mercoledì 25 novembre 2015

Il Ponte della Villetta storia tormentata di un simbolo garfagnino

Il Ponte della Villetta (foto di Aldo Innocenti)
Ci sono dei monumenti al mondo che appena li vediamo ci vengono immediatamente in mente le loro città di appartenenza, sono praticamente dei biglietti da visita,dei veri e propri simboli a memoria perpetua, che dire, vedi il Colosseo e pensi a Roma, la Statua della Libertà è un emblema di New York, così come la Torre Eiffel per Parigi... e per la Garfagnana? A voi cosa viene in mente ? Molti risponderanno il Ponte del Diavolo che tanti considerano la porta della Garfagnana, d'accordo è vero, ma geograficamente parlando non è un monumento "purosangue", altri penseranno allora alla Rocca Ariostesca di Castelnuovo,bella si, ma più che altro direi che è il simbolo della cittadina stessa. In compenso c'è un'opera che a mio avviso racchiude tutti gli aspetti che fanno di questo monumento l'icona della Garfagnana, questo è: il Ponte della Villetta. Il Ponte della Villetta ha tutto:bellezza, storia,imponenza, per non parlare poi della
L'inizio della sua
costruzione
difficoltà avute nel realizzarlo e come se non bastasse inoltre è incastonato in un magnifico paesaggio. Ecco, oggi vi parlerò di questa infrastruttura. Un semplice ponte della ferrovia mi direte voi!? No! Io direi un vero e proprio monumento, per di più anche visitabile, dato che sul lato sinistro del ponte c'è anche un camminamento per attraversarlo a piedi (occhio ai treni naturalmente !!!). 
Incominciamo quindi 
a raccontare la sua storia. Tutto ebbe inizio 15 anni prima di intraprendere la sua costruzione. Siamo al 25 luglio 1911 e il treno dopo mille peripezie e agognate speranze arrivò a Castelnuovo Garfagnana 
(leggi http://paolomarzi.blogspot.it/2015/07/25-luglio-1911) e li subito si fermò, era ancora lunga la storia e la strada che doveva percorrere questa ferrovia, dovevano passare ancora molti anni prima di arrivare al capolinea opposto di Aulla, molti furono gli intoppi, vuoi la solita burocrazia, vuoi l'inizio della I guerra mondiale e infine il tremendo terremoto del 1920 misero a dura prova la realizzazione del sogno garfagnino.Ma ormai tutto era deciso "questo matrimonio si doveva fare", la ferrovia andava completata e così fu fatto (anche se a "pezzi e bocconi").Si arrivò così al 1926, finalmente si era raggiunta una
Gli archi in costruzione
certa pace e tranquillità sotto tutti i punti di vista e si ricominciò a pensare alla strada ferrata garfagnina. Le difficoltà furono immediate e sorsero sulla conformazione del nostro territorio che nel tempo impegnò particolarmente ingegneri e costruttori, ma questi ostacoli non fermarono la loro volontà dando vita a spettacolari strutture proprio come "Il Ponte della Villetta", realizzato per ovviare alla profonda valle creata dal fiume Serchio tra le stazioni di Villetta-San Romano e quella del Poggio.Vide da subito impegnate centinaia di maestranza in un opera ciclopica per quei tempi lontani. Il ponte venne costruito in
In costruzione
tre anni (1926-1929), e costerà alle casse dello Stato poco più di cinque milioni di lire ( per l'esattezza 5.100.000 mila lire ) ma si dovranno attendere ancora altri undici anni per assistere alla sua messa in opera, dato che il 21 agosto 1940 con grande solennità e pomposità fascista fu inaugurato il tronco Castelnuovo- Piazza al Serchio (anche se bisogna dire che il tratto era già in funzione da qualche anno... ma era stato dato in concessione alla Società Nord Carrara per il trasporto del
Le impalcature in legno
marmo). I suoi numeri ancora oggi sono strabilianti: 410 metri di lunghezza, per oltre 50 metri di altezza si staglia nella Valle del Serchio esibendo di fatto le sue 13 arcate a tutto sesto da 25 metri più una da 12 metri, ponendosi come importanza nel suo genere come il ponte in muratura più alto d'Europa. Oggi molti potranno pensare che nulla di tutto ciò sia così grandioso paragonato alle costruzioni moderne, ma se si riflette sulle tecniche costruttive di quel tempo dove le armature e le impalcature erano interamente in legno si capisce la complessità dei lavori. In origine il ponte nelle arcate centrali contava altri tre archi di rinforzo che il destino amaro nella successiva ricostruzione ebbero a sparire. Infatti la storia di questo
Cerchiate in rosso le tre arcate basse non
ricostruite dopo i bombardamenti
monumento non finisce qui, arriveranno pagine buie e le mine della II guerra mondiale non risparmieranno come fu per altri ben più famosi monumenti una tragica sorte a questa opera. Prima ci provarono gli americani, nel pomeriggio del 18 maggio 1944 una piccola formazione di aerei inglesi ed americani presero di mira il ponte effettuando ripetuti bombardamenti e mitragliamenti, per fortuna non ci furono vittime nel piccolo borgo della Sambuca e nemmeno il ponte subì grossi danni, ma questo non fu che solo il primo bombardamento, da novembre ogni giorno solitamente verso le otto di mattina la
Il ponte dopo la distruzione
 dalle mine tedesche
solita formazione di aerei sganciava la dose quotidiana di bombe sul ponte, ma il Dio dell'arte e del bello proteggeva la sua creatura e la struttura non fu mai centrata dai bombardieri alleati, l'unica volta che una bomba andò a segno non esplose rimbalzando per diversi metri sui binari causando solo il crollo dei muretti laterali.Ma niente e nessuno poté fare niente quando nella metà dell'aprile 1945 le truppe tedesche per proteggersi la ritirata sul fronte della Linea Gotica decisero
Il ponte durante la seconda ricostruzione:1947
inesorabilmente di minarlo e di farlo saltare in aria. Alle 22:30 una raffica di mitra avvertì le popolazioni vicine di tenersi alla larga dalla zona, pochi secondi dopo un grosso boato rimbombò per tutta la valle e una grossa nube di polvere nei cieli di Garfagnana annunciò la distruzione del

