mercoledì 20 settembre 2017

Gli "Enemy Aliens" garfagnini. L'internamento degli italiani in America nella II guerra mondiale

Queste sono le dolorose vicende accadute durante la II guerra
l'ingresso nel campo di concentramento
di detenuti italiani
mondiale a due famiglie originarie della Valle del Serchio, che in questo articolo hanno scelto di rimanere anonime. Sono due famiglie che oggi (e come al tempo dei fatti) vivono serenamente e agiatamente negli Stati Uniti d'America, una proveniente da Barga e da tre generazioni residente in California, mentre l'altra è di Vergemoli ed è nello stato dell'Oregon da circa novant'anni. Hanno una cosa in comune, oltre alla solita origine, hanno da raccontarci la storia dei loro avi, partiti da emigranti dalla Garfagnana nei primi anni del 1900, pieni di buone speranze di essere accolti nella Terra Promessa d'America come lavoratori e cittadini onesti...e così fu, fino al momento in cui non furono dichiarati "Enemy Aliens", ossia, stranieri nemici.

Chi erano coloro che gli stessi americani identificarono come Enemy Aliens? Tutto cominciò quel maledetto 10 giugno 1940 con la dichiarazione di guerra, quando Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia palesò la volontà di mettere a ferro e fuoco Gran Bretagna e Francia e si concretizzò definitivamente nei fatti l'11 dicembre 1941, quando anche gli Stati Uniti d'America diventarono ufficialmente nostri nemici. A quel punto seicentomila civili italiani e italo -americani regolari che si trovavano sul territorio statunitense furono trattati da ostili e per questo sottoposti a coprifuoco, ai controlli della polizia, al sequestro dei beni e alla
I giornali dell'epoca italiani parlavano già
degli arresti degli italiani negli U.S.A
deportazione in campi di concentramento americani, tutto questo senza aver commesso nessun tipo di reato. Avvenimenti poco conosciuti questi, che anche gli stessi italiani che furono sottoposti a queste restrizioni cercarono presto di dimenticare, sono stati oltre settant'anni di silenzio e giusto negli ultimi lustri comincia a riaffiorare qualche storia che i nipoti e i figli di questi poveri deportati hanno raccolto dai loro nonni, zii o padri, episodi che raccontavano malvolentieri, narrazioni quasi estorte dalle loro bocche, l'amarezza e il pudore affioravano dalle loro parole per un Paese che mai a loro ha chiesto scusa. Ecco allora le testimonianze da me raccolte, grazie all'aiuto fondamentale dell'amico giornalista freelance Francis Poli che mi ha messo in contatto con queste due famiglie sopracitate che mi hanno raccontato le vicende dei loro cari, relegati nel campo di concentramento di Fort Missoula nel Montana. Anche i parenti (come detto) per rispetto alla volontà che fu espressa dai loro antenati hanno preferito rimanere anonimi.

"Il primo a partire- racconta Al (diminutivo di Alfredo)- fu mio padre da Vergemoli. A Vergemoli lavorava nei campi, era il secondo
Il campo di concentramento di Fort Missoula
di nove fratelli e da mangiare per tutti non ce n'era. Prese così la decisione insieme ad uno zio di partire per l'America. Raggiunse così le coste del New England dove lavorò come facchino nei vari porti della zona, poi si presentò l'opportunità di trasferirsi in Oregon a lavorare come taglialegna, qui la paga era buona, così mio padre richiamò anche mia madre dal'Italia. Si stabilirono definitivamente a Medford ed ebbero quattro figli (fra cui io). Purtroppo mio padre morì presto e mia madre rimase sola con i bambini da crescere. Il mondo ci cadde addosso un giorno di novembre del 1942, quando ricevemmo a casa due comunicazioni ufficiali del governo. La prima ci informava che durante l'operazione Torch (n.d.r: l'invasione del Marocco da parte delle truppe americane) mio fratello era deceduto sotto il fuoco avversario durante lo sbarco, mentre l'altra lo stesso governo che aveva portato via un figlio a mia madre per difendere la bandiera a stelle e strisce ci dava notizia che proprio la mia mamma era stata classificata come "enemy alien"...una straniera nemica. Quanto prima doveva prepararsi per essere arrestata ed internata. La polizia e l'F.B.I sarebbero venuti a prenderla"

La cronaca di quel periodo ci racconta che la polizia nel giro di poco tempo chiuse scuole, giornali, circoli italiani, pizzerie, rosticcerie, tutti luoghi sospettati di essere centri di
I giornali americani cosi
dicevano "Gli Italiani
hanno colpito.
Mussolini è in azione qui"
propaganda fascista o addirittura cellule fasciste di reclutamento.

