mercoledì 30 settembre 2020

La "rivoluzione" dei cimiteri in Garfagnana. Quando il regno dei morti era sotto il pavimento delle chiese

Per chi non lo sapesse Saint Cloud è un amena cittadina francese

situata nella regione de L'Ile de France, dista solamente una decina di chilometri da Parigi e se un giorno qualcuno di voi capitasse da quelle parti non può mancare di visitare il suo parco: 463 ettari di pura bellezza, tanto da essere considerato uno dei giardini più incantevoli d'Europa, ma non solo, se si vuole si possono anche ammirare alcuni edifici di quello che fu uno dei castelli reali di Francia. Ad onor del vero bisogna però dire che non sono queste le cose che hanno reso famosa la città, gli eventi ci narrano che questa località è rimasta nella storia per due fatti: il primo fatto ci dice che il castello sopra citato fu la reggia di Napoleone Bonaparte e il secondo ci racconta che qui (sempre da Napoleone) fu emanato un'editto di un'importanza storica notevole, che cambiò finalmente e per sempre una malsana consuetudine: il 23 giugno 1804, qui venne vergato il
Il castello di Saint Cloud
documento meglio conosciuto come "editto di Saint Cloud", ovverosia "Decret imperial sur les sepoltures". Napoleone in Italia ne combinò di tutti i colori, diciamocelo chiaramente, con le sue riforme sconvolse tutta una vita sociale che ormai aveva un secolare impianto, impose da subito un regime autoritario abolendo la libertà di stampa, revocò le assemblee locali elettive nominando di fatto prefetti governativi, perdipiù fece riforme scolastiche che incrementarono ancor di più il popolo degli analfabeti. Però, questo famigerato editto di Saint Cloud fu una mano santa, sia da un punto di vista igienico sanitario e se si vuole anche da un punto di vista sociale. Insomma (a mio avviso) debellò quella che era una vera e propria indecenza. Era infatti pratica diffusa che i morti fossero sepolti all'interno delle chiese, o meglio, sotto il pavimento delle chiese
esisteva un vero e proprio cimitero. Questo decreto composto da 
cinque titoli principali  regolamentò in  maniera definitiva questa (orrida) usanza:  

  1. Delle sepolture e dei luoghi a loro dedicati
    Si specificava il divieto di seppellire all’interno degli edifici sacri e dentro le mura delle città; i terreni dedicati alle sepolture dovevano essere situati fuori dalle città, in posizione elevata, a 35-40 metri di distanza dagli abitati, circondati da mura di cinta alte almeno 2 metri. Ogni sepoltura doveva essere individuale e di questa ne venivano date anche le dimensioni della fossa e la distanza tra questa e le altre.
  2. Dell’istituzione dei nuovi cimiteri
    Tra le altre cose, si precisava che con le nuove costruzioni, i vecchi cimiteri dovevano essere chiusi
  3. Della concessione dei terreni
    In questo titolo si affermava che potevano essere dati in concessione terreni per l’edificazione di tombe di famiglia, con annessi monumenti e cripte.
  4. Della sorveglianza dei luoghi di sepoltura
    E’ interessante notare che si prendeva in considerazione la presenza di culti differenti e che perciò all’interno dei cimiteri dovevano esserci settori dedicati con il loro ingresso separato. Si doveva inoltra vigilare affinché si evitasse qualunque atto contrario al rispetto della memoria dei morti.
  5. Delle pompe funebri
    Si regolavano infine le modalità di trasporto dei defunti, gli ornamenti, eccetera.
E per chi non lo sapesse, anche nelle chiese garfagnine e della Valle del Serchio, al di sotto dei loro pavimenti esistevano (o ancora
esistono) cripte, tombe e fosse comuni, che contenevano (e in alcuni casi contengono ancora) decine e decine di morti... Diciamo che le finalità di questo editto erano sostanzialmente due: il primo obiettivo era sanitario, si rendeva infatti necessario evitare di continuare a stipare i morti nelle chiese con la conseguente diffusione di odori tremendi e malattie. Il secondo obiettivo era politico, le tombe dovevano essere tutte uguali fra loro, nel rispetto del principio rivoluzionario di uguaglianza. Pertanto il nuovo decreto imperiale in Italia entrò in vigore il 5 settembre 1806. Così, finalmente, dopo 800 anni anche in Garfagnana (come in altre parti) questa cattiva abitudine cessò per sempre... Dalla saggezza dei romani d'altro canto non avevamo imparato niente, infatti era loro costume seppellire i propri cadaveri lontano dalle città, fuori dalle mura e lungo le strade principali, all'aria aperta, zone circondate da cipressi, pini e altre piante balsamiche. Ma la religione come si sa con il passare dei secoli impose sempre di più il suo potere e il suo prestigio, tant'è che dapprima il
Cimiteri Roma antica

privilegio di essere seppelliti sotto le chiese era un'esclusività ad appannaggio di coloro che appartenevano ad un determinato ceto sociale: le autorità ecclesiastiche, i loro familiari, le autorità civili e i ricchi disposti a generosi lasciti testamentari a favore di Santa Romana Chiesa. Ma poi i "buoni propositi" della dottrina cattolica, intorno al X secolo si allargarono anche "ai comuni mortali", secondo il principio "ad sanctos et apud aecclesiam" (vicino ai santi e presso le chiese), in pratica il presupposto fondamentale di tale pensiero era che se un corpo veniva inumato in chiesa era presumibilmente più vicino a Dio e di conseguenza alla redenzione eterna. Ma anche in queste inumazioni si attuava una certa distinzione sociale e lo si può notare nella struttura sotterranea di molte chiese della valle. I ricchi infatti venivano sepolti in prossimità degli altari (più possibile vicini a Dio...), sotto l'altare stesso era pertinenza dei prelati, lungo i fianchi delle navate e presso gli altaretti dedicati ai santi solitamente venivano seppellite le nobili famiglie (che magari in vita avevano eretto gli altaretti succitati), verso l'uscita della chiesa
c'era la fossa comune dei bambini (poveri) e in mezzo c'era un'ennesima fossa comune dedicata al misero popolo. Tanto per aver chiara l'idea è bene capire che comunque sia non si seppelliva solo nelle chiese ma anche nelle sue prossimità, a patto che fosse luogo consacrato, quindi nel cortile, nel chiostro, nei pressi dell'abside, in ogni dove insomma. In questo caso, nota curiosa, lo spazio riservato sotto la gronda della chiesa era strettamente riservato alle prostitute e ai peccatori riconosciuti di grave colpa, si credeva che l'acqua piovana scesa dal tetto sarebbe servita a pulire la loro putrida anima. Ma qui, quello che c'era di putrido non era l'anima di queste persone e basta, anche quei poveri corpi sepolti li sotto erano in queste condizioni. Infatti queste fosse erano una delle cause principali della diffusione di malattie infettive e pestilenze varie e effettivamente i topi erano i padroni incontrastati di questi sotterranei. Si racconta che nelle abitazioni vicine a questi pseudo cimiteri il latte e il brodo imputridivano, il vino inacidiva e i cibi si deterioravano facilmente a causa dei gas fetidi che emanavano i cadaveri. D'altronde c'era poco da pretendere se tutto si svolgeva in questa maniera... Di solito il procedimento di sepoltura (per i poveri) consisteva che il misero morto fosse trasportato in chiesa con una bara cosiddetta "d'apparato" (cioè, che serviva solamente per la cerimonia funebre odierna, la
Botola di una fossa comune

