Oggi
voglio raccontarvi una storia, di questa storia però non
troverete traccia o menzione in nessun libro o testo scolastico storico. Eppure una paginetta la meriterebbe dato che questa tragedia risulta essere fra le più grandi sciagure della storia dell'emigrazione italiana, per di più avvenuta in tempo di guerra. Le 446 vittime di questa infamia meritano di essere ricordate e da settantasei ormai anni gridano ancora giustizia, una giustizia che purtroppo non arriverà mai. Del resto non poteva che essere così, gli scenari alla fine della seconda guerra mondiale cambiarono totalmente e quelli che erano nemici diventarono amici e purtroppo tornava male pestare i piedi e chiedere spiegazioni a coloro che la guerra l'avevano vinta e che magari qualche aiuto economico post bellico ce lo avrebbe pure concesso e ci toccò ingoiare amaro e subire questo vergognoso destino. In questo dramma fu coinvolta anche la nostra Garfagnana, terra di emigranti andati via dalla nostra valle per cercar fortuna in Inghilterra e per mezzo della stessa Inghilterra morirono. Fu una di quelle
tragedie che la storia fatta dai vincitori ha fatto presto a
seppellire nell'oblio del tempo, eppure molte donne garfagnine e della
nostra valle non videro mai più i loro padri, mariti, figli e
nipoti
in quel maledetto 2 luglio 1940 quando l'Arandora Star salpò da
Liverpool. Ma intanto prima di arrivare ai quei tragici giorni
facciamo un po' di antefatto. Nel
secolo scorso molti abitanti della nostra valle emigrarono in
Inghilterra, dove lavorando duramente ed onestamente si integrarono
con quel popolo.Tutto si svolgeva nella più completa armonia,tanto che, specialmente i nostri compaesani avevano fatto amicizia con gli
stessi inglesi. Questa benevola convivenza cominciò ad incrinarsi
quando negli anni trenta l’Italia ebbe violenti contrasti con la
Gran Bretagna, che culminarono con la presa da parte italiana dell’Abissinia. L'Inghilterra aveva sempre osteggiato le nostre velleità imperiali, per cui
le autorità inglesi presero a sospettare degli italiani da loro
residenti di collaborazionismo con il regime fascista ed iniziarono a
sorvegliarli, per di più anche la stampa inglese contribuiva sostanzialmente a fomentare questo clima anti-italiano tant'è che il Daily Mirror il 27 aprile 1940 così scrive: "...L'italiano a Londra rappresenta una parte "indigeribile" della popolazione. In genere si stabilisce qui in forma precaria,
giusto per il tempo di accumulare abbastanza denaro per comprarsi un piccolo appezzamento di terra in Calabria, in Campania o in Toscana...- e ancora -... E dunque le navi scaricano tutti i generi di Francesca e Maria dagli occhi marroni e di Gino, Tito e Mario dalle sopracciglia a mo' di scarafaggi. Ora, ogni colonia italiana in Gran Bretagna e in America rappresenta un calderone bollente che fomenta attività politica. Fascismo nero...".
La situazione tracollò quando il 10 giugno 1940 l’Italia dichiarò guerra alla Gran Bretagna, immediatamente in Inghilterra scattò il proclama "collar the lot!", la caccia all'italiano fu inesorabile, non importava se residenti ormai in Inghilterra da anni o se avevano prestato servizio militare per gli inglesi, furono comunque considerati nemici della Patria, evidentemente erano azioni già ben preordinate. La testimonianza del clima di quei giorni incerti eccola nelle parole del fornacino Mario Camaiani, in un suo bel racconto così riporta la cronaca di una mattina di maggio all'uscita della Santa Messa in Inghilterra:
“Ma che vorranno fare: imprigionarci tutti?”, diceva uno. “No, che non gli conviene, che siamo in tanti e gli costerebbe troppo!”, fece un altro, sorridendo. Al che un altro ancora intervenne: “Non è il caso di scherzare, che la faccenda non è per nulla bella”. “E allora, che si deve fare? – ribatté il precedente, e continuò - Come si suol dire, non bisogna fasciarsi la testa prima di averla rotta e finora, pur sospettando in generale di noi italiani, le autorità non hanno fatto del male ad alcuno. In fondo siamo anche inglesi, molti di noi ne hanno assunto la cittadinanza, i nostri figli quasi tutti sono nati in Inghilterra; ed in questa contingenza la gente comune, che ben ci conosce, ci mostra comprensione ed amicizia, non condividendo l’atteggiamento dei pubblici poteri nei nostri riguardi. Comportiamoci bene, come sempre abbiamo fatto, da buoni cittadini; non prendiamo parte a discussioni politiche-militari e, se necessario, affermiamo che una eventuale guerra fra l’Inghilterra e l’Italia la detestiamo con ripugnanza, il che è vero, e possibilmente restiamo tranquilli in attesa degli eventi”.
