mercoledì 26 settembre 2018

Così leggenda dice...la creazione delle Alpi Apuane

"- Che sono quei monti?- chiesi molto incuriosito, quasi impaurito.
Alpi Apuane al tramonto
(foto di Cristoforo Ravera)

-Sono le Alpi Apuane- mi fu spiegato. Ammirai a lungo lo spettacolo inconsueto che mi faceva pensare, non so perchè alla creazione del mondo: terre ancora da plasmare che emergevano da un vuoto sconfinato, color incendio"
Questa fu l'impressione di Fosco Maraini (scrittore, fotografo e alpinista)quando alla fine degli anni '20 si trovò per la prima volta di fronte a tanta magnificenza, del resto qui trovò il suo ultimo "rifugio", quando a Pasquigliora (Molazzana) nel lontano 1975 acquistò una casa isolata nel cuore delle Apuane. Quella casa fu infatti l'ultimo suo amore, il suo universo, in quei monti trovava qualcosa di magico e ancestrale, una concordia di elementi, una natura benigna: "la rivelazione perenne e la montagna come Chiesa", difatti quassù, tra le Panie, si aveva proprio l'impressione che Dio c'avesse messo la mano. Anche la tradizione orale dei racconti narrati al fuoco da vecchi sapienti e saggi confermava questa tesi. Per creare tanta grandiosità e bellezza servì infatti un intervento divino.
Era l'inizio di tutto, quando "in principio Dio creò il cielo e la
Dalla Pania della Croce
(foto Paolo Marzi)
terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso..." (Genesi).

Durante la creazione del mondo il Signore affidò ai suoi arcangeli prediletti di fare meraviglie del suo Creato, a due di essi affidò il compito di innalzare a uno le Alpi e all'altro gli Appennini, mise a loro disposizione tutto il materiale necessario, granito, calcare, rena, quarzo, gesso, argilla e un'altro materiale a dir poco prezioso, unico per la sua bellezza, il suo colore era di un bianco accecante, era il marmo. Nostro Signore considerava talmente pregiata questa pietra che si raccomandò di usarla con parsimonia, un po' qui e un po' là. Una volta date le sue disposizioni Dio se ne andò e i due arcangeli di buona lena si misero a lavoro. Il primo si occupò di costituire la cerchia alpina e l'altro si premurò di rafforzare la penisola italiana con una dorsale, prendendosi quindi il compito di plasmare gli Appennini.Il primo arcangelo era molto creativo, pieno d'ingegno e per le Alpi creò pareti vertiginose, picchi scoscesi e guglie acuminate, il secondo aveva un estro più moderato e semplice e modellando gli Appennini cercò forme più sinuose, delicate e lineari. Il brioso
Roccandagia
(foto Paolo MARZI)
arcangelo delle Alpi lavorò con tanto impeto ed entusiasmo da finire assai presto la propria opera, tempo ne rimaneva ancora e decise così di andare a trovare il suo compagno, vide che questi aveva cominciato il suo lavoro dal basso dello stivale e su, su, piano, piano era arrivato al punto in cui le coste occidentali dell'Italia cominciano a curvare sul Golfo di Genova. Il materiale a sua disposizione cominciava comunque a scarseggiare:

-Ho paura che con quello che ti rimane non giungerai alla fine del tuo compito- disse l'arcangelo delle Alpi all'altro - Se vuoi un consiglio interrompi da questa parte e continua dove io ho finito le Alpi, proprio nel punto in cui ridiscendono verso il mare, dopodichè una volta uniti gli Appennini e le Alpi procederai fino qui con il materiale che rimane-. L'arcangelo degli Appennini accettò di buon grado il consiglio e caricandosi sulle spalle pietre, massi e rocce
Monte Croce
(foto Paolo Marzi)
si recò nel punto in cui terminano le Alpi Marittime, creando di fatto l'Appennino Ligure. Rimasto solo l'arcangelo "alpino" vide da una parte che il mucchio di marmi era quasi intatto:

-Quanto marmo !- esclamò- D'accordo  che Dio aveva detto di usarlo con cautela ma qui abbiamo esagerato- pensò fra se e se - bisogna rimediare in qualche maniera- Pensa che ti ripensa ebbe un'idea che lo entusiasmò - Ma perchè non usare questo marmo per creare una catena di monti tutta nuova?-
Ecco allora che la fantasia dell'arcangelo riprese vita, cominciò ad ammassare i marmi sul luogo dove il suo compagno aveva interrotto gli Appennini,fu un vero e proprio prodigio e diede forma a una
Monte Procinto
(foto Daniele Saisi)
schiera di monti le cui coste finivano quasi al mare. Che cosa stupefacente ad osservarla da lontano era una meraviglia: i marmi brillavano di luce propria e formavano creste, torrioni, canali, gole e rupi immense, ma quando tornò l'arcangelo degli Appennini il suo entusiasmo si smorzò: - Ma che hai combinato!? Adesso il Signore ci sgriderà per aver utilizzato tutto il marmo in un unico luogo- Il Signore difatti arrivò, osservò le Alpi e disse che "era cosa buona", ma arrivato sugli Appennini si fermò e si girò stupito e sbalordito verso quella piccola catena di montagne bianche come il latte che somigliamo così tanto alle Alpi: - Cosa ci fanno qui questi monti? E tutto questo marmo?- I due arcangeli avevano gli occhi bassi, erano confusi e dispiaciuti, ma il buon Dio fu comprensivo, ascoltò le ragioni dei suoi fidati e sorridendo benedì queste montagne dando così il suo assenso a tale portento,
Pizzo delle Saette sullo sfondo
(foto Paolo Marzi)
si raccomandò però solo per un'unica cosa, di nascondere quelle luccicanti vette: -Non voglio che l'uomo veda subito tutto quel marmo, coprite tutto con prati, boschi e selve. Gli uomini dovranno scoprirlo lentamente e dovranno lavorare sodo per estrarlo-.

L'ordine fu eseguito e fu così che per migliaia d'anni il marmo sotto queste montagne rimase invisibile, lo scoprirono i romani che per sconfiggere il popolo degli Apuani disboscò quei monti facendo venire così alla luce i primi marmi.
Fu così che quella piccola catena montuosa prese il nome dal fiero popolo apuano, ma non furono chiamati Appennini Apuani (come forse
Monte Forato
(foto Paolo Marzi)
geografia direbbe), ma bensì Alpi Apuane visto che il loro "architetto" era proprio lo stesso che aveva modellato le Alpi.