cassa sarebbe stata poi usata per un nuovo cadavere), dopodichè al "povero fagotto", senza bara, gli veniva cucito addosso una sorta di sudario. I seppellitori fatta questa operazione aprivano la robusta botola di legno (posta sul pavimento)e "gittavano" senza complimenti il meschino corpo sull'insano carnaio in decomposizione, un po' di calce veniva sparsa giù nella botola che dopo veniva chiusa rapidamente. Quando poi la fossa con il passar del tempo si sarebbe riempita di cadaveri, era sempre compito dei seppellitori entrare nella medesima fossa, svuotare il comparto con pale e secchi e infine raccogliere le ossa che venivano interrate nelle vicinanze delle chiese o nelle cappelle vicine. Immaginatevi allora il fetore, ogni volta che questa botola veniva dischiusa, l'aria talvolta era talmente irrespirabile da non permettere in certi casi le funzioni religiose. A tal proposito la testimonianza di un messo napoleonico in Terre di Garfagnana descriveva così nel suo rapporto mensile quella sconcezza: "...
regge ancora il costume osceno, insalutare e più che barbaro (i barbari meglio che noi dando sepoltura ai cadaveri) d'interrare nelle
fosse delle chiese, in mezzo ai paesi. E può tanto invecchiato errore, che non si tiene in pregio alzar tomba in sito ameno a corpi morti delle care persone, ma si vuole nella stessa comune lurida fossa confondere le spoglie di vergini figliuole o di pudiche consorti a quelle di ladroni, ribaldi e dissoluti. Vero è che i preti soffiano in quella ignoranza per non perdere il guadagno de' mortorii, né diminuire il raccolto del purgatorio, sempre più largo se in presenza della fossa che chiude ceneri adorate o venerande
". Il messo napoleonico mise così il dito su un'altra immoralità che non dava lustro nè alla chiesa nè ai suoi pastori, che in barba alla tanto sbandierata misericordia, pietà e compassione fece di ciò un lucroso affare. Il lucroso affare aveva un nome e si chiamava la "quarta funeraria". Già dal medioevo era pratica di pagare per ottenere degna sepoltura, e credetemi, questo interesse rappresentava una fonte di guadagno per il cosiddetto basso clero (i semplici preti) veramente notevole, tanto d'accendere varie dispute fra parrocchie e parrocchie per accaparrarsi la povera anima. La responsabilità della tumulazione dei cadaveri all'interno delle chiese spettava al parroco e rimase di sua
Un'illustre tomba
 esclusiva competenza fino al 1800, ciò rese i preti i diretti responsabili della pratiche relative alla morte e alla sepoltura che veniva così pagata in sonori quattrini. A dire il vero in origine l'inumazione sarebbe stata gratuita, così come stabiliva il Corpus Iuris Canonici (diritto canonico), ma poi le generose elargizioni che venivano dai ricchi signori per prenotarsi un posto di loro gradimento fece si che il diritto canonico andò a farsi benedire e la regola di pagarsi un posto in chiesa (attraverso doni ed elargizioni) divenne una consuetudine. In compenso rimase diritto dei poveri (ma bisognava essere poveri veramente...) di essere sepolti gratis. Fattostà che gli introiti derivanti da questa pingue faccenda iniziarono ad essere veramente significativi, tanto che nel corso dei secoli le autorità ecclesiastiche decisero di regolamentarla, stabilendo di fatto un vero e proprio tariffario. A rompere le uova nel paniere come avete letto  ci pensò lui, Napoleone, che con la chiesa cattolica non aveva un gran feeling già dai tempi in cui fece imprigionare Papa Pio VI(1797). Del resto furono sue le parole che stabilirono una grande verità: "Ci sono due modi per far muovere gli uomini: l'interesse e la paura". E difatti fu proprio l'interesse la motivazione che mosse il
clero in questa mercificazione della morte, ma fu la paura quella che la fece cessare per sempre...

mercoledì 23 settembre 2020

1948: Cronaca di drammatiche elezioni. Democrazia Cristiana o Partito Comunista? Russia o America ? e in Garfagnana intanto...

