mercoledì 26 luglio 2017

Garfagnini: fondatori di città. Una storia sconosciuta

Italiani fondatori di nuove città
"...Romolo attaccò all'aratro il vomere di rame, accoppiando al giogo il toro e la vacca e tracciò un solco profondo a base delle mura. Questo solco costituì il circuito che doveva percorrere la muraglia chiamata poi dai latini Pomerio, cioè post murum. Che questa cerimonia di fondazione avvenisse il 21 aprile è da tutti creduto ed i romani festeggiano quel giorno con il nome di natività della patria"
Così Plutarco nelle sue "Vite parallele" ricorda la fondazione della città per eccellenza: Roma. La fondazione di Roma è stata una delle date più importanti della storia dell'umanità, questa città cambiò letteralmente i destini del mondo e ancora oggi il riverbero di ciò è ancora presente. In Garfagnana non voliamo così in alto, ma anche nella nostra valle abbiamo avuto i nostri "Romolo", cioè dei fondatori di città. Si, avete capito bene, questa è una pagina davvero poco conosciuta dei nostri emigrati, ma alcuni di loro posero le fondamenta per nuovi abitati che ancora oggi sono vivi e vegeti. Ma andiamo per gradi e cominciamo a raccontare la nostra storia dicendo che noi italiani abbiamo avuto sempre la prerogativa di essere degli esploratori provetti, d'altronde Marco Polo, Colombo e Vespucci qualcosa avranno pure lasciato...Infatti così è, tant'è che quando alla fine dell'800 e gli inizi del '900 ci fu il boom dell'emigrazione molti italiani non si limitarono a vivere nelle grandi città ma andarono a cercar fortuna in lidi quasi inesplorati come al tempo era quel lembo di terra nello stato dell'Arkansas (Stati Uniti) dove oggi sorge la città dal curioso nome di Tonti Town. Fu fondata nel 1898 da un gruppo di immigrati cattolici italiani, guidati dal loro prete Pietro Bandini, si stabilirono in questo posto perchè così dissero che il clima e il terreno erano simili a quelli del loro luogo nativo nella lontana Italia. Decisero perdipiù di onorare un altro italiano, esploratore come loro: Henri De Tonti, in suo onore fu dato il nome a questa cittadina, a colui che aiutò Renè Robert Cavalier de La Salle ad esplorare il fiume Mississipi. Oggi la città è famosa per il Tonti Town Grape festival
Tonti Town Grape Festival
, dove si sponsorizza l'ottimo (così almeno si dice) vino locale e sempre a proposito di vino che dire allora di Asti?...No! Non capitemi male non parlo della ridente città piemontese, ma bensì dell'Asti che è in California nella Sonora Valley, sorta nel 1881 per volontà del ligure Andrea Sbarboro che fra l'altro creò pure un'azienda vinicola che per molto tempo è stata il principale produttore di vino di tutta la California. Diversa per esempio era la situazione in America del Sud. In Brasile agricoltori veneti, friulani, trentini e lombardi fondarono nuclei coloniali a cui diedero il nome dei loro paesi di origine. In Argentina invece a Villa Regina i coloni italiani trasformarono letteralmente il deserto in splendide distese di frutteti e vigneti. Altresì nel confinante Cile ho potuto personalmente toccare con mano l'intraprendenza italiana, visitando in gennaio 2017 Capitan Pastene amena località del Cile meridionale. Qui ancora oggi esiste l'unica comunità italo cilena, fu creata da emigranti di Pavullo (in provincia di Modena) ai primi del '900. Per chi ha la fortuna di fare un giro in città può vedere che nei ristoranti si mantiene ancora salda la tradizione emiliana e così si possono mangiare dell
Io a Capitan Pastene Cile
e buonissime tagliatelle o dei buoni tortellini e anche gli insaccati non sono niente male. Il nome dell'abitato anticamente era Nueva Italia cambiato poi in Capitan Pastene in memoria dell'esploratore Giovanni Battista Pastene navigatore del '500 a cui va il merito di aver esplorato gran parte delle coste cilene.