ponte.Le tre arcate centrali crollarono e a causa dell'indebolimento strutturale ne caddero altre due. Ancora oggi se diamo un'occhiata al letto del fiume sottostante si possono ancora vedere i resti del ponte caduto in quel maledetto 1945. Ma niente fu perduto, la vita ricominciava e subito nel 1946 a guerra finita prese il via la ricostruzione delle
Oggi è ancora li bello più che mai.

molte opere danneggiate, fra le priorità ci fu proprio il Ponte della Villetta, i lavori per la sua riapertura cominciarono nel dicembre 1947.
Oggi è ancora li, bello più che mai, simbolo di una Garfagnana sempre pronta a rinascere.

mercoledì 18 novembre 2015

Il Robin Hood dei briganti garfagnini: Filippo Pacchione, il brigante gentiluomo

Ci siamo mai domandati come mai il garfagnino dal carattere
Briganti
mite e socievole, cinquecento anni fa era considerato un brigante per eccellenza? Era così in quel tempo in Garfagnana, chi non faceva il contadino faceva il brigante. Ma quali furono le cause che portarono il mansueto garfagnino ad imbracciare lo schioppo e a depredare e ad uccidere la malcapitata vittima di turno? I briganti furono certamente dei fuorilegge, ladri e spesso e volentieri anche assassini e quindi ingiustificabili, ma nel XVI secolo rappresentarono anche l'unico veicolo di riscatto per chi annegava nell'emarginazione. Una lettura facile e superficiale di relazioni sul brigantaggio di funzionari estensi tende ad attribuire tale fenomeno all'indole dei garfagnini stessi (ma per favore!...). Al contrario dico io, una lettura attenta di quei documenti porta a ben altre considerazioni sulle cause del brigantaggio locale. Al tempo la pressione fiscale era altissima,ed oltre che altissima era anche cieca e tendeva a colpire le persone veramente più povere, non parliamo poi della giustizia che era amministrata con i dovuti "riguardi" da persona a persona, che diventava timorosa con i potenti per sfogarsi sui più deboli; anche il pregiudizio la faceva da padrone, dove il cittadino non vedeva di buon occhio il montanaro, che dire inoltre dell'ambiente ? La montagna diventava rifugio di quelli che venivano allontanati o fuggivano a vario titolo dalle città estensi e che di conseguenza andavano ad ingrossare le file dei manigoldi. Ma alla fine di tutto questo bel discorso, il brigante garfagnino era un criminale o un Robin Hood ? Senza ombra di dubbio era entrambe le cose
Le Apuane rifugio dei briganti
e nonostante fosse un malfattore, la natura buona del garfagnino comunque veniva fuori, tanto è vero che il maltolto delle loro vittime talvolta veniva ripartito anche fra la gente comune che a sua volta così garantiva una certa protezione ai fuorilegge.Andiamo a vedere allora chi era da considerarsi il più Robin Hood di tutti fra i briganti nostrani. Lui era Filippo Pacchione capobanda di San Pellegrino, che in più casi seppe distinguersi per la sua onorabilità, gentilezza e cavalleria, lo potrebbe testimoniare se fosse ancora oggi in vita Ludovico Ariosto stesso,commissario estense venuto in queste terre per combattere queste risme di delinquenti e proprio quando saliva il passo verso Modena (luogo privilegiato per questi assalti) insieme alla sua scorta fu assalito in un agguato e derubato dei suoi averi. All'improvviso uno della banda Pacchione pronunciò il nome Ariosto ed il bandito svelto domandò:

- Dov'è ? Dov'è Messer Ariosto?-
- Sono io- rispose il poeta
- Compagni udite- disse Filippo Pacchione- che non sia torto un capello al grande Ariosto!-
Tutta la merce fu restituita ed il brigante aggiunse:
-Messere, anche i banditi della Garfagnana, che sferzate nelle vostre satire, vi apprezzano e vi rispettano-
e si inchinò ossequioso per sparire nel folto dei boschi.

L'altra storia riguarda la nobildonna veneziana Bianca
La nobildonna
Bianca Cappello
Cappello colei che diventerà prima amante e poi attraverso intrighi poco chiari anche la moglie del Granduca di Toscana Francesco I de Medici. Bianca era una donna bellissima e come si direbbe oggi un'arrampicatrice sociale e cercava per se il più ricco marito che le potesse capitare e si "innamorò" (prima di Francesco de Medici) del fiorentino Pietro Bonaventura, impiegato a quel tempo al Banco Salviati di Venezia, ma i progetti dei genitori per lei erano diversi: la madre la voleva far suora e il padre la voleva dare in sposa ad un vecchio. Non rimaneva che fuggire a Firenze a casa del promesso sposo ed andare a celebrare il matrimonio. Arrivarono a Ferrara e li il segretario di Alfonso II  duca di Modena li fece sposare in fretta e furia (lei aveva 15 anni!!!) per proseguire poi di gran carriera verso Modena e di li a piedi con il freddo e la neve giunsero a San Pellegrino. In quell'inverno del 1573 era custode dell' eremo di San Pellegrino tale Pierone da Frassinoro che prima li accolse con diffidenza e poi saputo chi li mandava gli spalancò le porte del convento. La mattina di buon ora partirono verso Castelnuovo Garfagnana guidati da Pierone, giunti a Campori incontrarono lungo la loro strada proprio Filippo Pacchione che con fine sarcasmo e ironia così li accolse (vi riporto fedelmente le parole del brigante raccolte da Raffaello Raffaelli nel suo "Descrizione geografica storica della Garfagnana"):

-Madonna; ben conviene che importanti affari vi abbiano consigliata ad un viaggio che pochissimi si attentano in questa stagione di fare, e potete chiamarvi fortunata di non esser caduta nelle mani degli assassini che infestano questa strada.-
Pierone riconobbe il brigante e ormai anche se aveva passato gli 80 anni incuteva ancora timore. Ai novelli sposi come "regalia di nozze" Pacchione offrì la sua protezione attraverso le terre di Garfagnana e una volta rimandato a casa Pierone una scorta di briganti li accompagnò nei giorni
San Pellegrino in Alpe
a seguire attraverso Castelnuovo, Monte Perpoli, Gallicano e Borgo a Mozzano e li furono lasciati a rimuginare sullo scampato pericolo avendo sempre in mente le parole del brigante:
-Una gentil donna deve saper quant'è periglioso affrontar l'Appennino, onde fieri e spietati briganti non permettono a nessuno di passare indenni quelle strade...-

Così questa è la storia di Pacchione l'unico brigante che una volta morto venne reso l'onore delle armi dalle guardie estensi, gli venne riconosciuto "ossequio cavalleresco, lealtà e valore". 

