venerdì 30 gennaio 2015

Un castello scomparso per sempre:Verucchia simbolo di libertà

Castiglione Garfagnana (foto di Alessia Cecconi)
Siamo una terra di antichi manieri,di fortezze mastodontiche, di borghi fortificati bellissimi, eppure nella nostra Garfagnana molti di questi castelli le guerre e le diatribe li hanno completamente distrutti,rasi al suolo.Specialmente nel medioevo, al tempo della lotte fra comuni non si aveva pietà di chicchessia, persona o cosa che fosse e quello che veniva sconfitto veniva distrutto.Così è accaduto anche al castello di Verucchia, questo castello ai più sconosciuto e  solo grazie ad alcuni documenti del 1227, conosciamo oggi della sua esistenza.Voglio prendere a simbolo questo castello come esempio di libertà e di tenacia, perchè era un Davide fra tanti Golia, volle mantenere sempre la sua autonomia nonostante tutto e tutti fino alla capitolazione estrema ed è giusto a mio avviso dargli memoria.Questa è la sua storia.
Poco distante dai paesetti di Isola e Valbona si trovano su un colle,celati nel prato, i ruderi di un antico castello misterioso nella sua storia e nella sua leggenda.In quel luogo sorgeva un intero borgo con la chiesa e un castello possente,di li passava un'antica via romana lungo il fiume Esarulo, che attraverso il Passo delle Forbici metteva in comunicazione l'Emilia con la Valle del Serchio.La sua popolazione era formata da gente di temperamento,gente orgogliosa che non si voleva sottomettere a niente e nessuno nemmeno al potente comune di Castiglione Garfagnana che male sopportava che un piccolo borgo rurale gli tenesse testa.Verucchia esisteva già avanti il mille, nata proprio a difesa di questa antica via romana, divenne poi feudo e giurisdizione del Vescovato e Canonici di San Martino di Lucca.Da documenti del XIII secolo troviamo Verucchia come comune libero e con un suo governo ben strutturato e democratico.La sua unica sottomissione era al Vescovo di Lucca, al quale passava una tassa (quelle di mezzo ci sono sempre...) sia il comune stesso,che la chiesa castellana di San Cristoforo, gestita da tal Cappellano Bernardo che racconta nei sui scritti che i consigli comunali nei mesi invernali si riunivano
Il ponte medievale in
 loc Mulino sul fiume Esarulo
nella chiesa, mentre d'estate nel piazzale antistante all'ombra di un pioppo secolare.Ma adesso veniamo ai fatti seri e diciamo (come detto) che Castiglione,che era fedele al Papa, non digeriva questo comunello, che a sua volta era devoto al Vescovo (quindi una guelfa e l'altra ghibellina) e attraverso battaglie spesso dure e cruente non riusciva mai ad espugnare la fortezza ed annettere questo piccolo paesello fra i suoi domini.Non riuscendovi attraverso la forza, Castiglione provò con la diplomazia, rivolgendosi direttamente alla Santa Sede,la quale mandò un suo emissario di nome Cencio (che pose la sua dimora a Barga),ma anche qui non ci fu niente da fare,fallì anche la diplomazia che culminò alle estreme conseguenze della scomunica dell'intero borgo e non contento Cencio (in barba alla carità cristiana) senza tanti scrupoli inviò uomini armati di Castiglione nel territorio di Verucchia depredando il bestiame e facendo ostaggi.La guerra,le imboscate e i soprusi durarono per ben trent'anni, quando Verucchia ormai stremata si arrese.Le sue terre verranno incorporate da Castiglione, ma il piccolo borgo riuscì attraverso degli accordi a mantenere le prerogative di comunità autonoma,le fu tolta la scomunica,conservò il consiglio comunale presieduto da tre consoli (che avevano il compito di comunicare le decisioni dell'assemblea al comune di Castiglione)e  mantenne la sua fedeltà al Vescovo,l'unica sostanziale differenza  è che le sue terre appartenevano in tutto e per tutto a Castiglione.Ma la storia non finisce qui,il più bello doveva ancora arrivare.Così giungiamo al 1355 quando alla morte del condottiero lucchese Castruccio Castracani (1328) la stessa città di Lucca cadde nel caos totale trovandosi senza il suo più valoroso difensore, ed essendo così di fatto alla mercè del più forte conquistatore.In seguito a questi fatti Castiglione (e di conseguenza Verucchia) cadde in mani pisane.Dopo aspre battaglie, i figli di Castruccio, Arrigo e Valleriano, all'arrivo delle soverchianti milizie pisane abbandonarono le mura di Castiglione rifugiandosi (purtroppo) nei castelli di Capraia e Verucchia e qui a Verucchia i lucchesi vennero inseguiti dai pisani,dopo un lunghissimo assedio Lucca si arrese senza condizioni,ma quelli a pagare il conto più salato furono gli abitanti del posto che
Una battaglia medievale
pagarono con la morte e la quasi totale distruzione dell'intero paese e dell'intero castello e pensare la leggenda racconta che la sera prima della distruzione, una strega del posto aggirandosi per le vie del castello di Verucchia andava vagando e ululando e con un ferro batteva alle catene dei focolari  dicendo:

"Lo dico a te catena,perchè lo sappia Maddalena che stanotte a mezzanotte,la fortezza di Verucchia sarà distrutta".
Il Crocefisso
ligneo salvato a Verucchia
oggi a Castiglione
nella chiesa di San Michele
Molti abitanti impauriti e spaventati presero i suoi averi pronti a fuggire,la paura aumentò quando in lontananza si intravidero le fiaccole degli armigeri pisani, fu il fuggi fuggi, la gente nascondeva le cose più preziose nei pozzi e fra questi anche  il preziosissimo crocifisso ligneo della chiesetta di San Cristoforo (che oggi si trova ancora intatto nella chiesa di San Michele a Castiglione) a cui erano devoti,a questo punto però una volta messe in sicurezza i preziosi c'era da salvare la pelle... e come riuscire a farla franca? Furono  ferrati i cavalli al contrario in tal modo da confondere e ingannare il nemico.Nella fuga riuscirono a rifugiarsi nei casolari vicini, da uno di questi si dice che sia nata Isola,oggi tranquillo paese garfagnino immerso nella natura incontaminata.Tornando alla storia vera e propria la definitiva distruzione del Castello di Verucchia ci fu nel 1371 quando Lucca ebbe riconquistato gran parte della Garfagnana e demolì quelle torri che ormai erano già in decadenza.Con la definitiva demolizione scomparì per sempre quel piccolo comune di contadini,gran parte della sua gente si disperse nella valle.Un popolo fiero che per alcuni secoli aveva saputo tenere testa al più forte e temuto Castiglione.

domenica 25 gennaio 2015

27 gennaio "Giorno della memoria".Gli ebrei di Garfagnana: la loro vita,la loro tragedia.

La famiglia ebrea Karpeles a Castelnuovo
Il 27 gennaio "Giorno della Memoria" è un giorno per chi non è di religione ebraica che pare lontano,lo viviamo certamente con rispetto, però allo stesso modo lo sentiamo distante, specialmente in Garfagnana perchè pochi ricordano di ebrei dalle nostre parti e pochi sanno di storie raccapriccianti e rocambolesche, simili a quelle che vediamo nei film dedicati alla Shoa; eppure casi simili esistevano anche da noi...eccome.Oggi vi voglio raccontare una parte di tutto questo.Vi voglio raccontare la quotidianità, di come vivevano i circa 70 ebrei mandati al confino forzato a Castelnuovo.Questa è la storia degli "ebrei di Garfagnana".
Nella seconda metà del 1941 alcune famiglie ebree arrivarono a Castelnuovo Garfagnana in confino coatto,mandate li dai vertici del Reich tedesco, cacciati dalle loro case e distribuiti nei paesi alleati in quella che veniva chiamata in tedesco "Vertrieb" ovvero "la ripartizione".Con il tempo gli ebrei che raggiunsero il paese garfagnino crebbero di numero, arrivarono perlopiù ebrei originari dell'Europa Centrale (Austria,Ungheria e Polonia in maggior parte),ma fra di loro c'era pure un solo italiano(un livornese).Si trattava di persone mandate a Castelnuovo come in altri comuni sparsi nella penisola in regime di internamento libero.Dapprima vennero alloggiati in albergo(il Globo e il Vittoria in Piazza Umberto e in vicolo del Serchio l'Aquila d'oro) e poi in luoghi predisposti dal comune.Gli ebrei dovettero affrontare in primo luogo i problemi di approvvigionamento di mezzi di sussistenza, era un periodo difficile per tutta la popolazione ma soprattutto per queste persone che si trovarono catapultate in un posto
Reticolati ad Auschwitz
sconosciuto,senza un lavoro e con forti restrizioni alle quali si dovevano attenere rigidamente. Non è facile ricostruire un quadro preciso delle restrizioni previste per gli internati, ma sappiamo che le leggi sulla purezza della razza imponevano certe regole,come quello di non avere contatti con gli italiani, non potevano allontanarsi se non ottenendo un permesso dalle autorità (permesso che talvolta fu concesso per motivi di studio o di cure), sappiamo inoltre che tutta la loro corrispondenza, in entrata e in uscita, doveva passare anche quella sotto il controllo delle autorità.Il tempo passava e nonostante tutto cominciarono a migliorare anche le condizioni di vita di questa povera gente.Presero ad alloggiare presso case di privati, che affittavano loro una o due stanze, alcune famiglie abitavano presso i locali della Fortezza di Mont'Alfonso, altre famiglie sparse per Torrite, Via Marconi,Via delle Fontane,Via Farini,Via Fabrizi e ancora in altre vie.Arrivarono perfino a creare luoghi di ritrovo come la piccola sinagoga situata alla "Barchetta", ovvero in Via Fabrizi al numero 3 e accanto a questa crearono pure una scuola.Insomma la vita scorreva tranquilla, se così si può dire.I
 castelnuovesi si daranno da fare per aiutarli (anche se ci fu qualche episodio di intolleranza) e anche la stessa amministrazione comunale cercò in qualche maniera di essere comprensiva e nonostante le restrizioni e i divieti si formarono amicizie e relazioni e di nascosto (malgrado fosse assolutamente divieto per loro lavorare) qualche ebreo trovò impiego come fotografo,barbiere,sarto,meccanico, disegnatore, ingegnere.Come non ricordare questi nomi ai più sconosciuti come Arturo, impiegato nello studio fotografico Bertani di Via Garibaldi,o delle signore Berndt,Margareth ed Elizabeth benvolute in tutta Castelnuovo e sopratutto come dimenticarsi di Israel Meier, un medico pediatra,fu la persona che riuscì a
L'ingresso di Auschwitz
diventare l'animatore dell'intera comunità e che svolse il suo lavoro con visite e consulenze per i giovani figli della Garfagnana.La moglie Paulina  abitava nella Fortezza di Mont'Alfonso e curò insieme a suo marito decine di bambini.Passarono così esattamente 28 mesi dal loro arrivo a Castelnuovo quando giunse quel tragico 4 dicembre 1943.L'ordine dell' OberKommando der Wehrmatch (Il comando supremo delle forze armate tedesco) parlava chiaro:tutti gli ebrei residenti in Castelnuovo il mattino seguente si dovevano riunire presso la caserma dei carabinieri reali per essere trasferiti nel campo di concentramento di Bagni di Lucca, nello stabile già esistente dell'ex albergo "Le Terme"(ex residenza del Granduca e oggi in totale degrado, fuori e dentro puntellato,senza nemmeno una targa a ricordo).Qui non era un internamento libero, ma un vero e proprio campo di detenzione.Il regime carcerario era molto duro,i detenuti ricevevano un pezzo di pane,una coperta e un fascio di paglia e a ogni famiglia era stata assegnata una sola camera indipendentemente dal numero dei componenti.L'avvisaglia di ciò fu data dal tenente dei carabinieri Ferri di Castelnuovo che confidò al dotto Meier (a cui aveva curato il figlio)l'imminente data del trasferiemnto nella cittadina termale,invitandolo ad avvisare le altre famiglie e organizzare la fuga dal paese.La maggior parte degli ebrei tergiversò e scattò inesorabile l'arresto.Alla famiglia Schnapp si presentarono i tedeschi e c'è la testimonianza della figlia del proprietario dell'ex filanda di Antisciana dove la famiglia alloggiava: 