Tornando al nocciolo della questione i nostri garfagnini non furono di meno di altri italiani e anzi la loro mente fu lungimirante quando intuirono (proprio in America Latina) che bisognava acquistare terreni adatti alle future stazioni ferroviarie, difatti in quegli sperduti luoghi era in forte espansione la costruzione di nuove ferrovie ed è proprio qui che i nostri conterranei ebbero l'intelligenza di precedere, piuttosto che seguire i binari, sorsero così nuovi paesi la cui principale produzione era la fabbricazione di traversine per i binari. Lampante è il caso di Primo Fiori di Gragnana (Piazza al Serchio). Suo padre era già partito per il Brasile all'inizio del secolo scorso e Primo non trovando lavoro nel 1926 ripetè la scelta del genitore. Arrivò in quel di San Paolo e con l'aiuto di alcuni compaesani trovò finalmente lavoro. Non contento nel 1932 si trasferì nello stato del Paranà dove partecipò alla costruzione della ferrovia, si fermò così in quella che sarebbe diventata la città  di Londrina (che oggi per numero è la seconda più popolosa dello stato) con la moglie di origine russa e insieme
Londrina oggi
a circa altri mille compagni di avventura. Aprì in seguito un'officina, poi una concessionaria internazionale di camion e trattori, infine fece arrivare nel luogo la prima linea aerea commerciale. Nel 1984 
nel cinquantenario della nascita della città  fu insignito con la moglie del diploma di onore "Pioneiro de' Londrina", insieme a lui altri vecchi emigranti dell'Italia del nord furono premiati che in quel lontano 1934 vollero dare merito però al primissimo insediamento inglese (li impiegato nella lavorazione del cotone), chiamando Londrina la nuova cittadina in onore alla capitale Londra. Sempre in Brasile rimarranno epiche le gesta di Pietro Pocai che in un mio vecchio articolo definì l'Indiana Jones garfagnino (per leggerlo clicca qui http://paolomarzi.blogspot.it/2014/07/lindiana-jones-garfagnino-pietro-pocai.html). Pietro nacque ad Eglio (comune di Molazzana) nel 1853, era il secondo di cinque figli e siccome la vita era grama e povera la famiglia decise di mandarlo in seminario con la speranza di ricavarci un prete. Ma il "latinorum" non era il suo forte, quindi lasciò la famiglia e gli affetti più cari e s'imbarcò clandestino verso il Brasile. In quel periodo in quei luoghi giungevano avventurieri da tutti i porti che si addentravano in Amazzonia, nel Mato Grosso e nel Rio Grande do Sud a cercar fortuna, Pietro le segui. Studiò così le varie tribù indigene imparandone la lingua, gli usi e la religione. Dai Munduro (una tribù del luogo specializzata in mummificare le teste dei nemici), ebbe in sposa la figlia del capo, visse nel villaggio per un po' e poi stanco della vita "coniugale" scappò dalla moglie e s'incammino nelle impervie foreste del sertao paulista. Nel 1886 giunse finalmente nei pressi di un grandissimo fiume: il Parapanema, era un luogo stupendo, verde, lussureggiante, talmente bello che il nostro Pietro decise di fermarsi. Il suo insediamento fu subito ostacolato dagli indios Coroados (i temibili tagliatori di teste)che subito gli bruciarono la capanna, allora Pietro chiamò a se altri emigrati italiani, dopo alcuni mesi sorse un improvvisato numero di abitazioni.I nuovi abitanti formarono un simil- esercito che si mosse senza pietà contro gli indigeni, il sangue scorse copioso e alla fine i Coroados furono sconfitti. Una cascata d'acqua meravigliosa rompeva con il suo frastuono il silenzio di quel luogo, in onore a
Salto Grande oggi
detta cascata la nuova città fu chiamata Salto Grande.In pochi anni le abitazioni crebbero. Gli emigrati italiani giunsero da tutto il Brasile con l'intenzione di aggregarsi alla
 "tribù del Pocai". Adesso gli italiani erano padroni di un intera regione, incominciarono a coltivare il caffè, canne da zucchero, si costruirono chiese e negozi.Il suo capo incontrastato rimase Pietro Pocai fino al giorno della sua morte avvenuta l'8 settembre 1913.

