martedì 30 settembre 2014

Novant'anni fa nasceva il Rifugio Rossi alla Pania. La sua storia

Questo è un posto che amo
L'inaugurazione del Rifugio
 Rossi il 24 agosto 1924
particolarmente perchè mi riporta alla mente ricordi di quando ero bimbetto, quando con il mio babbo mi inerpicavo su per il sentiero che dal Piglionico porta al rifugio Rossi.Il rifugio Rossi è posto nella vallata fra due montagne, la Pania della Croce e la Pania Secca e posso dire senza ombra di dubbio che è uno dei luoghi più belli della nostra Garfagnana.Oltre che per la sua incomparabile bellezza quest'anno vale la pena di ricordarlo anche per il suo
1920 Rifugio Rossi
in costruzione
compleanno, infatti compie esattamente 90 anni tondi tondi.Mi piace rammentare questo compleanno perchè il Rifugio Rossi per chi ama la montagna è un vero simbolo è stato un riparo per gli alpinisti durante le intemperie ed è stato meta per le scampagnate degli escursionisti (come me), insomma un vero gioiello immerso nella

natura e chi non ha avuto l'occasione di visitare questi posti è bene che alla prossima occasione utile lo faccia.Tutto infatti  incominciò intorno alla metà dell'800 quando iniziò a mutare anche l'idea di montagna stessa non più vista come luogo in cui fare agricoltura e pastorizia, ma fu anche presa in considerazione l'idea di salire sui monti per conoscenza o per piacere.Questa nuova idea di montagna investì anche le Apuane e così nel giro di pochi decenni nacque il primo rifugio.Era il 1902 ed il C.A.I (club alpino
Vecchia foto del rifugio Rossi
italiano) ligure pose la prima pietra di quello che sarebbe diventato (come detto) il primo rifugio apuano e sorse così il rifugio Aronte (in provincia di Massa) situato a breve distanza dal Passo della Focalaccia (che si trova fra la Tambura ed il Monte Cavallo) a 1642 metri d'altezza, il rifugio apuano che si trova alla maggior quota.Purtroppo per noi la nostra zona dipendeva da una sede del  C.A.I distante anni luce dai nostri monti ed era quella di Firenze ed eravamo un po' trascurati fino a che nel 1923 la sede del club alpino di Firenze non dette il benestare per costituire una sezione  C.A.I anche a Lucca. Fu la scintilla, tant'è che subito l'anno dopo, il 24 agosto 1924 viene inaugurato il rifugio Pania (così chiamato inizialmente).Il primo tetto che ebbe si dice che era

un tetto a volta, ma ben presto rovinò e fu ricostruito nella forma
Il rifugio oggi
attuale.L'originaria struttura era semplice e spartana e nonostante tutto fu fatto con molti sacrifici, la spesa per la neonata associazione fu importante ma la soddisfazione di dare ricovero e riparo dal brutto tempo agli amanti di questi monti era ancor maggiore. Di li a poco cambiò anche il suo nome da Rifugio Pania si passò all'attuale Rifugio Rossi, in memoria del giovane alpinista lucchese Enrico Rossi morto in un incidente stradale. E pensare che a 90 anni di distanza oggi questo rifugio offre: 22 posti letto in camerata unica (di cui 8 di emergenza),una saletta da pranzo con

camino,telefono, piazzola per atterraggio elicotteri,illuminazione elettrica, riscaldamento a stufe, biblioteca,servizi igenici e acqua corrente  e pensare che a proposito d'acqua e sulla disponibilità di acqua potabile nel rifugio l'ingegner Masini all'inaugurazione  nel 1924 diceva

...Questa coltre erbosa, dove la neve soggiorna fino alla fine di Maggio, agisce a guisa di spugna, s’impregna di acqua e la restituisce, goccia a goccia, dando luogo a due piccole sorgenti, se pure è il caso di chiamarle così, una delle quali, quella più prossima alla Pania Secca è di piccolissimo bacino, si esaurisce ai primi di Luglio...Ma anche nell’ipotesi che per brevi giorni l’acqua dovesse mancare, il Rifugio sarebbe sempre alimentato dalla neve raccolta nelle caverne, di cui la maggiore e perenne, dista venti minuti di cammino dal Rifugio e trovasi sotto la Pania della Croce..."  (notizia tratta da Daniele Saisi blog)
E oggi è ancora lì il nostro rifugio Rossi a 1609 metri d'altezza ad ammirare le nostre belle montagne.

venerdì 26 settembre 2014

Occhio,malocchio, prezzemolo e finocchio...Chi sono i segnatori della Garfagnana?

