martedì 27 ottobre 2015

92a Divisione Buffalo: i 15000 uomini di colore che liberarono la Garfagnana.1944

Non è come Hollywood ce la vuol sempre raccontare, anzi spesso e
Il loro simbolo
volentieri il cinema americano ci lancia degli stereotipi che ci portiamo appresso tutta la vita. Ad esempio nella II guerra mondiale coloro che ci liberarono dall'oppressione nazi fascista furono gli americani (ma non solo) e ce le immaginiamo arrivare nella nostra Garfagnana da liberatori trionfanti sulle jeep a ritmo di swing, distribuendo cioccolate e sigarette a destra e a manca fra ali di gente festante e ci ritornano alla mente quei soliti soldati americani visti nei film di guerra,un po' spacconi ma buoni come John Wayne ne "Il giorno più lungo"o Lee Marvin "In quella sporca dozzina", ma non fu così, almeno in Garfagnana.Gli americani che pensiamo nel nostro immaginifico non arrivarono mai, o meglio arrivarono quando la situazione nella valle era ormai pacificata. Oggi rendiamo merito e onore ai veri eroi, gli uomini della 92a Divisione Buffalo appartenenti alla Va armata americana.Una divisione composta da solo uomini neri, ben quindicimila, pochi conoscono i risvolti del doloroso ed eroico ingaggio di questi soldati che diedero le loro vite nel 1944 per la libertà della Garfagnana e per la loro stessa emancipazione dal razzismo.Questi erano i Buffalo Soldiers, i "soldati bufalo".

"Deeds not words", "fatti non parole" era il motto di questa divisione particolare
Una delle prime divisioni
della Buffalo
dell'esercito americano.Il soprannome "Buffalo" fu affibbiato a loro dai Cheyenne (tribù di Nativi Americani) nel 1867, in parte per il colore della pelle e per i capelli ricci di questi soldati che ricordava il mantello di un bisonte, ma sopratutto perchè questo nome per gli indiani significava rispetto, poichè come i bisonti, i soldati della Buffalo combattevano fino alla fine. Dopo la guerra civile americana (1865) Frederick Douglas (politico e abolizionista americano) ebbe a dire:

"I neri di America sono stati cittadini statunitensi tre volte nel 1766,nel 1812 e nel 1865. Nei periodi complicati i neri erano cittadini,nei momenti di pace erano degli alieni"
e la storia si ripete così nel 1941 a II guerra mondiale iniziata, il presidente Roosevelt firmò l'atto 8802 che riammetteva così i neri d'America nell'esercito. Seguirono poi leggi non scritte dove i neri dovevano restare in unità separate dai bianchi e in cui sempre i neri non potevano comandare i bianchi.L'altezzoso generale (bianco) Ned Almond, loro comandante così li accolse:
"Noi non vi abbiamo chiamato. I vostri giornali e politici neri assieme ai vostri amici bianchi hanno insistito per vedervi combattere e io mi impegnerò perchè voi combattiate e offriate la vostra parte di vittime".
Il comandante della V armata Mark Wayne
Clark passa in rassegna "La Buffalo"

Questo era il "buongiorno" con cui partirono per l'Italia.
Sbarcarono a Napoli nel 1944, poi di nuovo imbarcati per Civitavecchia e da li su convogli militari giunsero in Toscana. Avevano il compito di attraversare l'Arno e sfondare niente meno che la linea Gotica.La Garfagnana accolse così questi giovani, tutti desiderosi di far parte di un operazione militare vittoriosa. Molti di questi soldati si erano arruolati volontariamente per ottenere quell'integrazione civile e umana sancita a parole dalla Costituzione Americana, altri perchè senza lavoro,la maggioranza di loro erano contadini analfabeti, ma c'erano anche medici e professionisti. L'impatto con la nostra valle fu sconcertante da un punto di vista prettamente militare, per mesi e mesi i loro addestramenti si svolsero nelle lande semi desertiche del Texas che non avevano niente a che vedere con le montagne garfagnine, ma ormai non c'era più niente da fare, la loro missione doveva andare avanti.Dopo aver ridefinito le strategie cominciò l'avanzata verso la Garfagnana, iniziarono la loro risalita coadiuvati dai partigiani locali, infatti la loro più grande paura non essendo come detto abituati alla morfologia del territorio era di perdersi  per i
Una storica immagine:Lucca è liberata
dai soldati della Buffalo.
Foto ricordo con i civili
sentieri della valle e la collaborazione degli "amici paesani" (come i soldati della Buffalo chiamavano partigiani) in tal senso fu fondamentale. Giunsero così nel Morianese il 15 settembre 1944, gli scontri furono da subito duri con i tedeschi, questi scontri violenti durarono per quattro giorni, quando finalmente gli alleati riuscirono a sfondare ed entrare di fatto nella Valle del Serchio. Importantissimo fu anche per la Garfagnana l'apporto dell'esercito brasiliano,la F.E.B (Forza di Spedizione Brasiliana) che in quel momento si occupava della zona ovest, la zona che dava verso la Versilia, l'offensiva di entrambi gli eserciti continuava inesorabile tanto da giungere il 30 settembre del solito anno a Borgo a Mozzano stabilendoci il comando generale.Il 1° ottobre la 92a Buffalo liberò anche Bagni di Lucca, la loro marcia insieme ai brasiliani si protrasse ancora per 20 km liberando Barga, Fornaci, Gallicano, Sommocolonia, Ghivizzano e Pian di Coreglia e qui in questa linea si attestò il fronte.Rimane di quei giorni il ricordo singolare di un signore di Gallicano che all'epoca era un bambino di 9 anni :