Queste storie nella loro eccezionalità  un po' si assomigliano tutte. Simili furono i fatti che capitarono ad Angelo Guazzelli di Chiozza che trovò il suo paradiso terrestre sulle sponde del fiume Apiay a trecento chilometri da San Paolo del Brasile, qui vi costruì la prima capanna, in poco tempo ne sorsero altre e altre ancora, nacque così nel 1886 la città di Bury. Stessa cosa per Polinice Mattei di San Romano Garfagnana, uomo dalle idee politiche ben chiare e quindi spesso in contrasto con il governo locale, la sua caparbietà lo portò quindi a fondare una città tutta sua: Tanabi. Oggi questo luogo insieme ai suoi 25.000 abitanti può vantare una università e una squadra di calcio di buon livello. Pasquale Toti di Cardoso invece è il padre di Uberaba, situata nello stato del Minas Gerais anch'essa in Brasile. Questa terra si prestò subito  a nuovi tipi di cultura mai provati nella Valle del Serchio, come la soia e la canna da zucchero ed in più sterminati pascoli favorirono il nascere di intere mandrie di mucche, insomma anche nel XI secolo questa regione rimane uno dei centri agricoli più importanti del Paese. Addirittura c'è chi fondò una città in collaborazione tra fratelli e per buona fortuna non andò a finire come fra Romolo
festa dei fondatori di Rudge Ramos
e Remo e ad onor del vero, Tommaso, Adelfo e Romualdo Piagentini da Chiozza con buona pace e rimboccandosi le maniche costruirono le prima case di Rudge Ramos e così nacque ufficialmente il nuovo villaggio nel giorno di Santo Stefano del 1891 con l'autorizzazione avuta dalla diocesi di San Paolo nel dire la prima messa nella nuova chiesa, proprio in quelle terre che alcuni anni prima i fratelli Piagentini avevano acquistato dalla Stato paulista.

Per l'emigrato la conquista di una casa propria non è solamente uno dei più rassicuranti segnali di condizioni economiche è anche il luogo in cui ci si può sentire "solamente" se stessi. Alcuni garfagnini non si accontentarono di una semplice casa, furono
Tommaso Piagentini, uno
dei tre fratelli fondatore
di Rudge Ramos
 dei nuovi coloni, fu un percorso singolare, alla maniera cinematografica di "C'era una volta il West". L'aver avuto parte in queste nascite meritò ai protagonisti il meritato titolo di "fondatori di città". 



Bibliografia

  • "Storie di ieri, di oggi, di donne, di uomini" Fondazione Paolo Cresci per la storia dell'emigrazione italiana

