mercoledì 24 febbraio 2016

Quando la scienza era di casa in Garfagnana. La vita di Antonio Vallisneri

Tutti credono, o meglio hanno creduto i garfagnini gente gretta
Antonio Vallisneri
e mi si conceda la parola anche ignorante, questo stereotipo ha lo stesso valore che si attribuiva agli italiani emigrati anni fa, che erano considerati mafia, spaghetti e mandolino. Troppo facile generalizzare se pensiamo che la Garfagnana stessa ha dato all'umanità uno fra gli scienziati più significativi che il panorama italiano e mondiale abbia mai avuto. A questo avviso c'è da aggiungere un'altra cosa, che noi garfagnini abbiamo spesso la memoria corta e non ci ricordiamo di dar lustro a coloro che hanno portato in giro il buon nome della nostra valle, fra questi personaggi c'è senza dubbio Antonio Vallisneri. Pochi si ricorderanno di lui e alcuni nemmeno lo conosceranno, ma egli è uno di quelli che ci può far dire sicuramente che la Valle del Serchio non è solo la valle del bello e del buono come diceva Giovanni Pascoli, ma bensì è anche terra di scienza.La vita di Antonio Vallisneri è una di quelle vite che merita di essere raccontata per due motivi sopratutto:il primo sicuramente è quello come detto di riscoprire questo scienziato di fama internazionale, il secondo motivo ci dice che la sua fu una vita degna di un personaggio dei romanzi di Tolstoj,un esistenza la sua sempre in bilico fra gli studi e esigenze ereditarie.
Ma partiamo dall'inizio. Antonio nasce a Trassilico (oggi sotto il comune di Gallicano) al tempo facente parte del Ducato di Modena e importantissima sede di Vicaria. Era il 3 maggio del 1661 e il futuro medico (nonchè biologo e naturalista) vide la luce nella rocca del paese. Suo padre Lorenzo svolgeva la funzione di giudice(Capitano di Ragione) e la madre Lucrezia Davini di Camporgiano apparteneva a una delle migliori famiglie garfagnine. Passò la sua infanzia come tutti i bimbetti, correndo spensierato e felice per le carraie e le viuzze del paese giocando con gli amici, fu quello infatti uno dei rari periodi di pace che questa terra di confine attraversava. Ma tale leggiadria stava per finire, già all'orizzonte si cominciavano a profilare incombenti impegni di studio che l'onore di cotanta famiglia imponeva. Detto fatto Antonio dovette abbandonare madre,padre e i cinque fratelli e fu avviato agli studi in quel di Scandiano (provincia di Reggio Emilia)città natale della sua casata e successivamente proseguì le scuole a Modena presso i Gesuiti,dove intraprese gli studi di lettere e filosofia e successivamente a Reggio, ma nonostante tutto questo girovagare già si evidenziava una cosa su tutte: la sua era
Trassilico
un'intelligenza superiore alla media. Si arrivò così al fatidico 1679 e allo morte dello zio Giuseppe Vallisneri, vero mentore del futuro scienziato che lasciò al momento della dipartita al prediletto nipote una cospicua eredità, tale eredità però era subordinata a delle clausole capestro, il testamento obbligava Antonio a soddisfare gravosi obblighi e a sottostare a diverse condizioni. Immaginiamo quindi questo baldo giovanotto di diciotto anni nel pieno fulgore della gioventù che aveva il vincolo di laurearsi in legge o in medicina entro i trent'anni, di risiedere almeno tre mesi l'anno a Scandiano e li di farvi nascere i figli maschi, per non far perdere al primogenito il diritto di succedergli nell'eredità. Nel caso non avesse avuto discendenti maschi, la considerevole fortuna sarebbe passata ad un'altra famiglia.Cominciò di fatto la corsa all'eredità.Il povero Antonio si doveva dividere così fra i pressanti impegni universitari e la ricerca di quella gentil donzella che lo rendesse padre di almeno un figlio maschio e di conseguenza anche uomo ricco. Trovò tale fanciulla nell'emiliana Laura Mattacodi, convolarono così a giuste nozze il 27 aprile 1692 quando lei era appena quindicenne e lui stava ormai per compiere trentuno anni. Nel frattempo aveva continuato gli studi all'università di Bologna dove era diventato un seguace di Marcello Malpighi,illustre anatomista e nel 1684 a soli ventitré anni già si era laureato in medicina a Reggio Emilia(rientrando così in uno dei parametri dell'eredità voluti dallo zio defunto).Dopo alcuni anni di professione la sua fama di scienziato e dottore si stava spandendo