Manifesto di propaganda fascista
contro i soldati negri
"Io non avevo mai visto un uomo nero se non nei manifesti della propaganda fascista che li dipingeva come degli scimmioni. Da principio fui titubante, ma poi mi feci conquistare dalla cioccolata che spesso mi offrivano".
Furono quelli sette mesi di guerra di trincea che in una maniera o nell'altra andava superata, l'inverno fu rigidissimo e solamente incursioni aeree su Castelnuovo e qualche episodio di guerriglia smossero in qualche modo la situazione.Vennero poi i giorni tragici e decisivi del dicembre 1944, i giorni dell'operazione "Wintergewitter",in italiano "Tempesta d'inverno", meglio conosciuta ai più come la "Battaglia di Natale". Le forze naziste il 26 dicembre a mezzanotte con un colpo d'ala riuscirono a sfondare le linee difensive statunitensi, cogliendo di sorpresa i soldati della Buffalo, in pochi giorni gli americani furono ricacciati indietro di 20 km, fu una disfatta.Nella memoria di tutti rimarrà l'estremo sacrificio del tenente di colore John Fox a Sommocolonia, paese nel quale vi furono fra i combattimenti più
Il tenente John Fox

feroci. John Fox era un uomo cresciuto fra i campi di cotone, finito a combattere su una collina incastrata fra i monti della valle del Serchio per l'esercito di un paese che ancora lo chiamava "negro", è solo, asserragliato nella rocca medievale del paese, cerca riscatto, forse gloria, ordina ai suoi di scendere a valle prima che i colpi di cannone e le mitragliere della Kesserling raggiungano anche loro.Lo spettacolo è straziante case sventrate, campi intrisi di sangue, commilitoni morti e la paura della povera gente chiusa nelle cantine.Ormai Fox è accerchiato, ma  ha fatto la sua scelta,non fuggire ma rimanere, cercare in qualche modo di frenare l'operazione "Tempesta d'inverno", Fox capisce come. Nell'ultimo messaggio inviato ai suoi soldati ordina di colpire con il mortaio, le coordinate però corrispondono a quelle della sua posizione, il soldato che riceve il messaggio è stordito, perchè portare il fuoco proprio sul tenente? Avrebbe significato sicuramente la sua morte. Ma l'ordine di John Fox è perentorio, le sue ultime parole sono "Fuoco lo stesso"quindi ucciderlo perchè non si continui ad uccidere, infatti così fu. Il corpo del tenente Fox una volta riconquistato il paese dai soldati della Buffalo, insieme ai soldati nepalesi, il 2 gennaio 1945 fu ritrovato insieme a quello di un centinaio di tedeschi. Insieme a lui nella battaglia morirono circa 80 Buffalo Soldiers. Le cose non volgevano al meglio anche nel settore versiliese, la
92a Buffalo in azione in Garfagnana
Buffallo subì pesanti perdite per errori di strategia, come nel fallito attraversamento del torrente Cinquale, dove il già discusso (e già citato) generale Almond mandò i carri armati a bonificare il terreno, uno dietro l'altro con il risultato della loro facile distruzione da parte dei tedeschi, lasciando così senza supporto di corazzati una parte della 92a divisione, anche qui fu una strage.Cominciarono a piovere così pesanti ed ingiuste critiche verso questi uomini, le truppe della 92a Buffalo furono spostate in zone di guerra per così dire più tranquille e le accuse si fecero ancor più pesanti, si parlava di mancanza di coraggio e della riluttanza delle truppe afroamericane di combattere.L'azione dei neri della 92a fu messa in dubbio pure dalla gente comune con commenti del tipo:" I bianchi sono pronti a morire per la patria, i neri no".