mercoledì 12 luglio 2017

I terremoti dimenticati della Garfagnana. Una tragica cronistoria lunga 600 anni

La paura è sempre la solita, tremenda, paralizzante. Le ante
Il terremoto del 1920 in Garfagnana
(foto collezione Silvio Fioravanti)
dell'armadio iniziano a tremare, il tavolo le segue, l'incredulità è mescolata con la realtà, poi ti rendi conto...il terremoto!!!..., un urlo strozzato cerca di coprire quella specie di rombo angosciante, nonostante tutte le raccomandazioni del caso dimentico tutte le buone norme...dovrei buttarmi sotto la scrivania? No! Volo le scale a grandi passi, esorto tutti ad uscire, la gente è già in strada, i bambini corrono, e gli adulti hanno le mani nei capelli per lo spavento...eppure in questi attimi la più temeraria di tutti era sempre lei...la nonna. Lei aveva affrontato insieme a due bimbe piccole i bombardamenti del '44 in Garfagnana, aveva visto il paese distrutto e aveva vissuto sulla sua pelle anche il devastante terremoto del 1920. Si, proprio quel terremoto. Ormai per noi garfagnini quel sisma è quasi entrato di diritto nella leggenda popolare, ogni volta che la nostra terra viene colpita dal più piccolo tremolio la mente va sempre a quel maledetto 7 settembre 1920 e ai suoi 171 morti. I nostri nonni hanno tramandato da padre in figlio la memoria di quei terribili giorni, ognuno nella propria casa ha storie ed aneddoti legati a quel terremoto, tutti questi ricordi lo hanno fatto entrare nell'immaginario collettivo solo ed esclusivamente come "il terremoto", come se prima non ce ne fossero stati altri di così forti e potenti, eppure non è così, la lista dei terremoti garfagnini non si ferma a quel 1920, l'elenco di distruttivi terremoti è documentata sin dal XV secolo. Infatti era il 7 maggio del 1481 quando si ha la prima testimonianza di un sisma di grande entità. L'epicentro di quel secolare terremoto fu
il terremoto visto nel 1500
localizzato nell'Alta Lunigiana e fu percepito distintamente fimo a Lucca, Massa e i paesi circostanti. All'epoca la Lunigiana era annessa alla Repubblica di Firenze governata da Lorenzo Il Magnifico e grazie ai precisi riferimenti dei messaggeri medicei, oggi si può stabilire in base ai loro scritti sui danni causati alle abitazione e alle cose una probabile magnitudo di quel sisma che si dovrebbe aggirare intorno al 5.6, pari all'VIII° della scala Mercalli. Si racconta che nel borgo di Fivizzano crollarono diciassette case, oltre duecento fabbricati subirono gravi danni ai solai, ai tetti e ai muri, purtroppo vi furono anche delle vittime non quantificate con precisione ma con ogni probabilità potrebbero essere state comunque di più se non fosse che alcuni mesi prima (addirittura i cronisti del tempo parlano di  febbraio) scosse premonitrici avevano già messo in allarme tutta la popolazione. Della Garfagnana non si fa alcun cenno particolare, ma con sicurezza possiamo dire che i danni alle persone e alle case furono ingenti, di pari portata sicuramente agli accadimenti avvenuti nella vicinissima Lunigiana. Rimanendo su questo tema in effetti c'è un dato a dir poco curioso che riporta sia il Dipartimento di Protezione Civile e poi anche Claudio Vastano nel suo bel libro "Garfagnana la valle dei terremoti" sul fatto che non si hanno notizie più antiche e documentate (come appunto nel caso del sisma del 1481) riguardo ai terremoti in Garfagnana. Il motivo è da ricercarsi in due fattori: il primo è da ricondurre alla scarsa importanza che aveva la nostra valle, difatti non erano presenti nè grandi centri economici nè culturali e di quella vallata incastonata fra Appennini e Apuane non importava quasi niente a nessuno, quasi però...se è vero come è vero che l'altro fattore è da ricercarsi nell'importanza strategica e militare che aveva la Garfagnana per gli Estensi(n.d.r: la famiglia che governava la zona), con ogni probabilità erano proprio gli stessi funzionari locali a nascondere le notizie riguardanti catastrofici eventi naturali (proprio come terremoti e alluvioni), perchè si aveva timore che eventuali nemici avrebbero potuto sfruttare la situazione di crisi per assaltare la valle ed estendere così i propri possedimenti.

A confermare questo è la data del successivo sisma che risale (così dicono le cronache) all'8-10 giugno 1641, le scosse furono avvertite nell'intera Lunigiana e Garfagnana e sopratutto la zona più colpita fu l'abitato di Pontremoli. La documentazione in questo caso è molto lacunosa, le fonti addirittura non riescono nemmeno a stabilire il
Le faglie attive presenti da
secoli in Garfagnana
giorno preciso della sciagura e ciò potrebbe far pensare ad una scossa principale seguita da forti repliche per almeno altri due giorni, inoltre non si hanno notizie specifiche dei danni.

