mercoledì 10 febbraio 2021

Storie e leggende di briganti garfagnini

Dalla gente comune erano considerati tutt'altro che dei manigoldi o dei furfanti, erano reputate persone di tutto rispetto, coloro che lottavano contro il potere, contro i ricchi, insomma, gente povera come loro stessi che però era riuscita ad alzare la testa dalla miseria che ammantava tutta la Garfagnana. Questi novelli Robin Hoood erano i briganti garfagnini. In questo mondo così variegato e complesso, che comprendeva anche questi presunti "Robin Hood", esistevano anche banditi comuni che non avevano alcuna ispirazione "filantropica" e che non erano altro che l'espressione di una società in cui la violenza era largamente praticata da tutte le classi sociali. Comunque sia, la vena benefattrice di questi briganti nostrali aveva il suo scopo principale nell'ingraziarsi il misero popolino, infatti dopo aver perpetrato il violento agguato all'opulento signorotto di turno e diviso fra la banda i proventi della rapina, era consuetudine che una parte di questo maltolto fosse
destinata all'acquisto di cibarie da distribuire alla povera gente, facendo così si sarebbero comprati la loro protezione e la loro benevolenza, in questo modo sapevano che mai e poi mai il tapino li avrebbe traditi alle pubbliche autorità, anzi li
 avrebbero difesi a spada tratta contro tutto e tutti, era più facile che uno stesso membro della banda tradisse un suo compagno. Fu proprio per questo motivo che nel periodo d'oro del brigantaggio garfagnino questi malfattori divennero delle vere e proprie icone, fu questa supposta umanità che fece nascere leggende e racconti su questi briganti, in questo modo la narrazione storica delle loro imprese si confuse con la leggenda e poco importava sapere se quel singolo episodio fosse realmente accaduto oppure no. Il brigante in fondo era anche questo: mito, leggenda, quel pizzico di sogno di rivalsa che in taluni casi non guastava affatto. Ecco allora nascere l'epopea  sui briganti garfagnini. Fra i più rinomati manigoldi c'erano quelli che agivano sulla Via Vandelli(n.d.r: la strada che avevano fatto costruire gli Estensi per collegare la Garfagnana con il mare), questi malviventi erano solito appostarsi dietro i faggi che
La Via Vandelli
costeggiavano la strada e in men che non si dica erano pronti ad assalire i malcapitati commercianti che si recavano a Massa. Tutto queste angherie verso questi commercianti mettevano però in seria difficoltà lo sviluppo economico della valle, per cui il duca per arginare l'illegalità ordinò che qualsiasi atto di brigantaggio nella suddetta strada fosse pagato da quei briganti con il taglio della testa. Non fu una vana minaccia... ancora oggi scendendo verso Resceto si può notare sul bordo della strada dei fori nella roccia, ebbene quei fori servivano a sorreggere il palo a cui venivano legate le teste dei briganti giustiziati, ciò doveva essere di monito a tutti quelli che avevano intenzione di continuare con queste ruberie. In effetti i furti sulla Vandelli diminuirono, ma continuavano imperterriti nelle osterie di questo percorso, dove i clienti e gli avventori non solo venivano derubati ma sparivano misteriosamente. Si narrava infatti che passando di notte dal passo della Tambura fosse possibile incontrare il brigante colpevole di tutte misteriose sparizioni, ad onor del vero non era proprio un brigante in carne e ossa, ma era il fantasma di uno di quei briganti decapitati dal duca. Lo si poteva incontrare avvolto in un pesante tabarro di colore scuro, con un cappello a tese ampie e con in mano una lanterna. Chi lo incontrava
veniva spinto irrimediabilmente giù dagli irti pendii della Tambura e non aveva alcuna possibilità di salvarsi. Il duca pensò bene di combattere questo fantasma allestendo un punto base per tutti quei mercanti che volevano fare il passo della Tambura, fece così in modo che a Vagli questi poveri mercanti facessero sosta per la notte, in questo modo avrebbero affrontato di giorno il viaggio senza alcun pericolo di incappare nel fantasma-brigante. Gli abitanti di Vagli furono ben contenti di questa iniziativa ducale, il commercio dentro il paese ebbe un notevole sviluppo e fu così che i fedeli sudditi del sovrano illuminato per ringraziarlo dell'opportunità data gli regalarono due posante fatte con l'argento estratto nella miniere che si trovava poco sopra l'eremo di San Viano. 
Come ho già potuto raccontare qualche riga sopra, era più facile che un'appartenente a una banda di briganti tradire un proprio compagno che una stessa persona del popolo e così fu in quel lontanissimo 1541, quando le cronache ricordavano di un certo brigante di nome Cesare e di quando insieme alla sua banda si rifugiò nella casa del prete di Vergemoli e qui vi rimase per alcuni giorni. Fino a che una notte non sentì bussare alla porta, erano le guardie del Granduca venute appositamente da Barga per arrestare quei farabutti per gli atti criminosi commessi in terra barghigiana. Le guardie erano pronte a tutto, perfino a dare fuoco alla casa, i briganti non si fecero spaventare da queste minacce e cominciarono uno scontro a fuoco furioso che non portò al cedimento di nessuna delle due parti. Dall'altra parte nemmeno le guardie non demorsero e misero in men che non si dica sotto assedio per ore e ore la casa del prete, i banditi erano però sfiniti e per uscire dall'impasse il capo delle guardie propose alla banda dei briganti di consegnarli il loro capo: il bandito Cesare, in cambio avrebbero avuto salva la vita e perdipiù sarebbero stati lasciati liberi di andare dove gli pare.