"Furono prelevati con la forza all'alba,era ancora buio.C'era un camion nell'aia ad aspettarli.Ricordo bene le urla della signora Hinde:-Ci portano via,ci portano ad ammazzare.Tenetemi mia figlia,lei non deve morire-".
Ci fu poi la tragedia del signor Renzo Sirio Bueno,riuscito a ricongiungersi con la famiglia dopo il confino di due anni a Castelnuovo (fra l'altro era l'unico italiano) che si consegnò spontaneamente ai carabinieri di Marlia convinto che l'avrebbero rilasciato perchè sposato con una cattolica...ma così non fu e venne mandato ad Auschwitz,dove sopravvisse fino alla liberazione del campo, ma fu ucciso dai tedeschi mentre tentava di fuggire in una marcia di trasferimento.Altra sorte toccò ai Meier e ai Kienwald che riuscirono a scappare in una rocambolesca fuga e consegnarsi in salvo agli americani(per il caso leggi:http://paolomarzi.blogspot.it/kienwald 1944).Per tutti gli altri prigionieri di Bagni di Lucca  arrivò l'ora X.Il 23 gennaio gli ebrei di 
Il famoso binario 21 della
stazione Centrale di Milano
Castelnuovo partirono per Firenze, poi di li a Milano dove rimasero alcuni giorni nel carcere di San Vittore.Il 30 gennaio al famoso binario 21 della stazione lombarda furono caricati sul convoglio numero 6, destinazione Auschwitz.Sette di loro appena arrivati furono immediatamente condotti alle camere a gas:Miriam di 7 anni,Jechiel di 8,Anna di 11,Mosè di 5, Jacob di 13,Manfredo di 10 e Abramo di 8, tutti bimbi che avevano giocato insieme ad altri bimbi del paese, per le strade di Castelnuovo.A ricordare il momento in cui partirono da Bagni di Lucca ci fu una bimba di quel tempo, che nascosta li vide passare:

"Ho un solo ricordo, triste e vivissimo.Era freddo,erano poco vestiti,ma non è che non ce li avevano,glieli avevano presi i soldati,avevano i bimbi per mano.Nevicava."
Degli "ebrei di Garfagnana" si salvarono solo in due...

27 gennaio 2015 "Giornata della Memoria" Nel 70°anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz (1945-2015)




lunedì 19 gennaio 2015

Era il 23 gennaio 1985, l'allarme terremoto (che non ci fu) che sconvolse l'intera valle.

