mercoledì 24 marzo 2021

Quando in Toscana il Capodanno era il 25 marzo. Storia di "stili", riforme e di...tanta confusione

Proprio adesso, 24 marzo, mentre stai leggendo quest'articolo se tu avessi vissuto nella Toscana di 270 (e oltre) anni fa ti staresti preparando(covid permettendo) per i bagordi del veglione di fine anno... Se invece vivevi in Garfagnana (fino al 1582) e cioè sotto il Ducato di Modena, il veglione di fine anno lo avresti festeggiato la vigilia di Natale: il 24 dicembre. Naturalmente ai quei tempi non esistevano i festeggiamenti come noi oggi le intendiamo e di veglioni neanche a parlarne, però quello che è vero che l'Italia fino a non molto tempo fa era un'inestricabile guazzabuglio per quanto riguardava il modo di iniziare l'anno. Praticamente si viveva in un capodanno continuo, bastava viaggiare da uno staterello all'altro. Difatti esistevano svariati modi per calcolare l'anno e i più consueti contemplavano due cosiddetti stili legati strettamente alla sfera religiosa. Lo stile dell'Incarnazione e lo stile della Natività, tanto per complicare ancor di più le cose succedeva anche che nel medesimo stile potevano convivere delle varianti significative, c'era ad esempio lo stile Pisano che seguiva lo stile dell'Incarnazione, anticipando però di un anno lo stile Fiorentino,anch'esso basato sull'Incarnazione (quindi un anno datato Anno Dominice Incarnationis MCXXVII, die Kalendarum octubris redatto a Pisa andrebbe datato 1126 ottobre 1°, a Firenze