"Mia madre -continua Al- non si riprese più, dopo la liberazione la nostalgia per la Garfagnana fu ancora maggiore, pregava giorno e notte che la riportassimo a vivere all'ombra della Pania, non fu mai possibile se non in qualche breve vacanza, ed è il mio più grande dispiacere"
Per capire bene a che livello fosse in America la psicosi anti-italiana è emblematico il fatto successo a Francesco Di Maggio che abitava a San Francisco, era il padre del più famoso giocatore di baseball di tutti i tempi Joe Di Maggio (futuro marito di Marilyn Monroe), mentre lui era negli stadi a infiammare le folle il suo papà era a casa agli arresti domiciliari per il suo cognome italiano...e lui era fra i più fortunati. Niente in confronto a quello che successe a Mario, partito da Barga in giovanissima età, ben presto dimenticò il paese natio, si trovava bene in California, il clima, la gente, la fidanzata appena trovata e un buon lavoro. Tutto bello fino al giorno in cui tornò a casa dopo aver svolto alcune faccende domestiche e lì trovò la polizia ad attenderlo: "Gli chiesero di seguirlo - racconta il nipote- lui gli rispose perchè, la risposta degli agenti fu lapidaria: sei italiano. A mio nonno gli fu poi sequestrato anche il suo peschereccio, strumento principale del suo lavoro. Lavorava infatti come pescatore e forniva pesce alle industrie del settore. Le autorità portuali dichiararono che il suo peschereccio "italiano", così come tutti quelli "italiani"  presenti sulle coste californiane potevano essere usati per introdurre nel Paese armi o spie".
A causa di tutto questo l'industria della pesca californiana subì un tracollo vertiginoso, gli italiani pescavano il 90% del pesce locale.
Sempre il nipote di Mario ci narra che la stessa sorte di suo nonno la subirono anche i vicini di casa del quartiere italiano: 
"Rimanevo sempre a bocca aperta ed incredulo quando mi diceva che un suo amico paralizzato fu portato via su una sedia a rotelle,
Particolare di Fort Missoula
perdipiù era residente legalmente negli U.S.A da oltre cinquant'anni".

Come detto i più fortunati che per qualche motivo agli occhi dell'F.B.I apparivano meno "pericolosi" se la cavavano con forti costrizioni alla libertà personale, come il divieto di allontanarsi oltre i dieci chilometri da casa e con l'obbligo di firma alla stazione di polizia più vicina, per gli altri la destinazione era il campo di concentramento. Ma com'era la vita in questi campi di prigionia?
" Mio nonno Mario fu rinchiuso a Fort Missoula, e diceva che malgrado l'inquietante presenza del filo spinato e delle torri di guardia sorvegliate da soldati armati non si stava poi tanto male, il mangiare non mancava mai e fu ancor meglio quando arrivò nel campo l'equipaggio di una nave da crociera, si arrivò a mangiare perfino bene, tant'è che anche le guardie stanche del rancio
Internati Italiani
venivano a cenare nelle cucine del campo"
. Insomma niente a che vedere con i lager tedeschi o i gulag russi, capiamoci bene, ma benchè questo, la libertà che è il bene più importante era pur sempre negata.

La caccia all'italiano durò fino alla caduta del regime fascista (25 luglio 1943) e cessò definitivamente con l'armistizio di Cassibile (8 settembre '43), ma già quando il presidente americano Roosevelt alla fine del 1942 era in odor di nuove elezioni presidenziali, desideroso di accaparrarsi il sostegno degli italo americani, allentò fortemente le restrizioni per i nostri connazionali sospendendo di fatto ogni imprigionamento.
Gli internati fecero così mestamente ritorno alle loro vite e alla propria casa:
"Molti - afferma ancora Al- dei nostri amici e conoscenti dopo questa brutta esperienza fecero ritorno in Italia e anche in Garfagnana.Un amica della mamma (nata nel paese di San Romano) e tutta la sua famiglia, compresi i tre figli nati negli Stati Uniti furono tutti arrestati ed imprigionati, ottenuta la libertà lavorò giorno e notte per racimolare soldi per tornare con la sua famiglia in Garfagnana. Il suo terrore era che prima o poi sarebbero tornati per catturarli nuovamente. Quando la signora salutò mia mamma per fare ritorno nella Valle del Serchio si congedò con queste parole: -Meglio poveri, ma liberi a casa propria-"
Oggi parlamentari americani di origine italiana lottano perchè vengano perlomeno riconosciute agli emigranti italiani delle scuse ufficiali che mai ci sono state, un bel documentario intitolato "Bella Vista" (n.d.r: l'ironico nome che i prigionieri avevano dato a Fort Missoula)e un libro della studiosa Carol Van Valkenburg
Mappa dei campi di detenzione americani
("Alien Place") hanno riportato a galla l'attenzione dell'opinione pubblica. Medesima sorte (anzi molto peggiore) toccò ai giapponesi in terra americana, il presidente Clinton però, anni orsono riconobbe la colpa e oltre che chiedere fortemente perdono il governo statunitense pagò un rimborso di oltre ventimila dollari a ogni nippo- americano internato. Agli oltre seicentomila italiani fino ad oggi l'unico tributo è stato il silenzio... e niente più. 



