mercoledì 30 settembre 2015

La storia de "Il pane a sette croste". Impressioni e parole di un emigrante garfagnino

Il piroscafo "Galileo"
Rileggendo documenti e testimonianze della Fondazione Cresci di Lucca per la storia dell'emigrazione italiana, sono rimasto sorpreso nel leggere dei carteggi riguardanti l'emigrazione garfagnina nei tempi passati e mi è sembrato perlopiù di leggere gli articoli di qualche quotidiano nazionale di oggi, riguardante l'orda di disperati migranti che fuggono dai loro paesi d'origine. Naturalmente ci sono differenze sostanziali, ci mancherebbe altro, ma quanto a tribolazioni, speranze e viaggi in condizioni disastrose, nonostante siano passati più di cento anni non è cambiato assolutamente niente e non è retorica o banalità dire che quello che oggi provano questi disperati, i nostri nonni l'hanno provato per primi sulla loro pelle.Per questo che oggi vi voglio raccontare la storia vera  de "Il pane a sette croste",il viaggio che affrontò un garfagnino nel 1910 per raggiungere il lontanissimo Brasile.
Cresci durante il suo certosino lavoro di raccolta di testimonianze sull'emigrazione in Garfagnana strinse amicizia con Camillo Angelo Abrami originario di Chiozza (Castiglione Garfagnana) ma residente a Vagli di Sotto, la sua fu una vita di emigrazione attraversando oceani per ben 23 volte: destinazione Brasile. Era quindi il prototipo dell'emigrante garfagnino per eccellenza e così Camillo sintetizzò in poche parole la sua testimonianza all'estero, ricordando subito l'inizio della sua avventura, quando il padre si opponeva alla sua partenza, ma una volta ottenuto il consenso gli disse queste parole:
Camillo Abrami
con la moglie

- Ricordati che il pane degli altri,come ti ho ripetuto altre volte, ha sette croste. Per guadagnarselo all'estero sarà sicuramente più duro del mio-.Il Pane a sette croste divenne poi il titolo di una pubblicazione e sta a significare appunto la durezza dell'esperienza dell'emigrazione.
Oggi invece se proviamo a domandare a qualche giovane studente: - Cosa sapete dell'emigrazione italiana?- Molto probabilmente chiuderanno gli occhi e allargheranno le braccia e pensare che in molte lettere dei nostri emigranti garfagnini, scrivevano quasi tutti la solita cosa: "Salutate tutti quelli che domandano di me". Non volevano essere dimenticati e questo articolo vuole essere appunto uno stimolo in più perchè tutto questo non vada perso. 
La Garfagnana dai dati della Commissione Parlamentare sulla disoccupazione del 1952 è la zona della Toscana che nel tempo dette il maggior contingente di emigrati. Le cause furono molteplici:la menomazione dell'economia montana, lo sfruttamento distruttivo della montagna, la povertà stessa della popolazione e le poche vie di comunicazione.La disoccupazione sfiorava il 70%, i garfagnini campavano sullo sfruttamento del bosco a seconda della stagione (legna, funghi, castagne, mirtilli) figurarsi quindi ai tempi di Angelo Abrami. Angelo parti da Vagli nel 1910 a sedici anni con "il corredo necessario per qualche anno", come era nelle sue intenzioni e giusto, giusto prima di partire i genitori con sacrificio fecero un po' di acquisti per lui, ecco qui la spesa di quel tempo:

  • 1 valigia di cartone £ 15
  • 1 sveglia da £ 5
  • 1 paio di scarpe da lavoro £ 10
  • 1 paio di scarpe fine £ 12
  • 1 vestito di cotone da £ 9
  • 1 vestito da lavoro da £ 6
  • 2 paia di pantaloni £ 8
  • 3 paia di calze di lana £ 3
  • 1 asciugamano £ 1,25
  • 2 asciugamano di cotone £ 2,50
  • 2 gravane(n.d.r:forse cravatte, ma non lo so!)£ 2
  • 1 ombrello £ 1,50
  • 3 cappelli da  £ 2, £ 1,20, 90 Cent
  • 4,10 per le spese
Totale £ 79,35