Sono quei ricordi che rimangono indelebili per tutta la
vita, 
specialmente quando le vivi con gli occhi e lo spirito di quel ragazzetto che a quel tempo ero. Era il 23 gennaio 1985, precisamente 30 anni fa e alle 11:10 della mattina la terra tremò. Noi garfagnini purtroppo ci siamo "abituati", scosse forti ne abbiamo e ne avevamo sentite, ma quella di quel mattino fu paragonabile solamente a quella di qualche anno fa. Quel gennaio del 1985 fu un mese particolare, la neve era caduta abbondante come non accadeva da anni. Per la gioia di noi bambini erano state chiuse per più giorni le scuole e già prima di quel fatidico 23 gennaio c'era già stata qualche scossetta. Dopo tanta neve ci fu un improvvisa ondata di caldo anomalo, ma non fu certo quello a spaventarci. Il terrore vero arrivò all'ora di cena di quell'anomalo giorno, quando verso la fine del TG1 venne passata al conduttore una cosiddetta velina. Le prime parole di questo comunicato mi sono rimaste sempre impresse nella mente:
"Mi viene passata questa notizia che leggo con voi la prima volta..."
In pochi attimi venne comunicato a tutta la popolazione della Garfagnana e della Valle del Serchio (nella lista letta dei comuni interessati rimase celebre la pronuncia errata di Fosciandora) che dal Ministero della Protezione Civile, (guidato al tempo da Giuseppe Zamberletti) arrivava notizia che nella prossime 48 ore ci sarebbe stato un terremoto molto forte e che quello della mattinata stessa era il segno premonitore  di un altro devastante sisma. A diramare l'allerta al ministero dopo un summit di tre ore  con i membri della Commissione Grandi Rischi furono Enzo Boschi e Franc
il ministro della protezione
 civile del 1985 Zamberletti 
o Barberi dell'Istituto Nazionale di Geofisica  che definirono "molto probabile" il rischio di una forte scossa che avrebbe avuto come epicentro Barga. Il tutto senza molti altri dettagli e tanto meno senza nessuna indicazione sul da farsi. Il panico fu totale. Nel giro di poche ore tutta la popolazione si riversò nelle strade sotto una pioggia battente. I telefoni di casa (i cellulari erano ancora un miraggio...) andarono subito in tilt, si crearono numerosi incolonnamenti di auto verso Lucca e la Versilia. I pochi distributori che avevano il self service andarono subito esauriti. Sembravano scene tratte da un film apocalittico americano, ma tutto era incredibilmente vero. I comuni, le forze dell'ordine e i volontari iniziarono ad organizzarsi come potevano, mentre da Pisa e da Livorno lunghe colonne di mezzi militari dei paracadutisti della Folgore si dirigevano in Garfagnana. Come se non bastasse la pioggia si intensificò. I vecchi sostenevano che con la pioggia il terremoto non viene, vecchia saggezza popolare, poco scientifica, ma in quell'occasione grazie a Dio vera. Per tanti che erano fuggiti con le macchine altrettanti erano rimasti nella valle. La maggior parte della gente trascorse quei brutti momenti in auto parcheggiate in spazi aperti, altri si rifugiarono da parenti e amici che avevano case basse e nuove di recente normativa anti sismica. Alle principali stazioni ferroviarie di Barga-Gallicano, Castelnuovo Garfagnana e Piazza al Serchio giunsero treni speciali che accolsero gli sfollati. L'esercitò installò in diversi punti della vallata cucine

da campo per offrire centinaia di pasti caldi. Gli ospedali di Barga e Castelnuovo vennero evacuati e nei centri maggiori della valle furono allestiti ospedali "volanti". Il comportamento dei garfagnini fu esemplare, non ci furono fenomeni di isteria particolare, purtroppo però morì una donna nella fuga di massa, il cuore non resse lo spavento, ma dopo i primi momenti di confusione iniziale, nonostante ancora vi fosse enorme paura, le ore trascorsero in una apparente tranquillità. Come spesso accade in questi casi si diffusero le voci più incontrollate e catastrofiche, si diceva che le Apuane si sarebbero aperte in due dalla forte scossa e che alle porte della valle c'erano centinaia di bare pronte per arrivare in treno a Castelnuovo. Le ore passavano, cessò anche di piovere e finalmente passati i due giorni ci fu il fatidico "Tornate a casa", la tanto attesa scossa non si fece vedere. Il Ministero della Protezione Civile confermò che "dal punto di vista scientifico non vi sono elementi che si oppongono al ritorno della normalità". I garfagnini rientrarono a casa a testa bassa, ma in fondo non infastiditi da quello che era successo perchè sentivano di aver "fregato" il terremoto. L'operazione venne elogiata da Palazzo Chigi che sottolineò la risposta splendida della popolazione. Ad oggi rimane sempre più la convinzione che quella di allora non fu che (come poi molti ebbero a confermare) la prima esercitazione antisismica organizzata in Europa. L'allora ministro Zamberletti commentò "La gente deve abituarsi alla parola "rischio terremoto". Fatto sta che poi in seguito il ministro fu indagato dalla magistratura di procurato allarme. Questa invece è storia recente e il tutto si è ripetuto in maniera quasi uguale come in un film già visto nel gennaio 2013,stavolta a diffondere l'allarme non è stata
I tempi cambiano...l'ultimo allarme
 del 2013 dato via twitter
una velina letta da un giornalista  R.A.I, ma i social network come twitter e facebook che fecero ricadere nella paura più totale per l'ennesima volta tutta la valle. Ma anche stavolta la storia finì in un happy end..

mercoledì 14 gennaio 2015

Cosa ci fa un arsenale navale del 1500 nella nostra valle circondata dai monti?