1127 ottobre 1
°). Troppo complicato??? Niente paura! Adesso vi spiegherò chiaramente tutti i fatti. Le antiche (anzi antichissime) comunità contadine di una volta propendevano di far iniziare l'anno con il principio dell'annata agricola e cioè quando iniziavano i lavori nei campi, difatti il calendario romano di Romolo faceva iniziare l'anno a marzo. Con l'avvento del cristianesimo la musica cambiò e bando a qualsiasi scelta che ognuno facesse sul quando e come cominciare l'anno, si decise che a segnare le svolte del tempo dovevano essere le feste religiose. Così fu, che l'inizio dell'anno da luogo in luogo fu stabilito prevalentemente in due date: l'Annunciazione, ossia il 25 marzo, quando si ricorda l'annuncio dell'Arcangelo Gabriele alla Madonna della nascita verginale di Gesù e il 25 dicembre, il Santo Natale. Le considerazioni dell'epoca dicevano che il ciclo annuale doveva cominciare con il primo atto della Salvezza: con l'Incarnazione di Cristo, il momento in cui "Verbum caro factum est". Dall'altra parte il Natale (che difatti cade esattamente nove mesi dopo l'Annunciazione) legava l'inizio
dell'anno all'apparizione di Gesù, del Verbo in mezzo agli uomini, opzione poi che prevalse nella maggioranza dei casi. A fronte di tutto questo in Italia cominciò il bailamme di date sul giorno in cui far principiare l'anno e così ogni Stato adottò il sistema a loro più congeniale in un intricarsi convulso di giorni che vedevano oltre allo stile dell'Incarnazione e allo stile della Natività, anche (come abbiamo già letto) lo stile Pisano che seguiva lo stile dell'Incarnazione che rispetto allo stile fiorentino (anche questo basato sull'Incarnazione) lo anticipava di un anno. Lo stesso stile Pisano (oltre che a Pisa) era seguito da Piombino, a Roma alcuni Papi lo adottavano altri no, a San Miniato, a Bergamo, a Lucca(in parte), a Lodi (fino al XV secolo) e a Tarquinia. Il cosiddetto stile fiorentino era seguito ovviamente a Firenze, a Ravenna, Novara e Cremona (fino al XVI secolo), nella nostra Toscana trovò consenso a Siena, Pontremoli, Colle Val d'Elsa, Prato e a Lucca (fino al XII secolo). Lo stile della Natività prendeva invece una bella fetta di nord Italia ed era usato a Pavia, Brescia, Alessandria, Crema, Ferrara, Modena(e così anche in Garfagnana), Como (fino al XV secolo), Rimini e Orvieto. In Toscana era applicato alle città di
Pistoia, Massa, Arezzo e Cortona. Ad aumentare tutto questo grande disordine c'erano anche città come Milano, Bologna e Roma, dove questi diversi sistemi convivevano o si succedevano. Ma attenzione, la sarabanda di date non finiva qui, esisteva anche uno stile bizantino che faceva iniziare l'anno il 1° settembre ed era seguito in Calabria, ad Amalfi e a Bari... Ditemi voi come un povero sventurato del tempo poteva capirci qualcosa e anche oggi in tal senso per gli storici e gli studiosi la cosa non è semplice, poichè quando si analizzano documenti antichi si deve tener conto di questa accozzaglia di sistemi. Più previdenti furono gli antichi e saggi romani, anche loro facevano iniziare l'anno a marzo ma perlomeno nel loro vastissimo impero uniformarono per tutti i popoli sottomessi un'unica e sola data: il 15 marzo (successivamente il 1°), il che spiega a noi moderni perchè il nome dei mesi (che al tempo erano dieci) rimandi ancora per etimologia a un loro conteggio a partire da quello che per noi sarebbe il terzo mese (per i romani il primo): settembre il settimo mese, ottobre ottavo mese, novembre il nono, dicembre il decimo. Questo era il calendario romano o anche detto di Romolo o che dir si voglia calendario pre- giuliano. Pre- giuliano perchè un bel giorno dell'anno 46 a.C il buon Giulio Cesare decise la riforma del suddetto calendario, cosicchè, secondo calcoli
astronomici decise di iniziare l'anno non più a marzo, ma con grande spirito di lungimiranza il 1° gennaio (ops... dimenticavo, gli anni naturalmente si contavano non dalla nascita di Cristo, che ancora doveva nascere, ma bensì dalla data della fondazione di Roma), ma non solo, dal momento che c'era volle dedicarsi anche un mese, il mese quintile (cioè il quinto) divenne Julios ossia l'odierno luglio. Fattostà che questa riforma (a cui furono aggiunti gli odierni due mesi mancanti) che prese il nome di calendario Giuliano piacque molto e con alcune variazioni perdurò in tutta Europa per circa 1600 anni, fino al giorno in cui Papa Gregorio XIII stanco di tutto questo gran casino di date sparse per tutta Europa fece proprio come Giulio Cesare più di mille anni prima... Il 24 febbraio 1582 con la bolla "Inter gravissimas" riformò definitivamente il calendario, fissando una volta per tutte (e per tutti !!!) il primo gennaio come suo inizio. Proprio per tutti però no... Questa intimazione non valse per la Toscana e il suo Granducato che con grande caparbietà e tenacia non volle in nessuna maniera aderire a quel calendario gregoriano che adesso era applicato in tutta Europa. Tale e tanta fu la perseveranza del cattolicissimo Granducato e dei suoi possedimenti(vedi anche Barga)che nemmeno il fiorentino Giovanni de' Medici quando giunse al soglio di Pietro (1605) con il nome di Papa Leone X convinse il granduca Ferdinando I ad attenersi al nuovo calendario, nemmanco le giustissime motivazioni del Santo Padre persuasero il regnante
toscano: adottare questo calendario avrebbe significato minori confusioni politiche e uno snellimento dei commerci. Non ci fu niente da fare, per la Toscana l'anno sarebbe continuato ad iniziare il 25 marzo. Le tradizioni, la cultura e le usanze valevano più di qualsiasi altra cosa e allora come non poteva "Fiorenza", la città dei fiori, porre l'inizio dell'anno con l'avvento della primavera e soprattutto, Firenze era la città devota alla Madonna, a lei furono intitolati i templi maggiori, dalla SS Annunziata (dove il capodanno era celebrato con grandi feste al cospetto dell'affresco miracoloso della Madonna stessa), ma anche la stessa cattedrale di Santa Maria del Fiore alludeva (ed allude) alla rinascita della natura e al tempo stesso alla "rinascita" dell'umanità nel giorno dell'Incarnazione. Insomma, da quel momento per tutta la Toscana granducale la disobbedienza papale perdurò ancora per 167 anni, quando un bel dì il granduca Francesco III di Lorena stufo di tutta questa manfrina abolì gli antichi usi e impose anche per la Toscana che l'anno dovesse cominciare il 1° gennaio. Era il 20 novembre 1749, con il 1° gennaio 1750 iniziò per tutto il Granducato (c
ome era già in uso da molto tempo in molti
altri stati italiani e stranieri)
 la nuova conta degli anni. Le motivazioni che portarono l'illuminato granduca a questa sofferta decisione furono assolutamente tutte giustificate e al passo con i tempi, innanzitutto volle dare un uguale modalità di inizio anno in tutti i suoi possedimenti e più che altro in un Europa percorsa e unita da flussi e traffici di persone, merci e capitali non aveva più alcun senso mantenere un sistema di conta degli anni insolito e desueto, per cui:"...allo scopo di evitare ogni confusione e difficoltà nel discernere il tempo ha comandato, con la legge del 20 novembre 1749, che l'epoca e gli anni della salvezza dell'uomo, che solevano essere conteggiati dalle popolazioni toscane a partire da diversi giorni, vengano da tutti fatti iniziare in un unico ed identico modo, così che non venga più osservato il precedente
costume, contrario a quello dell'Impero Romano, ma che a partire dal prossimo anno 1750 e in perpetuo, il 1 gennaio che segna l'inizio del nuovo anno presso gli altri popoli, venga celebrato ed usato nel conteggio del tempo anche con il consenso del popolo toscano"
. Firmato: Cesare Francesco Pio, Fortunato, Augusto, Duca di Lorena e Bar e Granduca di Toscana, nato per il benessere della collettività, amplificatore della Pace, difensore della concordia e Salvatore del mondo... 