a macchia d'olio in tutta Italia, tanto da essere chiamato nella prestigiosissima università di Padova, dove ottenne la cattedra di medicina pratica, seguita da quella di teoretica. Le sue lezioni erano seguite dal fior fiore degli studenti della città e delle regioni limitrofe,le sue ricerche e i suoi esperimenti sulla natura ottennero risultati eclatanti, tra i quali la scoperta sull'origine dei fossili e quella delle sorgenti, nonchè del ciclo della
riproduzione degli insetti.Ma un grosso cruccio gravava pesantemente su questi successi, l'erede maschio tanto agognato ancora non si era visto.Per arrivare al desiderato bambino la moglie Laura però non si risparmiò e non esitò a partorire ben 18 pargoli. Alla fine solo quattro di questi diciotto figli sopravvissero ad Antonio Vallisneri e fra questi Dio volle ci fu il tanto sospirato maschio, Antonio junior che nacque nel 1700 intraprendendo anche lui la stessa carriera del padre. Con questo figlio decadeva così ogni vincolo sull'eredità e lo scienziato trassilichino si sentì ancor più libero e tranquillo di continuare i suoi studi. Naturalmente come tutti gli innovatori la sua fama fu contrastata dai seguaci dei vecchi metodi che cercarono in ogni modo di togliergli le cattedre più influenti. Ma oramai il nome di Antonio Vallisneri era sulla bocca di tutto il mondo scientifico,la sua notorietà raggiunse le maggiori capitali europee al punto di essere chiamato dall'imperatore Carlo V come suo medico personale di camera, ma non solo anche Papa Clemente XV e il re Vittorio Amedeo di Savoia gli conferirono grandi riconoscimenti e perfino da Londra venne l'autorevole nomina dalla Royal Society.Ma nonostante tutto questo successo forse l'esimio dottor Vallisneri si era dimenticato della sua amata Garfagnana? Assolutamente no. Nei brevi periodi di riposo non mancava di tornare a Trassilico, spaziando tra un monte e un altro, compiendo gite sulle Apuane e sugli Appennini, dedicandosi alla ricerca e allo studio della flora e della mineralogia come ricorda egli stesso nella sua opera "Viaggi in Garfagnana".Sempre in questo libro rammenta così la visita alla "Tana che urla"(per la sua storia vedi:http://paolomarzi.blogspot.it//una-singolare-grottala-tana-che-urla.html) celebre grotta nelle selve di Fornovolasco:
"Fra le caverne che visitai e dentro le quali scorrono perpetui
La Tana che Urla, Fornovolasco
rivi, i quali è fama che vengano dal mare...Si, è una poco sopra Forno Volastro, chiamata da que' popoli la Grotta che urla;perchè accostando l'orecchio alla bocca della medesima, s'ode sempre un certo oscuro strepito, o lontano rimbombo, a guisa d'omo che colà gridi, ed urli"
La "Tana che Urla" è una grotta di indiscusso fascino estetico e storico proprio grazie agli studi del Vallisneri sull'idrologia sotterranea.Da notare nei suoi trattati(vedi"L'opera fisico mediche","L'istoria delle generazioni dell'uomo e degli animali" e altri ancora...) l'uso della lingua italiana della quale fu un convinto assertore, al posto del latino che nel settecento era ancora la lingua ufficiale della comunità scientifica internazionale.
La Vallisneriana asiatica
Gli anni così passavano e Antonio ormai a fama consolidata trovò anche il tempo di metter su un giardino domestico di piante medicinali e compiva ancora con entusiasmo escursioni naturalistiche che gettarono le basi di quello che diverrà uno dei musei medico naturalistici più noti d'Italia, il "Museo di scienze archeologiche e d'arte" di Padova.
Morì a Padova (dove è sepolto nella chiesa degli Eremitani) a soli 69 anni il 18 gennaio 1730, dopo una breve e improvvisa malattia polmonare. Lasciò le sue collezioni e la sua biblioteca formata da circa oltre mille volumi all'università della città. In suo onore i colleghi scienziati chiamarono una pianta acquatica sommersa "Vallisneriana". Oggi di lui rimangono "solamente" vie, università e licei dedicati, all'illustre garfagnino dimenticato.