Film,fumetti,documentari e canzoni.
Il giusto merito
Mestamente la storia dei Buffalo Soldiers finì al ritorno in Patria nel novembre 1945, la divisone fu immediatamente disattivata alla fine dello stesso mese.
Per molti anni ancora questi uomini torneranno ad essere cittadini di serie B, dovranno andare in scuole separate, salire negli ultimi posti degli autobus e il Ku Klux Klan darà per molti anni la caccia al negro, nessuno si ricorderà del loro sacrificio, non bastarono più di mille morti e 3500 tra feriti e dispersi nella sola Toscana per essere ricordati non come soldati ma come uomini.
Ma il tempo come si sa (ogni tanto...) è galantuomo e uno dei primi in assoluto a riconoscere il valore dei soldati della Buffalo fu il professor Umberto Sereni (ex sindaco di Barga) che negli anni 80 cominciò la sua lotta per avviare un processo di riconoscimento dei sacrifici fatti, fu elogiata la loro azione sostenendo che il gruppo tattico dei Buffalo meritasse di passare alla storia per il comportamento in battaglia e per aver aperto la strada al resto
della Va armata. Furono così gli anni della giusta rivalutazione, film,canzoni libri, documentari portarono alla conoscenza di tutti questi valorosi soldati. Bob Marley nel 1983 dedicò a loro una canzone famosissima intitolata appunto "Buffalo Soldier"Marley, identificò i Buffalo
13 gennaio 1997 il 
Presidente Clinton consegna la
Medal of Honor a Vernon Baker
Soldiers
 come esempio di uomini neri illustri che agirono con coraggio, onore e distinzione in un campo dominato dai bianchi. Sergio Bonelli disegnò un numero del famoso fumetto "Tex", il film di Spike Lee "Miracolo a Sant'Anna" ne esaltò le loro doti, per non parlare poi del memorabile docu-film Buffalo Inside di Fred Kowomu. Ma il cerchio si chiuse veramente quel 13 gennaio 1997 quando il presidente degli Stati Uniti d'America Bill Clinton insignì il tenente John Fox (il tenente morto a Sommocolonia) e Vernon Baker sottufficiale della 92a Buffalo 
(all'epoca in vita)con il più grande riconoscimento militare americano: la "Medal of Honor"