Un altro fatto da sottolineare è che dai dati presenti in archivi storici si passa a momenti di intensa attività sismica a momenti di calma assoluta. Una tesi a riguardo sostenuta dagli esperti dice che tali periodi potrebbero essere effettivamente dovuti a un rallentamento dei movimenti geodinamici del sottosuolo (parolone degli esperti...non mie!) ma è anche possibile che vi siano ancora delle omissioni nei documenti. A prova di tutto questo eccoci allora di fronte a un salto temporale di cento anni e ritroviamo notizia di un forte terremoto nell'anno 1740. A proposito, il 1700 sarà il cosiddetto "saeculum horribilis" ("il secolo orribile") per quanto riguarda i terremoti in Garfagnana, saranno ben tre quelli violenti che colpiranno la valle. Il primo come detto correva l'anno 1740, era il 6 marzo quando il sisma colpì sopratutto la Garfagnana, l'area dei danni si estese a parte della Versilia e all'appennino modenese. I forti danni subiti appartenevano a stati diversi e sono documentati negli archivi estensi, lucchesi e fiorentini (così come era divisa politicamente la zona). Uno dei centri più danneggiati fu Barga dove si contarono tre morti, in più crollarono diverse case e molte furono danneggiate, si può calcolare che questo sisma sia stato dell'VII° della scale Mercalli e di magnitudo 5,2. Passano solo sei anni e il 23 luglio 1746 la paura torna a fare la padrona con un'altro terremoto dell'VII° scala Mercalli magnitudo 5,1. I paesi più danneggiati furono ancora Barga e Castelnuovo, la sequenza iniziò il 9 luglio e continuò fino ad ottobre, la gente si trasferì in campagna e costruì baracche. Arrivò così anche il 21 gennaio 1767, questo terremoto causò i suoi danni più gravi a Fivizzano dove ci furono gravi lesioni alle abitazioni, agli uffici pubblici e alle chiese. Eravamo in periodo di carnevale, vennero sospesi tutti i festeggiamenti, sostituiti da lunghe veglie di preghiera, stavolta questo sisma fu il maggiore per intensità di tutto il secolo, si toccò il VII° della scala Mercalli ma il suo magnitudo fu di 5,4.
Questo invece è il terremoto dei nonni dei nostri nonni e questo fu veramente catastrofico, era l'11 aprile del 1837, l'origine del
Campo di residenza provvisorio per gli
abitanti di Villa Collemandina 1920
(foto collezione Silvio Fioravanti)
sisma si può ricercare nelle viscere delle Alpi Apuane, la sua potenza si scatenò sulla superficie terrestre e arrivò al IX° Mercalli magnitudo 5,8. Il sisma prese nella parte nord-orientale delle Apuane sul confine fra Garfagnana e Lunigiana, la scossa causò gravi danni nei territori di Minucciano (dove morirono in tre) e Fivizzano. Il borgo di Ugliancaldo fu raso al suolo, qui i decessi furono cinque e diciotto i feriti. I rispettivi governi mandarono i tecnici a fare rilevamenti, vennero stanziati aiuti finanziari ed esenzione dalle tasse per i paesi colpiti.

Eccoci infine ai "giorni dell'apocalisse" che tutti conosciamo e di cui abbiamo sempre sentito raccontare. Era il 7 settembre 1920, la scossa (X° Mercalli magnitudo 6,5) interessò un area di oltre 160 chilometri quadrati, fu avvertita a Genova, Reggio Emilia, Pisa e anche a Milano, i morti furono ben 171, i feriti 650, migliaia di persone senza casa. Le scosse di assestamento durarono fino all'agosto del 1921 (per saperne di più leggi http://paolomarzi.blogspot.it/2014/09/7-settembre-1920-il-grande-terremoto-i.html) .
Così da secoli in Garfagnana viviamo con questa spada di Damocle sulla testa e  con l'angoscia di sentire che c'è qualcosa di più
Il biglietto della lotteria in
sostegno delle popolazioni colpite
della Garfagnana 1920
grande di noi: la natura che ha il potere di distruggere e di creare.