Gli eventi non si fecero attendere e difatti i maschi con età compresa fra diciotto (e anche meno) fino ed oltre settant'anni vennero tutti arrestati in attesa di essere inviati in appositi campi di concentramento con l'accusa di essere potenziali spie. Nel frattempo vennero sistemati in attesa di selezione in vecchie fabbriche dismesse e trattati in maniera a dir poco disumana,a questi poveri prigionieri fu applicato il duro "regime di restrizione" così come previsto dal Regulation 18b. A testimonianza del pessimo trattamento questo verbale della Croce Rossa conferma i fatti:
- Gli Italiani venivano accomodati in una fabbrica di cotone abbandonata a Bury, nel Lancashire, conosciuta come Warth Mills. L'entrata era pieni di scorie della lavorazione del cotone, e il pavimento scivoloso per gli oli e il grasso che l'impregnava. La sola luce veniva da un soffitto di vetro, e molte delle finestre erano rotte o mancanti, lasciando dunque entrare la pioggia che veniva raccolta in ampie taniche. I lavandini erano sporchi, con solo otto rubinetti d'acqua fredda per 500 uomini. Alcuni dottori Italiani tra gli internati si posero alla testa di un gruppo di protestatari che giunse fino al comandante del campo, il maggiore Braybrooke; in conseguenza della piccola manifestazione, fu data della calce nel tentativo di migliorare la situazione igienica. C'erano pochi materassi, e gran parte degli internati era costretta a dormire su ruvide tavole di legno coperte da due o tre lenzuoli, molti dei quali divorati dai vermi. Il cibo era scarso: la cena consisteva di un pezzo di pane raffermo, un pezzo di formaggio e una tazza di te. La notte si udivano i ratti squittire tra i macchinari arrugginiti dell'impianto. Due recinti di filo spinato circondavano l'intero edificio, con le sentinelle armate che vi camminavano in mezzo nel fare la guardia».
Tale verbale è confermato da Mons R.A Haccius delegato inglese della Croce Rossa Internazionale in data 12 luglio 1940.
Per tutto dire la marina militare britannica per esigenze
belliche requisì molte navi mercantili, passeggeri e da
crociera e fra queste l'Arandora Star. L'Arandora era una bellissima
nave transoceanica, che in molti anni di attività aveva
solcato le acque di mezzo mondo, compiendo crociere di lusso ma in tempo di guerra venne requisita e adibita a trasporto di deportati, in questo caso doveva trasportare in Canada anche la gente della Garfagnana e della Valle del Serchio accusata (ingiustamente)di spionaggio, ed essere poi internata in un campo di concentramento, insieme ad altri
prigionieri tedeschi.Tornando appunto a quei drammatici
giorni il 1° luglio arrivò l'ordine da Churchill di partire,la nave issò le ancore da Liverpool e salpò
verso il largo. Imprudentemente la nave
era senza armamenti, senza scorta e senza segni che
potessero indicare il tipo di carico umano che trasportava, facile
quindi che incappasse nei famigerati U-boot, gli spietati sommergibili
tedeschi e proprio il giorno dopo ne fu incrociato uno. Il maggiore germanico Prien al comando di un U-Boot 47 dette l’ordine di lanciargli contro un siluro che colpì la nave a
morte. Il viaggio dell'Arandora si interruppe per sempre al largo della costa nord-ovest dell'Irlanda. Trentacinque minuti, questo fu il lasso di tempo impiegato dalla nave per affondare, il mare
inghiottì l’Arandora Star e con essa più di ottocento
uomini, di cui quasi cinquecento erano italiani e con loro
molti garfagnini
e barghigiani. Fu un prigioniero tedesco Otto Burfeind a guidare le operazioni di evacuazione, mentre l'incrociatore canadese St. Laurent, grazie all'S.O.S riuscì a portare in salvo 586 passeggeri. Ma anche per i sopravvissuti nessuna pietà il 10 luglio vennero di nuovo imbarcati: destinazione campi di prigionia in Australia.
A perenne memoria vorrei ricordare uno ad uno i nostri conterranei che quel lontano 2 luglio 1940 morirono in questa immane tragedia: Agostini Oliviero, Alberti Humbert, Bertolini Vincenzo Silvio, Biagioni Ferdinando, Ghiloni Nello, Moscardini Santino, Poli Amedeo, Rocchiccioli Cesare, Togneri Giuseppe, tutti originari di Barga. Bertoncini Pietro, Cardosi Valesco, Giannotti Alfredo, provenienti da Camporgiano, mentre Biagioni Francesco, Biagioni Umberto, Filippi Mario, Piovano Giacomo di Castelnuovo Garfagnana. Filippi Simone di Pieve Fosciana e Biagi Luigi di Gallicano e infine Meschi Oscar di Fornoli
Vicende
incredibili, tragici eventi che hanno subito per anni ed anni un vero e proprio processo di rimozione storica e che soltanto ultimamente qualcuno si è ricordato dei dolori mai sopiti che si sono conservati nel cuore di chi per decenni ha custodito il ricordo dei propri cari senza che nessuno sapesse...
