mercoledì 27 maggio 2015

La Grande Guerra: lettere dal fronte di soldati garfagnini

Italiani in trincea
Sono passati 100 anni precisi dalla scoppio della I guerra mondiale, una guerra questa che abbiamo sempre sentito lontana dalla nostre parti sopratutto perchè non vissuta sulla nostra pelle direttamente a differenza della seconda che l'abbiamo avuta sulla porta di casa. La "Grande Guerra"come fu chiamato poi il primo conflitto mondiale si svolse nelle Alpi e nelle Prealpi e nella pianura veneto friulana,quindi ben lontana dalla nostra Garfagnana, ma comunque sia ci toccò, eccome se ci toccò,perchè padri di famiglia, figli,fratelli e mariti garfagnini partirono per il fronte il 24 maggio 1915 (e poi nei mesi e negli anni successivi) abbandonando coltivazioni e campi,unico sostentamento per le famiglie di allora. Si partì per il conflitto da Paese povero ed impreparato, ci si trovò presto in trincea per difendere il proprio territorio e sopratutto per riportare la pelle a casa. Questa fu una guerra che forse pochi conoscono nei numeri:fu il più grande conflitto mai visto,coinvolse ben 30 nazioni al mondo e vi parteciparono ben 65 milioni di uomini, provocò la morte di ben 15 milioni di persone e fra questi morti un milione e trecentomila circa furono solo italiani (nella II guerra mondiali gli italiani morti furono quasi mezzo milione...). Oggi se ci sono arrivati fino a noi gli atti di eroismo, gli orrori e la durissima vita di trincea lo dobbiamo in buona parte ai nostri soldati (e delle altre nazioni) che hanno lasciato miliardi di lettere inviate dal fronte.
Ricevimento e spedizione
della posta in guerra
Calcoliamo che durante la guerra viaggiarono ben quattro miliardi di lettere e cartoline postali. Il trauma della guerra accelerò il bisogno degli uomini di scambiarsi informazioni tramite l'unico mezzo disponibile: la scrittura. Una scrittura però del tutto singolare dato il basso livello di alfabetizzazione, quindi queste lettere erano piene di errori, in dialetto, ma non per questo prive di significato e colme di emozioni. Ecco,oggi pubblicherò fedelmente alcune di queste lettere di soldati garfagnini, in alcune pubblicherò il nome, in altre no. Con queste lettere si cercava il contatto con la famiglia e con un mondo "normale" al quale speravano di tornare. Queste testimonianze ci danno un'immagine autentica e diretta di quanto accaduto.

"12 giugno 1915.Cari genitori di già che oggi sono un po' più trancuillo e che il nemico un mi da noia voglio descrivervi un po' come pressapoco dove mi trovo. Davanti a me si stende un infinità di montagne,tante cusì tutte assieme nanco a casa c'enno. Mi trovo propio sotto la punta del famoso Monte Nero (n.d.r:il Monte Nero oggi fa parte della Slovenia ed è una montagna delle Alpi Giulie alta 2245 metri) di cui avreste già letto sul giornale per i grandi combattimenti. Ora non potendolo piglià di fronte altre truppe lo stanno aggirando e camminino anco velocemente malgrado la resistenza di quei mammalucchi (n.d.r:riferito agli austriaci). [...] Non sembra al presente di essere in guerra, pare un campo estivo, ma poi verrà il seguito anco per noialtri. Ma intanto vada pure così"
(Lettera di Mario Bonaldi dell'Alpe di Sant'Antonio (Molazzana) sopravvissuto, poi emigrato.)
Non faccia stupore se il fronte di guerra viene descritto come "un campo estivo".La principale preoccupazione del soldato e diffusa poi tra tutti i commilitoni è la volontà di rassicurare i propri cari.
"Cari Genitori,la mi salute al presente è ottima come spero di voi tutti in famiglia. Come vi replico ancora mi trovo in questo paese che si chiama Galeriano,qui mi fanno fare l'istruzione tutto il giorno altro che si sta male con il rangio che tutti i soldati si lamentino. Sarebbi pronto anco a rinunciavvi al rangio pure che mi lascino qui e non mandammi in trincea. Adesso cari genitori posso ringraziare il Signore che mi ritrovo qui in Italia i miei compagni sono in trincea  e gli tocca fa il turno di 21 giorni e se dice peggio anco 40. Anco se siamo a 100 chilometri si sentino i cannoni come fossero li. Questo meso di maggio un è poi bello perchè arrivino gli ordini sempre di avanzare e fare le avanzate è molto brutto. Caro Padre fatemi sape come va la campagna se hanno fiorito bene, se ci  si pole già accorge dei frutti e delle semine e lo so che siete
Gli assalti suicidi 
solo, poi con tutte quelle bestie nella stalla
 