Così si affrontava il viaggio per le lontane Americhe, innanzitutto indebitandosi già in partenza perchè molti garfagnini si rivolgevano già nel lontano 1874 al Banco di Anticipazioni e di Sconto di
Emigranti italiani su un bastimento
inizio 900
Castelnuovo che tramite l'ipoteca sui beni terreni della famiglia, si rifaceva pure sui primi salari guadagnati in terra straniera per rientrare del prestito dato e tutto questo per un biglietto di terza classe sul Piroscafo Galileo, come racconta il nostro protagonista. 

"Il Galileo portava 1600 passeggeri di terza classe, fra i quali più di 400 bambini. All'imbarco a Genova passava ogni sorta di persona, operai, contadini, donne con bambini alla mammella, ragazzetti, passavano portando quasi tutti una sedia pieghevole sotto il braccio, sacche e valigie di ogni forma alla mano o sul corpo, bracciate di materasse e di coperte e il biglietto con il numero della cuccetta stretto tra le labbra.Tutti i posti, ogni piccolo anfratto e minimo spazio veniva presto occupato.Le famiglie poi si separavano:gli uomini da una parte, le donne da un'altra e i ragazzi erano condotti nei loro dormitori.Entrando nei boccaporti infatti ridiscendevamo le scale entrando nelle camerate. Le cuccette erano su tre piani, una fila a destra e una a sinistra e nel mezzo un corridoio, mi facevano venire in mente la solita disposizione che davamo alle vacche a casa e la differenza poi non era così tanta. Ci venivano date materasse e salva vita di sughero (n.d.r:salvagenti) che ci doveva fare anche da cuscino. Al momento del mangiare si formavano squadre da 6 o 8 persone, ci davano un sacchetto di tela con piatti, gamelle (n.d.r:recipiente di latta), posate e bidone di legno per il vino".
Era piuttosto sulla modalità della distribuzione del cibo che venivano fuori dei parapiglia: i pasti (se così le vogliamo chiamare) venivano affidati ai "capirancio" che di solito erano i più anziani della camerata e questi di  solito facevano i furbetti facendo favoritismi o distinzioni al momento della distribuzione. Il cibo veniva poi consumato nelle cuccette o sul ponte in quanto non vi erano dei refettori. Non parliamo poi dell'igiene, nel 1900 la situazione era così descritta da un medico: 
“L’igiene e la pulizia sono costantemente in contrasto con la speculazione. Manca lo spazio, manca l’aria. Le cuccette degli emigranti vengono ricavate in due o tre corridoi e ricevono aria per lo più attraverso i boccaporti. L’altezza minima dei corridoi va da un metro e sessanta centimetri per il primo, partendo dall'alto,a un metro e novanta per il secondo. Nei dormitori così allestiti, è frequente l’insorgenza di malattie, specialmente bronchiali e dell’apparato respiratorio e nonchè virus intestinali. Per sottolineare la mancanza delle più elementari norme igieniche si può fare riferimento al problema della conservazione e distribuzione dell’acqua potabile che viene tenuta in casse di ferro rivestite di cemento. A causa del rollio della nave il cemento tende a sgretolarsi intorbidando l’acqua che,venuta a contatto con il ferro ossidato, assume un colore rosso e viene consumata cosi dagli emigranti non essendo previsti dei distillatori a bordo."
Manifesto delle partenze
per le Americhe pubblicato
su "Il Corriere
della Garfagnana del 1886