Finalmente !!! Anche questa volta sono (da poco) passate queste benedette (o maledette...) elezioni. Effettivamente non ne potevo più, in ogni dove vedevi spuntare un candidato, aprivi facebook e zac eccone uno, ti rilassavi sul divano per vedere un film ma anche qui fra un canale ed un altro ecco che spuntava qualche simbolo di un partito, se aprivi i giornali allora non ne parliamo...e poi... e poi come al solito alla fine di questo gran circo politico risulterà che chi ha vinto ha vinto e anche chi ha perso troverà il modo di dire che in qualche maniera ha vinto anche lui... Succede sempre così. Non successe così però nell'ormai lontano 1948, alle prime  elezioni politiche dell'Italia repubblicana. Si, perchè diciamocelo chiaramente, anche in politica esistono elezioni ed elezioni, esistono elezioni più o meno significative ed elezioni più o meno fondamentali per la vita del Paese e proprio quelle del 1948 in questo senso furono le più importanti e decisive che l'italia repubblicana abbia mai avuto. Era il 18 aprile 1948 quando gli italiani furono chiamati a votare per la prima volta dopo l'entrata in vigore della Costituzione. L'affluenza alle urne ebbe cifre esorbitanti e mai più ripetute, il 92% degli italiani (quasi 27 milioni di persone)voleva decidere del proprio futuro. La posta in
gioco era altissima e due erano le aree politiche scese in campo pronte a vincere questa partita (erano poi le medesime forze che appena qualche anno prima avevano combattuto fianco a fianco contro un unico nemico: il nazifascismo), da un lato avevamo la Democrazia Cristiana e dall'altro il Fronte Democratico Popolare, una coalizione di partiti di sinistra rappresentata dal Partito Comunista e dal Partito Socialista. I protagonisti principali erano i volti di coloro che rimarranno per sempre nella storia repubblicana italiana: Alcide De Gasperi (D.C), Pietro Nenni (P.S.I) e Palmiro Togliatti (P.C.I). Ma in fondo a tutta questa situazione, la questione che pesava più di tutto su queste elezioni era un'altra, una scelta che avrebbe segnato in maniera netta le sorti future della Nazione. I risultati della tornata elettorale del 1948 avrebbero determinato l'appartenenza politica a uno dei due schieramenti che negli anni a venire cambieranno il modo di vivere e di pensare di tutto il mondo, bisognava allora scegliere fra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti d'America. Fu dunque una campagna elettorale senza esclusioni di colpi, in confronto quelle che noi oggi definiamo campagne elettorali vergognose nel '48 potevano essere considerate
commediole dilettantesche. Il clima era esasperato, entrambi gli schieramenti avevano impostato la loro campagna sulla sistematica denigrazione dell'avversario, ma non solo, il nemico era visto come un vero e proprio traditore. D'altronde  il clima sociale in Italia era in una situazione di crescente allarme e tutti si rendevano conto di ciò, tanto che lo stesso De Gasperi ebbe a dire di "sentire un puzzo acre di guerra civile". A rinfocolare l'inquietudine ci pensarono 
(furbescamente) gli americani, a quindici giorni dal voto fu varato il famoso Piano Marshall, un piano di aiuti all'Europa per la ricostruzione post guerra di 14 miliardi di dollari. Nemmeno Papa Pio XII cercò di stemperare le tensioni, anzi, nel suo messaggio natalizio del 1947 a proposito di queste elezioni non esitò a dire:-Essere con Cristo o contro: è tutta qui la questione. Disertore e traditore sarebbe chiunque volesse prestare la sua collaborazione materiale, i suoi servigi, le sue capacità, il suo aiuto, il suo voto a partiti e poteri che negano Dio-. Il responso delle urne comunque sia non lasciò dubbi, il risultato fu clamoroso: la Democrazia Cristina si aggiudicò la maggioranza relativa dei voti (48,5%) e quella assoluta dei seggi (305), il Fronte Democratico si fermò al 31% (183 seggi). Il che significava che l'Italia rinunciava a entrare nell'orbita
Papa Pio XII
dell'Unione Sovietica per buttarsi così nelle braccia americane. E in tutto questo trambusto, quell'angolo sperduto di mondo chiamato Garfagnana di fronte a queste epocali elezioni come si comporto? Si comportò seguendo il suo istinto conservatore di atavica memoria, dovuto in buona parte dalla sua posizione geografica: una valle chiusa fra due catene di monti non permetteva lo svilupparsi di nuove idee, come poteva accadere ad un altra zona della Toscana geograficamente più aperta e pronta a raccogliere nuove filosofie. Cosicchè qui la chiesa trovò vita facile, la tradizione cattolica garfagnina avrebbe pesato in maniera decisiva sulle sorti del voto. Di questo ne erano consapevoli anche a livello nazionale, la Garfagnana veniva additata come una di quelle zone in cui il clero si faceva sentire pesantemente, un clero ritenuto assai arretrato, un clero "medievale". A rinvigorire lo spirito cattolico dei garfagnini accaddero poi degli episodi sospetti che la D.C locale cavalcò in vista delle future elezioni. Eravamo proprio all'approssimarsi delle votazioni (dicembre 1947) quando a Gramolazzo ad una ragazza del paese (Anna Morelli) comparve la Madonna. La Vergine, con il suo tocco guarì la giovane  da una brutta ulcera, lasciandole poi sullo stomaco una croce come segno del suo passaggio (per saperne clicca sul link: http://paolomarzi.blogspot.com/2017/02/la-bernadette-di-gramolazzo-anna.html). A pochi giorni da quel fatidico 18 aprile 1948, la Madonna fece capolino dalla parte opposta della Valle: a Borgo a Mozzano, in località Mao. Una pastorella si fermò a pregare davanti ad una cappellina che conteneva una Madonnina in gesso,
Anna Morelli
(foto Corriere
della Sera)
ebbene, la pastorella testimoniò che gli occhi della statuina si muovevano e la guardavano. La "sindrome del miracolo" si sparse così per tutta la valle, un'ondata di religiosità popolare mista a superstizione coinvolse tutta la provincia, l'
apoteosi fu toccata quando Anna Morelli, "la miracolata di Gramolazzo" andò in visita alla "Madonna di Mao", le cronache raccontano che quel giorno migliaia di persone raggiunsero Borgo a Mozzano. Ma le apparizioni non si fermarono solamente qui, si diceva che anche la statua della Madonna, posta all'orfanotrofio di Santa Zita a Castelnuovo avesse mosso gli occhi. Stessa cosa, a quanto pare, accadde a Barga nella chiesa SS.Crocifisso. Insomma, segni della Vergine comparivano in tutta la valle, tant'è che (forse)casualmente comparirono anche Madonne trafugate tempo addietro, al Sillico infatti, fu ritrovato un quadro raffigurante un'ennesima Madonna del 1400 (il quadro era stato rubato l'anno prima...). Non solo Madonne però... Bisognava anche metter su un quadro sociale debole e precario, fu così che le forze dell'ordine cominciarono una caccia spietata alle armi, quelle stesse armi che qualche tempo prima erano servite per combattere i nazisti. La Garfagnana ne era piena, in ogni casa un qualcosa di ciò era rimasto sicuramente, qui difatti come saprete si era stabilito il fronte della Linea Gotica e nel momento del ritiro dei militari, su questa terra in tal senso fu lasciato ogni "ben di Dio". Era da anni però che i carabinieri sapevano (più o meno) chi possedeva le armi, ma si dice che dietro queste operazioni ci fosse un disegno per
dimostrare all'opinione pubblica come i comunisti fossero pronti ad imbracciare le armi in caso di una loro sconfitta alle elezioni. Per cui rinvenimenti ci furono a Barga e dintorni(fucili, mitragliatori STEN, fucili semiautomatici, munizioni e bombe a mano). A metà del mese di marzo 1948 in un fienile a Fosciandora fu ritrovato un vero e proprio arsenale: centinaia di bombe da mortaio, e un grande quantitativo di munizioni da mitragliatrice. In tutto questo caotico quadro sociale anche gli stessi industriali erano spaventati da una vittoria delle sinistre, la stessa S.M.I di Fornaci di Barga fece proiettare ai lavoratori all'interno della fabbrica un film che mostrava "il pericolo della dittatura del proletariato". Naturalmente anche la campagna elettorale di sinistra non era da meno in quanto ad accuse e sospetti e non lesinava affatto in "complimenti". Il P.C.I locale metteva in guardia tutta la popolazione della valle dicendo che: "...il governo della discordia che, favorendo la rinascita di movimenti fascisti , mette in pericolo la pace nel nostro Paese". La giunta d'intesa social-comunista di Castelnuovo andò giù ancora più pesante, in un manifesto affisso nei paesi garfagnini si faceva riferimento ai fatti di sangue avvenuti in quel periodo in Italia i quali venivano attribuiti "a sicari
prezzolati asserviti alle forze retrivie del capitale industriale e agrario
", accusando poi il governo democristiano di "parteggiare per gli oppressori del popolo". Venne infine il giorno di queste attese elezioni, elezioni che decretarono la provincia di Lucca come "un'isola bianca" in un mare rosso, proprio perchè terra in netta controtendenza al resto della Toscana che si affermò come uno dei capisaldi del Partito Comunista. I risultati a livello provinciale stabilirono un nettissimo successo della Democrazia Cristiana: 61,2% alla Camera e 61,7% al Senato. In Garfagnana l'affluenza alle urne fu dell'89%, ma altri numeri erano ancor più clamorosi. I democristiani sbaragliarono il campo: 74,1% alla Camera e 78,2% al Senato. I comuni più "bianchi" risulteranno Villa Collemandina (85,9% alla Camera),e Giuncugnano che segnava un 91,6% al Senato). Dove la sinistra si difese fu nei comuni di Gallicano, Pieve Fosciana e Vagli (percentuali intorno al 20%). D'altra parte lo spirito conservatore garfagnino si manifestò già due prima, nel 1946, nel referendum fra monarchia e repubblica, dove la monarchia stessa surclassò la repubblica ottenendo un'ottimo risultato (il 61,5%). Ma in quel 1948 ci fu un'altro risultato che confermò questo spirito tradizionalista e difatti saltò subito agli occhi di tutti: il Movimento Sociale Italiano(
partito nato dalle ceneri del fascismo), pur con un risultato contenuto (il 4,2%), ottenne in zona maggior consenso che da altre parti, dove si attestava intorno al 2%), a San Romano conquistò addirittura un clamoroso 21,1% alla Camera (un 6% a Camporgiano e un 6,7% a Trassilico, che al tempo faceva comune).
Insomma, così andarono le cose e nonostante tutte le invettive, gli alterchi e le dispute che avevano avvelenato il cuore della gente di Garfagnana a riportare tutti con i piedi per terra e con il cuore in pace ci pensò il poeta di Castiglione Giovan Battista Santini, che in vernacolo (perchè così tutti la capissero) scrisse una poesia e in un verso profetico così disse: "Se ci fai caso, vederai che questo lo promettono avanti l'elezioni; ma doppo che votando, hai fatto 'l gesto ditto sovran, di nominà i mangioni, abbadà di stà 'n guardia e d'esse lesto, sennò ti pijn a calci ni cojoni" ***