mercoledì 17 febbraio 2016

I tesori nascosti sulle Apuane. Così ci dice la leggenda...

Diciamo la verità, chi adulto o bambino che sia in cuor suo non si è mai sentito il pirata Long Jhon Silver o un più attuale Indiana Jones? Una delle fantasie più grandi è andare alla ricerca di un tesoro perduto, libri e film ci hanno sempre aiutato a sognare in queste illusorie chimere di vivere in un  romanzo come quello di Luis Stevenson, "L'isola del tesoro", o essere protagonisti di un film come  "I predatori dell'arca perduta". Abbiamo visto in questi tesori lontani, scoperti in posti esotici l'apparente pacificazione dei nostri desideri più nascosti.Ma per partire alla ricerca di questi tesori ad esempio, bisogna andare per forza nelle Antille francesi? O magari in qualche recondito angolo dell'Africa nera? O forse nelle umide foreste equatoriali? Non c'è una soluzione più pratica per chi volesse far poca strada senza spendere tanto? In effetti qualcosa in tal senso per alcuni pigroni locali la Garfagnana e le nostre Apuane offrirebbero, non si tratta altro che di leggende per l'amor di Dio, ma come dico sempre io in ogni leggenda un fondo di verità c'è sempre, seppur minimo e infinitesimale ma c'è. Non per questo dico di partire zaino in spalla e via su per i monti, io dico sopratutto di leggere e apprezzare la bellezza, la poesia e la fantasia che hanno le nostre storie locali. Queste che vado a narrarvi sono tre leggende, quasi ormai perse (e per fortuna recuperate) dislocate in varie zone delle Alpi Apuane:la Tambura, la Pania e il Procinto e parlano tutte di ricchezze nascoste.

L'ORO DELLA TAMBURA
La vetta della Tambura

Lassù, in fondo a uno dei canali che fiancheggiano la Tambura si dice che vi sia un giacimento d'oro, ma c'è un altra suggestiva ipotesi che racconta di un consistente tesoro portato li dal mare, dai predoni che solcavano le coste versiliesi cinquecento anni fa. Ad avvalorare questa tesi c'è la storia di un cavatore di Vagli che un dì del 1915 a pochi giorni dallo scoppio della I guerra mondiale andò a refrigerarsi proprio in un pozzo in fondo a questi canali della Tambura e con grande meraviglia vide qualcosa che brillava alla luce del sole. Era una vera moneta d'oro,l'entusiasmo del cavatore andò alla stelle per quella moneta venuta da chissà dove e questo bastò per correre in paese e informare la famiglia dell'accaduto, ma come sapete nei piccoli paesi occhi e orecchie sono dappertutto e in meno che non si dica la voce del ritrovamento si era sparsa in ogni dove. La domenica successiva arrivarono uomini da ogni versante apuano per cercare il tesoro, le ricerche continuarono per giorni e giorni senza trovare nemmeno l'ombra di un centesimo bucato. I giorni passavano e il sogno del tesoro nascosto man mano si affievoliva, ma le credenze invece sono dure a morire e esiste ancora il mito di una buca nascosta e profonda nei pressi del Passo Tambura, all'entrata del quale è scolpita l'immagine di un diavolo che indica senza dubbio il punto preciso dove si trova il tesoro. Lascia perfino al fortunato avventuriero di impadronirsi della cospicua fortuna, ma a patto di fare in fretta poichè al primo udire di campane di qualsiasi paese nelle vicinanze, le rocce si richiuderebbero per non riaprirsi prima di sette lunghi anni. Qualcuno giura che invece la maniera per impossessarsi delle monete d'oro sia quella di contarle tutte, ma un'incantesimo rende impossibile la prova e così le monete sono ancora nel ventre della Tambura, ma profezia dice che un giorno qualcuno riuscirà a sciogliere l'incantesimo e sulle Apuane non ci sarà più nè fatica,nè povertà.

LE PATATE D'ORO
Costa Pulita (foto tratta dal blog Montagnatore)