Bibliografia

  • Sismicità storica in Garfagnana- Dipartimento della Protezione Civile
  • "Garfagnana la valle dei terremoti" di Claudio Vastano Garfagnana editrice

mercoledì 5 luglio 2017

Storia di un ponte: il ponte Attilio Vergai nel comune di Villa Collemandina, era il più alto d'Europa

"La casa dei sette ponti" è un bellissimo libro di Mauro Corona, è
una favola moderna ambientata nelle valli dell'appennino tosco-emiliano, un libro particolare a metà strada fra "Il canto di Natale" di Dickens e la parabola biblica del figliol prodigo. Una frase su tutte mi ha colpito di questo scritto e mi è venuta alla memoria proprio quando mi accingevo a scrivere questo articolo: "I ponti uniscono separazioni, come una stretta di mano che unisce due persone. I ponti cuciono strappi, annullano vuoti, avvicinano lontananze". Proprio così, la funzione di un ponte è questa, simbolica e concreta allo stesso tempo ed quanto di mai più appropriato si può dire del ponte stradale più famoso di tutta la Garfagnana: il ponte Attilio Vergai che si trova sulla statale 48 nel comune di Villa Collemandina, tra i paesi di Magnano e Canigiano. Questo ponte è famoso essenzialmente per tre motivi: il primo motivo risale al 1933, quando fu inaugurato era il ponte più alto d'Europa, era ed è considerato tutt'oggi a detta di molti tecnici e storici un pregevole ed ardito esempio delle prime strutture realizzate in cemento armato in Toscana, la seconda ragione riguarda il personaggio a cui è dedicato, Attilio Vergai, eroe della resistenza e principale fautore della sua realizzazione, infine l'ultimo e triste ragione consiste che questo ponte è meta di poveri disperati che decidono di chiudere in maniera volontaria la propria vita gettandosi dai suoi 87 metri d'altezza. Analizziamo adesso però i primi due motivi principali, tralasciando il terzo per le sue infelici e private storie.
Il cartello informativo all'inizio del ponte parla chiaro:
"Ponte Avv. Attilio Vergai. Anno di costruzione 1932-1933. Lunghezza metri 160. Altezza m 83. Sviluppo arcate m 40 e m 60. Progettista Ing. Danusso politecnico Milano". 
Ma cominciamo dall'inizio. L'avvocato Attilio Vergai fu nominato podestà di Villa Collemandina nel lontano 1927. Era la persona più adatta per ricoprire il ruolo di primo cittadino di questa comunità, aveva da parte sua il titolo di avvocato per districarsi fra le mille burocrazie che anche una volta affliggevano il nostro Paese e in più aveva un amore sconfinato per la propria terra. Nella sua veste istituzionale volle così dare ai suoi compaesani un infrastruttura grandiosa degna delle più grandi città non solo d'Italia ma anche d'Europa: il ponte sopra il torrente Corfino, un viadotto a due arcate, alto nel suo massimo 87 metri e costruito a ben 800 metri d'altitudine nelle impervie strade della Garfagnana. Era un'ossessione per il buon avvocato Attilio questa opera, in cuor suo credeva molto in questo progetto tanto da coinvolgere i corfinesi emigrati all'estero per finanziarlo, grazie al loro contributo si potè raggiungere una cifra ragguardevole per l'epoca: oltre duecentomila lire. Il sogno ormai stava per concretizzarsi, i lavori cominciarono così nel 1932. 
Dopo aver letto queste righe quello che per i cari lettori può sembrare un ponte voluto quasi per capriccio dal Vergai aveva invece solide motivazioni per essere costruito e tali motivazioni nacquero qualche anno prima quando nel primo decennio del 1900 fu (quasi) costruita la strada di collegamento fra Villa Collemandina e la frazione di Corfino. Sfortuna volle purtroppo che l'impresario edile  addetto alla realizzazione della strada morì, il fatto compromise i lavori e lasciò di fatto incompiuta la nuova via di comunicazione. 
Il terribile terremoto del 1920 che devastò la Garfagnana e in particolar modo proprio quei paesi dette però l'imput al suo
completamento e nel 1921 i lavori ripresero, si evidenziò fortemente la necessità di velocizzare i soccorsi in caso di un futuro sisma, difatti in precedenza gli aiuti giunsero clamorosamente in ritardo proprio a causa delle accidentate strade. L'amministrazione comunale affidò allora l'opera all'ingegner Aldo Giovannini che doveva studiare l'ultimazione della strada e la maniera più economica  per realizzarla. Dopo aver messo sul tavolo varie possibilità venne scelta la soluzione che prevedeva un lungo e alto ponte, ciò avrebbe anche valorizzato l'intera area in tutti i suoi aspetti. I piani strutturali di questo ponte furono molteplici, un progetto per esempio comportava la sua realizzazione in due arcate di 30 metri ciascuna, in cemento armato, con una pila centrale alta 33 metri, la pendenza e il fattore  puramente estetico di questo proposito fu bollata dagli ingegneri  come "scempio del paesaggio". Con buona pace di tutti finalmente il progetto venne definitivamente assegnato all'ingegner Arturo Danusso, i lavori ebbero così fine con la sua inaugurazione il 7 luglio del 1933 e le cronache dell'epoca così la definirono: "Ciò che pareva irrealizzabile e ora realtà e sull'abisso si curva agile ed elegante l'arco che sembra tracciato da una mano onnipotente con una facilità e con una leggerezza veramente fantastica".
La gioia per il suo principale sostenitore Attilio Vergai era immensa, finalmente aveva potuto regalare alla sua terra un'opera
Attilio Vergai