Oggi mi voglio addentrare in un campo dove conoscenza non ne ho
affatto. La mia ignoranza in tal senso è dovuta dal mio scetticismo, ma l'argomento è talmente interessante e legato a doppio filo con la Garfagnana che vale la pena di essere affrontato, è un tema che come si suol dire tiene i piedi in due staffe: una nel sacro e l'altra nel profano, un mix tra magia e religione.La materia è talmente vasta che direi di andare subito al nocciolo della questione e domandarci unicamente: chi sono i cosiddetti segnatori della Garfagnana? Per spiegarla il più semplicemente possibile il segnatore è colui che tramite gesti e formule riesce a guarire da certe malattie. Il segnatore è bene precisare è culturalmente e tipicamente legato alla Garfagnana, al limite ne possiamo trovare alcuni in Lunigiana.Oscar Guidi (scrittore e storico locale) addirittura negli anni 80 fece un censimento in tutta la Garfagnana e volle andare a vedere quanti e chi erano gli ultimi segnatori rimasti e da questo ne pubblicò un bellissimo volume nel 1987 con tanto di interessanti interviste. Ebbene all'epoca di segnatori in tutta la valle erano rimasti in attività  92, di cui 67 donne e 25 uomini, tutti ultrasessantenni, ad oggi non si sa niente né di chi è rimasto né di chi è subentrato. Bene, allora approfondiamo ancora di più l'argomento. La pratica della segnatura risente notevolmente dell'influenza religiosa
(cattolica) e difatti nelle formule di guarigione compaiono sempre Dio, Gesù, la Madonna e i Santi. Le preghiere vengono recitate sia prima che dopo la "segnatura" e la stessa guarigione viene imputata alla Provvidenza Divina.Naturalmente anche fra i segnatori stessi, come in tutti i campi che si rispettano vi è un'altra scuola di pensiero, e dice che tutto non è da ricondursi alla religione, ma bensì anche nel credere veramente e fermamente al potere della segnatura stessa, quest'altra categoria di segnatori oltre al tracciare segni sul corpo del malato come la croce di chiara ispirazione cristiana, usa anche un altro segno, il cosiddetto "gruppo di Salomone" conosciuto meglio come stella a cinque punte, espressione questa neo pagana.La procedura consiste (questa vale per ambedue le scuole di pensiero) in una prima parte gestuale, dove con le mani o con alcuni oggetti particolari si tracciamo segni sulla parte malata, mentre la seconda è verbale e riguarda formule segrete e preghiere tramandate nel tempo da generazione in generazione. Le sedute per vincere la malattie possono essere più di una, non esiste una regola precisa,  si può arrivare a tre in un giorno, come una volta al mese.Le segnature possono essere  rivolte sia alle persone, agli animali ma anche ai terreni infestati da parassiti e quindi improduttivi. Le malattie più comuni per le quali ci si rivolge a un segnatore
Il gruppo di Salomone
sono:
 "il foco di Sant'Antonio", porri, orzaioli, bruciature, addirittura si può guarire anche dalle cosiddette "malattie dell'anima" come le chiamano oggi: la depressione e la paura (questa specialmente rivolta ai bambini) e sopratutto i segnatori sono specializzati nel togliere il malocchio (solo sull'argomento si potrebbe scrivere un libro...), naturalmente ogni tipo di malattia ha il suo particolare rituale.Ma come si viene in possesso di tali virtù? Normalmente è bene sottolineare che tutti i segnatori sono persone anziane. L'arte viene tramandata generalmente ai familiari o ai conoscenti nella notte della vigilia di Natale. Fra questi si dice che vi siano persone più predisposte di altre a ricevere tali poteri, come quelle persone dette"settimine" (n.d.r: persone nate al settimo mese) o anche quelle nate nel giorno di Natale. Le formule di solito sono tramandate oralmente, può succedere anche che siano scritte, ma successivamente vanno bruciate immediatamente nel fuoco.Impossibile naturalmente conoscere queste formule, il segreto più profondo regna intorno ad esse.Sono formule a dir poco misteriose.Solo una persona seria e di conclamata fede può entrarne in possesso, rivelare questi segreti ad una cattiva persona porta all'immediata perdita dei poteri. Naturalmente anche qui esiste una scala gerarchica basata sul numero delle formule conosciute. Alcuni di questi segnatori per così dire a "cinque stelle" riescono a guarire anche a distanza, basta un indumento o una foto.Tutto questo ha origine nella notte dei tempi, nessuno sa e nessuno ricorda la genesi dei segnatori. Pratiche che sicuramente hanno avuto inizio prima della venuta di Cristo e che si sono fuse poi con il cristianesimo, fatto sta che sono giunte fino ad oggi e ancora la segnatura viene praticata in Garfagnana. Tradizioni belle che raccontano ancor di più la nostra storia, ma è bene e giusto sottolineare due cose; la prima  è che queste persone (i segnatori) non sono assolutamente da considerarsi dei ciarlatani o imbroglioni "spillasoldi" come quelli
vecchie formule
che spesso scova la televisione, anzi spesso sfuggono dalla gente e per ricompensa non chiedono soldi, al limite come nelle migliori tradizioni contadine qualche ortaggio, un bel pane fatto in casa e perchè no anche qualche bel fungo porcino, altra considerazione da fare è bene sottolineare che tali pratiche non possono e non devono essere MAI sostituite da un serio e competente giudizio medico.

martedì 23 settembre 2014

Quando la Garfagnana faceva parte della provincia di Massa Carrara. Sessantaquattro anni di lotte prima di esseri annessi a Lucca...