Si è favoleggiato un tempo che dallo "sfasciume" di sassi che scende dalla Pania vi fosse qualche bagliore giallastro, chissà, monete d'oro o forse pepite.In effetti è la strana sensazione che ancora oggi colpisce il camminatore che passa per quelle aride "sassaraie", gli sembra di essere colpito da un lampo dorato. Eppure un fondo di verità ci deve essere se è vera quella leggenda che un tempo raccontava la gente di montagna di quel contadino di Fornovolasco che aveva un campo di patate poco sopra il paese, un posto quello dove in verità non ci passava nessuno perchè a quanto pare "ci si sentiva qualcosa".Una mattina di buon'ora il contadino andò a levare le patate per poterle andare a vendere in Versilia,dopo che le ebbe sistemate nelle ceste le caricò sul dorso del mulo e si incamminò. Per accorciare la strada prese in direzione della Costa Pulita passando per i prati di Valli, ma all'improvviso nell'inerpicarsi su per la montagna il mulo si fermò, non voleva saperne di avanzare neanche di un solo centimetro. Il contadino provò quindi a tornare indietro e la bestia si muoveva agilmente, ma come faceva per riprendere la salita si puntava inesorabilmente. Il pover'uomo si infuriò e cominciò a bastonare il malcapitato animale, ma si accorse però che il mulo a ogni piccolo passo, faceva un immane fatica, il contadino capì restando a bocca aperta che più l'animale saliva più il carico di patate aumentava. Intanto il pomeriggio diventava cocente e il sole cominciava a picchiava forte,l'uomo era esausto, il mulo ancor di più e la situazione era veramente difficile, il contadino allora si vide costretto a prendere l'amara decisione di vuotare le ceste, ma con grande meraviglia quelle che vide ruzzolare giù per il monte non erano patate, bensì delle grosse pepite d'oro.Invano l'uomo cercò di recuperarle ma ormai si erano tutte frantumate in polvere, non era possibile recuperarne neanche un pezzetto. Ecco perchè chi passa di li ha la sensazione di vedere i riflessi dell'oro è tutti ciò che rimane del tesoro del contadino.

IL TESORO NASCOSTO NELLA TORRE
Il Monte Procinto

C'è un solo giorno dell'anno, ad un'ora ben precisa che secondo leggenda il monte Procinto si trasforma in torre, dentro la quale è custodito un tesoro favoloso.Questa storia fu ascoltata una sera a veglia da un soldato che si trovava a casa in licenza e rimase sorpreso da quanto era successo a quel capitano che aveva sentito raccontare la medesima storia da un vecchio del paese e si era quindi voluto mettere alla ricerca del tesoro nascosto. A niente valsero però le raccomandazioni dei paesani che lo avvertivano di inquietanti presenze, figuriamoci se un soldato scampato a mille pericoli poteva avere paura di eventuali creature misteriose. Prese così la decisione di costruirsi una capanna di fronte al monte e stare accorto a ogni movimento. Passarono giorni senza nessuna sorpresa, ma una notte di luna piena i campanili nelle vicinanze rintoccarono l'ora più breve, all'improvviso il Procinto apparve ancor più svettante come una torre inespugnabile e da una porticina uscirono dei piccoli esseri vestiti da guerrieri che ripetevano:

Custodiamo il nostro oro
non cediamo il tesoro
a qualunque mortale
che non conosce il segnale

Il capitano corse verso la porticina, ma fu fermato dal sibilo di cento serpenti che erano avviluppati tutti intorno ad una statua che rappresentava un guerriero e gli chiesero così cosa volesse trovare:
- Il tesoro della torre- rispose il soldato 
e di tutta risposta i serpenti aggiunsero:
-E sai dare un segnale per entrare?-
- No!- ribattè il capitano -ma quando me lo direte lo saprò -
Un forte vento con furia inaudita lo sospinse fuori, ma il militare non si scoraggiò, aveva tutta la notte per risolvere l'arcano.
Intanto i folletti guerrieri si erano radunati in cerchio intorno ad un albero e allegramente ripetevano:

Custodiamo il nostro oro
non cediamo il tesoro
a qualunque mortale
che non sappia il segnale
Cento bastonate riceverà 
ed entrare non potrà

e fu proprio in quell'attimo che uno dei folletti si lasciò scappare una sibillina frase:
-Come farà mai a spezzare la lancia della statua del guerriero?-
e tutti i piccoli esseri cominciarono a ridere e a spassarsela al chiaro di luna. Svelto, svelto il capitano corse verso la porticina e cercò invano di spezzare la lancia della statua. Allora preso ormai dalla bramosia fece cadere la statua per terra che si frantumò in mille pezzi, rivelando clamorosamente al suo interno una chiave d'oro che l'uomo non riuscì a prendere perchè in men che mai i piccoli guerrieri gli saltarono addosso bastonandolo e malmenandolo di santa ragione.
Il povero militare si svegliò nella sua tenda davanti al Procinto, il sole era già alto, niente era rimasto della sera precedente, se non un brutto sogno e uno strana e dolorosa sensazione in tutto il corpo di ossa rotte...