In questa mappa del XVI secolo si nota chiaramente nel cerchio rosso dov'era situato l'arsenale navale 
Percorrendo la strada regionale 445 della Garfagnana in direzione Ponte di Campia e passato il paese di Mologno ci imbattiamo in una località dal nome curioso per essere nella nostra zona. Ci siamo passati davanti decine e decine di volte, eppure quando ci troviamo di fronte a quel cartello stradale che indica la località "Arsenale" (comune di Barga) ci viene spontaneamente da porci una domanda: ma che ci faceva un arsenale nel bel mezzo della valle? Nel caso nostro non si riferisce al luogo dove si costruivano o si rifornivano armi, ma a ben altro di ancor più singolare per noi. Infatti (in questa circostanza) s'intende un luogo dove si costruivano e si riparavano navi. Si avete capito bene, in quella località risiedeva un arsenale navale! Strano, sbalorditivo... Chissà, forse il mare in qualche maniera e in qualche secolo passato aveva raggiunto le nostre terre? Niente di tutto questo, ma se si vuole la storia ha ancora di più dell'incredibile, direi che ha addirittura il sapore epico dell'impresa. Ma andiamo a raccontare gli eventi. Gli arsenali navali del Granducato di Toscana avevano bisogno di grandi quantità di tronchi lunghi e dritti per ricavarne alberi da innalzare sulle proprie galere, ma sopratutto avevano bisogno di remi. Figuriamoci, siamo fra il 
Galere del Granducato di Toscana,
 quei remi probabilmente
venivano dai nostri monti
1500 e il 1600 e la Marina del Granducato era in piena espansione. Le sue galere erano impegnate in tutto il Mediterraneo, nella difesa di Malta dagli Ottomani fino alla partecipazione con ben 12 navi nella celeberrima battaglia di Lepanto, combattuta sempre tra le flotte musulmane e quelle cristiane della Lega Santa, cui faceva parte il Granducato sotto le insegne pontificie. Pensiamo inoltre, tanto per rendersi conto del fabbisogno di legname che doveva avere una singola galera, che queste navi potevano portare a bordo ben più di mille schiavi, una buona parte di essi erano impiegati proprio ai remi. Tanto per snocciolare qualche numero "La Fiorenza" contava un equipaggio di 1055 schiavi imbarcati, per non parlare poi della "San Cosimo" che nel 1611 fra le sue forze aveva ben 1400 schiavi e allora dove approvvigionarsi di tutto questo legname se non sui nostri monti? Fu creata ad hoc la cosiddetta "Via dei Remi" (ancora oggi esistente) che partiva addirittura da Cutigliano (in provincia di Pistoia) e dall'Abetone (allora chiamato Boscolungo). Rimaneva però un grosso problema, come trasportare questi tronchi di abeti e faggi fino a Pisa, sede vera e propria dell'arsenale navale mediceo? Teniamo presente che all'epoca le strade erano tutt'al più delle mulattiere disagevoli, il sistema più "semplice" sarebbe stato far fluttuare i tronchi fino al mare. La Lima che era il fiume più vicino a queste luoghi non aveva però una portata per tale scopo e poi problema dei problemi questo percorso entrava nei possedimenti lucchesi, Stato con cui non correvano buoni rapporti. Studia che ti ristudia agli ingegneri fiorentini non rimaneva che una soluzione, l'unica alternativa possibile era rappresentata dal fiume Serchio, bisognava sfruttare le sue acque per tentare l'impresa, quale miglior occasione allora se non sfruttare l'enclave granducale di Barga? Era proprio giusto giusto quella striscia di terra che serviva. Una zona che andava dal fondovalle del Serchio fino ai crinali
Ecco la Via dei Remi oggi
appenninici. Fu siglato un accordo con gli Estensi (il Ducato di Modena), che concesse il permesso di tracciare una strada di alta montagna che correva parallela al crinale modenese e che permetteva di congiungere l'alto Sestaione (territorio toscano) con Barga aggirando così i domini lucchesi. I tronchi venivano trascinati dai buoi fino al Lago Nero, risalendo la Valle del Sestaione; da qui partiva la Via dei Remi che saliva fino al Passo della Vecchia, attraversava poi il Passo di Annibale e da li discendeva la Foce a Giovo, aggirando così il Monte Rondinaio, la strada continuava in direzione di Renaio, di li a Barga, e poi finalmente si arrivava in quella che oggi è la località chiamata Arsenale. Qui, questi tronchi venivano conservati in un apposito capannone, che si trovava esattamente alla 
confluenza fra il fiume Serchio e la Corsonna (suo affluente), era lungo 22 metri e largo 9 e da qui, in primavera quando il fiume raggiungeva la sua portata massima i tronchi venivano calati in acqua, raccolti in zatteroni chiamati "magliate" e condotti di li al mare. Evidentemente i lucchesi dovevano tollerare il passaggio di questi convogli fluviali o perlomeno non avevano modo di opporsi, in quanto appena lasciati i territori fiorentini il fiume si addentrava nello stato lucchese arrivando a sfiorare la stessa città di Lucca. Raggiunto il mare a Pisa qui era un gioco da ragazzi arrivare all'arsenale centrale. Successivamente la Via dei Remi fu modificata girando verso il Lago Santo, da qui si guadagnavano le pendici garfagnine degli appennini per il Valico della Boccaia fino a raggiungere il Colle della Bruciata ed iniziare la discesa verso Barga. Gli anni passavano e con gli anni anche le navi si modernizzavano ed è presumibile che la definitiva affermazione del veliero sulla galera e con il rapido declino di quest'ultima (conclusosi con la sua definitiva scomparsa alla fine del 1700) abbia ridotto notevolmente la richiesta di tronchi in quanto non era più necessario fare centinaia di lunghi remi (caratteristica principale di questo tipo d'imbarcazione). Nel 1741 l'intero Arsenale dei Remi, ormai quasi in disuso fu ceduto alla comunità di Barga che però doveva metterlo a 
L'arsenale mediceo di Pisa
 dove giungevano i legnami
disposizione dell'autorità governativa ogni qualvolta la Marina Militare Toscana ne avesse avuto bisogno. Con il 1819 un decreto granducale del 23 agosto autorizzava la vendita ai privati. Oggi di questo arsenale non rimane niente,rimane la Via dei Remi luogo di incantevoli passeggiate e di splendidi panorami.