  • Tratta dalla tradizione orale locale

mercoledì 19 settembre 2018

"Mamma" Viola. Storia di coraggio, umanità e guerra

Ebbene no...c'è chi crede che le donne nella seconda guerra mondiale
trascorressero il loro tempo a casa, in paziente attesa dei valorosi compagni e a badare alla casa e ai figli. In realtà non è così, il numero di coloro che si sacrificarono per il bene comune è altissimo. C'era infatti chi raccoglieva abiti, cibo e altri generi di prima necessità, chi si occupava dei feriti e chi si avventurava in pericolosissime staffette partigiane trasportando ordini a destra e a manca, superando i temutissimi posti di blocco tedeschi. D'altronde la storia è piena di eroi, di eroine un po' meno. I nomi spesso si dimenticano, ma i sacrifici di quelle donne che si adoperarono per la liberazione del nostro Paese, quelli hanno lasciato il segno tutt'oggi. Fra queste, giunte alla notorietà ricordiamo Nilde Iotti (prima donna a ricoprire il ruolo di Presidente della Camera),che divenne partigiana dopo l'8 settembre '43, o anche Tina Anselmi (prima donna ad aver ricoperto l'incarico di ministro della Repubblica)che
decise di entrate a far parte della Resistenza dopo che aveva assistito da parte dei nazisti all'impiccagione di trentuno prigionieri, anche lei fu impiegata come "staffetta". Ad ogni modo i numeri dovrebbero parlare da se; secondo l'A.N.P.I (l'associazione dei partigiani d'Italia)le donne coinvolte nell'ultima guerra furono migliaia e migliaia: circa 35.000 mila furono quelle coinvolte direttamente nelle battaglie, 70.000 in gruppi di protesta e ben 11.000 quelle uccise o deportate. La maggioranza di tutte queste donne è stata dimenticata dalla storiografia e dalla memoria pubblica, solo negli ultimi anni abbiamo ripreso coscienza di rendergli dignità storica e parità politica ed è in questo contesto che anche la Garfagnana ha la sua eroina da ricordare, non sarà al livello delle sue illustri colleghe, ma anch'essa lasciò un segno tangibile nella storia della Resistenza garfagnina. Lei era Violante Bertoni, ma da tutti conosciuta come Mamma Viola. La sua storia rimane indimenticabile e rimarrà fra gli episodi di guerra della valle, uno dei più grandi atti di coraggio e solidarietà. Viola nacque alle pendici del Monte Rovaio (comune di Molazzana) il 10 aprile 1891, la sua famiglia da generazioni coltivava quelle terre nei pressi dell'Alpe di Sant'Antonio e anche lei nel corso della sua vita continuò la solita attività. A 17 anni sposa Francesco Mori da cui avrà otto figli. La vita contadina per Viola è dura e faticosa, ma gli anni che seguiranno saranno fra i più tremendi che la storia ricordi. La seconda guerra mondiale è cominciata da anni, ma in Garfagnana il 1943 è fra gli anni più tragici.Le montagne dove sorge l'abitazione
l'abitazione di Mamma Viola oggi
(foto escursioni apuane9
  della famiglia Mori è proprio nel bel mezzo della Linea Gotica, nella zona contesa da partigiani, alleati e tedeschi. La presenza di nazisti proprio in quella zona è numerosa, d'altronde li c'è uno snodo cruciale, strategico per le sorti della guerra e questo i partigiani lo sanno bene, tant'è che anche loro cominciano a presidiare la zona, convinti più che mai di poter difendere quel territorio dal nemico con estrema risolutezza. Sono circa una settantina i ragazzi che formeranno la formazione partigiana denominata "Gruppo Valanga"(leggi anche http://paolomarzi.blogspot.com/la-storia-del-gruppo-valanga-battaglie.html), si sono attestati nella frazione Trescale, dove abita proprio Mamma Viola. La risolutezza però a volte non basta e gli uomini del Gruppo Valanga presto si accorgono che da soli non ce l'avrebbero mai fatta, non solo da un punto di vista militare, ma manca il riparo e la sussistenza, è così che Viola, con l'aiuto del marito decide che le sue provviste, la sua casa, il fienile e le stalle sarebbero stati messi a disposizione di quei ragazzi. Viola e la sua famiglia sono ben consapevoli del rischio che corrono, qualora fossero scoperti dai tedeschi per lei e per i suoi cari non ci sarebbe scampo. Viene così anche il 1944, in quell'anno il Valanga ha subito diversi attacchi, ma tutto culmina con la famosa battaglia del Monte Rovaio (per saperne di più leggi http://paolomarzi.blogspot.com/agosto-1944settantanni-fa-la.html). In
Monte Rovaio
(foto escursioni apuane)
risposta ad un agguato da parte di un uomo del Gruppo Valanga ad una pattuglia di tedeschi, c'è la travolgente azione repressiva germanica che uccide ben 19 giovani della formazione partigiana, proprio una parte di quei ragazzi che accudisce Mamma Viola non c'è più. Alla rappresaglia fortunatamente scampano i civili a cui però vengono incendiate le case e le stalle e uccisi gli animali, medesima sorte tocca a Viola, la sua abitazione viene fatta saltare in aria con la dinamite, si salva solamente la "casetta del formaggio". I giorni successivi all'attacco l'intera famiglia Mori passa le notti nelle grotte vicine, ma il carattere forte di Viola non viene piegato nemmeno stavolta.