 (n.d.r:per "bestie" naturalmente ci si riferisce alle mucche)(Lettera inviata a Castiglione Garfagnana)
 "...se la trincea è dura,l'assalto è un incubo,lasciare la trincea e lanciarsi nel vuoto, verso le armi che sputano fuoco è un suicidio"
Brano di lettera di Aldemiro Magni Sergente Maggiore Regio Esercito Italiano Castelnuovo Garfagnana.
L'assalto nella prima guerra mondiale era il limite umano della sopportazione. Uscire dalla protezione della trincea e lanciarsi contro le pallottole delle mitraglie nemiche era un vero e proprio suicidio, la sopravvivenza era un fatto puramente casuale. Ogni volta che il soldato era sottoposto a una simile prova perdeva parte della sua personalità e una parte di intendere e volere. Dopo un certo numero di queste esperienze il soldato impazziva,spesso molti si suicidarono e quelli che si rifiutavano di assaltare venivano fucilati dai propri compagni per ordine degli ufficiali stessi.
Infine per chiudere voglio pubblicare questo post trovato in Facebook,nel gruppo "Istituto della Resistenza Lucca". Un post questo tratto dalle lettere di Adriano Tomei (1896-1976) di Ponte a Moriano (forse), combattente della Grande Guerra, molto eloquente e la dice lunga sul fatto che i secoli passano ma la storia è sempre la stessa...
"Senti mamma, io sarò forse pessimista ma mi pare che la
Ecco la lettera originale di Tomei
guerra la facciano i coglioni e che i furbi siano con la pelle al sicuro,facciano i denari,si divertano e...enormità, gridano ancora gli evviva alla guerra!"

mercoledì 20 maggio 2015

La leggenda del Monte Croce. Dai saccheggi dei feroci Saraceni per arrivare alle sue candide giunchiglie

Il Monte Croce
Lasciando il fondovalle all'altezza dell'incrocio per Turrite Cava intraprendiamo la strada che va su per la valle omonima, passiamo il paese di Fabbriche di Valico e continuiamo verso il vecchio borgo di Palagnana che per qualche bizzaria burocratica si trova nel comune di Stazzema, quindi in Versilia, anche se lo si può raggiungere più che agevolmente da Gallicano in appena 25 minuti circa. Passato il borgo di Palagnana lasciamo l'auto sul bordo della strada e ci avviamo a piedi su per il bosco per uno dei posti più belli di tutta la nostra valle:il Monte Croce. Il Monte Croce fa parte delle Apuane meridionali, si trova appunto nel comune di Stazzema e la sua vetta raggiunge i 1314 metri è così chiamato poichè i quattro crinali principali che lo formano s'intersecano formando perpendicolarmente una croce. Splendido questo monte, sopratutto nel mese di maggio perchè rinomato per la fioritura delle giunchiglie, infatti è anche conosciuto come Monte delle Giunchiglie. Tipicità quasi unica questa, dato che proprio in questo periodo i suoi pendii si ammantano di un bianco candido, così come nessun monte delle Alpi Apuane. Molti si sono domandati il perchè di questo esclusivo fenomeno e tanti credono che il tutto risalga a più di 1000 anni fa, quando con la fine dell'Impero Romano, nel 900 d.C,
Le giunchiglie del Monte Croce
l'Italia versava in condizione a dir poco penose. Le discese dei Longobardi, Goti e Visigoti ed aggressori di ogni genere avevano portato alla distruzione e al saccheggio del nostro paese, solo i centri abitati sulla costa si sentivano un po' più al sicuro perchè protetti dalle montagne e sopratutto perchè i popoli aggressori non erano dotati di flotte navali. Purtroppo le cose cambiarono e di questa Italia saccheggiata dai predoni di ogni tipo ne approfittarono anche i Saraceni che cominciarono a solcare le acque del Tirreno centrale. La bandiera con la mezza luna ben presto diventò motivo di terrore anche per le coste dell'attuale Versilia. Nel 813 la costa antistante l'attuale Viareggio fu presa di mira dai feroci turchi che
Antico riparo per pastori sul Monte Croce