***Traduzione:

"Se ci fai caso, vedrai che molto prometteranno prima delle elezioni, ma dopo che avrai votato e hai fatto il gesto sovrano (votare) di nominare tutti quei mangioni, vai attenzione, stai in guardia, sennò ti prendono a calci nelle palle" 

Bibliografia:

"La Terra Promessa" Oscar Guidi edito Unione dei Comuni della Garfagnana, Banca dell'Identità e della Memoria anno 2017 (pp 146)

Per i risultati completi delle elezioni del 1948 consultare https://elezionistorico.interno.gov.it/index.php?tpel=C&dtel=18/04/1948&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S 

giovedì 17 settembre 2020

Segnali e simboli sulle Apuane. "Ometti", croci e quant'altro: una storia e un perchè

Doveva essere sicuramente tutto un altro vedere... Prima della comparsa dell'uomo l'aspetto del paesaggio dipendeva esclusivamente dalle forze della natura: terremoti,inondazioni, eruzioni vulcaniche, tornado. Mutamenti bruschi, repentini e immediatamente visibili. Altri cambiamenti avvenivano in maniera graduale, lenta, impercettibile come l'acqua che erode le rocce... Poi venne lui... l'uomo. I primi segni della sua presenza sul pianeta furono i sentieri, essi servivano agli uomini per spostarsi da un luogo ad un altro, a caccia di cibo e per sfuggire più velocemente ai pericoli. Il grande cambiamento epocale ci fu quando questo benedetto (o maledetto che sia...)uomo decise di non essere più nomade, stabilì così che quel determinato luogo avrebbe fatto al caso suo e li si sarebbe fermato. Fu da quel momento che la sua azione sul territorio fu sempre più evidente, iniziò a coltivare i campi e a tagliare gli
alberi, modificando sostanzialmente tutto il paesaggio che aveva d'intorno, dando così inizio (diecimila anni or sono) a quella che gli storici chiamano 
"la prima rivoluzione agricola"(per distinguerla dalla seconda avvenuta nel 1700).Ecco, quel momento fu il cosiddetto punto di ritorno, con il passare dei millenni l'intervento dell'uomo sul pianeta Terra fu poco a poco sempre più invasivo. Anche le nostre Apuane hanno subito la stessa sorte, cambiamenti radicali sono avvenuti nel corso dei secoli, a partire dallo sfruttamento marmifero, per arrivare a quei cambiamenti più discreti, ma che in ogni caso hanno alterato il paesaggio originale. Questi piccoli interventi dell'uomo hanno comunque una storia e un perchè. Chi passeggia fra le nostre montagne quante volte si sarà imbattuto in quella stramba costruzione di pietre fatta a forma di piramide? Bene! Quello è un  "ometto", e quante volte ci saremo domandati del perchè le nostre vette sono sormontate da quelle grandi croci? E sempre a proposito di vette, anche quel libro (dove apponiamo la nostra firma o un nostro pensiero) che è posto sulla cima di una montagna non è lì per caso... e quei cippi di pietra con strane iscrizioni che troviamo qua e là per i sentieri cosa saranno? Analizziamo allora questi piccoli ma grandi interventi che l'uomo ha
fatto sulle Apuane. La presenza delle croci sulle cime delle montagne (e nelle Apuane ce ne sono molte) fu uno degli argomenti più discussi fino a qualche tempo fa, si parlava infatti della possibilità che venissero rimosse, poichè coloro che portavano avanti questa tesi dicevano che "...la montagna non poteva essere usata come un palcoscenico per imporre aggressivamente convinzioni religiose...". E pensare che è una tradizione che parte da molto lontano, si ha documentazione che la prima croce (anzi le prime tre) furono installate nel 1492 sulla sommità del Monte Aiguille in Francia per ordine del re Carlo VIII. Vai a sapere però da quanto tempo queste croci erano presenti sulle montagne, d'altronde la religione esiste da tempo immemore e se per i cattolici una croce sulle sommità delle montagne ha da sempre significato la vicinanza a Dio, anche altre antiche credenze hanno stabilito che le montagne e Dio fossero un tutt'uno. Difatti i Greci sulla cima del Monte Olimpo avevano stabilito la residenza degli Dei e così è uguale per la mitologia indiana: l'Himalaya era la dimora di Shiva, importante figura mistica del luogo e per rimanere sempre in tema anche Dio scelse il monte Sinai per comunicare agli uomini le proprie leggi. Comunque sia il grande boom delle croci ci fu verso i primi anni del secolo scorso, a conferma di questo, la storia narra che la prima croce della Pania della Croce (scusate il gioco di parole) fu eretta il 19 agosto 1900. Nel tempo poi, la sorte e le intemperie fecero si che un fulmine la piegasse. Fu così, che dopo
Inaugurazione 1956
anni  dal giorno dall'infausto incidente fu eretta proprio (un altro) 19 agosto ma del 1956 la medesima croce
 che oggi vediamo svettare nei cieli garfagnini. Queste, naturalmente non erano le prime croci che li furono erette, già dal 1830 si ha notizia della loro presenza (erano però costruite in legno). Sempre ed a proposito di vette, anche lo stesso "libro di vetta" rientra un po' in questa sfera filosofica che coinvolge le croci stesse. Si ritiene infatti che lo scopo di questo libro sia di raccogliere a caldo le impressioni e i pensieri di chi è salito sulla cima, tutto ciò (a detta degli antropologi) rientra in un inconscio rituale e religioso, espressione primordiale che esiste in ogni essere umano di lasciare traccia di sè per i posteri. Il primo messaggio scritto lasciato su una cima di una montagna sarà stato tracciato sicuramente con un carboncino o con un graffito su una pietra. Ecco allora che in tempi molto più recenti con l'avvento della carta, apparì anche il primo foglietto scribacchiato, su questo foglietto si scrivevano le proprie generalità e la data d'ascensione, ma non solo, spesso in questi foglietti venivano trovati oltre che pensieri anche delle preghiere e ringraziamenti a Dio per essere arrivati sani e salvi sulla cima. Questi piccoli scritti venivano però lasciati sulle vette e posti sotto un sasso, con la speranza che fossero letti da qualche altro escursionista. Probabilmente l'idea di un libro di vetta nacque dall'episodio che coinvolse George Winkler,