mercoledì 17 marzo 2021

Quando l'emigrante garfagnino cadeva nella trappola del "padrone system"...

Il Castle Garden di New York, l'Hotel degli Immigrati di Buenos
Aires e l'Hospedaria di San Paolo non li troveremo su Trip Advisor fra i miglior hotel del continente americano. Direi proprio di no. In verità queste strutture erano più vicine ad un lager che ad un albergo a quattro stelle e anche i nostri emigrati garfagnini lo sapevano bene. Castle Garden, ossia "il Giardino del Castello" era tutt'altro che un giardino, in realtà nella sua origine era un forte militare meglio conosciuto come Fort Clinton. Nel 1847 questo edificio divenne il centro di smistamento della prima grande ondata immigratoria negli Stati Uniti d'America. Una pubblicità ingannevole diffusa anche in Italia descriveva questo posto decantandone le sue  virtù. Già il suo
Castle Garden
leggiadro nome "Il giardino del castello" faceva apparire questo luogo come un posto sereno e confortevole, dove al suo interno esistevano persone cordiali, pronte a ricevere l'immigrato con tutte le gentilezze possibili, anche le stesse pratiche burocratiche venivano presentate come semplice formalità, ma la realtà era ben diversa: "era sommerso da un flusso enorme di esseri umani confusi, spaventati, carichi di fagotti, accalcati gli uni contro gli altri, in preda al panico, mentre venivano intruppati come animali in file che molto lentamente passavano davanti a funzionari indifferenti". Le stesse autorità nei loro giudizi su questo luogo e sulla gente che vi era internata non andavano tanto per il sottile, il 6 novembre 1879 il New York Times pubblicò in un articolo una dichiarazione del Sovraintendente del Castle Garden:" Tra i
Castle Garden oggi
passeggeri di terza classe c'erano 200 italiani, la parte più lurida e miserabile di esseri umani mai sbarcata". Questo centro rimase in funzione fino al 1890, quando l'amministrazione federale decise di aprire una stazione più funzionale: Ellis Island, l'isola delle lacrime... Molti garfagnini giunsero anche in Argentina e sicuramente passarono dall'Hotel degli Immigranti di Buenos Aires. Questo "hotel" era un enorme edificio di quattro piani, capace di ospitare fino a tremila persone, fu costruito fra 1906 e il 1911 con lo scopo di ricevere e dare assistenza a tutti gli immigranti che raggiungevano la capitale argentina. Al pianterreno c'era la cucina e la sala da pranzo, ai piani superiori c'erano le camerate, quattro per piano, tali camerate potevano contenere fino a 250 persone che dormivano tutte in delle  cuccette prive di
L'Hotel degli immigrati
 di Buenos Aires
materassi, questi erano rimpiazzati da stuoie di cuoio per evitare infezioni o malattie. Nell'albergo i nostri immigrati potevano sostare gratuitamente per cinque giorni, durante quei giorni l'immigrato doveva trovare lavoro, in caso contrario molte persone erano costrette a vivere li per settimane e settimane fino a che, qualche parente o conoscente (che già viveva a Buenos Aires) non andava a cercarli. Un'altra delle mete migratorie predilette dei garfagnini era il Brasile, non si direbbe ma fra il 1875 e il 1914 circa ottantamila toscani partirono per quella lontana terra. I flussi maggiori di questi immigrati toscani provenivano infatti dai territori della Lunigiana e Garfagnana. Per capire bene quale fu la proporzione di questo fenomeno "brasilero" è necessario sottolineare i dati ufficiali del 1910 che evidenziarono la netta predominanza delle due aree geografiche che rappresentavano da sole il cuore dei movimenti migratori regionali, superiori a quelli di ogni altra provincia del Regno. Rimane il fatto che le destinazioni conclusive di quel lungo viaggio erano due "Hospedaria": quella di Rio di Janeiro e di San Paolo. Quella di San Paolo fu il traguardo di molti
Hospedaria di San Paolo
garfagnini. Questa enorme costruzione era sita sul terreno nel bairro del Bras, era progettata per ospitare tremila persone, arrivò comunque a stiparne fino ad  ottomila. La struttura offriva tre pasti principali, assistenza medica e dentistica. Tutti dormivano in ampie camerate in attesa di un lavoro che molto probabilmente sarebbe arrivato dalle piantagioni di caffè. Era proprio per questo motivo che quel centro d'accoglienza era l'unico che non era all'interno di un porto, gli immigrati venivano caricati sui treni merci che collegavano San Paolo, una volta arrivati nella grande città brasiliana venivano fatti scendere, e in una scena che ricorderà negli anni che verranno altri tragici momenti, venivano selezionati e smistati per la manodopera necessaria per il faticoso lavoro nelle fazendas, le grandi aziende agricole dedite alla coltivazione del caffè. Insomma, quello che rimane chiaro è che questi luoghi, erano luoghi di speranza e di attesa, ma soprattutto erano luoghi di sofferenza. Ad alimentare questa sofferenza talvolta erano gli stessi emigrati italiani verso i loro stessi connazionali, in quello che è conosciuto come il fenomeno del "padrone system". Tanto era umiliante e degradante questa pratica che non troveremo