sferrarono un attacco senza precedenti. A difendere i villaggi di pescatori sulla costa dalle incursioni barbaresche furono chiamati tutti i giovani del circondario e fra questi anche un pastore che pascolava i suoi greggi nei verdi prati sottostanti la cima delle montagne. Questo giovane pastore si era innamorato di una pastorella anche lei abitudinaria dei soliti verdi pascoli e destino volle che si erano promessi marito e moglie. Il giovane pastore andò malvolentieri a difendere i villaggi,la sua testa e il suo cuore erano tutti per la sua innamorata e proprio durante un terribile scontro in battaglia il giovane fu ucciso a tradimento. La notizia gettò nella
La vetta del Monte Croce
circondato da giunchiglie
disperazione più profonda la povera ragazza che corse sulle balze delle montagne sopra il mare dove tante volte aveva passeggiato con il suo promesso sposo. Iniziò a piangere e subito ogni lacrima si trasformava in un fiore profumato. Ma il dolore era grandissimo, insopportabile e la ragazza morì di crepacuore. Si racconta così che in certe notti estive due bellissime fiammelle serpeggianti vengono ad  abbracciarsi sulla cima del Monte Croce, quel monte stesso che vide i due pastori amarsi,una di queste fiammelle accorre dal mare strisciando leggerissima sopra la spuma dei flutti,l'altra, che si muove ad incontrarla proviene dai boschi della montagna e come di solito erano fare i due amanti queste due fiammelle si riuniscono e incominciano a rincorrersi per i pendii del monte fino a che non comincia a spuntare il sole. Chi sale poi, come detto nel
Una giunchiglia del Monte Croce
mese di maggio sulla cima del Monte Croce potrà vedere i fianchi della montagna ricoperti da una moltitudine di meravigliose giunchiglie. Sono le lacrime versate dalla giovane pastorella che sbocciano ogni primavera in candidi fiori per ricordare per sempre quell'indissolubile storia d'amore finita in malo modo.

Bellissime queste leggende che risalgono a tempi lontanissimi,racconti che vanno mantenuti e narrati perchè tali poesie non vengano disperse nell'oblio dei tempi.

mercoledì 13 maggio 2015

"Il baliatico": quando le donne garfagnine emigravano per fare da balia ai bimbi delle signore ricche...

emigranti in partenza
Storie dure,di privazioni, sacrifici, di famiglie abbandonate nella speranza di una vita migliore,lavoro duro ma onesto per guadagnare quei maledetti soldi per risollevarsi da un destino scritto.Non sono storie di oggi, non si parla di migranti giunti con i barconi da chissà dove. Si tratta dei nostri bisnonni,dei nostri parenti che partivano dalla Garfagnana per ogni angolo del mondo per lavorare e cercare poi di mandare qualche soldo alla famiglia lontana nella speranza di un ricongiungimento.Tanto per parlare in cifre e capire bene l'entità di questo fenomeno dal 1880 sono state calcolate mediamente 1000/1500 persone l'anno emigrate in un territorio come la Valle del Serchio di circa 40.000 anime Di solito erano gli uomini, i capifamiglia a prendere la gravosa decisione di abbandonare la Garfagnana  per andare nelle lontane  "Meriche" (n.d.r: in alcune lettera di emigranti garfagnini le lontane Americhe venivano chiamate erroneamente "Meriche"), ma stavolta vi racconto il contrario e cioè quando erano le donne che partivano e i mariti rimanevano a casa a coltivare i campi, addirittura si può dire che i primi flussi migratori garfagnini erano composti da sole donne, fatto veramente singolare che vale la pena di essere raccontato.Tutto cominciò molto prima del grande esodo fine ottocentesco,quando i garfagnini cominciarono a partire per la Corsica impiegandosi nei lavori agricoli e poi in Francia attratti da paghe migliori, insieme agli uomini partirono anche le loro mogli, giovani spose, forti e robuste che trovarono impiego come balie, da li cominciò quel fenomeno meglio conosciuto come "baliatico". Spieghiamo un po' di cosa si trattava: il baliatico nacque come frutto di questa migrazione stagionale in Corsica e nella parte meridionale della Francia. Ebbe inizio poco oltre la metà dell'800 e si sviluppò principalmente ad Ajaccio, Bastia, Nizza ed anche Parigi.
"La Signora allattando perde la linea...se si trovasse una balia, non baderebbe a spese!"
La voce corre e giunge in Garfagnana:le donne e le ragazze garfagnine sono considerate le migliori in assoluto in tutta la Corsica e nel sud della Francia, le migliori perchè robuste,sane, si cibano di cose naturali e anche per carattere sono le più servizievoli e con pochi idee balzane nella testa. Il trattamento che veniva offerto era veramente allettante: oltre al vitto e
Balie garfagnine 1906
all'alloggio ben diverso da quello abituale, si prometteva un salario doppio e anche triplo rispetto a quello dei mariti che in quelle stesse zone avevano lavorato come braccianti. Molte mamme lasciavano i loro bambini a casa, in Garfagnana, ed andavano ad allattare i bambini delle signore. Scriveva il Gian Mirola (n.d.r: noto scrittore e studioso garfagnino):