che a soli 17 anni salì sulla Torre Vajolet, era  il 17 settembre 1887. Tutto questo venne rammentato ai posteri da un foglietto recuperato sotto un sasso, quando il povero ragazzo era già morto. Il giovane alpinista
 morì in montagna l'anno successivo e il suo corpo fu rinvenuto in un ghiacciaio 69 anni dopo (era il 1956). Proprio in memoria di quel tragico fatto, si decise di raccogliere pensieri e firme sulle varie imprese alpinistiche riferite al monte scalato, così quello che era un foglietto svolazzante ben presto si trasformò nel libro di vetta che oggi tutti conosciamo, inoltre per conservare e proteggere al meglio questi libri si pensò di realizzare un contenitore metallico dove al suo interno erano depositate matite  e penne. Per arrivare a queste sospirate vette una buona mano la danno anche gli ometti... Quante volte per le Apuane (e naturalmente non solo qui) c'è capitato d'imbatterci almeno una volta in delle piccole montagnole di sassi? Sono loro gli "ometti di pietra", vere sentinelle dei sentieri di montagna. La loro funzione è quella di indicare la strada giusta nei passaggi dove perdersi rischierebbe di essere fin troppo semplice. Queste costruzioni di pietra a secco a forma di piramide è il più antico segno esistente sulle nostre montagne. La loro origine si perde nella notte dei tempi, già le popolazioni nomadi del neolitico usavano queste segnalazioni per segnare la strada di caccia, della guerra o del commercio.
Quest'opera nelle montagne assume anche un valore pratico e simbolico altissimo, è il segno tangibile della cura di qualcuno nei confronti degli altri, si ha la certezza che altre persone sono passate da lì e che si sono prese il tempo per svolgere un servizio a favore di tutti. Infatti gli ometti non sono una prerogativa esclusivamente italiana, le possiamo trovare in tutto il mondo: in Francia si chiamano bonhomme, in Mongolia ovoo, in Antartide inukshuk. Talvolta ci possiamo imbattere anche in altre pietre, queste però sono fissate saldamente al terreno e hanno tutt'altra funzione da quella degli ometti. Queste pietre si possono chiamare confinari, termini o cippi di confine. Nella nostra valle ce ne sono tantissime e servivano appunto per segnare il confine di uno Stato. La Valle del Serchio come sappiamo è stata il crocevia di tre stati: il Granducato di Toscana, il Ducato di Modena e la Repubblica di Lucca, vi potete immaginare l'intersecarsi di confini che esisteva sulle montagne (di cippi ne esistono ancora di ben conservati a San Pellegrino in Alpe, Bagni di Lucca, tratti della Via Vandelli, Colle delle Baldorie nei pressi del Monte Croce e si potrebbe continuare ancora...). D'altra parte di questi cippi l'Italia è invasa "grazie" proprio alla diffusione degli "staterelli" di memoria pre- unitaria. L'input decisivo al proliferare di queste pietre sui nostri monti fu dovuto però alla politica riformatrice legata al controllo del territorio voluta dal governo del Granducato nel XVIII secolo, che portò di fatto ad una ricognizione generale di tutti i confini dello Stato, stabilendo così in maniera netta e precisa i confini stessi. La cosiddetta "terminatione" fu stabilita in collaborazione con gli altri stati confinanti. Cosicchè, insieme agli ingegneri di Modena e Lucca si stabilirono nuovamente i confini, che dapprima vennero descritti abbondantemente su carte e mappe, dopodichè furono
fattivamente identificati sul terreno per mezzo di questi confinari, che potevano essere cilindrici o squadrati, realizzati in pietra e saldamente fissati al terreno. Quindi quando per i sentieri apuani trovate questi "pietroni" con incise le lettere GDT (Granducato di Toscana) o D.M (Ducato di Modena)o anche altre strane ed ambigue sigle con impresso F.III.D/1750 (Francesco III duca di Modena 1750), non gridiamo subito al mistero e non scomodiamo nemmeno l'occulto. Esse non sono altro che il segno del nostro passato.

Fotografia (Pania della Croce)
La fotografia di copertina è di Daniele Saisi  

giovedì 10 settembre 2020

La quotidiana vita garfagnina nei castelli medievali. Una vita divisa fra Dio, lavoro e... tanta paura

Pensate un po' voi, di solito una giornata di cinquecento e più anni

fa cominciava così..."Confíteor Deo Omnipoténti, Beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaëli Archángelo, beáto Joánni Baptístae, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sánctis et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatíone, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa...". Nel medioevo il risveglio mattutino iniziava con il chiedere il perdono dei peccati, prima ancora di essere commessi. Fare un parallelo con la vita di allora e quella di oggi è ingiusto; al tempo quello stile di vita era la normalità e chissà, magari fra ulteriori cinquecento anni alle generazioni future parrà ridicolo ciò che stiamo facendo noi adesso. Comunque sia, ciò che rimane indubbiamente interessante è comprendere come si viveva in epoca medievale in Garfagnana, dove molti dei paesi oggi conosciuti ebbero sviluppo in questo periodo. Si è spesso parlato e scritto di battaglie fra le nobili signorie locali, ma si è sempre poco detto e poco scritto della quotidiana vita del cosiddetto popolino. Fortificazioni, mura, rocche, castelli, questo fu il momento in cui "fiorirono" tutte queste costruzioni, era l'epoca delle guerre fra pisani, lucchesi, fiorentini e modenesi, si lottava e si moriva
Castiglione Garfagnana