che anche lui sapeva che sarebbe durata per sempre. I momenti felici però  presto cesseranno per Attilio, due mesi più tardi da quel bellissimo giorno terminò il suo mandato di podestà e cominciò a lavorare a Castelnuovo Garfagnana nella filiale della Cassa di Risparmio di Lucca. Arrivò anche lo scoppio della II guerra mondiale e lui si contraddistinse subito come un fervente anti fascista, tanto che dopo l'otto settembre 1943 entrò in contatto con i primi partigiani garfagnini attivi in Campaiana aiutandoli nell'attività di sostegno ad ufficiali inglesi fuggiti dai campi di prigionia. Nel 1944 accadde il fattaccio, quando si oppose alle Brigate Nere che volevano i soldi custoditi dentro la banca di cui lui era il direttore, nella notte infatti modificò la combinazione della cassaforte e prelevò il denaro che inviò tramite una staffetta alla direzione di Lucca, città che già era stata liberata dagli americani. Ormai era entrato di fatto nella lista nera dei fascisti e il 27 febbraio 1945 fu catturato a Corfino e fu accusato di attività spionistica e favoreggiamento alla diserzione militare, dato che nell'anno precedente si era fortemente esposto aiutando alcuni giovani compaesani a non rispondere alla chiamata alle armi della Repubblica Sociale. Fu trasferito dunque nel carcere di Camporgiano dove fu brutalmente maltrattato, gli venne addirittura promessa la libertà in caso di
confessione, ebbe anche l'opportunità di fuggire ma non lo fece per paura di ripercussioni sulla sua famiglia. Un mese dopo la sua cattura Il 27 marzo 1945 comincia il mistero sulla morte di Attilio Vergai. Di prima mattina fu prelevato da Camporgiano e fu condotto in prigione a La Spezia, questa fu l'ultima volta che fu visto vivo. Il corpo di Attilio non fece mai più ritorno a casa, all'epoca si fecero alcune ipotesi sulla sua morte, la più probabile rimane quella che in una successiva traduzione carceraria da La Spezia a Genova via mare, la nave che trasportava Attilio fu attaccata da aerei anglo americani, nel corso del bombardamento si presume che l'imbarcazione affondò e gli uomini a bordo uccisi...

Nel 1952 il magnifico ponte gli fu giustamente intitolato.


Bibliografia

  • "Mediavalle e Garfagnana tra antifascismo, guerra e resistenza" di Feliciano Bechelli edito Pezzini editore 2016
  • Pietre della memoria, il segno della storia