Si parla sempre di più (specialmente quando si instaura un nuovo
La Garfagnana sotto la provincia
di Massa e Carrara
governo) dell'abolizione o meno delle province, tutte le opinioni sono condivisibili a mio avviso, sia di chi pensa che è giusto abolirle poichè favorirebbe uno snellimento burocratico e un minor costo di mantenimento per la comunità, sia chi pensa di conservarle per questioni campanilistiche e di identità culturale. Già l'identità culturale...Noi garfagnini la nostra identità culturale ce la siamo fatta in casa (se così si può dire) perchè nel corso dei secoli siamo stati "sballottati" e tirati per le braccia a destra e a manca. Prima hanno provato a metterci il "cappello" i lucchesi, poi siamo diventati modenesi, dopodiché in epoca napoleonica abbiamo fatto parte del Dipartimento del Panaro, successivamente per un brevissimo periodo (1848-1849) eravamo annessi al Granducato Costituzionale di Toscana, per poi diventare (in epoca dei nostri nonni) massesi, per poi essere definitivamente annessi alla provincia di Lucca. Quindi la nostra identità ce la siamo creata da soli, con tutti i nostri difetti e i nostri pregi, con le guerre di campanile e le nostre beghe interne e nonostante tutto e tutti siamo contenti di essere di essere così come siamo. Oggi però voglio appunto parlare di storia "recente", di come siamo finiti per sessantaquattro anni sotto la provincia di Massa, forse pochi se lo ricorderanno ma prima di essere "lucchesi" eravamo difatti "massesi"
. La prima volta che la Garfagnana venne accostata a Massa fu nel 1806 quando Napoleone Bonaparte, nuovo padrone d'Italia ci inserì, insieme anche a Carrara, nel neo principato lucchese dei Baciocchi ( un principato creato ad hoc con decreto imperiale del 30 marzo 1806 dove fu insediata a capo la sorella Elisa Bonaparte con il marito Pasquale Baciocchi, da qui appunto il nome). Con il Congresso di Vienna del 1815 Massa ritornò lontana dai nostri destini, infatti con la caduta di Napoleone ritornarono i vecchi padroni di casa, gli Estensi per buona parte della valle e i lucchesi per Gallicano, Castiglione e Minucciano, tutto questo fino al 1859, salvo per una parentesi di undici mesi sotto il Granducato di Toscana. Comunque sia rimane il fatto che i venti risorgimentali e le aspirazioni di un Italia unita cominciavano a soffiare forte e nel dicembre del suddetto anno fu creata la provincia di Massa e
Piazza Aranci Massa
Carrara, con un decreto di Carlo Farini che di fatto ridisegnava la futura suddivisione dell'Emilia in attesa e in previsione della sua annessione al Regno di Sardegna (all'epoca eravamo considerati emiliani...non toscani, dato che eravamo sotto gli Estensi, quindi Modena). In virtù di tale suddivisione amministrativa si pensò bene di includerci nei confini dell'attuale Toscana e nella fattispecie nella neo provincia di Massa. La Garfagnana vi entrò a far parte con 17 comuni (
Camporgiano, Careggine, Castelnuovo Garfagnana, Castiglione Garfagnana, Fosciandora, Gallicano, Giuncugnano, Minucciano, Molazzana, Piazza al Serchio, Pieve Fosciana, San Romano, Sillano, Trassilico, Vagli Sotto, Vergemoli, Villa Collemandina), al contempo la provincia fu divisa a sua volta in tre circondari:(n.d.r: il circondario indicava quella città che doveva amministrare altri comuni facenti parti del circondario stesso) Massa, Pontremoli e Castelnuovo Garfagnana. La provincia contava ben 40 comuni. Per molti questa annessione, fra cui gli stessi amministratori governativi, era già considerata un "anomalia burocratico organizzativa", un annessione provvisoria, ma come sapete il provvisorio in Italia con gli anni che passano diventa spesso  definitivo. L'Italia era ormai unita e i governanti di Roma si dimenticarono ben presto di questa anormalità, ma i garfagnini già trascorsi pochi anni da quell'unione lamentarono dolorosi "mal di pancia" per quella scomoda provincia. Scomoda per una serie di motivi che  effettivamente era difficile non condividere, tanto è vero che la nostra valle dipendeva già da Lucca per quanto riguardava il distretto militare, il tribunale, il genio civile e la finanza, ma non solo, da un punto di vista puramente geografico eravamo  più uniformi verso la piana lucchese, dato che dall'altro lato (Massa) eravamo divisi dalle Apuane e questo rendeva a dir poco disagevoli le comunicazioni con il capoluogo di provincia, da non sottovalutare poi quello che era lo sbocco naturale per i rifornimenti e il
Una bella e antica pagina tratta
 da "Bargarchivio"
dove sono evidenziati nel quadrato
rosso i comuni
garfagnini
che facevano parte della provincia
 di Massa con il relativo sindaco
commercio rivolto anch'esso verso la città delle mura. Si indissero quindi dei simil-referendum interni ai comuni garfagnini e si raccolsero firme  per richiedere allo Stato l'aggregazione alla provincia di Lucca, visto che, come si leggeva nel documento "...l'unione alla provincia di Lucca rimase sempre nostra tenace aspirazione..."e in realtà era talmente tanta la volontà dei garfagnini di annettersi a Lucca che si tirarono fuori perfino cervellotiche questioni razziali Si arrivò a dire che sia i costumi e la lingua erano più affini a Lucca che con Massa. Insomma a forza di dubbiosi referendum, delibere e proteste varie si arrivò (dopo 64 anni) al giorno fatidico. Era il 9 novembre 1923 quando con il Regio Decreto n°2490 i 17 comuni della Garfagnana furono annessi alla provincia di Lucca:


"Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e volontà della Nazione Re d'Italia In virtù della delegazione di poteri conferita al Governo con la legge 3 dicembre 1922, n. 1601;Uditi il Consiglio dei Ministri; Sulla proposta del Nostro Ministro Segretario di Stato per gli affari dell’interno, Presidente del Consiglio dei Ministri; Abbiamo decretato e decretiamo: Art. 1. Il circondario di Castelnuovo di Garfagnana, attualmente appartenente alla provincia di Massa e Carrara, è aggregato alla provincia di Lucca...."

                          Firmato: Benito Mussolini.

venerdì 19 settembre 2014

Fra leggenda e realtà.La storia di Cupavo, il capo ligure-apuano... risorto...

Oggi voglio narrarvi le epiche gesta di Cupavo.Nome ai più sconosciuto oggi e pensare che duemila anni or sono dopo la sua
Le Alpi Apuane versante garfagnino
morte (succede sempre così...) raggiunse livelli di notorietà e fama paragonabili solo agli idoli odierni e anche di più dato che molti dei suoi contemporanei giurarono di averlo visto risorgere...Si perchè è bene chiarirsi che gli idoli di allora non erano i cantanti,attori o calciatori, ma al tempo assurgeva alla gloria del popolo chi, in poche parole "stendeva" più nemici.Cupavo era il leader indiscusso della Garfagnana apuana,il più famoso capo apuano che la storia ricordi (così lo definisce Strabone,geografo di epoca romana), conosceva ogni gola e ogni anfratto di quella che sarebbe divenuta la nostra terra.Il suo racconto si fonde fra fatti reali e leggenda.Strabone ci dice che alla morte di suo padre (pure lui capo tribù) conosciuto con il nome di Cigno, suo figlio terzogenito Cupavo prese il suo posto e per onorarne la memoria e il valore era sua consuetudine ornare il suo elmo con piume di cigno. Cupavo era un grande guerriero dotato di una grande personalità ,ma non solo, era riuscito più volte a respingere gli attacchi romani e a saccheggiare perfino qualche accampamento, che dire poi, la sua presenza si 