L'Arandora Star |
Emigranti italiani che vendono gelato in Inghilterra |
giusto per il tempo di accumulare abbastanza denaro per comprarsi un piccolo appezzamento di terra in Calabria, in Campania o in Toscana...- e ancora -... E dunque le navi scaricano tutti i generi di Francesca e Maria dagli occhi marroni e di Gino, Tito e Mario dalle sopracciglia a mo' di scarafaggi. Ora, ogni colonia italiana in Gran Bretagna e in America rappresenta un calderone bollente che fomenta attività politica. Fascismo nero...".
La situazione tracollò quando il 10 giugno 1940 l’Italia dichiarò guerra alla Gran Bretagna, immediatamente in Inghilterra scattò il proclama "collar the lot!", la caccia all'italiano fu inesorabile, non importava se residenti ormai in Inghilterra da anni o se avevano prestato servizio militare per gli inglesi, furono comunque considerati nemici della Patria, evidentemente erano azioni già ben preordinate. La testimonianza del clima di quei giorni incerti eccola nelle parole del fornacino Mario Camaiani, in un suo bel racconto così riporta la cronaca di una mattina di maggio all'uscita della Santa Messa in Inghilterra:
“Ma che vorranno fare: imprigionarci tutti?”, diceva uno. “No, che non gli conviene, che siamo in tanti e gli costerebbe troppo!”, fece un altro, sorridendo. Al che un altro ancora intervenne: “Non è il caso di scherzare, che la faccenda non è per nulla bella”. “E allora, che si deve fare? – ribatté il precedente, e continuò - Come si suol dire, non bisogna fasciarsi la testa prima di averla rotta e finora, pur sospettando in generale di noi italiani, le autorità non hanno fatto del male ad alcuno. In fondo siamo anche inglesi, molti di noi ne hanno assunto la cittadinanza, i nostri figli quasi tutti sono nati in Inghilterra; ed in questa contingenza la gente comune, che ben ci conosce, ci mostra comprensione ed amicizia, non condividendo l’atteggiamento dei pubblici poteri nei nostri riguardi. Comportiamoci bene, come sempre abbiamo fatto, da buoni cittadini; non prendiamo parte a discussioni politiche-militari e, se necessario, affermiamo che una eventuale guerra fra l’Inghilterra e l’Italia la detestiamo con ripugnanza, il che è vero, e possibilmente restiamo tranquilli in attesa degli eventi”.
Gli eventi non si fecero attendere e difatti i maschi con età compresa fra diciotto (e anche meno) fino ed oltre settant'anni vennero tutti arrestati in attesa di essere inviati in appositi campi di concentramento con l'accusa di essere potenziali spie. Nel frattempo vennero sistemati in attesa di selezione in vecchie fabbriche dismesse e trattati in maniera a dir poco disumana,a questi poveri prigionieri fu applicato il duro "regime di restrizione" così come previsto dal Regulation 18b. A testimonianza del pessimo trattamento questo verbale della Croce Rossa conferma i fatti:
Prigionieri Italiani in USA |
- Gli Italiani venivano accomodati in una fabbrica di cotone abbandonata a Bury, nel Lancashire, conosciuta come Warth Mills. L'entrata era pieni di scorie della lavorazione del cotone, e il pavimento scivoloso per gli oli e il grasso che l'impregnava. La sola luce veniva da un soffitto di vetro, e molte delle finestre erano rotte o mancanti, lasciando dunque entrare la pioggia che veniva raccolta in ampie taniche. I lavandini erano sporchi, con solo otto rubinetti d'acqua fredda per 500 uomini. Alcuni dottori Italiani tra gli internati si posero alla testa di un gruppo di protestatari che giunse fino al comandante del campo, il maggiore Braybrooke; in conseguenza della piccola manifestazione, fu data della calce nel tentativo di migliorare la situazione igienica. C'erano pochi materassi, e gran parte degli internati era costretta a dormire su ruvide tavole di legno coperte da due o tre lenzuoli, molti dei quali divorati dai vermi. Il cibo era scarso: la cena consisteva di un pezzo di pane raffermo, un pezzo di formaggio e una tazza di te. La notte si udivano i ratti squittire tra i macchinari arrugginiti dell'impianto. Due recinti di filo spinato circondavano l'intero edificio, con le sentinelle armate che vi camminavano in mezzo nel fare la guardia».
Tale verbale è confermato da Mons R.A Haccius delegato inglese della Croce Rossa Internazionale in data 12 luglio 1940.
Gli interni lussuosi dell'Arandora Star |
U-BOOT 47 |
L'Arandora Star colpita dal sottomarino |
Il Daily Express annuncia l'affondamento |
Un altro bel "regalo" del folle fascismo alleato al folle nazismo. Ora il nostro posto sulle barche - molto meno lussuose dell'Arandora Star - lo hanno preso i migranti africani che dall'inferno della nostra ex-colonia prendono il mare con le stesse speranze che avevamo noi ma senza neanche le valigie di cartone.
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