testimonianze dirette di chi fu colpito da questa brutta esperienza. La vergogna e l'imbarazzo dell'emigrante era superiore a qualsiasi voglia di rivalsa o di denuncia, quello che è chiaro che anche molti garfagnini caddero nella trappola tesa dai loro stessi compatrioti arrivati prima di loro. Tutto accadeva ai tempi della "grande emigrazione"(dal 1861, agli anni '20 del 1900) a New York nel già citato centro d'accoglienza di Castle Garden che nelle intenzioni doveva essere un centro a cui tutte le imprese e le persone che avessero avuto bisogno di assumere lavoratori dovevano far capo. In pratica la cosa fu ben diversa, gli immigrati venivano trattati e contrattati come alle fiere del bestiame che si facevano a quei tempi in Garfagnana, in una sorta di mercato degli schiavi. Fu in questo clima che nacque il "padrone
system". Già lo stesso nome la dice lunga su questa abbietta pratica. Di solito anche gli stessi immigrati italiani (un po' come succede adesso) tendevano ad "americanizzare" ogni parola, questa volta furono gli stessi statunitensi a lasciare per integro quel termine italiano "padrone" per distinguere bene l'origine di questa nefandezza. In pratica tutto ruotava intorno ad un boss (un padrone) che in cambio di una tangente procurava ai nuovi emigrati una pronta occupazione. Il padrone rimediava anche un alloggio in una lurida pensione a cifre esorbitanti, ed inoltre offriva lavori di durata settimanale per riscuotere in questo modo più frequentemente la tangente sull'ingaggio. In breve, quando si cadeva nelle mani di questa brutta persona, era certo che il suo compito era quello di spremere lo sventurato, il più possibile e il più a lungo possibile. Fu un'antica prassi consolidata questa, purtroppo oggi in Italia esiste ancora e porta il nome di "caporalato". Una pratica attuata sui quei migranti stranieri che sbarcano nel nostro Paese. Qui il giro d'affari non è quello di oltre un secolo in America, le cifre sono maggiori e a dir poco esorbitanti. Tale fenomeno oggi è un businnes da 4,8 miliardi di euro (dati 2019) che colpisce i lavoratori extracomunitari del settore agricolo nel sud Italia, mentre al nord è coinvolto il settore edile e anche al tempo, come oggi, il "padrone system" continuava per il
povero emigrato fuori dall'orario lavorativo, nella vita di tutti i giorni. Il boss difatti dava in affitto baracche simili a case che dai datori di lavoro otteneva gratuitamente e che affittava al malcapitato di turno a suon di dollari che gli venivano trattenuti dalla busta paga. Ma non solo, anche i piccoli negozietti, gli spacci di merci ed alimentari dove andavano a comprare i nuovi immigrati erano gestiti dallo stesso boss, naturalmente i prezzi in queste botteghe erano altissimi, talvolta la mercanzia costava il cinquanta per cento di più dei prezzi correnti. Quello che posso dire al mio caro lettore è che sarebbe ingiusto accusare l'emigrante garfagnino d'ingenuità, faciloneria e di creduloneria, bisogna calarsi nella mentalità garfagnina di 110 anni fa, i nostri avi erano nati in una terra semplice, questi atti erano inimmaginabili nella testa del garfagnino di quel tempo, i nostri paesi erano comunità dove ognuno si aiutava reciprocamente nelle faccende domestiche e di vita sociale. Loro malgrado furono catapultati in una realtà totalmente diversa e nel vero senso della parola in un nuovo mondo dove non conoscevano la lingua, gli usi
locali e non avevano relazioni sociali, perciò affidarsi a una persona (per di più della solita nazionalità) che  prometteva di aiutarti era quasi la normalità. Quello che mancava era infatti un'istituzione che vigilasse su questi biechi andamenti e se non ci pensò il governo americano ci pensò Santa Romana Chiesa con la 
St. Raphael’s Italian Benevolent Society. Questa organizzazione cattolica fu la principale istituzione cattolica che operò fra il 1891 e il 1923 per l'assistenza agli immigrati italiani negli Stati Uniti. L'idea di una organizzazione di assistenza agli emigranti italiani che nella seconda metà dell'ottocento si recavano ormai numerosissimi in America fu promossa da Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza, il quale a partire dal 1876 scrisse numerosi articoli sulla stampa cattolica richiamando l'attenzione sulle difficili condizioni materiali e spirituali degli immigranti in mancanza di un sostegno più attivo da parte della Chiesa cattolica. Il 25 novembre 1887 con la lettera apostolica Libenter Agnovimus egli ricevette l'approvazione pontificia da Papa Leone XIII alla costituzione di una congregazione missionaria, che formasse dei religiosi specificamente specializzati in questa missione. Intanto nel 1890 padre Pietro
Bandini (gesuita missionario) 
fu incaricato di costituire l'organizzazione a New York, punto di arrivo delle navi degli emigranti. Giunto a New York il 29 marzo 1891, Bandini si mise subito al lavoro, assistendo già nel primo anno oltre 20.000 persone, aiutandole nelle pratiche di immigrazione e fornendo anche alloggio temporaneo a chi ne avesse bisogno nella sede della Society. Molti garfagnini furono così sottratti dalle grinfie dei padroni. Negli anni a venire nacquero altre associazioni simili che  forzarono la mano al governo americano perchè varasse una legge a tutela degli immigrati. Il caso NON volle che questa legge prese il nome di "Padrone Act". Fu così che nel 1930 il "padrone system" era praticamente estinto. Della serie "volere è potere"...