Un elmo Apuano
notava ovunque, il suo elmo risplendeva in ogni dove con le sue candide piume.Arrivò poi il giorno della grande decisione, i Liguri Apuani stanchi di essere attaccati presero "il toro per le corna"e decisero di attaccare i romani, attraversarono i monti e raggiunsero il porto di Luni direzione le attuali coste del Lazio. Gli Apuani prima di partire salutarono le famiglie. Cupavo si avvicinò alla sua giovane sposa con il suo cimiero di piume bianche e la salutò, gli costava molto lasciarla ora che aspettava un bambino e per non cedere alla tristezza e dare il buon esempio ai suoi soldati scese dai monti per primo. Sul luogo di battaglia i Liguri Apuani si fecero molto onore specialmente Cupavo che si lanciava indomito contro il nemico operando strategie militari da vero condottiero( ebbe a dire in questo caso Lucio Cornelio Merula console romano"Vale più un gracile Apuano che un Gallo robusto") ad un certo punto però rimase isolato e i romani lo trafissero con le lance, poi gli tagliarono la testa e portarono via il corpo.Grande fu il dolore dei compagni che raccolsero la testa con l'elmo di piume e fecero ritorno fra le loro montagne.Quando l'esercito raggiunse le Apuane si racconta che si formò spontaneamente un gigantesco corteo di persone a scortare ciò che rimaneva dell'eroico capo. La povera moglie ormai giunta al momento del parto vedendo il lungo corteo capì e cadde a terra. Come era abitudine degli Apuani seppellirono Cupavo con la sua armatura e un gallo vivo, che con il suo canto alla mattina successiva alla morte risvegliasse il defunto nell'aldilà. Nella stessa notte si accesero i fuochi sui crinali dei monti circostanti per onorare il guerriero ed illuminargli la via verso
Una classica tomba a cassetta Apuana
il cielo. ma quando giunse il mattino e i fuochi si spensero si udì il canto del gallo.In quel momento i presenti videro nel cielo una nube luminosa rischiarata dalla luna, il corpo di Cupavo saliva verso l'alto e nello stesso momento si udì il grido di un bambino che nasceva. Era nato suo figlio.Anche lui divenne in seguito il nuovo condottiero dei Liguri Apuani.

martedì 16 settembre 2014

Ricomincia la scuola.Ma com'era la scuola alla fine degli anni 30 in Garfagnana? Usi e abitudini ormai persi nell'oblio del tempo...

Proprio ieri è cominciato un nuovo anno scolastico,quante emozioni i miei primi giorni di scuola,le solite emozioni che rivedo negli
Vecchia scolaresca verso la metà degli anni 40
la terza da destra è la mia mamma
occhi della mia bimba che fa la terza elementare ( a me piace chiamarle ancora elementari ...non primarie) e le solite emozioni che sicuramente vedevano i nostri genitori in noi.Le sensazioni e i sentimenti erano i medesimi ma la scuola è cambiata...altro che se è cambiata! La società si è evoluta (forse...), le esigenze sono aumentate, insomma i tempi sono mutati e allora per fare un raffronto con oggi scopriamo com'era la scuola alla fine degli anni '30 del '900 in Garfagnana (nello specifico a Gallicano) nei ricordi di quella che allora era una bambina:Maria Valentini nata nel lontano 1925.

"Si, i bambini da sei a dodici anni, andavano alle scuole elementari, mentre alcuni dei più piccini erano accolti dalle suore.L'edificio delle elementari era bello ampio moderno, con tante aule ed un imponente Aula Magna dove ci si raccoglieva per le grandi occasioni.Ogni aula aveva tre file di banchi biposto,occupati tutti da ragazzetti mal vestiti, ma tutti con il loro grembiuletto.Nero o bianco le femmine, a discrezione delle maestre,mentre i maschietti unicamente di color nero.Tutti gli scolari portavano sul grembiule delle striscioline bianche o azzurre, indicanti a seconda del numero la classe di appartenenza.Nei primi banchi sedevano gli scolari più bravi e puliti, e via via sempre tutti gli altri in ordine decrescente di...merito, fino all'ultimo banco dove sedevano gli "zucconi".La maestra sedeva su una cattedra, posta sulla pedana con due o tre scalini e da lassù dominava la situazione e teneva tutti sotto controllo con l'immancabile bacchetta tanto lunga da arrivare fino al Polo Nord della grande carta geografica appesa alla parete.L'orario scolastico era diviso fra le tre ore del mattino e le due del
Testi di scuola di epoca fascista
pomeriggio,con tempo ridotto alle sole ore della mattinata del sabato.Ogni classe era composta da 36- 40 alunni divisi per sesso.Il programma era ben nutrito e seguiva fasi progressive.In prima si scriveva con il lapis pagine intere di aste, quadratini e cerchietti, lettere corsive ripetute fino ad acquisire una perfetta destrezza con le tre righe.La lettura era sillabica e ripetitiva. Il passaggio dal lapis alla penna era sempre traumatico perchè ci si macchiava le mani con l'inchiostro,si spuntavano i pennini,si sbavava la scrittura se non si adoperava bene la carta assorbente.C'era poi il problema delle macchie sui quaderni e il calamaio aveva sempre un equilibrio precario sul banchino.I quaderni erano divisi in "bella" e "brutta", mentre i secondi si riportavano a casa i primi erano ben custoditi nell'armadietto della maestra.Il quaderno con la foderina blu di carta oleata era quello del dettato, mentre quello dei temi era di carta rossa e tutti portavano la scritta "Galanti Aladino,Merceria Cartoleria Gallicano".Tutti i giorni si faceva il dettato, il tema e il problema mentre nel pomeriggio il disegno,la lettura e si ricopiava in bella scrittura dieci dodici volte una frase. Il corredo scolastico era composta in una cartella di fibra o in un sacchetto di tela con dentro i quaderni, i libri, l'astuccio con i pennini, il lapis ed il nettapenne (n.d.r:
 pezzetto di panno sovrapposto e cucito insieme dove si asciugava il pennino bagnato d'inchiostro) confezionato dalla mamma.In inverno ci portavamo a scuola anche un
I quaderni dell'epoca...
pezzetto di legno per attizzare la stufa, mentre la maestra teneva sotto la cattedra lo scaldino tiepido.Quando era troppo freddo ci faceva alzare in piedi e ritmare un tempo con le mani e con i piedi per riattivare la circolazione. A volte andavamo in Aula Magna ad ascoltare la "Radio per le scuole" che trasmetteva fiabe, quiz di storia o geografia e letture di romanzi come i "Promessi Sposi" o "Cuore". I momenti più importanti erano sicuramente l'esame di terza elementare dove si sgobbava veramente alle prese con l'italiano, la matematica, la storia e così via.Non parliamo poi dell'esame di ammissione alle scuole superiori da sostenersi a Castelnuovo, Barga o a Lucca dove veniva fatta una severa scelta destinata a pochi fortunati.Per tutti gli altri la fatica scolastica terminava con l'esame di quinta elementare vero e proprio esame di maturità perchè poi si apriva il mondo del lavoro.Per le ragazzine il grembiule della scuola era spesso sostituito  dalla grembiule di lavoro della Cantoni (n.d.r: Cucirini Cantoni Coats:fabbrica di filati)dove a quattordici anni entravano come operaie  a turni di otto ore a cottimi sfibranti.Questo era il mondo della scuola, nel quale tutti
la carta geografica dell' Abissinia
si aspirava  a fregiarsi della fascia di capoclasse almeno una volta, dove si mettevano sulla carta geografica dell'Abissinia le bandierine che segnavano l'avanzata della conquista durante la guerra in A.O.I (n.d.r: acronimo di Africa orientale italiana,
denominazione ufficiale dell'impero coloniale italiano,proclamato da Benito Mussolini)" Il brano di Maria è tratto dal libro "Stasera venite a vejo Tere"