Ma la voglia di cambiar vita e la speranza di nuove prospettive per i garfagnini era superiore a qualsiasi patimento e bene o male nei 30 giorni (circa)di viaggio c'era da passare il tempo in qualche maniera e per i viaggiatori di terza classe come ricorda Abrami i divertimenti erano pochi. Si giocava spesso a tombola e quando i banchi di pesce a volte affiancavano la nave davano sorpresa e allegria, specialmente quando i delfini per lunghi tratti accompagnavano il piroscafo. L'occupazione principale sopra la nave era andare a prendere il cibo,pane e vino mattina e sera e molti addirittura passavano ore a osservare inebetiti lo spartiacque alla prua di bordo. Per fortuna che c'era la musica suonata con l'organetto o con la fisarmonica,ed è li che il nostro Camillo Abrami sentì per la prima la conosciutissima "Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar". Finalmente poi si arrivava nelle Americhe e qui i poveri garfagnini erano alla mercè dei manigoldi:rapine, raggiri e truffe erano all'ordine del giorno per i nostri emigranti, vissuti sempre nella pur povera ma onesta Garfagnana.La buonafede, la mancanza di malizia e l'ingenuità era motivo di approfitto anche da parte degli stessi italiani che si erano già insediati da qualche anno e che imbrogliavano senza vergogna chi era appena sbarcato, anche perchè c'era una totale mancanza di assistenza da parte del governo italiano, in aiuto perlomeno c'erano alcune società caritatevoli cattoliche per inserire questa povera gente e l'inserimento sociale non era per niente facile e uno degli scogli più grandi era la lingua. Ecco un simpatico vocabolario di un emigrante di Cerretoli che si era annotato alcune frasi:

Inglese:Ianmen, ai nide bai santin ciu it, iu uil scio mi becher sciop
Italiano:Giovinotto, io abbisogno di comprare qualche cosa da mangiare, voi volete mostrarmi il negozio del panettiere.

Inglese:Oraite tenchiu veri macci 
Italiano:Va bene vi ringrazio tanto.

Inglese:Boos pliis ghimmi tuu loff brede, tuu sardine chen, tuenti sensi bolon, ten sensi ciis, uan borla uaine 
Italiano:Padrone favoritemi due pani, due scatole di sardine,venti centesimi di salame, dieci centesimi di formaggio, una bottiglia vino.

Torniamo così da Camillo Angelo Abrami che finalmente raggiunse in Brasile il fratello Amos, già lì da alcuni anni e impiegato come factotum nel ristorante albergo dello zio Angelo Guazzelli fratello della madre. Così infatti andava, era una continua catena, parente chiamava parente e la Garfagnana di fatto si svuotava, ne è la prova questa bellissima lettera sgrammaticata con un italiano misto a dialetto a volte
Donne emigranti in coperta

deformato dalle lingue di adozione e che a sua volta Camillo inviò al nipote Samuele per chiamarlo anche lui nello sconfinato Brasile:
- Caro nepote Samuele sono a farti asapere lottimo stato di mia salute ed il simile volio sperare di te e tua familia. Sono a dirti che seacaso volesti vienire in America del Brasile, come tù miavevi detto nella mia partenza, che mi dicevi, che quando, avevo posto per me, efatto posizione, che ti avessi mandati aprendere. Dunque settù voi vienire ora è il tempo, il quale settù voi vienire, neò un grande bisogno nel mio ottello, di più ti dico che sevoi vienire io ti terrò sotto la mia cura, commé noglialtri, e ti potrai fare un piano discreto.- 
19 Settembre 1910, 
Angelo Camillo Abrami


Continuava e continua ancora oggi la storia de "Il pane a sette croste".

mercoledì 23 settembre 2015

Un garfagnino alla"corte" di Sandro Pertini. Sette anni vissuti gomito a gomito con il Presidente più amato dagli italiani