Storie di un garfagnino di altri tempi...

mercoledì 11 novembre 2015

Il bosco del Fatonero: l'origine di tutte le leggende garfagnine

Ci sono dei luoghi in Garfagnana che sembrano usciti dalla saga
Il bosco del Fatonero
epica fantasy de "Il Signore degli Anelli" di Tolkien, posti meravigliosi dalla vegetazione fitta e verdissima, ma sopratutto luoghi magici, popolati da essere misteriosi, da folletti e da fate, insomma, leggendo le pagine del celebre romanzo sembra che Tolkien paradossalmente si sia ispirato niente meno che  al bosco del Fatonero. Vi invito dunque a leggere queste righe e ditemi voi se non pare di essere nella mitica Contea di Mezzo o a Gran Burrone, invece no, siamo nel comune di Vagli di Sotto. Il Fatonero è un bosco abbarbicato al Monte Fiocca(nelle Alpi Apuane) pieno di fascino e di mistero che si percorre con piacere per dirigersi da Arni al Passo Fiocca ed oltre, ed eccolo là stagliarsi in lontananza la sua macchia verde scuro, che cambia colore con le stagioni.Questa meravigliosa e magica faggeta si trova a 1400 metri di quota.Un posto che si può considerare senza dubbio "l'epicentro" delle leggende apuane, da sempre queste montagne hanno generato molte storie fantastiche e già il nome di per se è tutto un programma, si parla infatti che l'origine di tale denominazione sia da ricercarsi da "Fatto nero" per un possibile omicidio accaduto in quel bosco di cui nessuno ricorda più niente, per altri invece deriva da "faggio nero", si dice che gli alberi vi crescessero così fitti e robusti che a malapena vi penetrava la luce del sole.Ma è qui che nasce tutto, qui è la genesi dei vari miti garfagnini (il buffardello, l'omo selvatico,le fate...) che ci sono giunte a noi oggi, qui in
l'interno del bosco del Fatonero
(foto di Davide Caramaschi)
questo luogo sopravvivono millenarie leggende che testimoniano la presenza dell'antico popolo dei Liguri-Apuani, con il loro culto degli alberi e degli spiriti tutelari della foresta. Si crede che in questo bosco vivono ancora oggi spiriti e folletti che di notte vagano danzando in cerchio laddove la luna riesce a far filtrare la propria luce attraverso la fitta boscaglia, creando magicamente dei giochi di luce. Chi ha attraversato questo bosco di notte dice che sia riuscito a sentire suoni inspiegabili e mai sentiti da orecchio umano, sospiri, lamenti e premonizioni sul futuro e fortunato quel 
passante che sempre fra le tenebre attraversando il bosco non viene disturbato dai folletti, poichè possono guidarlo sui sentieri che solo loro conoscono, oppure gli possono creare l'impressione di avere le fiamme d'intorno, solo le campane dei paesi vicini che suonano il mattutino fanno svanire l'incantesimo e i folletti che si trovano ancora all'aperto si pietrificano, però anche in pieno giorno la sensazione che si ha attraversando il Fatonero è quella di essere osservati, si ha quasi la certezza che ogni  passo sia controllato,tanto è vero che con l'arrivo della luce del sole i folletti (protettori di questo bosco) sono prigionieri dentro il tronco degli alberi e la voce del vento che passa attraverso questi alberi a chi la sappia capire, intende rivelare dove si trovi un meraviglioso tesoro nascosto, in quel bosco da tempo immemorabile. Tale tesoro sembra scaturito da una vecchia storia lontana che racconta che un pastore in questa fittissima faggeta vide una bellissima fata vestita di bianco con una corona di foglie in testa, il giovane pastorello la invitò a ballare e mentre lui suonava lo zufolo vide che la
l'interno del bosco (foto tratta
dal sito giornirubati.it)
fanciulla ballava talmente leggera da essere sospesa nell'aria,il pastore in segno di amicizia le donò dei fiori freschi che si trasformarono in tante monete d'oro appena la fata li ebbe toccati, da quel giorno tale tesoro è sempre nascosto nel bosco e non è stato 
ancora trovato, che non sia per caso nelle grosse buche che si aprono tutt'intorno a questa boscaglia e fra le radici degli alberi stessi? Questi pertugi portano alle abitazioni di strane creature sotterranee, che siano loro i nuovi padroni delle monete d'oro? Molte di queste buche a onor del vero sono state provocate dalle grande quantità di fulmini che li si abbattono, si pensa che vengano attirati dalla quantità notevole di ferro presente nella roccia, ma antiche tradizioni parlano di un luogo dannato a causa degli antichi riti pagani che si celebravano e sul quale si scarica l'ira divina. Questa dannazione è confermata dalla presenza degli streghi, qui si radunano e vanno a ballare nel canale dell'Acquarola,vagano nel bosco come sciami di insetti luminosi e si posano sugli alberi emettendo suoni simili a dei pianti di neonato, non è difficile nemmeno vederli come lenti ragni che si arrampicano sulla corteccia dell'albero, o osservarli svolazzare da farfalle impazzite,possono inoltre fare delle malie e chi attraversa il bosco è bene che si fornisca di rosario e impari anche questa formuletta:
"Gesù, Giuseppe e Maria tenete gli streghi lontano dalla via".
Non sono mancate nemmeno storie di cronaca vera, quando un fulmine in pieno giorno uccise il figlio del pastore del luogo che era stato invitato da un altro pastore a mangiare polenta nel suo rifugio. Non arrivò mai a mangiare quella polenta, il suo corpo fu trovato morto appena fuori dal bosco colpito da una saetta.