Bibliografia

  • "Storie di ieri e di oggi, di donne e di uomini. I migranti" Fondazione Paolo Cresci per la Storia dell'Emigrazione Italian

  • Gianpaolo Zeni, En Merica! L'emigrazione della gente di Magasa e Valvestino in America, Cooperativa Il Chiese, Storo 2005

giovedì 11 marzo 2021

I Liguri Apuani: non solo rudi guerrieri, ma anche abili commercianti

Ce li hanno raccontati sempre come uomini rudi, violenti, sanguinari
e predatori, ma loro non furono solo questo. I Liguri Apuani, gli antichi abitanti delle terre garfagnine (e non solo), erano anche altro, infatti nessuno lo direbbe ma furono anche degli abili commercianti. Allora voi mi direte che cosa vuoi che commerciasse un popolo che faceva dell'aggressività la sua forza? E poi, cosa avevano da dare abitando una terra ricoperta da alberi, rocce e animali selvatici? Bhe, l'abilità del bravo commerciante stava proprio lì, adattarsi all'ambiente in cui viveva e perciò offrire "al cliente" di turno quello che la natura donava a loro. Naturalmente tutto si basava sul baratto: "io ti do, tu mi dai" e questa forma di commercio esisteva già nella preistoria, addirittura anche altre civiltà più evolute come gli egizi attuavano questa "forma commerciale", ma fra tutti i veri commercianti della storia furono i Fenici, come loro nessuno mai. Il loro fu un commercio marittimo, veleggiavano con le loro navi in tutto il Mediterraneo vendendo prodotti a dir poco
pregiati: porpora, oro, argento, rame. Consideravano il commercio la loro attività più importante fino al punto che oltre a possedere una fornita flotta commerciale possedevano anche una potente flotta militare che serviva soprattutto a proteggere quelle rotte commerciali fenice dai predoni e dai pirati. Insomma, per farla breve in quanto a questo i Liguri Apuani non avevano niente a che vedere con i Fenici, gli stessi Apuani non  consideravano il commercio un'attività preminente, però in qualche maniera anche loro riuscirono a tessere una rete commerciale di tutto rispetto. Già a partire dall'età del ferro (500 a.C -332 a.C) quando i mercanti stranieri passavano per le nostre terre scambiavano con loro i propri prodotti che Madre Natura metteva a disposizione. In questo caso facendo un azzardato parallelismo possiamo dire che i prodotti erano i soliti  che i nostri nonni e bisnonni commerciavano nei mercati garfagnini di una volta: formaggi, lana, pelli, cera d'api e miele, ma non solo, probabilmente vendevano legname, carbone e le loro personali
creazioni: vasellame e ornamenti. In cambio cosa avrebbero ricevuto? Tutti quei prodotti che (anche) nella Garfagnana odierna non sono di eccelsa qualità: vino e olio, oltre a ceramiche di provenienza etrusco-italica e soprattutto... armi. Con quelle armi avrebbero poi sviluppato il commercio a loro più redditizio, il loro principale "prodotto", quello che sapevano fare meglio: i mercenari. All'occorrenza sapevano vendere se stessi "nell'arte" a loro più congeniale: il combattimento. Capitava sovente che quando qualche popolazione italica nelle proprie guerre aveva bisogno di "manodopera" si rivolgesse proprio agli Apuani che in cambio della loro "opera" ricevevano stoffe, ceramiche e quant'altro. Il loro commercio non si fermava solo qui e come se fossero stati degli affermati imprenditori del XXI secolo a quanto pare concedevano agli stessi etruschi "permessi" per l'escavazione di marmo nei propri territori. Insomma i nostri Liguri Apuani conoscevano la propria terra a menadito, questa conoscenza la riversavano al personale tornaconto proprio come quando da guide ante litteram aspettavano negli sbocchi delle valli i mercanti stranieri che dovevano oltrepassare i passi appenninici o eventualmente andare verso il mare per imbarcare i loro prodotti. In conclusione a tutto
non rimane che dire che per conoscere qualcuno o qualcosa non bisogna fermarsi solo alle apparenze o a quanto leggiamo: bisogna approfondire... Apuani docet...

Bibliografia

  • "Ligures Apuani" di Michele Armanini, ed Libreria Universitaria anno 2015
  • "L'insediamento etrusco nella Valle del Serchio" G. Ciampoltrini 1998
  • Aggiunta all'articolo:
  • Il disegno di copertina non rappresenta nei particolari l'articolo in questione, ed è puramente rappresentativa

mercoledì 3 marzo 2021

"La Garfagnana storica"... ecco i suoi discussi confini...