Pietro Petrocchi da membro del Gruppo Valanga conobbe Viola e così ne parlava: "Quante sofferenze, quanti disagi materiali e sopratutto morali! Ma non ho mai sentito dalle labbra di Viola una parola di recriminazione, di rimprovero: l'unico suo grande dolore fu la morte di tanti giovani patrioti, che accomunava nel ricordo e nel
Parte degli uomini del Gruppo Valanga
(foto tratta dal libro "L'ALTRA FACCIA DEL MITO"
di Valiensi-Petrocchi)
rimpianto ai suoi figli Luigi e Alfredo, per questo che Viola divenne più che mai per i superstiti del Gruppo Valanga la Mamma dell'Alpe". 

Infatti quello che smuove la coscienza della povera donna e che la convince più che mai a contribuire alla lotta per la Resistenza è la partenza del figlio Luigi per la guerra in Russia e l'ingresso dell'altro figlio Alfredo nelle brigate partigiane, i due ragazzi non faranno mai più ritorno fra le braccia della loro madre, il primo muore nel 1945 in Germania, mentre l'altro trova la morte sul Monte Forato calpestando una mina inesplosa. In quei ragazzi del Valanga rivedeva allora i suoi figli e pensava magari che anche per loro, da qualche parte ci sarebbe stata un'altra Mamma Viola, che come lei avrebbe dato loro un riparo, del cibo, che avrebbe diviso le provviste della propria famiglia senza pensare proprio come lei a quello che andava incontro. Petrocchi la descriveva  ancora come una donna schietta e di rude franchezza montanara, dietro il suo dolce aspetto si nascondeva una figura granitica.
L'esempio di Viola incoraggiò molte famiglie a schierarsi dalle
partigiani
parte dei partigiani.

Arriva così anche la fine della guerra e le gesta di questa donna della montagna arrivano in tutta la valle, le sue azioni protettrici e la grande umanità dimostrata nei confronti di quei giovani spinge lo Stato ad assegnarle la Medaglia d'oro al Valor civile, che lei rifiuta motivando il suo diniego con l'assenza dei figli morti, avrebbe preferito averli accanto a lei piuttosto che ricevere quel tributo. Negli anni successivi Viola si trasferisce a Cardoso di Stazzema e nel 1969 muore. Ma la storia non finisce qui. Nel 1981 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini (anche lui partigiano) con l'appoggio della vice presidente della Camera Maria Eletta Martini decide di assegnare ai figli la medaglia al Valore per le azioni della loro mamma.
Ma non sono le medaglie che contano, quello che conta è il cuore, il
la piazza intitolata a Molazzana
cuore di una mamma, che dopo aver partorito otto figli, ne volle adottare altri settanta, e proprio come fa una vera madre mise a disposizione la sua vita per la sopravvivenza di quei ragazzi, per questo e per tutti è e rimarrà sempre la mamma dell'Alpe.





Bibliografia

  • Carla Guidi liceo Scientifico Michelangelo Forte dei MARMI
  • La Nazione 1 settembre 1981    

mercoledì 12 settembre 2018

Garfagnana e "Anni di Piombo": 1974-1979. Quando la valle era rifugio e centro di addestramento per tutto il terrorismo italiano