sabato 10 gennaio 2015

Vecchi fatti di una Garfagnana mai raccontata.Quando omicidi e corruzione la facevano da padrone

Storie di altri tempi che in un certo qual modo sembrano storie di
Briganti sui monti
oggi,fatte di quelle strane connivenze che ormai tutti conosciamo tra Stato e malavita.Eppure sono passati 500 anni dai fatti che vi andrò ad esporre e come spesso accade una delle prerogative dello studio della storia fa a farsi benedire.La storia fra le sue molteplici funzioni avrebbe anche quella di insegnare ai posteri di non ricommettere gli errori del passato,ma non è sempre così se Ludovico Ariosto in una lettera del 23 novembre 1523 indirizzata al duca di Ferrara riferendosi in questo caso a Battistino Magnano uno fra i più temuti briganti di Garfagnana gli scrive chiaramente e senza mezzi termini: "...credo che ancho quel Battistino Magnano, che appresso a Bernardetto è il maggior assassino che havesse questo paese, si trovi al soldo di Vostra Eccellenza...". Si, perchè Ludovico Ariosto venne in Garfagnana mal volentieri ma con tutti i buoni propositi del mondo come commissario estense mandato li per estirpare il brigantaggio e il malaffare che prosperavano in tutta la valle.Questo che andrò a raccontarvi è uno spaccato di vita impressionante che offre l'opportunità di farci un'immagine di quello che era la quotidianità in Garfagnana nel secondo  decennio del 1500, che non discosta (ma anzi certe volte la supera) da quella che era la Sicilia mafiosa dei Provenzano e dei Riina. Sembra il narrare di storie recenti che abbiamo sentito raccontare in questi anni dai pentiti di mafia. Ma addentriamoci nell'argomento e cominciano con il dire che la nostra bella Garfagnana era una terra all'epoca di banditi e di violenza di ogni sorta, si andava dall'assassinio, al furto e ad angherie varie e il potere centrale (in questo rappresentato dagli Estensi) veniva percepito come una cosa lontana, incapace di imporre una legalità in questo angusto lembo di terra dove vivevano dei personaggi
Ludovico Ariosto
abbastanza influenti che da una parte erano fedeli agli Estensi, ma allo stesso modo tenevano commerci con furfanti di ogni risma.Il povero Ariosto si trovava in una situazione disperata tant'è che diceva ai suoi collaboratori che in Garfagnana non comanda nè il duca,nè i lucchesi,nè i fiorentini ma "bensì i ribaldi che la infestano impunemente". La causa di tale situazione bisogna ricercarla nelle due fazioni politiche (la politica c'è sempre di mezzo...) che prosperavano nella zona:la parte francese, a cui apparteneva lo stesso duca Alfonso I, che era ostile al Papa e favorevole ai francesi, e la parte italiana, favorevole alla politica papale-medicea.A dire il vero bisogna dire che poi ai garfagnini non interessavano tanto le questioni politiche in senso stretto, ma queste servivano a nascondere interessi personali e locali ed erano questi interessi che provocavano l'illegalità che sfociava nella delinquenza comune. Di questi delinquenti e briganti l'Ariosto attraverso le sue indagini compose prontamente una lista come oggi farebbe l'F.B.I per i maggiori ricercati del mondo e questo è l'elenco dei più pericolosi criminali di tutta la Garfagnana, il fior fior dei briganti in parole povere:



-I figli del Peregrin del Sillico,in primo luogo il Moro, poi Giugliano (che abita a Ceserana in casa della moglie, che è sorella della moglie del Moro), Baldone
-Quelli del Costa,provenienti dalla zona di Ponteccio:Battistino Magnano,Bernardello,Bertagnetto,Ginese,Filippo Pachione, Pelegrinetto, il Frate, Pierlenzo, Ulivo e Nicolao Madalena
-Quelli di Sommocolonia nel barghigiano,che erano spesso in combutta coi delinquenti nostrani: Togno di Nanni del Calzolaro, Donatello, Bogietto detto Cornacchia
-Il Margutte di Camporeggiano (Camporgiano)

Non pensiamo a questi briganti come dei delinquenti a se stanti, ma come tutte le associazioni a delinquere che si "rispettano" potevano contare su una fitta rete di protezioni a livello di amministratori locali, come in questo caso di alcuni capi fazione come Bastiano Coiaio di Trassilico e Pierino Magnano di Castelnuovo.Insomma era un groviglio fra politica e delinquenza.Tutto però il nostro buon Ariosto aveva predisposto per l'arresto di questi furfanti,era pronto come si suol dire per far scattar le manette,già un egregio lavoro era stato fatto nell'individuare la "cupola", ma non era così facile se per esempio a Camporgiano nel 1523 (una delle terre più frequentate dai manigoldi) fu individuato dai balestrieri ducali "il Frate"uno fra i più pericolosi briganti in circolazione che stava giocando tranquillamente a carte nella taverna del paese con gente del posto.Al momento della cattura gli stessi clienti della taverna lo fecero fuggire "lo nascosero e lo fero fuggire in un campo di canape" . Naturalmente tutti sapevano dov'era, ma nessuno lo denunciò,anche il notaio di Camporgiano certo Costantino di Castelnuovo sapeva, ma anche lui tacque e poi lo stesso Ariosto
Alfonso I d'Este un duca un po'
di manica larga...