Fonte:

  • Un ringraziamento particolare a Francis Poli giornalista freelance americano ma di chiare origini lucchesi, per avermi segnalato e messo in contatto con le famiglie sopracitate. L'articolo rivisto e integrato verrà pubblicato negli Stati Uniti sul periodico "Voce Italiana", giornale per italo americani di Washington D.C

mercoledì 13 settembre 2017

"Il tiro della forma". Storia e origini di uno sport e di un mondo tutto particolare...

Il momento del lancio
Chi vuole identificare la Garfagnana in un gioco non può pensar
altro che a "Il tiro della forma", inutile girarci intorno la passione, l'esaltazione e il fanatismo che ha dentro di sè questo sport nemmeno il calcio. Ormai si pratica in pochi luoghi della nostra valle, ma dove ancora si gioca intorno a se vive un mondo particolare, fatto di varia umanità, di strategie, di alleanze e di... scommesse. E' sempre stato così fin dai secoli scorsi, in certe epoche per evitare disordini sociali fu anche proibito il suo svolgimento in modo da tenere pacifiche le nostre umili comunità. Infatti il gioco ha origini antichissime e come ogni gioco che si rispetti ha le sue regole e le sue leggi. Ma andiamo per gradi e prima di approfondire l'argomento spieghiamo bene a chi non conosce questo passatempo in cosa consiste. Le sue regole generali sono semplici a dirsi: fra due contendenti vince colui che riesce a tirare (o meglio a far rotolare) una forma di formaggio il più lontano possibile, detto così lo scopo del gioco può essere quasi puerile, al limite dell'infantile, ma alla fine di questo articolo il mio ignaro lettore cambierà idea.
Il luogo in cui si svolge oggi (e sempre si è svolto) è all'aria
Il campo di gioco: il tiro (Gallicano anni 80)
(tratta da Daniele Saisi blog foto di
Adolfo Da Prato)
aperta, di solito è situato all'ombra dei nostri secolari castagni o nelle piane del fiume, nei tempi remoti il gioco si svolgeva però per le vie dei paesi. Ma per quale motivo in Garfagnana è nato e si è sviluppato questo anomalo e bizzarro divertimento? L'illustrissimo professor Alcide Rossi nel suo libro "Folklore garfagnino" del 1967 individua tre cause, la prima fa riferimento alle caratteristiche economiche della Garfagnana e quindi alla forte attività pastorizia e alla conseguente abbondanza di formaggio pecorino, la seconda la si può ricercare nelle scarse e disagiate vie di comunicazione per raggiungere i borghi vicini, perciò per rompere la monotonia paesana i pastori locali s'inventarono questo svago per grandi e piccoli, la terza causa stava nel poco costo e nella grande produzione di
il raro libro di Rossi di
mia proprietà
formaggio, per questa ragione perderlo o vincerlo non incideva in maniera particolare sul portafoglio del giocatore. 