venerdì 12 settembre 2014

7 settembre 1920: il grande terremoto. I ricordi di chi visse quei terribili giorni...

Solo la seconda guerra mondiale fu peggiore della  disgrazia che colpì
Archivio Silvio Fioravanti

la Garfagnana il 7 settembre 1920. Alle ore 7:56 di una nefasta mattina una violentissima scossa di terremoto colpì la nostra terra. Eravamo da poco usciti da un'altra immane calamità: quella maledetta influenza "spagnola" che anche in Garfagnana causò decine e decine di vittime. La malasorte infatti ci accompagnò anche in quel maledetto anno. Sono passati esattamente cento anni e ancora nessuno nella valle si è dimenticato di quello sciagurato giorno e le testimonianze dei nostri nonni riecheggiano ancora nelle nostre teste... Il terremoto del 1920 si ripercosse in tutto il centro nord fino a Milano, i sismografi dell'epoca segnalarono una scossa sismica di magnitudo 6.48, l'intensità all'epicentro (Villa Collemandina) fu del IX-X grado della scala Mercalli. Ma quello che importava non erano  i dati tecnici, quello che premeva veramente era la tragedia umana che si era abbattuta
Castiglione Garfagnana prima e dopo
(foto archivio Silvio Fioravanti)
sulle teste dei garfagnini. I dati ufficiali parlavano di 171 morti e 650 feriti e migliaia di persone senza casa. La scossa avvenne in un momento della giornata nel quale le persone erano impegnate nel lavoro dei campi, era infatti abitudine dei contadini di alzarsi all'alba, mentre nelle case rimasero donne e bambini, furono loro le principali vittime. Il tutto però incominciò il giorno prima: il 6 settembre, alle 16:25 una scossa del sesto grado Mercalli e una successiva delle 22:30 del quarto grado Mercalli preparavano il viatico al grande terremoto della mattina seguente. Molte persone però si salvarono "grazie" a questi eventi precedenti, allarmati da questi due terremoti una buona parte di garfagnini decise di dormire all'addiaccio. Tutto però rimase impresso nella mente di quelli che vissero sulla propria pelle quello che fu definito "il grande terremoto". Questo vecchio racconto è di una signora di Castiglione Garfagnana che visse quei giorni:

Qualche giorno prima del 7 settembre 1920, c’erano state delle piccole scosse di terremoto e anche il 6 ve ne era stata un’altra un poco più forte che aveva fatto cadere i camini sui tetti. Mio nonno dopo quest’ultima scossa, disse a mia nonna: “Bimba, prepara le coperte per stanotte perché in casa non ci dormiamo. Quest’aria non mi convince e dormiremo fra i filari delle viti “. La nonna tentò di convincere il marito: dormire fuori, con i bimbi piccoli….e se qualcuno li avesse visti? Che vergogna! Li avrebbero presi per matti. Ma il nonno non si fece convincere e si prepararono per la nottata “al chiar di luna”. Stesero le coperte tra i filari e la notte trascorse tranquilla. Alle prime luci dell’alba, svelti svelti smontarono la loro “tendopoli” temendo di essere visti dai paesani che si recavano nei campi. Nonno e nonna e tutti e tre i figli si avviarono con le bestie nei campi e alla selva ma all’improvviso le mucche
Baracche terremotati a Fosciandora
cominciarono a muggire e scalciare, i castagni a muoversi il nonno gridava: “Buttatevi in terra!Buttatevi in terra !”. Il terreno si apriva e si richiudeva sotto i loro piedi e li faceva cadere a terra. Fu terribile e spaventoso. Finita la scossa, che sembrava interminabile, guardarono verso Villa Collemandina ma videro solo un gran polverone. Il paese non esisteva più. Nessuno della famiglia rimase ferito perché erano tutti fuori ma la casa era distrutta. Trovarono riparo, con tutti i superstiti del paese, in un capannotto che serviva da rimessa per le foglie delle bestie. Piovve per molti giorni, incessantemente.Venne anche allestito un ospedale da campo e arrivò persino la regina Margherita ma il dono più atteso arrivò dalla Francia. La zia Giorgina era “a balia” in Francia in casa di signori e, saputa la notizia tramite il giornale (cosa straordinaria visto che stiamo parlando del 1920), inviò a Pianacci un pacco. C’erano indumenti per il ripararsi dal freddo e una bella maglia bianca di lana con le trecce fatta ai ferri per mia mamma. Una vera novità perché all’epoca nessuno aveva mai visto un maglione, tanto meno sapeva lavorare con i ferri da maglia. Esistevano solo vestiti e corpetti di stoffa"

La ricostruzione fu lentissima, praticamente la Garfagnana era tagliata fuori da qualsiasi via di comunicazione importante e quindi difficilissima da raggiungere. Gli aiuti tardarono ad arrivare. La fatica della ricostruzione pesò come un macigno sugli abitanti rientrati da poco tempo dai fronti della I guerra mondiale. L'esasperazione di disoccupati e senzatetto si scontrò con le preoccupazioni di un governo impensierito più che altro dalle forti tensioni sociali dell'epoca, segnati da scioperi e dalla occupazione delle
I primi soccorsi in partenza
 dalla stazione di Castelnuovo
(foto archivio Silvio Fioravanti)
fabbriche. Quello che successe dopo, purtroppo non fu molto diverso da quello che succede oggi... Ma questo è un altro discorso (per saperne di più leggi questo articolo https://paolomarzi.blogspot.com/2016/11/nei-meandri-di-un-terremoto-garfagnana.html )

lunedì 1 settembre 2014

29 agosto 1944.Settant'anni fa la controversa battaglia del Monte Rovaio.Una brutta storia fatta di morte e (presunti) tradimenti

Il Monte Rovaio
 al centro della foto
Questi erano i giorni della battaglia del Monte Rovaio (nel comune di Molozzana, ai piedi della Pania).Ricorrevano i settant'anni esatti alcuni giorni fa, il 29 agosto per precisione.Questa battaglia della II guerra mondiale è fra le più famose della Garfagnana insieme a quella di Sommocolonia e anche ad altre. Devo dire però la sincera verità, scrivo malvolentieri questo articolo, con una certa riluttanza perchè questa battaglia, anche se non è in assoluto la più famosa nella nostra zona è sicuramente in assoluto la più controversa.Più versioni sono state dette e scritte su questo scontro, personalmente ho anche conosciuto chi ha partecipato a questo scontro fra partigiani locali del Gruppo Valanga e l'esercito tedesco e provare a farsi raccontare di questo fatto era come farsi raccontare del diavolo in persona,l'interessato da me surclassato di domande cambiava umore e si trincerava dietro il mutismo più assoluto.Tutto nasceva infatti da alcune testimonianze incrociate sull'andamento della battaglia, si parlava di alcuni "volponi" (così detti all'epoca) facenti parte del Gruppo Valanga che essendo rimasti ai piedi del Monte Rovaio non salirono sulla sua cresta meglio detta "Il colle del Gesù" a combattere con i compagni,ma anzi trovarono il modo di allontanarsi e sfuggire al combattimento,l'altro motivo parla di alcune discordanti opinioni proprio nelle ore precedenti la battaglia sempre all'interno della formazione partigiana;il quesito era appunto se era il caso di sottrarsi o meno allo scontro con la soverchiante potenza tedesca (e in caso di battaglia andare incontro alla morte quasi certa) o far rischiare in caso di ritirata la pelle alla popolazione (la ritorsione contro i civili sarebbe avvenuta sicuramente).Quindi, capirete, come
Partigiani in azione
fare a scrivere di questa battaglia? Il pensiero che mi attanaglia è: avrò detto le cose giuste? Avrò offeso la sensibilità di qualcuno? Ma poi ho pensato fra me e me  che è sempre meglio raccontare che nascondere  e allora però concedetemi un escamotage e in un certo qual modo faccio come Ponzio Pilato (me ne lavo le mani e piedi) e mi affido fedelmente alla bella ricostruzione che fa di quel 29 agosto 1944 l'Istituto Storico della Resistenza della provincia di Lucca (fonte più autorevole e appropriata di questa...):