Addentrarsi nell'argomento che affronterò nelle prossime righe è come fare un percorso ad occhi bendati su un campo minato, forse sarebbe meno insidioso passeggiare in una gabbia di leoni. E in effetti quando si parla d'identità, di confini e di appartenenze si rischia sovente di cadere nella trappola dei campanilismi più reconditi della persona e la conseguenza di ciò porterebbe alla faziosità più estrema dell'indole umana. Lungi da me questa intenzione, per l'amor di Dio, ma è bene chiarire una volta per tutte quali erano i confini storici della Garfagnana... Barga era dentro o era fuori? La Garfagnana terminava a Minucciano? Ed è vero che Gallicano è stato sempre il confine meridionale della regione?. Introduciamoci allora in quella che era la cosiddetta "Garfagnana Storica". Per fare questo non rimane che "armarci" di documenti, di fornire fonti e testi e di conseguenza far parlare questi, in modo da togliere ogni dubbio al mio caro lettore che quanto scriverò è tutto provato nei documenti d'archivio. Cominciamo con lo stabilire i confini attuali della Garfagnana. I comuni situati più a nord sono Minucciano e Sillano- Giuncugnano che rispettivamente
Sillano
 fanno da delimitazione fra la Lunigiana e la provincia di Reggio Emilia. A sud, Gallicano e Fabbriche di Vergemoli sono il limite meridionale, tale confine prosegue su tutta la riva destra del fiume Serchio fino al Ponte di Campia, lasciando sulla sponda opposta Barga e Coreglia come comuni confinanti. In breve possiamo considerare Garfagnana i comuni di: Camporgiano, Careggine, Castelnuovo, Castiglione, Fabbriche di Vergemoli, Fosciandora, Gallicano, Minucciano, Molazzana, Piazza al Serchio, Pieve Fosciana, San Romano, Sillano-Giuncugnano, Vagli, Villa Collemandina. Questa disposizione amministrativa se si vuole è recentissima, perchè questi attuali
Gallicano
pertinenze sono da attribuirsi al periodo napoleonico(salvo che i recenti accorpamenti dei comuni degli ultimi anni). Un decreto di Napoleone del 21 febbraio 1804 stabiliva che una parte della valle doveva essere annessa ai territori del Dipartimento del Panaro, che a sua volta veniva suddiviso in otto distretti, uno dei quali era Castelnuovo Garfagnana che sotto la sua giurisdizione aveva 21 comuni (fra i quali anche Soraggio, Sillicano, Sassi e altri ancora). La successiva modifica del 1806 portò oltre che un nuovo Stato d'appartenenza (il Principato di Lucca e Piombino) ad uno snellimento "burocratico" che arrivò a identificare la Garfagnana in 17 comuni (più o meno quelli odierni). Ma non sempre fu così... La parola, o meglio, la regione Garfagnana aveva prima di quella data tutt'altri confini e non a caso, come spesso si sente dire, si parla frequentemente e con opinioni diverse di "Garfagnana Storica". Ebbene il discorso è complesso o perlomeno non tanto difficile da comprendere, ma al quanto tortuoso e contorto. Cominciamo con il dire che l'uomo antico e saggio per suddividere zone e regioni partiva da un presupposto principale: la cosiddetta omogeneità culturale, soprattutto in fatto di tradizioni e vita sociale. Proprio per questo vediamo che nel 1300 c'era ancora una 
De Montibus
parte di studiosi e letterati che poneva(giustamente come direbbe uno studioso di etnografia) una buona parte di Garfagnana sotto l'influenza ligure, vista la discendenza che aveva la valle con la remota popolazione dei Liguri-Apuani. A conferma di questo il Boccaccio nel 1360 nella sua opera geografica il "De Montibus" parlando di confini garfagnini diceva che "il monte Pietra Apuana è proteso dall’inizio dell’Appennino dei già Liguri Friniati verso la pianura lucchese e da qua verso il mare Ligure e Tirreno e la vecchia città di Luni, quindi guarda verso la piana pistoiese e quella fiorentina e si avanza verso i gioghi dell’Appennino sud-orientale". Comunque sia, alcune carte del VIII secolo identificano "Carfaniana" i territori delle Pievi di Offiano (nei pressi dell'attuale Casola Lunigiana), Castello e Vinacciara (Alta Valle Aulella), nella diocesi di Luni. Non è escluso che tale nome comprendesse tutto il resto della zona, visto che le fortificazioni di Piazza al Serchio, Castelnuovo e Coreglia già in epoca bizantina potrebbero essere state le sedi "del distretto limitaneo carfaniense" (ossia dei presidi militari di frontiera). Quello che è sicuro che di li a qualche tempo dopo dei documenti ecclesiastici lucchesi chiamano Garfagnana i territori a nord di Molazzana (IX secolo)e che da documenti posteriori al 1000-1100 sono pressochè concordi nel porre il confine meridionale della Garfagnana sui fiumi Pedogna (attuale comune di Pescaglia) e Fegana (Bagni di Lucca). In pratica intorno all'anno mille possiamo considerare Garfagnana i territori a nord di Piazza al Serchio, e tutti gli altri territori che scendono a valle fino ad arrivare al torrente Pedogna. Perciò una zona ben circoscritta, ben definita anche da un punto di vista culturale e linguistico e come tale, a quel tempo era così avvertita. Naturalmente per gestire cotanto territorio non bastarono solo le affinità culturali, ma come in tutte le cose ci volle metter bocca la politica e sempre in epoca longobarda-bizantina (e forse già in quella romana) la Valle del Serchio fu divisa in due grandi
