il Monte del Gesù. Avevo la netta sensazione di essere circondati, Ci vestimmo in fretta ed uscimmo. Dovevamo allontanarci. Dietro il casolare una ripida discesa portava in un fosso, che ci copriva dai proiettili e in qualche modo ci nascondeva. Arrivati in fondo ci dirigemmo verso il mulino. Sapevo che il mugnaio aveva preparato una grande buca nel bosco. Egli ci accolse. Solo mia madre ed altre donne rimasero fuori. Entrammo carponi. Eravamo in 12 li dentro, sdraiati su un tavolato, uno accanto all'altro. C'era anche il giovane parroco de L'Alpe di Sant'Antonio. Lì restammo per tre giorni e tre notti. Le donne ci portavano qualche piatto di pasta senza sale. Devo ammirare il coraggio di mia madre. Era una donna fragile e timida. Ritornò al casolare per salvare qualcosa. Ormai bruciava. Si trovò faccia a faccia con i tedeschi. Terminata la battaglia nel corso della mattinata i tedeschi bruciarono infatti tutti i casolari.


La disperazione

A questo punto eravamo veramente soli. Il nostro casolare, tutti i
Il sentiero della libertà ripercorre
quasi le stesse strade che fecero i Kienwald
(foto Daniele Saisi)
casolari, erano bruciati. I residenti s'enerano in gran parte andati. I pochi rimasti cominciarono ad aver paura. Avevamo perso tutto. Non sapevamo dove andare. Non potevamo più contare su un eventuale assistenza di chi ancora si aggirava sull'Alpe. Risalimmo Colle Panestra e prendemmo un sentiero a destra, arrivammo a casa di una certa Viola.
(N.D.R: Viola Bertoni alias "la mamma dell'Alpe", nel 1981 gli verrà conferita una medaglia al valore civile per la sussistenza data ai gruppi partigiani). Questa fu la nostra dimora fino alla fine di novembre. Mi chiedo oggi come abbiamo fatto a vivere. Non ricordo i dettagli. Ogni sforzo mentale era concentrato sul modo di come uscire da questa situazione disperata. Intanto l'inverno avanzava 


I primi tentativi verso la libertà

Mi decisi di andare a chiedere aiuto ad una grossa formazione
Partigiani del Valanga
(foto tratta da il libro
"L'altra faccia del mito")
partigiana, comandata da un maggiore inglese, che si trovava sui monti di fronte, dall'altro lato della Turrite...
[continua]...Mi incontrai con il maggiore Oldham (N.D.R: il maggiore Oldham fu fatto prigioniero dagli italiani, fuggi dal carcere e si mise a capo della Brigata partigiana Lunense), al quale diedi informazioni sulle Rocchette, da dove poteva congiungersi con la V armata [continua]...All'occupazione della postazione sulle Rocchette mi avrebbero dovuto mandare una staffetta per passare il fronte. [continua]. Passarono i giorni e nulla successe.


Il terrore e poi...libertà, libertà !!!

L'attesa diveniva insopportabile e giorno dopo giorno la situazione
Castelnuovo bombardata
peggiorava. Un giorno decisi con mio padre di recarci direttamente sul posto consapevoli ovviamente del rischio. Ma non avevamo ormai scelta. Ci incamminammo e raggiungemmo la strada che passava sotto le Rocchette. C'era nebbia quella mattina e camminavamo in un silenzio irreale. Improvvisamente sbucarono dalla nebbia tre militari con i fucili spianati: alto là. Portavano l'elmo dei bersaglieri. Siamo proprio capitati male, pensai. Uno di loro urlò: "Sono ebrei, li conosco". Dopo qualche secondo si rivelarono. Erano partigiani, che avevano occupato la postazione e si erano messo in testa l'elmo dei prigionieri. Forti abbracci, profonda emozione. Quello che aveva urlato era di Castelnuovo e ci aveva riconosciuto. Chiedemmo se potevamo passare
[continua]


N.D.R: Le peripezie dei Kienwald continuarono, adesso bisognava recuperare il resto della famiglia, passare il fronte e consegnarsi nelle mani della V armata americana. Nella stessa notte però imperversò un'ennesima battaglia che mise a repentaglio la loro vita e il lieto fine di questa tragica avventura. La descrizione di quelle decisive e fondamentali ore è precisa e minuziosa, ma finalmente...

Ci trovammo nella terra di nessuno e ci fermammo in un piccolo
La V armata americana
villaggio, dove passammo la notte dormendo sul pavimento in una casa vuota. Era il 20 novembre 1944. Al mattino riprendemmo il cammino. Grande fu l'emozione quando incontrammo una pattuglia di americani che ci diedero della cioccolata e ci portarono al loro campo. Mio padre tolse dalle spalline della giacca il suo vecchio passaporto polacco. Ci portarono a Gallicano, nell'immediata retrovia poi a Viareggio.


N.D.R: Il diario continua con quello che accadde dopo la liberazione, le varie sistemazioni in altre parti della Toscana, la fame patita più da liberi che da ricercati e sopratutto la ricerca di una nuova Patria e di una nuova vita, ma comunque non era niente a confronto di quello che successe agli altri ebrei "castelnuovesi". Il diario si chiude con il perchè di questo scritto:


Qui finisce la nostra piccola odissea che, posso dirlo, è stata
Auschwitz. Una mia foto.
 Le scarpe degli ebrei uccisi..
splendida se paragonata a quella che sicuramente sarebbe stata senza il mio modesto atto di coraggio, prodotto da quella fiammella di Dio che, credenti o non credenti, c'è in ognuno di noi e che guida la nostra mente. Dopotutto, a dispetto della soluzione finale, sono qui con figli e nipoti. I genitori riposano nella terra d'Israele. Mio fratello vive in Israele, ha un figlio e tanti nipoti. Ho raccontato questa storia perchè la memoria non vada persa.


Leonard Kienwald 

Bibliografia

Per chi vuole sapere di più su questa famiglia e su gli ebrei in confino coatto a Castelnuovo Garfagnana può consultare i miei articoli cliccando su questi link:


3 commenti:

  1. Gilberto Bentivoglio26 gennaio 2020 alle ore 17:28

    Ho passato tutto il pomeriggio a leggerti, con sentimenti contrastanti di pietà e commozione ma anche di rabbia al pensiero di quanto sia crudele e cretino l'uomo. E devo ringraziarti, come sempre, per i tuoi scritti

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  2. Grazie Gilberto, bellissime parole. Benzina per chi come me scrive con passione e con il cuore

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  3. Sono la figlia di leo kienwald , vivo a Gerusalemme. Mi piacerebbe contattare l’autore dell’articolo. Come si può fare? Forse tramite e-mail?

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