Un luogo così, cari lettori non può che esistere solo in Garfagnana: fate, streghi, folletti, esseri sotterranei, maledizioni e tesori. Nemmeno la più fervida fantasia di Tolkien o di qualsiasi altro scrittore avrebbe pensato tali cose, ma le nostre storie e le nostre leggende partono da molto lontano, dai riti e dalle tradizioni degli antichi Liguri Apuani che meravigliosamente attraverso i millenni sono giunte fino a noi e a noi oggi sta l'arduo compito di non farle dimenticare.

mercoledì 4 novembre 2015

L'apocalittico uragano che colpì la Garfagnana. Era il 1829...

"Dio ce ne scampi e liberi"... Quando si parla di certe cose è bene subito affidarsi all'Onnipotente... perchè dai pericoli dell'uomo bene o male ci si può difendere, ma quando la natura si scatena niente e nessuno può farci niente. Questa doverosa premessa intende annunciare un argomento che per la stagione è più che mai attinente. Sono stati giorni piovosi quelli passati e quelli che ancora ci aspettano lo saranno, ma fino a che piove in maniera diciamo così "normale" niente da dire, il problema viene quando comincia a piovere a dirotto, in modo devastante, quasi apocalittico, insomma quando ci colpiscono quelle che oggi vengono modernamente chiamate "le bombe d'acqua" e allora ecco straripamenti,frane, danni a cose e anche a persone e diamo giustamente colpa all'incuria dei fossi, dei fiumi, delle selve, alla selvaggia cementificazione e all'inquinamento atmosferico che ha accelerato di fatto i mutamenti climatici, in (buona) parte tutto vero, dall'altra un po' meno se è vero come è vero che anche in epoca lontana tali fenomeni accadevano. Lo sta a dimostrare un fatto risalente ormai a 186 anni fa e che viene considerato senza dubbio il disastro naturale più sconvolgente che colpì la valle dopo il terremoto di Villa Collemandina del 1920. Era il lontano 1829 quando
La Turrite di Gallicano in piena
(foto Daniele Saisi)
un devastante uragano colpì la Garfagnana. Pochi, quasi nessuno a sentito parlare di questo disastro, ormai i quasi due secoli di distanza da quei giorni hanno cancellato qualsiasi memoria, ma grazie a Dio esistono gli Archivi Storici ed ecco tutto tornare a galla. All'epoca l'effetto serra neanche si immaginava cosa fosse, i fiumi e i fossi erano stra puliti, eppure la natura si accanì comunque sulla già povera Garfagnana. 
Riferiscono di questa tempesta alcuni documenti presenti nell'archivio storico del comune di Castelnuovo Garfagnana, che nella notte fra il 7 e l'8 ottobre 1829 venne giù il finimondo: "col diluvio d'acqua e furia di vento". Grandi disastri si ebbero in nove comuni della Garfagnana. I danni subiti furono vari, ce li possiamo immaginare dal momento che ultimamente anche da noi sono avvenuti fenomeni simili: tetti scoperchiati, paesi interamente allagati, frane, strade interrotte e una grande quantità di fango, ma ci fu di peggio, di molto peggio, le selve di castagno furono colpite senza pietà, castagni secolari e castagni giovani senza distinzione furono divelti, troncati e sradicati come fuscelli e come ben si sa questa pianta e il suo frutto erano il sostegno di moltissime famiglie garfagnine, immaginiamoci quindi quale fu la disperazione. Un vero flagello che spinse nei giorni a seguire gli amministratori dei comuni colpiti a chiedere immediato aiuto al governatore della 
Castagni distrutti
Garfagnana: il conte Salinguerra Torello. Il governatore vista l'entità dei danni e la gravità della cosa indirizzò le suppliche garfagnine a sua maestà "il Munifico" Francesco IV di Modena. Il Duca non è che si "sbracò" poi tanto, dal momento che nell'immediato concesse solo una leggera riduzione della tassa prediale (n.d.r: un'imposta sui terreni e i fabbricati, praticamente una I.M.U ante litteram...), nonchè un'autorizzazione ai sindaci di liberalizzare la vendemmia, che al tempo era rigidamente regolamentata in base alla maturazione dell'uva:
"Attesa la stravaganza della stagione si rilascia in libertà i proprietari e i coloni di vendemmiare le uve già compromesse, a loro beneplacito".
Naturalmente tali provvedimenti non risolsero un bel niente e la situazione peggiorava di giorno in giorno, di mese in mese. Francesco IV a onor del vero almeno si adoperò in solerte maniera per ripristinare quanto prima i pubblici disagi, furono riaperte e risistemate le strade, si intervenne sulle frane  e le pubbliche vie furono ripulite dal fango. Ma i castagneti dei privati
L'Altezza Reale
Francesco IV
cittadini non rientravano in questi interventi governativi. Il governatore Torello proclamò lo stato di calamità e si rimise nuovamente al buon cuore del duca per tutti quei poveri proprietari di selve di castagno (e non solo) e in questo caso Sua Altezza Reale non fu così zelante come avrebbe dovuto essere.
Passarono quasi ben tre anni prima che l'illustrissimo duca prendesse una decisione e che tutte le pratiche burocratiche del caso fossero andate a buon fine e così come documenti riportano il 19 maggio 1832 il Governatore Torello potè annunciare alle "comunità supplicati" il clemente provvedimento di Francesco IV:

"Ultimate le verificazioni, che occorreranno, potrà finalmente aver luogo il riparto di Italiane lire 3000 che S.A.R. l’Augusto nostro Sovrano si è degnato di accordare a titolo di sussidio ai più danneggiati nei castagneti in questa Provincia dall’uragano del 7 all’8 ottobre 1829. Il riparto è fatto in ragione della quantità delle piante atterrate nei nove comuni della Provincia".

Purtroppo non ci è dato sapere da tali documenti nè quali fossero i comuni colpiti, nè quale fosse l'entità pluviometrica che provocò cotanta distruzione, comunque per rendersi conto più o meno di ciò, ci possiamo immaginare che furono colpiti tutti quei comuni intorno alla comunità di Castelnuovo, ma per rendere bene l'idea di quello che successe quella maledetta notte, dato ancor più rimarchevole, sono la cifra dei castagni abbattuti: ben 22.334 unità, non contando poi altri alberi da frutto, gli orti e le coltivazioni portate via dal fango e dall'acqua. Un danno economico che mise veramente alla fame la Garfagnana, tutto questo dovuto anche ai risarcimenti irrisori del governo di Modena. Per il comune di Castelnuovo ad esempio la cifra risarcitoria fu di 494 lire(circa), essendo stato fissato il valore di ogni pianta abbattuta in 0,13 lire e qualcosina, un modestissimo risarcimento se si pensa che tale cifra servì solamente per ripulire le selve dalla devastazione dell'uragano e come se non bastasse, oltre al danno la beffa se si conta che negli anni successivi la farina di castagne andò a prezzi vertiginosi.


Vecchie famiglie contadine
Insomma anche questa è la classica storiella all'italiana, come si vede i tempi passano ma le cattive "usanze" dei governanti rimangono inalterate nei secoli. Sembra di aprire un quotidiano dei giorni nostri e leggere delle alluvioni e dei disastri attuali: governo lento, burocrazia ancor più lenta, risarcimenti inesistenti o insignificanti...Inutile quindi affidarci a quello che oggi si dice "il buon governo", ma affidiamoci pure al buon Dio...


Bibliografia

  • Articolo di Guido Rossi tratto dal Corriere di Garfagnana del maggio 2012