annotò riferendosi sempre al notaio "..il qual poi si escusa che non vole essere amazzato".Fra l'omertà della gente e la paura che regnava sovrana il povero commissario era nello sconforto più totale anche perchè fu tutto più chiaro quando venne evidentemente a galla la protezione del duca per questi fuorilegge,come nel caso del più famoso brigante garfagnino "il Moro del Sillico" (reso celebre dalla bella festa in costume storico che ogni estate nel suo nome si svolge proprio nel paese omonimo) quando finalmente fu catturato.A piena voce gli amici e i compagni del Moro chiedevano la grazia per il loro amico giustificando come meglio potevano le sue azioni delittuose,ma di fronte all'evidenza dei fatti(e a malincuore) il duca non la concesse,ma per salvare il brigante si studiò però un altro escamotage con la complicità delle guardie stesse quando un suo compagno (il figlio di Bastiano Coiaio) lo andò a trovare in carcere e gli lasciò un coltello con il quale scassinò la porta della cella e fuggì senza colpo ferire.Ma perchè questa marmaglia aveva questo forte ascendente sul duca? Questi furfanti in verità e furbescamente svolgevano due "mestieri", il primo (come ben si sa ) era il brigante, il secondo era il soldato.Il "Moro"  e la sua cricca erano dei valenti e fedelissimi soldati al servizio di sua Maestà il duca.Dell'esercito ducale faceva parte il "Moro"con i fratelli Giugliano e Baldone, "il Peregrin" e altri ancora che poi in seguito partirono per la campagna di guerra che consentì ad Alfonso I d'Este (dopo la morte di Papa Adriano VI)di riappropriarsi della città di Reggio Emilia, figuriamoci dunque se l'eccellentissimo duca gli avesse fatto uno sgarbo.Altra categoria di personaggi che turbavano la Garfagnana e le buone persone con i loro discutibili comportamenti erano i preti, amici dei briganti che nascondevano nelle chiese e nei campanili e quando il caso e la giustizia voleva che fossero scoperti tali preti non potevano essere condannati dalle autorità civili ma solamente da quelle ecclesiastiche che da loro venivano puniti in maniera molto blanda (come d'altronde succede oggi...).A poco servivano le continue sollecitazioni che l'Ariosto faceva agli stati confinanti (Lucca e Firenze) affinché tutti insieme collaborassero vicendevolmente alla cattura dei delinquenti, ma non c'era niente da fare se il proprio duca dispensava grazie a destra e a manca ai peggiori banditi come Battistino Magnano
La casa natale del Moro al Sillico e la chiesa
graziato per aver mantenuto la difesa della Fortezza delle Verrucole quando Papa Leone X (1520) tolse al duca la provincia della Garfagnana riuscendo appunto a conservare la Fortezza, un punto strategico e perciò come detto Battistino "ottenne grazia benignissima".
Qualche anno dopo capitò la grande occasione quando nella tarda estate del 1523 i banditi più temuti si erano recati a Ferrara e il duca invece di prendere "la bella occasione di purgare il paese di queste male herbe" (come ebbe a dire l'Ariosto in un'altra sua lettera) preferì concludere "una pace universale" assicurando loro ancora una volta grazia di ogni delitto e bando.
Ludovico Ariosto nel giugno del 1525 venne richiamato a Ferrara e lascerà la Garfagnana con un grande sospiro di sollievo tornando a fare in beata pace quello che per oggi tutti lo conosciamo:il poeta...