Patrice De La Tour Du Pin, poeta francese così diceva:
"I paesi che non hanno leggende sono destinati a morire di freddo"...

mercoledì 10 febbraio 2016

Una lunga storia d'amore (e odio), durata quattro secoli fra la Garfagnana e il Ducato di Modena

Fu una bella storia d'amore,fatta di corteggiamenti, ammiccamenti,
Particolare carta geografica del 1644
 Ducato di Modena (proprietà Marzi Paolo)
un amore nato e voluto fortemente da ambedue le parti che non poteva sfociare che in un matrimonio che durò più di quattro secoli,molti parlarono però di un matrimonio di interesse per entrambi (forse a giusta ragione), naturalmente in questo intimo rapporto ci furono alti e bassi per l'amor di Dio non ne discuto, ma comunque ci fu sempre fedeltà, almeno in apparenza, ma come si sa tutte le belle e durature storie d'amore finiscono purtroppo con la morte di un coniuge e fu così anche in questo caso.Questa praticamente è la storia d'amore fra la Garfagnana e il ducato di Ferrara prima e di Modena dopo. Ci siamo mai domandati come abbiano fatto i destini di Modena ad incrociarsi con quelli della Garfagnana? Sarebbe stato più naturale Lucca (che sfidò più volte Modena con fortune alterne), Pisa, Firenze, al limite Genova, ma da Modena seppur confinanti eravamo separati dagli Appennini, che interesse poteva avere questo regno per questa selvaggia regione? Ma questa storia d'amore come è giusto che sia cominciamo a raccontarla dall'inizio. 