Quarant'anni esatti sono trascorsi da quando il terrorismo in Italia
Aldo Moro a Castelnuovo Garfagnana,
affacciato dalla Rocca Ariostesca (1967)
toccò il suo apice con l'assassinio del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Fu un periodo storico terribile, secondo solamente ai tragici anni del secondo conflitto mondiale. Questa epoca è meglio conosciuta sotto il nome di "anni di piombo", con questo termine si è soliti intendere quel periodo di storia italiana segnato da una escalation di terrorismo e lotta armata da parte di gruppi eversivi politicizzati, tale appellativo prende curiosamente la sua origine da un film del 1981  diretto da Margarethe Von Trotta, intitolato proprio "Anni di Piombo", che trattava appunto l'esperienza storica molto simile vissuta al tempo in Germania Ovest. Furono anni tremendi, che sparsero un'onda di terrore e di sangue nel nostro Paese fra il 1968 e i primi anni '80. Tutto nacque dal veloce sviluppo economico nazionale, che riuscì ad
Il manifesto del film
"Anni di Piombo"
aumentare ancor di più le differenze sociali, nel contempo a livello internazionale si era in piena "guerra fredda", uno scontro fra ideologia liberista U.S.A e comunismo sovietico, che divideva il mondo in d
ue blocchi contrapposti. In questa scia nacquero in Italia movimenti operai e studenteschi che lottavano per l'uguaglianza sociale, scontri fra fazioni opposte di estrema destra e estrema sinistra sfociarono in attacchi terroristici per mezzo di bombe e armi da fuoco. Furono eventi luttuosi di portata storica inimmaginabile, alla polizia furono dati poteri speciali in difesa della stabilità della Repubblica, minacciata non solo dai terroristi, ma ancor di più da infiltrazioni varie, da spie americane, da servizi segreti deviati e criminalità organizzata, appositamente insinuate per perpetrare nell'animo della gente comune la cosiddetta "strategia della tensione". 
Nonostante tutto in quegli anni la Garfagnana sembrava lontana anni luce da quelle tremende stragi che sconvolsero un Paese intero. Tutto questo si svolgeva nelle grandi città e il viver quotidiano della valle risentiva marginalmente di queste tragedie...ma le indagini degli inquirenti che seguirono negli anni scoprirono un altro mondo, che nessuno si sarebbe mai immaginato. La Garfagnana fu indifferentemente per anni rifugio per terroristi di destra e di sinistra, centro di addestramento alla guerriglia e fu usata come base per pianificare gli attentati più efferati che colpirono la Nazione.
Infatti un doppio filo rosso e nero attraversava la nostra valle.
foto simbolo degli anni di piombo
Fra il 1974 e il 1979 la magistratura ha evidenziato fra interrogatori e intercettazioni varie che la Garfagnana fu terra di incontri e addestramento del terrorismo italiano, nonchè rifugio  e terra di latitanza per i maggiori esponenti dell'eversione armata. Quello che rende ancor di più inverosimile questa vicenda è che qui si incrociarono indifferentemente terrorismo rosso e nero, in ugual maniera di qui passarono gruppi neofascisti come Ordine Nuovo (colpevole anche della Strage di Piazza Fontana) e le Brigate Rosse (responsabili del sequestro Moro). Probabilmente i primi a ripararsi fra le impervie montagne garfagnine furono i gruppi neo fascisti che avevano alcuni esponenti di spicco proprio nella provincia di Lucca, per di più in Toscana operava la colonna armata legata a Mario Tuti. A queste indagini fra Garfagnana e terrorismo lavorò molto il Procuratore di Firenze Pierluigi Vigna(che le cronache anni dopo lo portarono alla ribalta nelle inchieste sul mostro di Firenze), ricerche fatte dal
Per Luigi Vigna magistrato
magistrato evidenziarono che l'esplosivo negli attentati del 1975(scoppio di una bomba sui binari della Firenze-Roma, un ordigno all'ispettorato agrario di Lucca e altri ancora)era nascosto in Garfagnana dalla fine del 1974, due quintali di questo esplosivo era stato trafugato ad Arezzo proprio dai "neri" lucchesi, ma non solo, nello stesso anno nella nostra pacifica e innocente terra fu convocato l'elite del terrorismo nero nazionale, fra i maggiori esponenti presenti c'era tale Clemente Graziani. Per render ancor più chiara la portata della situazione che si era creata guardiamo bene chi era Clemente Graziani. Clemente Graziani conobbe la Garfagnana da giovanissimo poichè vi aveva combattuto come volontario nelle file della Repubblica Sociale nella II guerra mondiale, nel 1951 tentò di affondare la nave scuola "Colombo", destinata dallo stato italiano all'Unione Sovietica come riparazione ai danni di guerra, negli anni seguenti fu protagonista di vari attentati dinamitardi per le strade della Capitale, fra cui quello al Ministero degli Esteri, nel 1973 entrò in latitanza e vi rimase fino al 1996 quando morì in Paraguay e sembra che proprio per ordine del Graziani stesso nel vertice "nero" garfagnino fu dato mandato di organizzare gli attentati ai treni, con molta probabilità la strage del treno
il treno italicus e i suoi morti
Italicus che costò ben 12 morti innocenti (nel tratto Firenze Bologna) nell' agosto 1974 fu concepita durante quegli incontri.La valle non fu però solo terra di incontri segreti, la morfologia del territorio si prestava anche ad eventuali latitanti, difatti la "primula nera" Mario Tuti dopo aver freddato due poliziotti sulla porta della sua abitazione di Empoli(24 gennaio 1975) si dette alla"macchia", fuggendo prima verso Lucca e poi in Garfagnana dove trovò ben presto rifugio e protezione, così la sua vita da umile impiegato si trasformò in quella di un pluri ergastolano (pena poi commutata in semi libertà nel 2013)