"Sono le 23 del 27 agosto 1944,di sentinella,,è Tarzan, nome di battaglia di Gualtiero Montanari, partigiano emiliano del gruppo Valanga.Tarzan sente rumore di passi lungo un sentiero che da Col di Favilla porta all’Alpe di Sant’Antonio: intima l’altolà e chiede la parola d’ordine. Gli viene risposto in un italiano stentato.Tarzan capisce di avere di fronte una pattuglia nemica in avanscoperta e spara con il suo Sten,al buio. Un ufficiale tedesco, Rolf Bachmann, viene ucciso, gli altri fuggono.I partigiani sanno da giorni di essere stati localizzati dai tedeschi.Dopo l’episodio della sera precedente, i partigiani del gruppo Valanga non sanno bene cosa fare. Tra l’altro, il comandante Leandro Puccetti e il suo vice Mario De Maria non sono al campo. Abbandonare la posizione? Rimanere lì e organizzarsi in vista della sicura reazione nemica? Cresce anche la preoccupazione che i tedeschi, in caso di loro fuga, possano prendersela con la popolazione civile. Nel tardo pomeriggio rientrano Puccetti e De Maria. La decisione è presa: si rimane lì. Gli abitanti dei dintorni no, loro fuggono
Artiglieria tedesca nell'agosto'44 in Garfagnana
nascondendosi in paesi vicini o in grotte.La sera la tensione è palpabile, l’attacco tedesco potrebbe scattare da un momento all’altro.Sono le 3 del 29 agosto 1944.I partigiani del Valanga hanno approntato le loro postazioni difensive sul monte Rovaio.I tedeschi giungono da nord, dalla valle della Turrite Secca, e da sud, da Piglionico. Con loro anche italiani della Guardia Nazionale Repubblicana. Il loro numero è imprecisato: alcune centinaia di soldati, probabilmente, ma c’è chi dice addirittura duemila.Alle 3.30 inizia la battaglia.
Poco prima dell’alba i partigiani sono tutti in postazione sulla cresta del Rovaio (n.d,r: Colle del Gesù). Ma sono in difficoltà. Alle 9 i tedeschi iniziano a risalire sul Rovaio e ad avanzare verso il centro della cresta.I partigiani non hanno scelta: alle 10 Puccetti ordina “il si salvi chi può” e di sganciarsi per gruppi verso il bosco sottostante, cercando di sfondare l’accerchiamento buttandosi in un canalone con un salto. Ma, così facendo, si espongono al fuoco nemico. E tanti vengono colpiti, alcuni in maniera mortale.Non è ancora finita: chi non è riuscito a mettersi in salvo si nasconde nella boscaglia, mentre i tedeschi continuano ancora per ore a sparare, spesso a casaccio.Quanti uomini muoiono nel corso della battaglia? Non conosciamo il numero di perdite tedesche. Probabilmente nessuna. Conosciamo però il nome delle vittime partigiane e il numero, diciannove in tutto,(circa un terzo del gruppo)ricordati oggi nella chiesina del Piglionico.”
La chiesina del Piglionico che
commemora i caduti del Monte Rovaio

Fu questo l'episodio più sanguinoso e il combattimento più impegnativo sostenuto dai partigiani in Garfagnana. E il gruppo "Valanga" visse un momento di grande sbandamento.A fatica il già vice-comandante del gruppo Mario De Maria, riuscì a riunire a Vergemoli alcuni superstiti. Comunque il gruppo continuò ad esistere e ad operare.Una menzione particolare e un post interamente dedicato (che farò nei prossimi giorni) merita Leandro Puccetti comandante del Gruppo Valanga deceduto il 3 settembre '44 a soli 22 anni a causa delle ferite riportate in questa battaglia.