 per conquistare un metro quadro di terra. In tutto questo gran parapiglia cambiò anche il modo di vivere della gente comune. Il proprio borgo, il proprio paese, oltre che ospitare la propria casa diveniva anche luogo di rifugio e protezione, praticamente era come avere una casa dentro ad un'altra casa. e proprio per meglio capire il modo di vivere di questi nostri lontani avi è necessario fare una distinzione su una parola fondamentale: la  parola castello. Purtroppo questa parola ha creato spesso confusione nel lettore meno esperto. Infatti bisogna ben distinguere la differenza che esiste fra un castello feudale(il classico maniero che tutti ci immaginiamo)e i paesi dotati di mura, anch'essi detti castelli. In Garfagnana abbiamo più presenza di castelli, intesi appunto come borghi fortificati. Ebbene, all'interno di questi castelli esisteva tutto un mondo, composto dal popolo, dai notabili e dai signori. Ognuno qui, aveva il proprio ruolo e 
Trassilico
nonostante i diversi ceti sociali, esisteva molta unità fra gli abitanti che vivevano dentro le mura, una coesione dovuta più che altro dalla paura verso ciò che veniva da fuori. Il castello era infatti protezione e nella mentalità di allora coloro che non avevano bisogno di protezione erano briganti, mercenari o cavalieri che potevano essere visti come eventuali nemici. Da stime degli studiosi possiamo anche dire che in Europa in quel periodo vivevano circa trenta milioni di persone e verosimilmente, tanto per rendersi conto del numero delle persone che abitavano in un paese fortificato garfagnino, possiamo considerare che gli abitanti all'interno di un castello erano alcune centinaia. Come abbiamo potuto leggere la giornata iniziava già con il pensiero rivolto a Dio. Ci si alzava così prima dell'alba, al suono delle prime campane, si dicevano le orazioni e una volta fatto per tre volte il segno della croce ci si vestiva e ci si lavava quelle parti del corpo rimaste scoperte: mani e viso. Dopodichè ci si recava alla messa... Come abbiamo già ben capito la religione era considerata parte integrante di tutta la vita medievale, tutto girava intorno a Dio, ingraziarsi il Signore salvava da quella moltitudine di pericoli che erano proprio fuori dalle mura. Guerre, carestie, pestilenze, erano
considerate punizioni divine e opera stessa del demonio, come era da considerarsi opera del diavolo se qualche raccolto andava alla malora. Le stesse autorità locali si preoccupavano di mantenere questa 
concordia fra il divino e l'uomo, infatti non si esitava a ordinare affreschi e quadri che rappresentassero la Madonna o a mettere figure dei santi all'ingresso o sulle porte dei castelli, e all'occasione si pensava poi a far benedire le nuove campane che servivano si a scandire il tempo e a richiamare i fedeli, ma servivano anche scacciare i mali che erano opera del demonio (grandine, tempeste e fulmini). Finita la messa mattutina cominciava la vera e propria giornata. Si faceva una prima colazione e una seconda si faceva all'ora terza (verso le nove) e intanto gli artigiani aprivano le botteghe, gli ortolani rientravano dalla campagna dopo aver fatto rifornimento di merce, le massaie davano gli ordini alle serve o alle figlie per la cucina, per il bucato o per altre faccende casalinghe. Non mancava nemmeno lo strillone che andando in giro per le strade del castello annunciava a gran voce al popolo le nuove disposizioni delle autorità. Insomma le vie dei castelli garfagnini si animavano di gente indaffarata in mille lavori, gli artigiani ad esempio di solito esibivano la loro arte e la loro mercanzia all'aperto, ma gran parte di questi lavori si
svolgevano proprio all'aria aperta. Per queste strade non mancava nemmeno chi mendicava, diventare povero al tempo era molto più facile di adesso: un raccolto andato a male, una malattia o un qualsiasi altro infortunio che rendeva la persona inabile al lavoro era la strada che portava dritta all'indigenza. Anche i malati di mente vivevano di elemosine, loro erano fra quelli che nascevano in disgrazia e che spesso erano reietti dalla gente perchè considerati degli indemoniati. Fuori dalle mura venivano portati i lebbrosi e gli appestati, ai tapini veniva messa una campana al collo per segnalare la loro eventuale presenza, ciò permetteva agli altri di allontanarsi al loro arrivo. E le donne?  Per le donne (in alcuni casi) andare in miseria era ancora più facile, bastava la morte del marito o del padre per cadere in disgrazia. Il loro ruolo tuttavia era sempre quello "dell'angelo del focolare", spettava a lei la cura della casa, pensare al fuoco della cucina, nonchè di rifornire la casa del bene più prezioso: l'acqua. Quell'acqua benedetta che nelle case delle persone agiate si poteva prendere da un proprio pozzo, mentre la gente comune doveva partire con le fiasche e andare alle pubbliche fontane. Sempre alle donne spettava il compito di curare i propri figli, erano purtroppo loro che vivevano costrette
 in casa e per questo erano le uniche responsabili della salute dei pargoli. Le loro medicine venivano dalla natura, dalla conoscenza delle erbe, usanze che si tramandavano di madre in figlia...inutile dire che dalla medicina alla stregoneria il passo era breve... Molte di queste donzelle venivano accusate di malefici se un bambino non cresceva, o cresceva mingherlino o malaticcio. In Garfagnana ci furono delle povere donne
accusate di essere in combutta con il diavolo perchè avevano un figlio cosiddetto "scambiatino", cioè un bimbo che era stato sostituito dal diavolo con una creatura infernale. Ma il dolore e le pene per queste madri non si limitavano solo a questo, consideriamo infatti che la mortalità infantile era altissima (dal 10 al 20% dei bambini moriva entro il decimo anno d'età), quasi ogni donna passava prima o poi la tremenda esperienza della morte di un figlio. Teniamo anche presente,  che una considerevole parte di queste fanciulle moriva durante il parto o per le sue conseguenze. Insomma, pure la morte faceva parte dell'esperienza quotidiana di vita. Tant'è che un funerale poteva essere considerato una sorta di spettacolo pubblico. Se il defunto era una persona agiata, non sarebbero mancate le processioni sfarzose, i cavalli bardati, le bandiere, in più si potevano vedere tutte queste gran dame e questi messeri con gli abiti migliori. Però lo spettacolo che andava per la maggiore nei castelli garfagnini e che attirava molte persone più di qualsiasi altra
Esecuzioni medievali