"Qualche volta il baliatico fu imposto come condizione di matrimonio:ci sposiamo, tu vai a far da balia, io resto qui, al nostro figlio daremo il latte della Brunella (la mucca)".
Naturalmente si trattava di un lavoro temporaneo, il lavoro da balia durava dai 12 ai 14 mesi tranne nei casi che il bambino affidatole morisse o lei perdesse il latte. Poteva capitare (molto spesso) che ultimato l'allattamento, la balia passasse ad un altra famiglia o rimanesse nella solita casa come serva. Ma guardiamo come avveniva la selezione per diventar balia. La donna interessata si presentava ad un medico o a alcune levatrici locali che facilitavano l'incontro tra domanda ed offerta spesso dietro al pagamento di una tariffa. Esistevano radicate convinzioni che rapportavano l'aspetto fisico delle donne (alte,basse,brune o bionde) alla loro capacità di balia e prevedevano un trattamento economico conseguente. Individuata la famiglia di destinazione la balia garfagnina doveva essere pronta a partire appena richiesto ma alla condizione essenziale e tassativa che il marito rimanesse in Garfagnana, senza mai raggiungerla dato che, si credeva che eventuali rapporti sessuali potessero  avere in qualche maniera effetto sull'allattamento. Le veniva quindi pagato il viaggio verso la Corsica, un salario mensile, inoltre regali ed omaggi in funzione della sua bravura e del rapporto che si instaurava tra lei e il bambino, esisteva inoltre un corredo da balia che andava dagli abiti, alla biancheria, perfino ai gioielli nelle famiglie più ricche.Naturalmente non era tutto rose e fiori consideriamo sempre la lontananza della famiglia,la difficoltà della lingua e dell'impatto sull'ambiente cittadino e tutta quella serie di comportamenti imposti che cozzava in pieno con lo stile di vita garfagnino. Si pensi alle norme igieniche da osservare per
Balie al parco
l'allattamento o ai precisi orari per le poppate. Ci fu inoltre (tanto per complicare le cose) tra la fine dell'800 e gli inizi del '900 un forte movimento che si vedeva contrario a questo tipo di emigrazione e di lavoro, fu ampiamente discusso e criticato questo abbandono della propria prole da parte delle balie, fortissime furono le polemiche anti- emigrazione, anche nella nostra valle si ebbero vere e proprie campagne denigratorie contro le balie condotte da alcuni giornali locali con esplicite accuse di "maternità mercenaria", la cui deriva naturale (così si diceva) era il meretricio (la prostituzione). Ma ciò che turbava veramente i denigratori era il sovvertire dei ruoli familiari consolidati che portava la donna ad assumere il ruolo di capofamiglia, inteso nella semplice accezione di chi guadagna di più. Ma come detto nonostante gli ottimi guadagni la sofferenza di queste donne garfagnine era tanta, questo è uno stralcio di una lettera del 1901 di una balia garfagnina di Villa Collemandina alla propria famiglia che cresce suo figlio:

"Il bimbo mi farete sapere se via fatto tribolare e mi direte se continua andando migliorando se avere speranza che cammini almeno verso primavera e quanti denti a fatto mi direte tutte le cose che o molto piacere disaperle, la lettera che mia scritto il fratello gredetemi chio non sono stata capace di leggerla una volta intiera senza piangere".La vostra Anna.
la balia,il bimbo e la mamma
Il baliatico si protrasse ancora molto nel tempo da quella data ed è innegabile che contribuì sostanzialmente alla trasformazione dei costumi e della mentalità.

mercoledì 6 maggio 2015

"Calamitas Calamitarum": la peste in Garfagnana nel 1630, una vera e propria ecatombe

Un'immagine della peste a Firenze del 1348
Venne soprannominata "calamitas calamitarum" per la sua particolare virulenza, si manifestava con alcuni gonfiori all'inguine e sotto le ascelle, da questi rigonfiamenti usciva sangue con pus a cui seguivano macchie sulla pelle, il malato emetteva un odore ripugnante, i primi sintomi si manifestavano con vomito, cefalea, dolore articolare e malessere. La temperatura corporea saliva fino a 40° e il polso e la respirazione di colpo aumentavano, le vittime sputavano sangue per tre giorni, poi morivano. Questa è la peste bubbonica che nel 1630 colpì tutto il nord Italia, Garfagnana compresa. Di questa epidemia raccontò anche Alessandro Manzoni ne "I Promessi sposi": "La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c'era entrata davvero,come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò buona parte d' Italia". 
Ne "I Promessi sposi" si racconta
della peste del 1630
Manzoni qui faceva riferimento a "bande alemanne". Si, perchè a diffondere l'epidemia furono proprio loro, i Lanzichenecchi, soldati mercenari arruolati nelle regioni tedesche del Sacro Romano Impero. Con l'arrivo nel nord Italia di questo esercito, la popolazione fu sottoposta a ogni sorta di violenza e saccheggio e quando l'esercito si ritirò, dietro di se, oltre che devastazioni, lasciò anche il terribile morbo. Anche le pessime condizioni igieniche fecero si che la diffusione della malattia proliferasse in ogni dove: fogne a cielo aperto, acque stagnanti e sporche, la poca pulizia delle persone, fu stimato che all'epoca vi fosse almeno una famiglia di ratti per abitazione e la solita tragica situazione si viveva in Garfagnana. La Toscana fu il confine italiano più a sud in cui si manifestò la peste, il contagio si fermò nel senese e anche la nostra terra fu colpita. La malattia ben presto si diffuse in tutta la nostra valle, complice anche i tardivi ed inefficaci provvedimenti presi da Francesco I d'Este duca di Modena. Le prime notizie di contagio in Garfagnana arrivarono nel dicembre del 1629 e tosto il reggente governatore Giacomo Spaccini da Castelnuovo, in difesa della popolazione mise delle guardie sui confini appenninici a spese dei comuni, si provvide subito a istituire consigli di sanità, si pubblicarono grida con le quali si proibiva l'entrata di forestieri senza fede sanitaria (n.d.r:senza certificato medico)pena la morte, inoltre si vietò l'introduzione di pelli di animali, chi le introduceva la pena era di scudi 200 e la galera, si vietarono perfino i mercati e le fiere. Ma ciò non bastò e nel 1630 il male si era già diffuso a Castelnuovo e nelle montagne circostanti. Il primo giugno una certa Margherita da Magnano, che era stata a Bologna da sua figlia morì con sospetto di peste e lo stesso giorno poco distante, Antonio il mugnaio che aveva portato della farina alla donna si ammalò e morì, intervennero le autorità e sequestrarono i morti e gli oggetti delle case. Ben presto panico e morti cominciarono a dilagare, non si sapeva più a quale Santo affidarsi, la peste era arrivata con tutta la sua potenza. Il 30 giugno il consiglio generale di Castiglione Garfagnana stabilì che per sei mesi continui si facesse celebrare ogni giorno una messa, e che poi si andasse in processione alla chiesa di San Pellegrino e San Bianco, la chiesa stessa infatti
A San Pellegrino nel 1630
si facevano continue
 processioni per ingraziarsi
 la benevolenza del santo contro la peste