Proprio quest'anno ricorrono i venticinque anni della morte di un grande uomo, un uomo che si spense alla veneranda età di 93 anni il 24 febbraio 1990. Questa persona era Sandro Pertini, il Presidente di tutti gli italiani, una figura dallo spessore morale altissimo, un vero garante dello stato, un personaggio veramente vicino ai bisogni della gente comune e per questo mai dimenticato, anche per la naturale simpatia che ispirava. Sembra ancora di vederlo sulla tribune del Santiago Bernabeu esultare per la vittoria dell'Italia ai campionati del mondo spagnoli del 1982 o camminare fra la gente comune come un cittadino qualunque. Mi piace e mi sembra doveroso
In primo piano Luciano Zanelli
con Pertini (foto tratta da "Il Tirreno)
ricordarlo attraverso le parole e le sensazioni di un garfagnino che lo conosceva bene e che lo ha accompagnò per tutto il settennato che lo vide Presidente della Repubblica. Questo garfagnino è Luciano Zanelli maresciallo dei carabinieri in pensione, egli faceva parte della scorta personale di Pertini. Luciano è nato a Castelletto, una borgata fatta di poche anime nel comune di Giuncugnano, oggi ha 77 anni,quando lasciò il paesello garfagnino ne aveva appena 17,decise di trasferirsi a Roma dove intraprese la carriera militare.Una carriera la sua che assunse una particolare strada, infatti fu contrassegnata dall'essere al fianco dei presidenti, prima di Pertini ebbe l'onore per due anni di fare la scorta anche al presidente Giovanni Leone. 

Castelletto (Giuncugnano)
Però Sandro Pertini era un'altra cosa e così i ricordi, le curiosità e gli aneddoti  vengono a galla in quei sette anni vissuti gomito a gomito con il Presidente.
Tanti sono i ricordi del periodo vissuto a tu per tu con la più alta carica dello Stato, che Zanelli definisce «un uomo buono, affabile che sapeva mettere a proprio agio tutti».
«Con noi della scorta – aggiunge - aveva un rapporto quasi familiare. Era camaleontico, perché sapeva stare con tutti e dovunque e sganciato da quello che era il cerimoniale».


Le vacanze in Val Gardena:
 «Ogni anno Pertini era solito passare le vacanze in Val Gardena. E con lui noi della scorta – spiega Zanelli -. Una volta quando arrivammo il presidente mi disse che voleva entrare in un negozio e mi pregò di chiamare gli altri agenti. Voleva comprare a tutti un maglione uguale al suo e che indossassimo insieme. La cosa ci imbarazzava perché nella maniera più assoluta non volevamo approfittare della sua generosità, così noi della scorta facemmo presente al titolare che ci saremmo pagati il proprio capo d'abbigliamento. Ed ancora conservo quel maglione. Sul fatto dei soldi non sentiva ragioni, voleva pagare sempre lui. Ovviamente quando si consumava un pasto nei ristoranti andavo io o un collega a pagare il conto. Appena tornavo al tavolo la frase era sempre la stessa “Giovanotto quanto ha speso?”. Prima di iniziare il pranzo o la cena domandava se i ragazzi (così chiamava il personale della scorta, ndr) avevano mangiato. Più che un presidente era stare insieme ad un amico».

La partita a carte:
«Dal centro carabinieri dove il presidente alloggiava in Val Gardena – ricorda ancora il maresciallo Zanelli - la mattina ci spostavamo con le campagnole per raggiungere qualche rifugio, ma gli ultimi tre chilometri Pertini li voleva fare a piedi. E se prima di pranzare c'era da aspettare un po' immancabile era la partita a carte con gli uomini della scorta. Io però una partita con lui non l'ho mai fatta dato che non ho mai tenuto in mano un mazzo di carte»

L'amore per i bambini:
 «Durante i vari spostamenti ci fermavano in autostrada al solito rifornitore di benzina. Pertini ne approfittava per prendere un caffè. E se c'erano dei bambini comprava loro delle cioccolate. Li adorava e adorava l'affetto della gente che incontrava sempre volentieri».


Vado in ufficio:
Così era solito dire Sandro Pertini quando la mattina presto si recava al Quirinale. La sera verso le 17.30-18 veniva riaccompagnato a casa, vicino alla fontana di Trevi.

Zanelli racconta un altro particolare legato al capo dello Stato:
«La sera Pertini sarebbe voluto uscire in incognito, non voleva creare disturbo agli uomini della scorta. Quando me lo diceva lo faceva quasi sottovoce. Ma la cosa non era possibile. Il sabato, invece, spesso andavamo al Caffè Greco».