manifestazione era la pubblica punizione dei criminali. I disgraziati difatti venivano portati nelle pubbliche piazze o in giro per il borgo, esposti agli insulti e agli sberleffi della popolazione. Se poi la sorte , o meglio ancora la giustizia, avesse decretato una qualsiasi pubblica esecuzione o una qualsivoglia tortura, per il popolo era come andare ad una festa. Ci si cambiava, si metteva l'abito della festa, si sospendevano i lavori e si andava ad assistere all'evento. Dalle varie condanne stabilite per legge e ancora oggi presenti nei "Libri delle Esecuzioni e Pene" (conservati ancora oggi in alcuni archivi storici) la scelta a cui poter assistere era ampia: si poteva assistere al rogo se erano sodomiti, ai ladri era invece riservata la gogna pubblica, la fustigazione o la marchiatura con il fuoco sulle guance, i bestemmiatori erano frustati, mentre gli assassini venivano impiccati. Finito lo spettacolo ognuno ritornava nelle proprie case e finalmente  veniva l'ora di mangiare. I ricchi naturalmente avevano un menù più vario: carne, selvaggina, insaccati, verdure fresche e dolci speziati... i poverelli mangiavano perlopiù zuppe con verdure, legumi o cereali, secondo e come potevano essere insaporite con un pezzo di lardo, non mancavano però le uova delle proprie galline, la carne del maiale e qualche pesce del Serchio. Arrivati alle sera, la fine della giornata l'annunciavano le campane della chiesa del castello. Un'ora prima del tramonto suonava la prima Ave Maria, questa indicava alla gente di lasciare il proprio lavoro e mettersi in cammino verso casa in quanto il sole cominciava a calare e il pericolo si poteva fare concreto. C'era anche un secondo scampanio, un'altra Ave Maria che
indicava l'inizio dell'oscurità, questa campana era rivolta a quei contadini che erano sempre fuori dalle mura paesane, bisognava che si affrettassero ad entrare, in segno di protezione propria questi contadini dovevano recitare "l'Angelus Domini". Per finire esisteva anche un ultimo suono, detto "Ave Maria dell'or di notte", indicava che era trascorsa già un ora dopo la notte, era pericolosissimo essere ancora al di fuori delle mura, anche perchè da quell'ora le porte del castello non sarebbero più state riaperte fino al mattino successivo, agli "scellerati" che erano rimasti fuori non rimaneva altro che recitare il "Requiem Aeternam", preghiera conosciuta al tempo come Ave Maria dei morti... Chi aveva raggiunto casa non rimaneva altro che cenare ed andare a letto, si gettavano
San Michele
così gli abiti su una pertica orizzontale per proteggerli dai topi e ci si addormentava (più o meno) beatamente. La mattina dopo sarebbe cominciata nuovamente una tipica giornata medievale garfagnina...

mercoledì 2 settembre 2020

Garfagnana: la nostra storia (nascosta) nei nomi delle piazze e delle vie. Viaggio nell'odonomastica garfagnina

Schiavi di Google Maps, soggiogati dai navigatori satellitari, vi

siete già forse dimenticati quando giungevamo in una nuova città di come si faceva a cercare il nome di una via in cui dovevamo recarci? Al tempo usavamo la famosa mappa della città e se si vuole già qualcosa per orientarsi avevamo in mano. Ma prima ancora, esisteva un tempo in cui le strade non avevano un nome vero e proprio, ci si orientava in base alla vicinanza di un canale, di un ponte, magari di una chiesa o qualche piazza. Quando poi nei tempi cosiddetti moderni le città e i paesi si ingrandirono ci fu il reale bisogno di dare dei nomi "fissi" alle vie, non si poteva continuare "a brancolare nel buio". Allora ecco nascere l'odonomastica... Cavolo che parolone direte voi !!! Si, in effetti è un "parolone", ma c'è poco da fare se così si chiama l'insieme dei nomi delle strade, delle vie e delle piazze che fanno parte di un centro abitato. Dal greco odos (via, strada) e
onomastikos
(atto di denominare). Dietro questa complicato termine si nasconde però una parte di storia, di politica e di vecchia vita quotidiana e sociale di un paese o di una città. L'odonomastica è una materia che ci fa capire bene ciò che siamo stati e ciò che siamo, è una vera e propria radiografia del nostro essere comunità. Ogni paesino ha infatti le proprie icone e i propri personaggi che hanno fatto la storia locale e per questo si sono meritati una targa affissa su un muro a memoria imperitura, ma non solo, con l'odonomastica si può anche arrivare a capire (in sintesi) che tipo di influenze storico- ideologiche ci sono state (o ci sono)in un determinato luogo, esistono vie perfino intitolate a Ho Chi Min o a Che Guevara per esempio. Ma non solo questo, nelle denominazione delle vie si può anche trarre  indicazioni di evoluzioni socio-economiche, insomma tutto questo rientra nel riconoscimento di una memoria collettiva, che non è altro che lo strumento dello spirito del luogo. Qual'è allora lo spirito del luogo che aleggia in
Garfagnana? In Garfagnana, nella maggior parte dei casi, possiamo dire "aleggiava", poichè la buona parte dei nomi delle nostre strade risale ai tempi che furono. I borghi garfagnini nella quasi totalità dei casi non hanno avuto uno sviluppo (urbanistico) tale da determinare un'indagine sociale sui nuovi nomi dati alle strade, è da tempo immemore ormai che le nostre piazze e le nostre strade hanno quel determinato nome, non per questo però non possiamo fare uno studio per capire bene chi eravamo e comprendere ancora meglio le nostre radici. Perciò mi sono armato di santa pazienza e mi sono divertito a fare un censimento di (quasi) tutte le vie dei paesi della Garfagnana. Sicuramente tutto questo mio studio non ha il valore dell'esattezza assoluta, chiedo venia, ma le indicazioni che vengono fuori sono comunque a dir poco interessanti e curiose.

Prima di addentrarci nello specifico, in una prima analisi, possiamo dire che da tutto ciò viene fuori un aspetto principale e primordiale che si rifà al culto delle divinità al fine di proteggere tutto quello che riguardava il sostentamento quotidiano di una famiglia contadina. Ed è proprio in base a questa teoria che la