Cesare fu così tradito dai suoi compagni, ma anche i suoi compagni furono traditi dalle guardie stesse che le legarono come dei salami e li condussero nelle prigioni barghigiane. Ma la storia non finì qui, a quanto pare ancora oggi nelle sere invernali a Vergemoli, quando il vento soffia da nord e i camini del paese fumano, qualcuno sente ancora distintamente le urla e le imprecazioni di quei disperati mentre vengono portati via dalle guardie. C'è addirittura chi giura di sentir bussare alle porte delle case, proprio in quelle case che sono vicine alla casa del parroco, è una mano invisibile che bussa è l'anima di quei briganti che cerca rifugio in quelle dimore per sfuggire alla cattura. Ma non importava scomodare i barghigiani, talvolta messer Ariosto, governatore di Garfagnana, non vedeva di buon occhio queste incursioni d'oltreconfine, la legge nei territori estensi doveva esser fatta rispettare da lui medesimo, perciò niente intromissioni esterne. Fu proprio per questo motivo che in una delle sue poche uscite dalla rocca castelnuovese dovette recarsi nei territori delle Apuane settentrionali per vedere con i propri occhi e sentire con le proprie orecchie la gente che si lamentava di una banda di giovani briganti che non aveva rispetto per niente e per nessuno. Mentre stava percorrendo questa strada ebbe l'occasione di conoscerli personalmente, difatti fu da loro  
sfortunatamente catturato. Una volta immobilizzato lo legarono bene bene e lo fecero incamminare verso una grotta, fatto sedere sopra un sasso i briganti cominciarono a svuotare le bisacce della sua sella per cercare soldi e roba da rubare, mentre uno dei banditi rovistava serenamente in una delle bisacce recitò alcuni versi di un poema
dello stesso Ariosto, storpiandoli però in maniera veramente indecente. Il poeta nel sentire tale obbrobrio intervenne prontamente, recitandoli con grande ardore e sentimento dimostrando di essere così il poeta che li aveva composti. Con stupore ed ammirazione i briganti liberarono l'Ariosto e lo invitarono a declamare "L'Orlando Furioso". I malviventi sbalorditi da cotanti versi promisero che mai più lo avrebbero toccato, colui che compone tanta bellezza non poteva essere nè derubato, nè ucciso. Il poeta tornò così a Castelnuovo. Come si può leggere, l'affezione popolare verso questi briganti non li descriveva come dei guitti ignoranti, ma anche come persone che sapevano apprezzare un po' del sapere umano e se da una parte gli veniva riconosciuto questo merito dall'altra gli veniva accreditato  il grande pregio per eccellenza: l'arguzia, la furbizia e la scaltrezza. Di tutte queste doti il brigante che ne faceva più tesoro era il brigante Barbanera, uno dei criminali più famosi di tutto l'Appennino tosco emiliano. Il suo quartier generale era sui monti sopra Bagni di Lucca e lì nelle spelonche di quelle montagne viveva costantemente ricercato dalle guardie come il nemico pubblico numero uno. La sua astuzia gli aveva però sempre evitato la cattura, tanto per rendere chiara la sua furbizia i resoconti dell'epoca narrano che quando c'era la neve e le guardie seguivano le sue orme fin dentro la grotta dove abitava, egli metteva le scarpe alla rovescia, cosicchè quando rientrava nella grotta stessa sembrava che ne fosse appena uscito, facendo così credere alle guardie di essere arrivati troppo tardi. Una volta arrivò la notizia che Barbanera era stato avvistato a Montefegatesi, i gendarmi di corsa si recarono sulla strada
principale e su tutti i sentieri limitrofi per fermare ogni tipo sospetto. Giunti in località Sant'Anna i gendarmi incontrarono un montanaro dalla folta barba e una volta fermato gli domandarono:- Da dove venite voi?- il barbuto uomo tranquillamente rispose: -Da Montefegatesi- e le guardie ancora:- Vi risulta che lassù vi sia stato o ci sia ancora il brigante Barbanera?- e lo sconosciuto che in realtà era il bandito stesso rispose:- Quando io c'ero, c'era...- E i gendarmi senza capire la risposta corsero immediatamente in paese. Del resto tutte questi racconti di briganti nostrali viaggiano su quella sottile linea fra il fatto storico e la leggenda, anche se, la più calzante differenza fra storia e leggenda la sottolineò un famoso poeta francese che così ebbe a dire: "
Cos'è la storia dopotutto? La storia sono fatti che finiscono col diventare leggenda; le leggende sono bugie che finiscono per diventare storia".


Bibliografia
  • " Racconti e tradizioni popolari delle Alpi Apuane" di Paolo Fantozzi edizione "Le lettere" anno 2013

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