Prima di cominciare una partita seria a monte di tutto esisteva un cerimoniale vecchio di secoli, così agli inizi del 1900 a Castelnuovo (in località Carbonaia) il giovedì verso le due quando terminava il mercato cittadino, gli uomini raggiungevano "il tiro"
(n.d.r: così si chiama il luogo della competizione), appassionati e curiosi si accalcavano nel luogo stabilito pronti ad assistere ai consueti rituali; uno dei partecipanti si avvicinava alle pile delle forme di formaggio e una volta scelta la più adatta a sè (secondo gli allenamenti fatti o al proprio fisico)l'alzava in alto in segno di sfida, una volta che questa era stata accettata ci si accordava sulle regole da mettere in campo, giacchè erano tre le varianti della competizione. La prima era quella classica ed era chiamata "la scinta" e consisteva nel lanciare la forma una sola volta, il più lontano possibile, oppure si poteva
il momento della scelta della forma
(archivio Pascoli.Comune di Barga)
anche scegliere per "la sfunata e rivolta", ossia era possibile fare anche un tiro (oltre che di andata) di ritorno sul medesimo percorso. Il cosiddetto "rivoltatiro" era la seconda opzione, qui i due giocatori facevano il proprio lancio dalla medesima posizione e il secondo in direzione opposta nel punto esatto in cui si era fermata la forma dell'avversario nel tiro precedente. Infine la terza e ultima modalità era chiamata in maniera diversa da paese in paese e così la si poteva denominare sia "vantaggio", "resa", "aggiunta" o "abbuono" e veniva solitamente applicata quando era evidente la differenza di forza fra un competitore ed un altro, in questo caso il più forzuto concedeva qualche metro di vantaggio al più mingherlino, questo vantaggio veniva misurato "a pugno" o a "bracciata". Vediamo gli strumenti indispensabili per qualsiasi rispettabile concorrente, Alcide Rossi descrive minuziosamente in
Qui si vedono bene il tricciolo,
 la manetta, il briolo e il bracciolo

termini tecnici tipicamente garfagnini tutti gli utensili per una buona partita e spiega che stabilita la modalità di gioco la forma viene bucata sul dorso, in modo da identificarla come prenotata e sopratutto tale buco servirà per introdurvi il piccolo nodo che si trova sull'estremità del "tricciolo". Il "tricciolo" è una cinghia intrecciata fatta solitamente di canapa ed è l'indispensabile attrezzo che serve per avvolgere, lanciare e dare il movimento rotatorio alla forma, normalmente non è larga più di due o tre centimetri e la sua lunghezza deve essere tale da arrotolare tre volte e mezzo le piccole forme e quattro volte le grandi, termina con una "manetta", un passante in cui il giocatore introduce la mano, altro aggeggio essenziale e il "brioloun traversino di legno di cinque o sette centimetri che si afferra fra il dito indice e il medio e serve per sostenere e tener ben ferma la forma. Fondamentale per la salute del giocatore è invece il "bracciolo", cioè un bracciale di cuoio di otto centimetri di larghezza da mettersi ben stretto al polso, che fa si che i tendini del polso stesso non si strappino, in special modo quando si tirano forme che superano i quindici o anche i trenta chili di peso.
Prima di effettuare qualsiasi lancio esiste anche una parte squisitamente tecnica, dove i giocatori controllano le forme di formaggio, le battono con le nocche per verificarne la compattezza e
vengono anche provate sul terreno di gioco per vederne l'equilibratura, viene poi ispezionato anche il rettilineo dove si svolgerà la partita per ravvisare bene quale percorso fare alla propria forma.
Un semplice pari o dispari decide chi inizia per primo:
"L'atleta sorteggiato per primo cinge la forma il più aderente possibile con il "tricciolo" introduce la mano nella "manetta", aggiusta "il briolo" ad una distanza tale da essere strettamente afferrato, alza e abbassa alcune volte il braccio quasi a provarne la perfetta elasticità e si  accinge "a sfunare" cioè a lanciare la forma. La folla che nel frattempo vociava e lanciava frizzi come per incanto al grido di "eccola, eccola" sgombra la pista tirandosi ai margini e sgrana gli occhi su tutti i movimenti del tiratore, il quale prima inizia la rincorsa adagio adagio, poi accelera sempre più e giunto alle vicinanze del segno, precedentemente fatto sul terreno e che non deve oltrepassare, spicca un salto e "sfuna" o "scinge" la forma"
Già il salto. Il salto sembra una cosa da poco ma è basilare per una

(Archivio Pascoli-Comune di Barga)

buona riuscita del lancio, importante è che sia eseguito al tempo propizio, con eleganza ed elasticità nei movimenti. La partita naturalmente si concludeva con un vincitore che generalmente diventava proprietario della forma, almeno che non ci fosse stato il precedente accordo di giocare "a gode", in quel caso la forma veniva totalmente pagata dallo sconfitto che però aveva diritto alla metà. Una regola a cui si conformavano tutti "i tiri" della valle era quella che se nel caso la forma di formaggio si fosse spaccata per un urto o altro qualsivoglia incidente ai competitori spettavano i pezzi più grossi e gli spettatori più svelti (di solito erano i bambini) si potevano accaparrare il resto. Per chi non ha conosciuto questi luoghi non può immaginare cosa ci girava intorno, tutto questo rappresentava un momento di forte aggregazione, la folla che assisteva alle partire era pervasa da emozioni forti che rasentavano la totale esaltazione: 
" Era tutto un vociare, uno stringere mani, un dare consigli ai
L'ambiente del tiro
Gallicano anni'80 (tratta da
Daniele Saisi blog foto di Adolfo Da Prato)