mercoledì 21 ottobre 2015

La storia vera di Ursolina la Rossa...la strega

Era conosciuto come il "Malleus Maleficarum", ovverosia il
"Martello delle streghe", il manuale più consultato per la caccia alla streghe, un testo latino pubblicato nel 1487 dai frati domenicani Jacob Sprenger ed Heirich Kramer redatto allo scopo di reprimere la stregoneria, tale manuale non fu mai riconosciuto dalla chiesa cattolica ma neanche inserito nell'indice dei libri proibiti.Riscosse consensi in tutti gli inquisitori e in autorevoli ecclesiastici, tanto che ne vennero pubblicate 34 edizioni e stampate oltre trentacinquemila copie, anche in edizione tascabile. Il primo impatto fu che negli anni immediatamente successivi alla sua pubblicazione in Europa furono bruciate vive in quindici anni 16.376 streghe ed eretici e condannate a penitenza oltre 17 mila persone, dopo esser passate da atroci torture per confessare il terribile peccato di fronte a Dio. Sotto questa scure non mancò neanche la Garfagnana e questa triste storia ne è testimone.
Lei era una povera donna conosciuta come "Ursolina vulgariter ditta La Rossa" al secolo Ursolina La Rossa di Sasso Rosso. Ma come era potuto succedere che una semplice (seppur stramba) donna di paese fosse finita nelle rete della Santa Inquisizione? I padri inquisitori le dissero così che aveva la fama di essere strega e che perdipiù persone fidate l'avevano additata come tale, ma naturalmente la verità era un'altra, in paese qualche nemico c'era e poi dal momento che da poco era morto il marito la sua posizione si faceva ancora più debole e poi quei capelli rossi certo non aiutavano e non aiutava per niente quella sua passione di trafficare con le erbe, conosceva qualche metodo per curare alcune semplici malattie, un po' come fanno adesso le nostre nonne e tali pratiche le aveva imparate dalle altre compaesane e non credeva certo che fossero pratiche peccaminose, ma questo bastava per venire condotta davanti al tribunale del Sant'Uffizio competente di Modena, insieme a sua figlia, anche lei considerata come la madre.Era nell'anno 1539. Dagli atti del processo si ricavava che già dai primi interrogatori la donna "ammise" subito le sue colpe,la paura di essere torturata era molta, disse che era già molti anni che
partecipava a dei sabba, cominciò a favoleggiare su questi riti, ma all'inquisitore questo non bastava, ci doveva essere di più oltre che il sabba e fu portata di conseguenza nella sala delle torture dove doveva confessare tutta la verità in ogni minimo particolare,fu così legata e sollevata per un braccio da terra, il dolore fu indicibile: "...deponiteme che io dirò la verità...". Alle domande incalzanti rispose di si a tutto, rinnegava la Madonna, la fede e chiamava tre volte il diavolo che compariva sotto forma di un montone, lei gli saliva a cavallo e volavano nel cielo, confessò di averci avuto rapporti sessuali, tanto che diceva di questa bestia di essere dotato di un pene biforcuto. Nei giorni a seguire gli interrogatori continueranno ma "la sete di verità" degli inquisitori non fu placata vista "la obstinazione et pertinacia della donna"  e pertanto fu chiesta autorizzazione a sua Eccellenza Joà di Saviati vescovo di Ferrara per procedere al tormento con il fuoco, l'autorizzazione fu concessa.A Ursolina furono poste le braci ardenti sotto i piedi e gridò "Toliti via il foco che volgio dire la verità" .I padri la ammonirono nuovamente di dire la verità e Ursolina fu un fiume in piena:"Io rinnego Cristo,la Vergine Maria ed i suoi santi e non voglio che Dio e la Vergine abbiano parte in me..", riferì di unguenti miracolosi fatti con grasso di "cristiano", poi pensò ad un'altra ammissione, la peggiore, la più nefanda, confessò di aver ucciso, ucciso bambini, dissanguandoli, scese in particolari raccapriccianti tanto da sorprendere gli stessi inquisitori, ma lei oramai dopo le terribili torture molto probabilmente non vedeva l'ora di
morire...Ma così non fu. Il Sant'Uffizio gli lasciò la possibilità di fare abiura (in caso contrario sarebbe finita sul rogo), di rinunciare al diavolo e alle sue tentazioni e di promettersi a Dio per il resto della sua vita, non prima di aver scontato penitenze pubbliche. Ursolina accettò,  probabilmente salvando così anche la figlia:
"Mi Ursolina da Saso Rosso de la Diocesi di Modena...in presentia del reverendo Padre fra Thomas de Morbegno, vicario generale et reverendo padre inquisitore...essendomi posti li sacri Evangelji avantj e tocandolj corporalmente abiuro,revoco,detesto,abnego ogni heresia".
Dopo aver pronunciato abiura fu condotta all'ingresso del duomo di Modena dove fu posta in ginocchio con una corda al collo, molti si fermavano a schernirla, a maledirla e a minacciarla e così pure il giorno dopo avrebbe dovuto umiliarsi alla solita maniera davanti ad un'altra chiesa della città e poi così ancora per altre due
domeniche come specificava l'editto di penitenza, solo dopo questo avrebbe potuto riprendere la strada per Sasso Rosso, ma la sua vita non sarebbe più stata la stessa una volta giunta in paese, le regole ferree del tribunale sarebbero continuate. Ursolina doveva chiudersi in casa, uscire solo per andare a messa e confessarsi,per un intero anno poi avrebbe dovuto portare una tunica di penitenza con bene in vista una croce rossa e per tutto il tempo che le rimaneva da vivere avrebbe dovuto recitare un rosario al giorno alla Madonna. In fondo a questa storia Ursolina era felice,le cose più preziose gli erano rimaste:la figlia e la vita, gli inquisitori erano stati clementi o forse non avevano creduto a tutto quello che era uscito dalla sua bocca e avevano compreso che era soltanto una povera donna di campagna...
Una storia vera,che deve far riflettere ogni lettore.
La storia è documentata ancor meglio dal professor Guidi nel suo libro "Ursolina la Rossa e altre storie".

mercoledì 14 ottobre 2015

Come leggenda volle:la nascita del castagno in Garfagnana. Storia antica e rara.