distretti: il "fines Carfanienses"(territori di Piazza e Careggine)e il "fines Castrinovi"(suddivisi nelle Pievi di Gallicano, Pieve Fosciana e Loppia). Esisteva anche un terzo distretto, il "fines Contronenses" (pievi d Controne-Monti di Villa e Crasciana). Quello che emerge chiaramente da questa suddivisione è che questo terzo distretto non era da considerare nei territori garfagnini, la Val di Lima e le stesse Pizzorne erano(secondo le valutazioni bizantine) nettamente separate, mentre a buon titolo erano considerati nei confini garfagnini la Pieve di Loppia (quindi gli attuali comuni di Barga e Coreglia) e la Pieve di Gallicano e i suoi territori annessi che comprendevano parte dei paesi del comune di Borgo a Mozzano (Gioviano, Motrone e San Romano). In epoca medioevale (basso medioevo) la situazione differisce un po' e da numerosi atti privati e pubblici in cui viene ribadito che Barga e Coreglia fanno parte della Provincia della Garfagnana, vengono compresi in questa provincia anche Borgo a Mozzano, Diecimo, Pescaglia, Gello e Convalle. Infatti per gli stessi lucchesi, fino al XV secolo era compresa nella Garfagnana tutta la Vicaria di Coreglia e di conseguenza anche Pescaglia e Borgo a Mozzano a nord della 
Coreglis
Pedogna
, ad avvalorare ciò c'è la conferma che il Pescaglino aveva come unità di misura quella garfagnina e non quella lucchese. Rimane il fatto che anche da questi documenti si può continuare ad affermare che sia la Val di Lima che le Pizzorne e i territori a sud della Fegana anche in quel periodo storico non erano affatto garfagnini, ma bensì erano già parte del lucchese. Questo stato di cose perdurò almeno fino al 1700-1800, quando sulle mappe si può vedere la Garfagnana divisa in tre distinte zone: la Garfagnana estense (Fabbriche di Valico e da Fosciandora in poi verso nord), Garfagnana lucchese (Borgo a Mozzano, Coreglia, Pescaglia, Gallicano, Castiglione e Minucciano) e Garfagnana Toscana (Barga). Una delle ultime delucidazioni di quelli che furono gli "storici" confini garfagnini prima dell'avvento di Napoleone e quindi della sua nuova (e quasi definitiva) disposizione amministrativa, la dà Pellegrino Paolucci nella sua opera datata 1720 "La Garfagnana Illustrata": "La Garfagnana a levante e a settentrione, tirando a ponente confina colla Lombardia(n.d.r: considerata Lombardia i territori al di là dell'Appenino)sulle cime de monti San Pellegrino, Corfino, Soraggio, Sillano, Dalli ed altri villaggi. A mezzo dì confina con lo Stato di Lucca, per mezzo del ponte di Calavorno, Fegana ed altri luoghi, e confinerebbe da quella parte con Barga; anche se quel Contado si comprende sotto il nome di Garfagnana (n.d.r: nel 1720 Barga,
nonostante la sua "fiorentinità" era considerata ancora facente parte del territorio garfagnino). Passo a ponente dove confina con la Lunigiana soggetta al Granduca di Toscana e alla Vicaria di Minucciano de' Signori Lucchesi. Dalla parte australe delle Panie per mezzo dei Monti Sagatonici confina con lo Stato di Massa ; verso il Forno Volastro (n.d.r: Fornovolasco)confina con Seravezza. Da Vagli passa a mezzo dì nelle giurisdizioni di Pietra Santa e di Montignoso e di altri luoghi. La sua lunghezza discende di venticinque miglia incominciando da Pratoreno (n.d.r: Pradarena), monte distante cinque miglia da Sillano, fino al fiume Fegana, che sotto Vitiana sbocca nel Serchio". D'altra parte, come possiamo vedere rimane e rimarrà tutta una questione di confine. Faccende tutte legate alla volontà dell'uomo che da sempre attraverso quella linea immaginaria ha stabilito che qui c'è mio e là c'è tuo. Un confine presume diversità, un confine talvolta racchiude attriti e incomprensioni e allora sempre a proposito di confini Gianni Rodari nella sua emblematica poesia "Il cielo è di tutti" volle far capire ad ognuno degli "amanti" dei campanilismi che... "
Spiegatemi voi dunque, in prosa o in versetti, perché il cielo è uno solo e la Terra è tutta a pezzetti".