(
tiratori, un sussurrare all'orecchio dell'atleta su cui era stata puntata la somma, chissà quali raccomandazioni segrete, un agitarsi frenetico ed un trinciar giudizi su questo o su quel tiratore"
I giocatori più forti erano visti come delle vere e proprie star, la loro fama si spandeva per tutta la Garfagnana, ma naturalmente quello che attirava (e attira) di più la gente erano (e sono) le scommesse, la possibilità di racimolare un bel gruzzoletto la faceva da padrona e si puntava dalle piccole somme a somme ben consistenti su questo o su quel giocatore, allora a quel punto la trepidazione saliva di partita in partita e l'agitazione si sentiva nell'aria, speranza e timore erano i sentimenti che prevalevano e di li a poco gli animi si sarebbero sicuramente surriscaldati (aiutati da qualche bicchiere di vino) e non era difficile che al culmine della partita ci fosse qualche contestazione sulla sua regolarità ed allora ecco che scoppiava la baruffa e il passo dalla baruffa alla rissa era breve... Era proprio per questi motivi che nei tempi andati il gioco era stato proibito. Nel 1605 a Camporgiano era stato ordinato che:"per evitare li scandali ed ogni altro buon rispetto, nessuna persona terriera o forestiera aderisca, ne presuma tirar trottole di legno"Infatti certe volte quando le competizioni si svolgevano all'interno dei paesi capitava spesso e volentieri che le forme urtando sui muri delle case si rompessero ed allora in alcuni casi erano sostituite con forme di legno. Comunque sia anche Gallicano nel 1668 ribadì il suo no a questo sport: "Per l'avvenire s'intende sia proibito nel Castello di Gallicano e suo territorio ad ogni persona di tirar formaggio, girella, ecc per le strade o altrove senza licenza del signor Commissario, pena di due scudi d'oro per uno". A Vergemoli
Ancora oggi in certe occasioni speciali si
tira la forma nei paesi
invece furono molto più risoluti, era il 1764: "il giuoco, della trottola, forma o ruzzolone e perpetuamente bandito e proibito da S.A Serenissima entro l'abitato di Vergemoli", non contenti l'anno successivo inasprirono la legge quando il gioco venne vietato "in tutta la terra di Vergemoli". Dentro il paese non era nemmeno difficile che un povero malcapitato prendesse una forma sulla testa e così a Palleroso nel 1848 si denunciava che: "gravi danni ai fabbricati ivi esistenti ma anche pericoli dei viandanti terrieri o forestieri, che anzi, giorni orsono fu sorpresa una giovane che transitava per la strada da un colpo di forma, che la rovesciò in terra tramortita, con relative contusioni". Nonostante le proibizioni nessun paese rispettava la legge e si continuava tranquillamente a giocare, a sorvegliare sul mantenimento dell'ordine pubblico c'erano gli agenti comunali che spesso invece di vigilare...: "L'agente del luogo anzichè impedirlo è uno dei giocatori che colla presenza, e coll'esercizio incoraggia gli altri ad un gioco tanto riprovevole e pericoloso nelle pubbliche strade". Su questo divertimento volle metter becco anche la Chiesa, possiamo immaginare il proliferare di bestemmie ed improperi e allora ci si ricordò di un fantomatico articolo 4, di una notificazione datata 7 aprile 1820 che così diceva: "Nei giorni di Festa è proibito

qualsiasi gioco, e soltanto potranno esercitarsi i permessi della legge, ultimate però le funzioni ecclesiastiche della sera".
Insomma come vedete il tiro della forma per la Garfagnana non è un semplice passatempo, ma è un qualcosa che è intimo, vivo e palpitante e per chi non ha mai visto o vissuto l'ambiente del "tiro" consiglio di farci un salto, almeno una volta, scoprirete tutti i sentimenti del genere umano...


Bibliografia:

  • "Usanze, credenze, feste, riti e folclore in Garfagnana" di Lorenza Rossi edito dalla Comunità Montana della Garfagnana- Banca dell'identità e della memoria, anno 2004
  • "Folklore garfagnino (il tiro della forma)" di Alcide Rossi edito Leo S. Olschki Firenze, anno 1967