La pipa spenta:
Svela un particolare Luciano Zanelli su un oggetto tanto caro a Pertini: la pipa. «Era quasi sempre spenta, il presidente non era un fumatore accanito. L'accendeva dopo pranzo giusto per fare un paio di tiri. Era un po' il suo giocattolo. Aveva una ricca collezione di pipe e una volta nella Marche una famosa ditta gliene realizzò una davanti a lui in soli 35 minuti».
 (Intervista del 2012 di Azelio Biagioni per il quotidiano "Il Tirreno")

Sono passati così trent'anni da quel 29 giugno 1985 ultimo giorno da
Zanelli oggi
(foto tratta da facebook)
Presidente della Repubblica di Sandro Pertini, ma già all'inizio del semestre bianco (n.d.r: l'espressione è usata per indicare il periodo di tempo, che si identifica con gli ultimi sei mesi del mandato, durante il quale il presidente della Repubblica non può sciogliere le camere) Luciano lasciò l'incarico e andò al comando generale dell'Arma, dove rimase per qualche anno per poi andare in pensione. Oggi Luciano vive ancora a Roma con la famiglia, attorniato piacevolmente da quattro nipoti, nella capitale è diventato un affermato pittore, ha esposto le sue opere nelle migliori gallerie capitoline e italiane
Uno dei dipinti di Zanelli
(foto tratta da Facebook)
riscuotendo successo di pubblico e critica e non solo, coltiva anche la passione per la scrittura,ma  non si è dimenticato però delle sue origini e quando può ritorna nella nostra valle a

Fornaci di Barga dove vivono i suoi fratelli.

Insomma ecco un altro garfagnino di cui andare fieri.

mercoledì 16 settembre 2015

Un mestiere antico, misterioso e forse poco conosciuto: il saltaro.

Ci sono di quei mestieri che anche il tempo cancella dalla nostra
memoria, poi come per magia riemergono fuori da libri antichi e allora cominci a documentarti, ad informarti, a fare ricerche finchè
I saltari
in questa foto provengono
dal Trentino
la tua curiosità non viene placata. Questo che vado a narrarvi non è un classico mestiere antico di cui abbiamo sempre sentito parlare in Garfagnana,niente a che vedere con i conciapelli, canestrai, calzolai o ombrellai, ma solamente il nome di colui che fa questo lavoro desterebbe il desiderio di conoscenza anche nel più indifferente dei lettori. Avete mai sentito parlare del saltaro? Io prima di qualche giorno fa, sinceramente no. In questo caso devo ringraziare la dottoressa Melania Spampinato che nel convegno di studi storici che si è tenuto in questi giorni nella Rocca di Castelnuovo, nel suo studio sull'antico statuto di Villa Collemandina ha riportato a galla la figura del Saltaro come custode di terreni agricoli.Il Saltaro non è una figura tipica garfagnina è bene chiarirlo subito, ma la possiamo trovare anche in Lombardia,in Trentino e in Sardegna, ma come detto ha operato anche da noi...eccome.Oggi questa figura la potremmo definire una "guardia campestre",all'epoca questo personaggio destava mistero, spaventava i bambini e affascinava i grandi.Giovani, celibi e onesti erano le prerogative che ognuno doveva avere per svolgere questo lavoro che in Garfagnana già si faceva intorno al 1300, ma che ebbe poi il suo apice nel secolo XVI sotto il dominio estense.Il suo compito era di contrastare i furti nei campi, specialmente nelle vigne,quindi il saltaro doveva essere robusto e deciso, e meglio se imponente perchè doveva incutere timore e mettere paura a tutti. Per spaventare i ladri doveva vestire in modo particolare, con pellicce di animali per esempio e portava sopratutto dei cappelli veramente inusuali e appariscenti da far invidia alla regina Elisabetta,inoltre era sempre armato di un lungo bastone nodoso, pronto a sbatterlo nella testa di chiunque si fosse azzardato a mettere piede nella proprietà,mettiamoci poi che questi erano dediti spesso anche a qualche "mezzino" di vino...Comunque sia era una figura importantissima nella Garfagnana rurale di quei tempi.Il saltaro non era solo a guardia dei campi,ma anche dei boschi, doveva sorvegliare che non fosse rubato alcun frutto che la natura donava sia coltivato che naturale, come funghi, mirtilli,castagne e quant'altro il buon Dio offriva.Fra gli antichi compiti competeva anche di vigilare sui pascoli,sulla custodia delle recinzioni, del fieno e dei corsi d'acqua che scorrevano nel podere.Ogni anno i saltari venivano eletti dal comune, pertanto era una guardia comunale in piena regola con compiti essenzialmente esecutivi e pratici, addirittura doveva prestare un giuramento, come si può leggere dagli statuti e dai regolamenti del paese di Gragnana (Piazza al Serchio) del 23 marzo 1539 custoditi presso l'Archivio di stato di Modena:



"Della elezione del saltaro. Cap. ij
Il castello e la chiesa diroccata
di Santa Margherita a Gragnana
(foto amalaspezia)

Item statuiamo che loffitiale o si Consulo di epso comune, che per li tempi sara sia tenuto et debbi dapoi che sara electo Consulo, ... octo giorni convocare li homini di detto comune et di quelli una.. conli soprastanti didetto comune debbi eleggere et trovare diditto comune, uno saltaro et guardiano di danni dati inditto comune et suo distretto con salario ordinato per li soprastanti diditto Comune. Et chi sara eletto, sia tenuo detto officio acceptare et jurare fare quello bene et diligentemente alla pena di B (bolognini) VI. Et si accettare et jurare non volesse paghi ditta pena et sia exempto daldetto officio da li anno proximo sequente. Et esso officio duri sei mesi, et piu et ..... facendo la vulunta de soprastanti. Et vaglino le accuse fatte per detto Saltaro con juramento et non sipossi excusare e per difetto diprove ne di testimoni. Alequale accuse con juramento sia creduto senza alchuna altra probatione."

di conseguenza poi veniva assunto dal contadino o dal signorotto locale,sopratutto nel periodo estivo-primaverile, da aprile fino anche ad ottobre (tempo di castagne), inoltre era responsabile di ogni danno che veniva commesso dentro la proprietà di sua competenza e per evitare tutto ciò aveva il suo punto di osservazione su una torre di legno detta "tezza", dove osservava tutto e tutti e quando qualcuno voleva attraversare il suo terreno per transitarci chiedeva, o forse meglio dire pretendeva, quella che oggi si chiamerebbe tangente, ovvero esigeva soldi in cambio del semplice passaggio,da aggiungere poi che non disdegnava il compenso che ogni singola famiglia di contadini gli donava,spesso e volentieri erano compensi in natura, insomma essere nominato saltaro era, come si diceva una volta "fare tredici al totocalcio", difatti il suo stipendio di pochi mesi si diceva che equivalesse quasi quanto avrebbe guadagnato un bracciante agricolo per tutto
l'anno.Sicuramente era un mestiere che aveva i suoi pro e i suoi contro, in realtà aveva regole stabilite, una di queste era che il saltaro non poteva dormire più di tre, quattro ore per notte, non poteva mai abbandonare il luogo di lavoro ed era perciò in servizio permanente.C'era anche la possibilità che all'interno di una proprietà vi fosse più di un saltaro dipendeva questo da quanto era grande il possedimento e la terra da vigilare,praticamente dove c'era un feudo esistevano più saltari che prendevano il nome dal bene sorvegliato: saltnerius feni, saltnerius pastorum, saltnerius vinerum (saltaro del fieno, del pascolo e delle vigne),questo
Pascoli a San Pellegrino in Alpe 1930
continuo contatto con la natura lo rendeva un estremo conoscitore di essa, da renderlo uno dei più specializzati intenditori nella conoscenza delle erbe aromatiche.Un personaggio praticamente quasi inavvicinabile, scontroso,a volte violento tanto che 500 anni fa era considerato per i bambini come l'attuale uomo nero, le mamme minacciavano così quando il piccolo faceva le bizze:

 -Guarda che se non obbedisci arriva il saltaro che ti porta insieme a lui nel bosco!- 
Personaggi questi quasi dimenticati, che come per magia ogni tanto qualche vecchio archivio polveroso restituisce...