lunedì 5 gennaio 2015

La Befana garfagnina...storia, tradizioni e leggende di una volta

Una delle "nostre" Befane più famose
di sempre Mario Pieroni di Barga
 detto il "Tiglio" (foto tratta dal sito
bargainfoto.altervista.org)
Diciamolo chiaramente Babbo Natale  è un personaggio che ci hanno propinato alcune leggende nordiche riadattate poi dai paesi anglosassoni ed ulteriormente edulcorate nientepopodimeno che dalla Coca Cola (tanto per dire in origine Santa Klaus aveva il proprio abito di colore verde e non l'attuale rosso fiammeggiante imposto dal colosso americano delle bevande gassate) e per noi garfagnini il Natale era una festa puramente religiosa e nessun bambino per la Santa Natività si aspettava dei doni perchè a questo compito ci pensava la Befana che tutti i piccoli attendevano con un misto di trepidazione e paura.Trepidazione perchè era una delle poche, se non l'unica occasione per ricevere regali (seppur modesti).Paura perchè se durante l'anno non si erano comportati da buoni e bravi ragazzetti al posto dei regali si sarebbe ricevuto del carbone.La sera del 5 gennaio i bambini andavano a letto non senza aver appeso la calza al caminetto e sopratutto non bisognava dimenticarsi di lasciare un "fascetto" di fieno davanti alla porta di casa per far mangiare il "miccio" (n.d.r:asino) della Befana e anche della legna secca per far scaldare la povera vecchina.Alle cinque del mattino del 6 gennaio le campane cominciavano a suonare a festa e tutti i ragazzi saltavano il letto e correvano a vedere davanti alla porta,non trovando più nè fieno nè fascine perchè l'asinello aveva mangiato e la Befana si era riscaldata, soddisfatti andavano a scrutare la calza del camino. I doni che ricevevano i nostri nonni erano fatti di una befana povera:un'arancia, al massimo due, nocciole,noci, mele,castagne e fichi secchi e ai bambini benestanti poteva capitare di trovare addirittura una fettina di panforte, ma il pezzo forte (come per tutti i bimbi del mondo) erano i giocattoli.Alle bimbe di solito capitavano bamboline di cencio riempite di segatura,mentre ai maschietti regalavano trottole di legno, animaletti intagliati e sempre a quei pargoli di buona famiglia i famosi soldatini di piombo (vera invidia di tutti i
piccoli del paese).Tutti questi giochi non venivano acquistati nei negozi naturalmente, ma di solito erano opera del babbo o del nonno che in gran segreto li costruivano quando il bimbo la notte andava a dormire. Ma cosa c'era di più bello quando poi arrivava l'ora di mangiare i "befanini". Nella Garfagnana storica erano i biscotti che le massaie usavano fare per il periodo natalizio, così chiamati perchè tradizione vuole che vengano preparati il giorno della Befana.I befanini rimangono i biscotti dei nostri nonni. Una fabbricazione rustica fatta da cuore e mani contadine;ogni famiglia aveva la sua ricetta, chi metteva più burro, chi più uova, ma quello che le rendeva (e le rende) unici e simpatici è il suo impasto che veniva tagliato con formine di varie figure:cuori, stelle, animali, omini e così via,il tutto ingentilito con guarnizioni colorate. I più piccoli le trovavano dentro la calza, poi le mamme ne preparavano in gran quantità per tutta la famiglia.Scambiarsi i befanini  era un rito, l'operazione era affidata ai più piccoli che durante il tragitto non resistendo alla loro bontà per metà se li mangiavano e il resto lo consegnavano agli amici e parenti.Venivano anche regalati alle persone che la sera del 5 gennaio passavano di porta in porta ad annunciare la Befana cantando appunto "le befanate". Già "le befanate".Qui affondiamo le nostre radici ancor più in profondità.Si ha la prima notizia documentata dei canti della befana nella nostra zona a Barga nel 1414 quando si parla dell'Epifania precisamente nel "liber maleficiorum" l'attuale codice penale.In un paragrafo si commina un' ammenda di dieci soldi " per ciascuna persona ardisca,la notte della Befana, di andare alla casa di qualsiasi persona di Barga a dire quelle disoneste parole, le quali sono state dette per l'adietro, sotto pena di soldi dieci, a ribadire per ciascuna persona e per ciascuna volta che la vigilia dell'Epifania canterà quelle brutte cose che si usano da lungo tempo". Invece sono canti
I Befanini
bellissimi,legati al mondo contadino, canti tradizionali di questua che si eseguono alla vigilia dell'Epifania a partire dall'imbrunire fino a notte
.In Garfagnana la tradizione è tutt'oggi viva più che mai.I cantori guidati dal suonatore (accompagnato di solito da fisarmonica o chitarra) precede di pochi passi la Befana ( che spesso è un uomo travestito da donna perchè anticamente la donna non poteva nè recitare nè mascherarsi ) e il befanotto (il consorte della befana) che si avvicina alle porte delle case cominciando di fatto il canto.Il canto della Befana è formato da "stanze" di otto versi ciascuna, si compone in tre parti:un saluto, una parte centrale e una di ringraziamento o di offesa se i cantori non ricevono nessuna offerta;trattandosi di un rito che affonda le sue radici nel mondo contadino la maledizione va a colpire gli interessi più prossimi della massaia, come il pollaio. Uno dei testi maggiormente diffusi recita infatti: "E se nulla non ci date pregherem per la galline dalle volpi e le faine che vi sian tutte mangiate". Se poi in casa c’è qualche giovane o meno giovane donna non ancora sposata, l’invettiva si trasferisce su di lei: "E se nulla non ci date via piangendo ce ne andremo la Madonna pregheremo che marito non troviate". Ma chi è in "verità" la Befana? Leggenda vuole che i Tre Re Magi stavano andando a Betlemme per rendere omaggio al bambino Gesù.Giunti in prossimità di una casetta decisero di fermarsi per chiedere indicazioni sulla direzione da prendere.Bussarono alla porta e venne ad aprire una vecchietta. I Re Magi chiesero se sapeva la strada per raggiungere Betlemme perchè là era nato il Salvatore, ma la vecchia non seppe darle nessuna indicazione. I Re Magi chiesero quindi alla vecchietta  di unirsi a loro ma lei rifiutò perchè aveva molto lavoro da sbrigare. Dopo che i tre Re se ne furono andati la donna capì che aveva commesso un errore e decise di unirsi a loro per andare a trovare il Bambino Gesù.Ma nonostante li cercasse non
L'adorazione dei magi
 di Andrea Mantegna
riuscì più a trovarli e allora fermò ogni bambino per dargli un regalo nella speranza che questo fosse Gesù Bambino.E così ogni anno la sera dell'Epifania lei si mette alla ricerca di Gesù e si ferma in ogni casa dove c'è un bambino per lasciare un dono.


E infine come ultimo omaggio alla cara vecchina la voglio ricordare in una strofa di una delle più celebri poesie di Giovanni Pascoli "La Befana":

Viene viene la Befana
vien dai monti a notte fonda.
Com'è stanca!La circonda
neve gelo e tramontana...

(Castelvecchio 1897)