Dopo alterne vicende guerresche intorno all'anno mille che non stiamo oggi qui a raccontare fra Papi, imperatori longobardi,nobili casate, alleanze varie e territori prima unificati e poi separati, prese stabilmente potere la Repubblica Lucca intorno alla fine del 1300 che si annesse la Garfagnana per aumentare il proprio potere nei confronti di Pisa e Firenze, così la nostra valle fu terra di conquista del famoso condottiero ghibellino e lucchese Castruccio Castracani. I lucchesi come è giusto dire diedero stabilità politica e sociale a tutta la Garfagnana, fecero "abbassare la testa" ai signorotti locali che pretendevano potere, a loro volta invece pretesero salatissime tasse dalla povera gente, tutto questo fino al 1328 quando l'impavido e forte condottiero Castracani muore. Lucca perde il suo uomo di punta e i suoi nemici limitrofi rincominciano a riprendere coraggio, così i fiorentini prendono piede nel barghigiano, i Malaspina forti di antichi diritti e di un recente privilegio avuto da Arrigo VII imperatore del Sacro Romano Impero si estendono nei vicariati lucchesi di Camporgiano e Castiglione, mentre nello stesso momento ecco spuntare dalle cime degli Appennini provenienti dai confinanti territori del Frignano le truppe estensi, convinte più che mai ad invadere e conquistare la Garfagnana.
Particolare della Garfagnana estense del 1527
(carta geografica in copia prop.Marzi Paolo)
Ritenevano infatti la nostra valle fondamentale per gli sviluppi dei loro commerci perchè i lungimiranti regnanti prima ferraresi e poi modenesi consideravano fra le altre cose la Garfagnana una perfetta testa di ponte per arrivare al mar Tirreno e ai suoi mercati (riuscirono in questo intento però molto tempo dopo nel 1741), così entrarono nella nostra bella valle senza (o quasi) colpo ferire e nel 1429 i comuni garfagnini fecero atto di dedizione agli Estensi e al marchese di Ferrara Niccolò III d'Este solo dopo infinite trattative diplomatiche che portarono a vari accordi, primo fra tutti la minor spettanza di tasse e gabelle varie da pagare non con scadenza fissa ma sopratutto da elargire in base al ceto sociale. Questa nuova intesa fu accolta da tutta la popolazione con estremo entusiasmo e così senza indugio i garfagnini strinsero metaforicamente la mano alla esosa Repubblica di Lucca dicendogli "arrivederci e grazie", buttandosi così senza se e senza ma nelle braccia dei modenesi.Gli Estensi presero quindi il potere stabilendo a Castelnuovo Garfagnana la residenza del governatore.Ma però non fu altrettanto per tutti i comuni, per alcuni di questi l'amore non sbocciò e applicarono la forse saggia regola  di "chi lascia la strada vecchia per quella nuova sa cosa lascia ma non quello che trova",di questo motto si fecero forti i comuni di Minucciano e Castiglione che rimasero con Lucca, mentre Gallicano dapprima accolse con benevolenza i nuovi padroni e poi pentitosi della scelta, tempo dopo tornò al primo amore (Lucca).Da questo momento la Garfagnana si trovò divisa fra Lucca e gli Estensi con tutte le conseguenze che poterono derivare da queste terre di confine.Ma adesso per essere un po' più esaustivi facciamo una piccola parentesi e guardiamo velocemente un po' più da vicino chi erano questi Estensi che stabilirono il loro governo in Garfagnana per circa 430 anni. Gli Estensi, in passato detti Este o d'Este furono una famiglia che prese il nome da Este (comune in provincia di Padova) loro feudo fra il 1056 e il 1239, fu una famiglia molto scaltra perchè nonostante tutto seppe mantenere come si suol dire il piede in due staffe, da una parte non pestava i piedi all'imperatore, mentre dall'altra in certi casi riusciva anche ad accontentare il Papa di turno, tant'è che la sua prima capitale fu Ferrara, terra soggetta alla chiesa, mentre le sue altre due principali città Modena e Reggio erano influenzate al Sacro Romano Impero, ottenendo per questo titoli e favori sia da una parte che dall'altra. Ma arrivò anche il momento di restituire questi favori quando Papa Clemente VIII nel 1598 reclamò di rientrare in possesso del feudo di Ferrara, giustificando ciò con una questione di
Particolare cartina politica
 d'Italia del 1850
si può notare il Ducato di Modena
in verde chiaro (proprietà Marzi Paolo)
successione illegittima ed "impura" riguardante la famiglia d'Este. Ci furono un po' di diatribe sul caso, ma quando il Papa fece arrivare il suo potente esercito alle porte di Faenza,le truppe ducali si ritirano in buon ordine. Gli Estensi quindi rimasero titolari "solo" di Modena e Reggio e delle varie province(fra le quali la Garfagnana), l'imperatore Rodolfo II a differenza del Papa riconobbe legittima la successione in causa e così  Modena divenne la capitale del rinnovato stato.Finita questa parentesi torniamo ai fatti per dire che ormai passavano i secoli e fra illustri governatori (vedi Ludovico Ariosto e Fulvio Testi) e vicende più o meno belle, gli Este mantennero comunque saldo il loro potere fino al 1806 quando sull'Europa si abbatte come una furia il ciclone Napoleone e spezza la locale dominazione estense che durava ininterrotta ormai da 377 anni e il 30 marzo del medesimo anno con decreto imperiale i francesi ci inseriscono nel nuovo principato lucchese dei Baciocchi, sotto il diretto potere dell'illuminata sua sorella Elisa Bonaparte. Passano all'incirca otto anni e nel 1814 l'impero napoleonico si dissolve, le truppe britanniche comandate da lord William Bentinck si muovono alla volta di Lucca, provocando la fuga della sovrana e la fine del suo stato. Il congresso di Vienna instaurato per rimettere a posto tutti pezzi del puzzle nell'Europa sconvolta da Napoleone, riportò tutto ( o quasi) al suo posto e anche la Garfagnana potè tornare al suo originario amore(gli Estensi), ad esclusione ancora delle vicarie lucchesi di Castiglione, Minucciano e Gallicano che da amante fortemente indeciso e incerto tornerà però sotto il Ducato di Modena nel 1847 in base al Trattato di Vienna. Ma ormai i venti risorgimentali spiravano forte già da qualche anno.Il 1848 fu l'anno della svolta,in tutta la penisola cominciarono le rivolte contro i vecchi poteri,e le idee liberali di un Italia unita cominciarono a far breccia nelle teste dei garfagnini, rimasti fino a quel momento caparbiamente fedeli al Ducato di Modena. La scintilla della protesta scoccò definitivamente nell'aprile del 1859 quando il Piemonte savoiardo rinnovò la guerra all'Austria, all'unisono
 si rivoltarono le popolazioni di Massa Carrara e di Garfagnana. Il 26 aprile le truppe piemontesi invasero Massa ed esattamente un mese dopo (il 27 maggio) Vincenzo Giusti commissario straordinario del Re di Sardegna entrava in Gallicano e prendeva possesso in nome di Vittorio Emanuele del paese stesso e di tutta la Garfagnana. Francesco V ultimo duca estense si ritirò a Modena, ma l'undici giugno fu costretto ad abbandonare per sempre i suoi possedimenti. Fu così sancita la morte di un ducato che in Garfagnana durò per più di quattro secoli, più di qualsiasi altra dominazione, più della storia stessa della nostra Italia unita (solo 154 anni). Finì così per sempre questo amore fra il ducato e la nostra valle, ma è giusto e curioso dire che il flirt con Modena non terminò qui, ma continuò ancora con l'Italia quasi unita Spieghiamoci meglio però.
Una volta fatta l'unità bisognava ridisegnare amministrativamente le regioni, in previsione dell'annessione definitiva al regno di Sardegna.La Garfagnana con un decreto dittatoriale di Carlo Farini del 1859 fu incorporata proprio per tradizione e storia all'Emilia,
Quando la Garfagnana faceva parte dell'Emilia
carta geografica politica del 1863,
 si posso notare benissimo in rosa
 i confini emiliani
(proprietà Marzi Paolo)
suo capoluogo di provincia tornò ad essere Modena. La provincia di Modena si trovò così divisa in circondari (n.d.r: sotto province), uno di questi circondari faceva capo a Castelnuovo che sotto di se aveva altri tre mandamenti (n.d.r:comuni). Guardiamo come erano divisi:


Mandamento I di Camporgiano

Camporgiano,Careggine,San Romano,Vagli di Sotto 

Mandamento II di Castelnuovo Garfagnana

Castelnuovo,Castiglione,Fosciandora,Pieve Fosciana,Villa Collemandina

Mandamento III di Gallicano

Gallicano,Molazzana,Trassilico,Vergemoli

Mandamento IV di Minucciano

Minucciano,Giuncugnano,Piazza al Serchio,Sillano

Carta politica del 1920. La Garfagnana
 in Toscana ma in provincia di Massa
(proprietà Marzi Paolo)

Per farla breve si rimase emiliani e modenesi a tutti gli effetti per ben 11 anni, nel 1871 cessò per sempre il nostro rapporto con Modena e l'Emilia e finalmente questa revisione delle regioni fu compiuta e fummo così aggregati alla provincia di Massa (non ancora a Lucca,ci si arrivò solo nel 1923) e di conseguenza per la prima volta anche alla nostra bella e amata Toscana.

mercoledì 3 febbraio 2016

"Gli uomini della neve": un antico mestiere sulle vette delle Apuane

Cosa c'è di più semplice che aprire il proprio frigorifero nelle
Vecchissima foto.
I leggendari "uomini della neve"
 in azione nella Buca della Neve
ai piedi della Pania della Croce
giornate di calura estiva e bersi una bella e dissetante bibita ghiacciata? Cosa c'è di più naturale che aprire il proprio congelatore e scegliersi di farsi una bella e succulenta bistecca? Gesti,abitudini e consuetudini che oggi sono all'ordine del giorno,ma è stato sempre così? Direi proprio di no. Il problema di conservare il cibo è sempre stato un assillo per i nostri avi, già le cibarie non erano molte, figuriamoci poi se quel poco che c'era ci si poteva permettere di farlo andare in malora. Come fare allora? Premettiamo naturalmente con il dire che il frigorifero non esisteva e che i metodi di conservazione del cibo svariavano notevolmente. Un metodo assai usato in Garfagnana era la salatura,l'estrema salinità impediva la crescita di muffe e batteri, inoltre alcune spezie rallentavano la decomposizione delle carni (la preparazione dei salumi si basa su questo procedimento), un altro modo di conservazione era l'essiccatura,questo procedimento però veniva usato su alcuni alimenti come frutta o carne, infatti in assenza di acqua, muffe e batteri non crescevano. Un'altra opzione consisteva nell'affumicare gli alimenti,oltre che ad essiccarli più in fretta i residui di fumo ostacolavano ulteriormente il proliferarsi dei germi.Infine un ultima possibilità da attuare solo nelle zone di montagna come la Garfagnana era di seppellire il cibo nella neve, oppure raccogliere la stessa e riempire le cantine o delle piccole grotte naturali, realizzando di fatto una primitiva ghiacciaia, ed ecco così per questo motivo nascere nella nostra valle un antico e durissimo mestiere che vede le sue origini dai primordi dei tempi e la sua fine con l'avvento del frigorifero nel secondo dopoguerra. Le persone che intrapresero questo lavoro erano conosciute a tutti come "gli uomini della neve" e questa è la loro storia.