mercoledì 9 settembre 2015

Verità o leggenda? La storia di Teodora e Anselmo e "la leggenda del Lago di Vagli"

1994 ecco come appariva il paese di Fabbriche
di Careggine dopo l'ultimo svuotamento
Nelle mie ricerche storiche garfagnine mi sono spesso trovato davanti a dei fatti riscontrati che da una parte risultavano vicende realmente accadute, mentre dall'altra i soliti accadimenti mi scaturivano addirittura in leggende. Questa anomalia spesso l'ho riscontrata nelle vicende che raccontavano in particolar modo della nostra gente, della nostra semplice gente e non riguardava affatto vicende strettamente storiche inerenti a regnanti, battaglie e guerre, quindi facilmente documentate e documentabili.Tutto questo perchè in Garfagnana c'erano brutte storie che come si suol dire "tornava male" raccontarle ai posteri, alle generazioni future, perchè storie scomode per la mentalità dei secoli passati, storie di brutali assassinii,di vicende amorose un po' scabrose, di ruberie varie commesse dai paesani stessi, quindi spesso e volentieri questi episodi si cercava di buttarli in leggenda con tanto di diavoli e fantasmi vari di contorno, quello che era importante era salvare
l'onorabilità del paese e dei parenti del colpevole dei misfatti a futura memoria e così spesso è stato.In tanti casi in Garfagnana episodi di cronaca nera ci sono stati passati nei decenni e nei secoli come leggenda (per esempio leggi:http://paolomarzi.blogspot.it/2014/11/il-caso-del-sandalo-rosso-storia-di-un.html), ma come ben si sa qualsiasi leggenda il suo fondo di verità l'ha sempre. Infatti mi è tornato alla mente in questi giorni che si sta parlando nuovamente di svuotare il lago di Vagli, di una storia proprio in tal senso, accaduta piuttosto di recente,proprio quando Fabbriche di Careggine (il futuro paese sommerso) fu evacuata per far posto alla mastodontica diga di Vagli e al suo invaso.Questi fatti che andrò a narrare sono meglio conosciuti come "la leggenda del Lago di Vagli", ma di leggenda qui ce n'è ben poca, credetemi, è una storia che farebbe invidia a qualsiasi trasmissione televisiva che si occupa di questi casi o a qualche scrittore di gialli, insomma una bella ma brutta storia che io racconterò come leggenda vuole, a voi poi discernere la verità dalla leggenda stessa.