credeva che la peste fosse una punizione divina. Dall'altra parte anche i domini fiorentini (Barga) e  lucchesi erano altrettanto presi dall'angoscia e cominciarono a impedire l'accesso ai lombardi (n.d.r: così venivano chiamate le popolazioni a nord dell'appennino)  e ai garfagnini, mandarono così anche loro i soldati a Foce a Giovo e sul Monte Rondinaio con l'ordine di sparare su chiunque avesse voluto attraversare il confine. Ormai eravamo al delirio e alla disperazione più totale, si diede imposizione di uccidere tutti i cani e tutti i gatti della valle per paura che fossero veicolo di contagio, di bruciare case e mobili di coloro che fossero stati colpiti da peste. La maggior parte delle famiglie erano distrutte, la gente si mise alla ricerca dei responsabili, identificati nei vagabondi e nei più poveri La folle paura di presenze diaboliche giustificò una vera e propria caccia all'untore da parte dell'autorità che si servivano di tutti gli strumenti allora previsti: denunce anonime, torture ed esecuzioni in pubblico. Su ordine del duca di Modena si decise di aprire dei lazzeretti e di inserire una nuova figura allora mai vista in Garfagnana: il monatto. I monatti erano addetti ai servizi più pericolosi e penosi della pestilenza, dovevano togliere i cadaveri dalle strade e dalla case e portarli nelle fosse comuni, dovevano accompagnare il malato al lazzaretto e avevano il compito di bruciare gli oggetti infetti e le case dei malati, erano assunti dal governo cittadino, erano brutali e senza pietà. Il loro abito rosso, il campanello al piede e l'inconfondibile maschera (n.d.r: la maschera serviva per non farsi riconoscere) era simbolo di orrore. Fra i maggiori lazzaretti della valle si ha conoscenza di quello di Loppia, quello nei pressi di Torrite e a Gallicano nelle vicinanze della chiesa di Santa Lucia. Questi luoghi erano gestiti dai frati cappuccini, erano
Il Monatto
situati fuori dal paese e servivano per accogliere tutti i malati di peste. Di solito questi posti contenevano oltre la loro naturale capienza, molti infatti in gran segreto provavano a farsi curare a casa, finire dentro un lazzaretto significava morte sicura. Venivano quindi provati tutti i rimedi possibili ed immaginabili per guarire, si credeva di poter guarire dalla peste con la recita del rosario o con l'ungersi il corpo con l'olio benedetto e a tal proposito ecco un "rimedio" contro il morbo del 1630 rinvenuto nell'archivio storico di Modena e trovato a sua volta a San Romano Garfagnana:
-Unguento:Cera nuova,olio comune,olio lamino,olio di sasso,erba d'ameto,granelle di lauro numero sei,aceto forte un poco.Tutto si faccia bollire tanto che si riduchi in forma d'unguento e con esso si unta le narici, li polsi delle mani e le piante dei piedi-
La peste paralizzò la già povera economia garfagnina. Si interruppero tutti i commerci con gli stati vicini per pericolo del contagio, le coltivazioni furono tutte abbandonate, le persone non lavoravano e di conseguenza non guadagnavano e per di più coloro che potevano dare una mano, come le persone ricche e con denari, fuggivano dai paesi per raggiungere lidi più tranquilli e sani. Si continuò così per tutto il 1630 e con il finire di quell'anno parve che l'epidemia si fosse calmata, ma non fu così. Finito l'inverno e con l'arrivo della primavera del 1631 il morbo riprese più forte che mai e così ancora nel 1632, per poi finalmente cominciare a scemare. Ormai non c'era quasi rimasto più nessuno da uccidere, interi nuclei familiari scomparvero, altri furono decimati, questa peste aveva fatto orfani su orfani. Ci fu una particolare ed inevitabile tendenza, si racconta che in quel periodo si formarono molti nuclei familiari fra i superstiti. 
I numeri precisi delle morti nella Valle del Serchio e in Garfagnana non si sanno, si può stimare che ci fu un calo demografico dal 40% al 60% e un crollo totale delle nascite. Tanto per prendere come metro di paragone, possiamo vedere che città come Bologna, che prima della peste (1628) contava 62.000 abitanti, nel 1631 erano già 47.000. Nel solito periodo Firenze passò da
L'indice demografico dal 1550 al 1800 da
notare gli anni relativi alla peste(1630)
70.000 a 63.000 unità, per non parlare di Milano, da 130.000 a 65.000...