maggior parte di vie e strade garfagnine (addirittura ventinove) sono dedicate ai santi, gli stessi santi che poi dovranno proteggere il cosiddetto bene quotidiano (via degli Orti, via del Pozzo, via del Forno). Mi spiego meglio. Se si va a vedere nello specifico, Santa Cristina è la protettrice dei mugnai e dove nel paese esiste una via Santa Cristina esiste anche una via del Molino. Tanto per continuare negli esempi, altro connubio del genere lo possiamo trovare in Sant'Antonio che è il protettore degli animali e dove c'è una strada denominata in onore di questo santo, con buona probabilità c'è anche una via delle Stalle. Anche San Rocco rientra in questi casi, lui protegge dalla peste e dove si parla di peste e di questo pio uomo, in alcuni borghi esiste anche una strada che si chiama appunto via dell'Ospitale. Detto questo, ed entrando quindi nel dettaglio, possiamo vedere che il comune più "devoto" risulta essere Gallicano, con ben nove strade dedicate ai santi. Il santo più gettonato è San Rocco (presente in ben sei comuni) e a parte la Madonna (presente in quattro comuni), la santa preferita è Santa Cristina (anche lei quattro). Per quanto riguarda "la vita quotidiana", via del Molino è al primo posto, sono sei i comuni che al tempo ritennero giusto intitolare una via a questa struttura. In seconda posizione ex aequo c'è via degli Orti e via delle Fontane
Gallicano dall'alto
(foto Daniele Sa
(quattro comuni per entrambi). Il comune più "contadino" risulta quindi essere Camporgiano, fra orti, forni, fontane e pozzi è la comunità che ha più vie intitolate alla ruralità. Un altro aspetto da sottolineare è il richiamo allo nostra storicità medievale: tre comuni infatti hanno nel loro stradario via Castello e via alla Rocca, mentre altre amministrazioni si rifanno ai cavalieri del tempo (Castruccio Castracani) e ai santi (ancora...) protettori dei pellegrini e dei viandanti come San Giacomo. Sempre ed a proposito di storia non poteva mancare il riferimento al Risorgimento, d'altronde la retorica del tempo in questo senso non ha lasciato scampo a nessun stradario italiano. Ecco allora il fiorire di via Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele II. Il più menzionato naturalmente non poteva che essere Garibaldi (quattro comuni per lui), ma il comune più risorgimentale risulta Castiglione Garfagnana che annovera fra le sue vie anche una strada dedicata a Massimo D'Azeglio. Naturalmente fra queste strade, vie e piazze non potevano mancare personaggi illustri e poeti. Per quanto riguarda i poeti il primato lo ha Giovanni Pascoli, personaggio non garfagnino ma che tanto lustro ha dato alla valle. Lo stesso riconoscimento non è stato dato però a Lodovico Ariosto, a cui in tutta la Garfagnana è stata
Castiglione
dedicata una sola via (ovviamente a Castelnuovo). Fra questi esimi letterati spicca curiosamente un poeta di duemila anni fa: Publio Virgilio Marone, a lui Castiglione ha dedicato una via. Fra le altre illustri personalità, su tutti vince Guglielmo Marconi, sono otto i comuni della Garfagnana che al tempo pensarono di riservare una strada a cotanto scienziato, ma non furono solamente i nostrali comuni a decretargli tanto successo, infatti in tutta Italia ci sono ben 4842 via Marconi e nella classifica generale nazionale è al terzo posto. Come si può spiegare questo fatto? Guglielmo Marconi morì nel 1937, in piena era fascista, lo scienziato fin dall'inizio del regime fu sempre fortemente corteggiato da Mussolini e a questo corteggiamento Marconi aderì. Infatti accettando la corte del despota gli si offrivano svariate possibilità e agevolazioni per i suoi studi, nonchè posti di rilievo negli organi nazionali, tant'è che in un suo discorso affermò:-Rivendico l'onore di essere stato in radiotelegrafia il primo fascista-. Questa sua "fedeltà" il partito e sopratutto il duce gliela riconobbe quando il luminare passò "a miglior vita", difatti il dittatore fece raccomandazione a tutti i comuni italiani di dedicare una via all'illustre fascista. Con il tempo poi per Marconi non ci fu la "damnatio memoriae" (n.d.r: la cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una persona)come per altri personaggi che ebbero a che fare con il regime, perchè, comunque sia, 
le sue invenzioni furono riconosciute un bene per l'umanità intera. Torniamo però come si suol dire "a bomba" e sempre a proposito di insigni uomini possiamo dire che la Garfagnana non si è dimenticata di Domenico Vandelli(a lui quattro comuni hanno
La via Vandelli
consacrato una via), l'ingegnere che per primo (era il 1751), con il progetto della sua strada, collegò la Garfagnana al mare. Fra le altre eminenti personalità, ci sono anche coloro che da tempo immemore riserviamo critiche e accuse:i nostri governanti, e fra re (Umberto I e Vittorio Emanuele II), senatori e primi ministri, va sottolineato il fatto che Castelnuovo, in epoca contemporanea non si è voluta dimenticare di quella lontana visita (era il 1967) dell'allora Presidente del Consiglio Aldo Moro, dedicandogli una strada nella località di Torrite. Nominare vie, fra le altre cose ha anche lo scopo di fissare nella mente avvenimenti, fatti, persone e...date. Quelle date maledette, sempre dimenticate a scuola quando il professore di storia interrogava. Guai a dimenticarsi del IV novembre (la data più ricordata nelle vie garfagnine), era il giorno della vittoria italiana nella I guerra mondiale. Altrettanto grave era non ricordarsi di Vittorio Veneto (l'ultima battaglia che decretò la vittoria nella suddetta guerra, a cui cinque comuni a perpetua memoria offrirono una via). A tagliare la testa a tutti questi
Piazza IV novembre Gallicano
ricordi e reminiscenze c'hanno però pensato cinque amministrazioni garfagnine... Avete mai sentito(o letto, o visto) di Parco della Rimembranza (o via, o piazza che sia)? E vi siete mai domandati... ma rimembranza di cosa???... Rimembranza, ovverosia ricordo e rievocazione della memoria di persone e situazioni del passato, insomma un ricordo generale di tutto quello che storicamente è accaduto. In tutto questo bailamme di vie strade, vicoli e piazze garfagnine, non rimane altro che esaminare tutto quello i comuni hanno voluto dedicare alle proprie 
importanti personalità  e fra vie bizzarre nostrane, come località Piscinacchio, via porta al collo, un curioso vicolo Parigi e un'altrettanta inconsueta via della tosse, guardiamo allora le vie dedicate agli illustri personaggi locali. Camporgiano ricorda lo storico locale Anselmo Micotti, così come Castelnuovo (fra gli altri) non si è dimenticata del senatore e patriota Nicola Fabrizi, altrettanto fa Fosciandora con lo storico Raffaello Raffaelli e Gallicano non dimentica quello che fu un suo importante diplomatico del 1400: Domenico Bertini. Non mancano poi nemmeno vie dedicate a Tonini Primo a Minucciano, Claudio Bechelli a Piazza al Serchio, senza dimenticarsi di Giovanni Poli a San Romano e l'eminente medico e teologo Simone Simoni di Vagli. Così come Villa Collemandina non poteva scordarsi del generale Tellini e Vergemoli del suo Don
Nicola Fabrizi
Fiorani
. A Molazzana è di recente intitolazione (2016) piazza Mamma Viola. Piazza dedicata a Viola Bertoni, eroina dell'ultima guerra mondiale, colei che dette sostentamento ai partigiani locali del Gruppo Valanga. Pieve Fosciana e Sillano invece al tempo intitolarono le proprie vie a due personaggi storici non nativi del luogo, ma personalità che comunque sia segnarono la loro storia. Pieve Fosciana pensò quindi al Beato Ercolano e Sillano al militare romano Lucio Silla. Infine, "dulcis in fundo", ecco le prime cinque posizioni delle vie garfagnine più citate nello stradario locale. Vince via Roma, sia in Italia (7870 città), che in Garfagnana (dodici comuni), segue al secondo posto la già citata via Marconi (otto comuni), segue al terzo posto a pari merito via San Rocco e via del Molino (sei comuni), chiude via Vittorio Veneto (cinque comuni). 
Del resto fu proprio quel Regio Decreto del 15 novembre 1865 che invitava di fatto tutti i municipi a regolamentare l'odonomastica delle città italiane. La legge però non fu sempre rispettata. Un'ulteriore sollecito del governo Crispi nel 1887 fece ulteriori pressioni sulle amministrazione locali perchè attuassero "la legge sulle vie", imponendo di fatto una serie di nomi che evocassero i valori del Risorgimento e de L'Unita Nazionale. A quanto pare la Garfagnana (o meglio alcuni comuni) non si piegarono nemmeno questa volta al volere
dello Stato, rivendicando il fatto che i nomi di queste strade non dovevano rappresentare solo l'identità nazionale, ma anche quella locale, poichè i posteri, a futura memoria si dovevano ricordare si la storia Patria, ma sopratutto la storia e le usanze della propria terra...