L'antico paese di Fabbriche di Careggine oggi riposa in fondo al lago di Vagli (per la sua storia leggi http://paolomarzi.blogspot.it/2014/04/fabbriche-di-careggine-il-paese.html), poche case ricoperte di fango raggruppate intorno alla chiesa di San Teodoro e al suo campanile. Oggi i suoi abitanti sono i pesci, ma una volta era un borgo industrioso, divenuto negli anni uno dei maggiori fornitori di ferro dello stato estense, nonché considerato un punto strategico di passaggio per la famosa Via
Come appariva il paese quando era abitato
Vandelli che collegava la Garfagnana con il mare versiliese dove i messi postali riposavano sul suo caratteristico ponte di pietra prima di affrontare le faticose salite che si snodavano sulle pendici della Tambura. A quel tempo la voce del paese (come poi di molti altri) erano le campane del campanile della chiesa principale: annunciavano gioia, pericolo, il dovere, il dolore, la festa. Rendevano veramente un gran servizio, inimmaginabile ai nostri tempi, due belle campane bronzee annunciavano quello che era successo o che stava per accadere. Quando suonavano "a disperso" gli uomini uscivano dalle case con il "lume" e andavano a cercare chi si era perso nella bufera di neve o nel buio bosco, quando suonavano "a fuoco" uomini, donne e anziani uscivano di corsa per spegnere l'eventuale incendio, addirittura quando talvolta le nevicate erano abbondanti e la circolazione diventava difficile, le campane invitavano gli uomini con le loro pale a pulire le vie, o sennò le campane suonavano per le giornate obbligatorie, quando per tre giorni in un anno ogni uomo doveva lavorare gratis per la comunità rimettendo a posto i selciati, facendo manutenzione alla chiesa e alla cose pubbliche in genere. Tutto questo per narrare la vicenda di Teodora ed Anselmo che abitavano al margine del paese di Fabbriche di Careggine (oggi borgo sommerso).La donna era guardata con sospetto dai compaesani, era una donna strana, solitaria, aveva l'abitudine di rimanere fuori dopo il tramonto e la consuetudine di camminare da sola nelle selve, tant'è che veniva considerata una sorta di strega, molti quando la vedevano passare in paese si facevano il segno della croce. Arrivò così un 13 dicembre e Anselmo uscì a fare la legna nel bosco,la notte scese rapidamente cancellando ogni cosa,dalla Tambura e dal Sumbra scesero miriadi folletti spargendo ghiaccio in ogni dove. Anselmo quando vide ciò si affrettò verso casa con il suo carico di legna ma disgraziatamente scivolò lungo il sentiero e non riuscì a rialzarsi. Nessuno lo soccorse e naturalmente morì di freddo. Teodora non si preoccupò minimamente del ritardo del marito e non avvertì nemmeno il campanaro, il campanile era rimasto silenzioso in quella gelida
1947 il campanile sommerso
notte. La moglie approfittò dell'assenza del marito intorno alle sue losche faccende. Il mattino seguente verso mezzodì Teodora si decise di dare l'allarme dicendo che il marito era partito la stessa mattina di buon ora per andare a fare legna e che non aveva fatto ancora ritorno, si finse preoccupata e disperata e si raccomandò che qualcuno andasse a cercarlo.Le campane suonarono "a disperso" e gli uomini partirono alla ricerca e dopo poco trovarono il povero Anselmo ai margini del bosco con una gamba rotta. Gli uomini capirono subito che era morto già da parecchie ore e sospettarono che la moglie intenzionalmente non avesse dato l'allarme. Nessuno potè incolparla, ma piano piano con il tempo gli abitanti del borgo la emarginarono ancora di più. La donna viveva ormai nel "ciglieri" (n.d.r:la cantina), dal quale non usciva mai e passava il suo tempo dimenticata dalla gente. Nel 1941 la società Selt Valdarno (oggi Enel)decise di costruire un bacino idroelettrico.In paese stavano iniziando i lavori per chiudere la valle del torrente Edron e nei pressi del borgo, si sarebbe costruita una grande diga che, sbarrando le acque impetuose del torrente, avrebbe dato vita ad un nuovo lago artificiale. In paese c'era gran fermento, in poco tempo bisognava abbandonare le case e andare a vivere altrove. Incredulità e tristezza la facevano da padrone, le campane non suonavano più,la gente si preparava a smobilitare e alla meglio si arrangiava a trasportare mobili e quant'altro da parenti o in altre case. Anche Teodora fu informata che la sua casa sarebbe ben presto stata invasa dalla acque, ma lei non ci voleva credere e nessuno l'avrebbe costretta ad abbandonare casa. Ma un giorno del 1947 le acque arrivarono per davvero, Teodora cercò di fuggire dalla cantina ma rimase prigioniera del fango. Tutti dissero che era la sua giusta condanna. 


Il momento dell'evacuazione
del paese 1947

Anni dopo quando fu svuotato il lago per la prima volta nel 1958, a qualcuno tornò in mente la povera donna e alcuni provarono a ricercare il cadavere di Teodora. Non fu trovato niente, nemmeno un osso, qualcuno pensò che fosse riuscita fuggire. Il fatto rimane comunque un mistero. Eppure c'è qualcuno che giura che nelle notti del 13 di ogni mese sente le campane suonare, si dice che sia il fantasma di Teodora, costretta dal Diavolo a suonare fino all'alba per scontare i suoi peccati e in particolare per quello di non averle suonate la notte che il povero Anselmo si perse nel bosco...

Una storia di altri tempi che fonde verità e leggenda. Vicende che si perdono nelle tradizioni orali dei paesi più nascosti...