"Gli uomini della neve" erano persone adibite a raccogliere la neve per poi venderla a chiunque ne avesse bisogno per mantenere i propri viveri, non svolgevano la loro professione in inverno(come si
I resti di un vecchio "frigorifero"
di una volta,
qui si conservava la neve e il cibo
potrebbe credere), quando più o meno la neve era a disposizione di tutti i garfagnini e i viveri si mantenevano comunque, ma il loro impiego si svolgeva in estate...Ma la neve d'estate dov'era? In estate conservare il cibo era un problema,le alte temperature che anche nella buona stagione si fanno sentire in Garfagnana non aiutavano i nostri nonni a conservare le cibarie, non bastavano le fresche cantine areate, serviva la neve e quale miglior posto esisteva che la famosa Buca della Neve? Questa cavità è una dolina che si trova nelle Alpi Apuane a 1680 metri di altezza, ai piedi (più o meno) della Pania della Croce,la si può raggiungere inerpicandosi per il Canale dell'Inferno,la troviamo sul fianco sinistro del vallone stesso, lì la neve c'è tutto l'anno(o meglio c'era...), adesso gli inverni miti e piovosi e le estati calde hanno fatto si che sia quasi scomparsa,ma una volta ci rimaneva abbondante anche in estate 
a causa proprio della sua posizione riparata e proprio grazie a questo squarcio nelle Apuane  come detto nacquero "gli uomini della neve".Già li troviamo citati in documenti del 1678 ma questa attività è sempre esistita e specialmente era rivolta a rifornire gli abitanti della bassa Garfagnana.Maestri in questo mestiere erano gli abitanti di Fornovolasco che spesso entravano in "concorrenza" e in litigio con gli uomini della montagna versiliese per problemi di "sconfinamento territoriale".I garfagnini
La "Buca della Neve" oggi in estate
sostenevano che la buca era dalla parte garfagnina appunto, mentre i versiliesi sostenevano a loro volta che la montagna era di chi la frequentava e che poi la neve era talmente abbondante che c'era per tutti, l'accordo con buona pace di tutti fu raggiunto concedendo anche a quelli di Fornovolasco di poterla vendere in determinati luoghi della Versilia, descrive bene di questo Francis Vane un baronetto inglese fra i fondatori del movimento scout nazionale nel suo libro del 1908 "Walk and people in Tuscany" (n.d.r:"Passeggiate e popoli in Toscana"), a dimostrazione di questo ancora oggi a 1700 metri d'altitudine esiste il "Passo degli Uomini della Neve" che ricorda il passaggio di queste persone che andavano e venivano dalla Garfagnana al mare con i loro carichi di coltre bianca. Il lavoro era faticosissimo e si svolgeva in parte anche in inverno, non per vendere ma bensì si cercava il modo e la maniera che la buca potesse raccogliere quanta più neve possibile,allora succedeva che cessate le giornate con grandi nevicate a turno un manipolo di uomini si avventurasse su per la Pania fino a raggiungere la famigerata apertura, una volta arrivati sul posto si entrava nella dolina e si cercava di pressare la neve fresca saltandoci sopra o battendola in qualche maniera, in questo modo il manto bianco si compattava e faceva si che l'estate successiva la buca ne conservasse ancor più. Ma il lavoro vero veniva con la buona stagione,vecchie testimonianze ricordano queste figure di uomini curvi sotto misteriosi carichi coperti di iuta, armati di accettino, con questo accettino si incominciava a tagliare la neve e a farci dei pani che venivano messi dentro balle di iuta con foglie e paglia,in modo da fare una sorta di isolante. Appena pronti si ripartiva per il fondovalle (superando dislivelli anche di 1300 metri)per venderla a chi ne avesse fatto richiesta.La neve infatti andava ordinata, naturalmente non la si poteva vendere al banco del mercato, ma veniva portata
Il Passo degli Uomini della neve 
direttamente a casa del cliente. Tanto per rendere bene l'idea, per portare a valle e quindi al cliente 10 kg di neve ordinata(che sono già molti) bisognava partire dalla montagna con ben 40 Kg sulle spalle poichè lungo il tragitto si sapeva grosso modo quanta se ne sarebbe sciolta, il tutto per due spiccioli, ma in tempo di magra anche quei due spiccioli erano fondamentali per la sopravvivenza della famiglia, pensiamo poi a tutto il lavoro che c'era dietro e le tribolazioni.Le faticose camminate talvolta erano anche pericolose spesso fatte con scarponi di fortuna ridotti al lumicino, ma le vere conseguenze di questo mestiere per questi uomini si rivelarono con gli anni quando la maggior parte di essi venivano colpiti alle mani da un abnorme gonfiore in corrispondenza delle nocche. Non ci voleva molto a capire che quello era il frutto dell'azione combinata di fatica e artrosi deformante per mani che non conoscevano mai estate.

Il boom economico degli anni 50 sancì definitivamente la fine di un mestiere che durava sicuramente da tempi remoti ad eccezion fatta per alcuni gelatai della Versilia che ancora desideravano fare il loro gelato con la neve della Pania.Nel 1951 l'Italia produsse 18.500 frigoriferi, nel 1957 la cifra era di 370.000 mila e nel 1967 di ben 3.200.000 mila. L'Italia era diventata il primo produttore europeo di elettrodomestici e già tutti c'eravamo dimenticati di chi per millenni con la loro fatica ci aveva permesso di conservare i nostri cibi.