Bibliografia

  • "De Montibus" Giovanni Boccaccio , edizione originale 1371 (rieditato)
  • "Ligures Apuani" di Michele Armanini editore Libreria Universitaria
  • "La giudicatura di pace di Castelnuovo Garfagnana in età napoleonica". Tesi di laurea in storia contemporanea di Dennis Favali anno 2015 2016
  • "Terre di confine" AA.VV Archivio di Stato Lucca
  • Luigi Angelini" Panoramica della storia ecclesiastica in Garfagnana" Atti del convegno Modena 2008 pag 129-172
  • G. Santini "Unità e pluralità distrettuale nella stoia millenaria della Garfagnana" in "La Garfagnana storia cultura arte" Atti del Convegno Castelnuovo Garfagnana, settembre 1992
  • "Luni nell'alto medioevo" P.M Conti, Padova 1967
  • "Inventari di terre coloni e rendite"  AA.VV  Roma 1979
  • "I bagni di Corsena e la Val di Lima lucchese dalle origini al XVI" Giambastiani Lucca 1996
  • "La Garfagnana dai Carolingi ai Canossa. Distretti pubblici e amministrazione del potere" in "La Garfagnana dai Longobardi alla fine della Marca Canossana" Atti del Convegno Modena 1996, pag 147-195
  • "Garfagnana medievale appunti storici" Guidugli 1982