Come detto però non fu solo il terrorismo "nero" ad insinuarsi nel
mite viver quotidiano garfagnino, il terrorismo "rosso" fece sentire più che mai la sua presenza nel nostro territorio con il suo esponente maggiore, quel Mario Moretti che pianificò il rapimento e
Mario Moretti, pianifico il rapimento e
la morte di Aldo Moro
l'esecuzione di Aldo Moro, anche Barbara Balzerani(facente parte della colonna romana) come fu evidenziato nel processo di Firenze venne più volte in Garfagnana per riunirsi con altri brigatisti, come i lunigianesi Luisa Aluisini e Paolo Neri, i due avrebbero dato coordinamento logistico alle Brigate Rosse toscane. 

D'altronde i brigatisti di qualsiasi fazione fossero niente lasciavano al caso e per preparare i sanguinosi omicidi in quei violenti anni avevano bisogno di una certa preparazione all'uso delle armi e com'è risaputo (anche se niente di questo è supportato da tesi ufficiali) nella valle esistevano dei veri e propri campi di addestramento all'uso delle moderne armi da
la mitraglietta Skorpion
guerriglia e sopratutto al maneggio della rinomata mitraglietta Skorpion (750 colpi al minuto), usata specialmente dalle Brigate Rosse e poi tristemente nota per essere l'arma che giustiziò il presidente Moro.

Quel duro periodo storico all'inizio degli anni '80 si concluse e così come se niente fosse, tutto questo passò sopra la testa degli ignari garfagnini che al tempo niente
Il "Corriere della Sera" titolava così
il giorno dopo la strage di Piazza Fontana
sapevano. Quella triste epoca della storia della Repubblica Italiana però non trascorse invano, l'assassinio di Moro, la morte del commissario Calabresi, del sindacalista Guido Rossa, le stragi di Piazza Fontana, Piazza della Loggia e della stazione di Bologna, quel sangue versato dai fautori della violenza rivoluzionaria provocò un profondo mutamento nei giovani del tempo, che capirono che nonostante tutti quei morti i problemi della società non si erano risolti, comprendendo  una volta per tutte che la violenza non avrebbe portato a niente.







Bibliografia

  • "La Garfagnana tra brigate rosse e gruppi neofascisti durante gli anni di piombo" di Andrea Giannasi da "Il Giornale della Garfagnana" 2 febbraio 2017