Non c'è memoria che ci possa dire da quanto tempo le castagne
sfamano la Garfagnana e non sta certo a me ricordare che nei tanti momenti di carestia che la nostra valle ha attraversato quante vite garfagnine ha salvato dallo stento e dalla fame.Trovo quindi sempre giusto ricordare in tempo di castagne questo prezioso frutto della nostra terra che a mio avviso posso definire senza ombra di dubbio il frutto garfagnino più pregiato. "L'albero del pane", così lo definì Giovanni Pascoli nella sua opera Castanea. Tanto importante per noi, che gli usi, i costumi e le tradizioni, i regolamenti comunali, le tecniche agronomiche, tutto è legato a questo albero.Un proverbio a questo avviso dice:

Garfagnin della Garfagna
Se tu non avessi la castagna
Moriresti dalla famma.

Naturalmente con il tempo sono cambiate le cose e di quei 18.000 ettari di castagneto da frutto all'inizio del XX° secolo, oggi ne sono rimasti "solamente" 3000 ancora in produzione.Una vera fortuna dunque che in Garfagnana ci sia quest'albero, ma come ci è arrivato nelle nostre terre? Qualche volta è giusto lasciar perdere la storia vera e propria ed è bello immergersi nella poesia delle leggende,
lasciarsi trasportare in questo mondo fantastico e perchè no magari anche crederci. Questa che vado a narrare tratta la mistica nascita del castagno in Garfagnana,una leggenda molto antica e rara, forse conosciuta da pochi. Si ha qualcosa di scritto su questa storia a partire dal 1720 da parte di Pellegrino Paolucci (n.d.r: storico garfagnino), ma la sua diffusione, come nelle migliori tradizioni delle leggende è orale,racconti narrati magari raccolti in seno alla famiglia, alla luce del focolare domestico, con una padella di scoppiettanti mondine sul fuoco e in compagnia di un buon bicchiere di vino rosso  e cominciare a raccontare così l'origine di tutto:

"Sui monti della Garfagnana viveva da tempo immemore un vecchio e saggio boscaiolo, aveva sempre vissuto sui quei monti e tutti lo vedevano da sempre. Un giorno spaccava la legna all'ombra di un grande albero verdeggiante, e ringraziava Dio della forza che gli dava e dell'ombra che gli concedeva.Si fermò un istante per asciugarsi il sudore e sentì che alcuni montanari garfagnini, poco discosti da lui, si lagnavano delle loro condizioni.
-Disgraziati noi,- diceva una voce di giovane 
- Perché restiamo quassù e non scendiamo al piano? Avete visto come era giallo il grano della valle? Chissà quanto pane saporito avrà il contadino della pianura!-
-E avete visto, -


seguitava la voce di una donna:
-quel verde chiaro sulle colline verso il mare? Sono gli olivi. Chissà quanto olio dolce e nutriente torchieranno i contadini della collina!-
La voce di un vecchio seguitò ancora:
-E le viti verso il piano di Lucca che già diventano rosse,le avete viste? Chissà quanto vino generoso avrà il vignaiolo!-
Il vecchio saggio ascoltava col cuore sospeso. Temeva che i suoi montanari peccassero di ingratitudine verso Dio e bestemmiassero.Le voci seguitavano:
- E noi che cosa abbiamo? - diceva il giovane - Un po' di pascolo, di latte e di formaggio.-
- E quando piove e poi vien fuori il sole, - diceva la donna,-qualche fungo-
- E quando fa freddo un po' di legna da ardere- continuava il vecchio.
-Vita misera, stenta e dura -dicevano insieme.
Al saggio si strinse il cuore.Commosso da quei lagni, si mise in ginocchio sopra una pietra e pregò: 
-Dio mio, che hai dato la lana agli agnelli, il latte alle pecore , dà la maniera di svernare anche a coloro che abitano le tue alte montagne. Da' un pane anche ai montanari di questa valle, un pane dolce, nutriente e caldo, che sia il loro nutrimento nel lungo e rigido inverno!-
Metato garfagnino

Sentì sopra di sé frusciare le fronde del grande albero e fu come se Dio avesse fatto cenno di assenso.Il vecchio si alzò e si diresse verso le voci che risuonavano ancora nel bosco.Trovò i montanari seduti sul muschio. Avevano tutti il volto triste e la testa appoggiata alla mano.
-Non siate così tristi, - disse il vecchio saggio ai suoi montanari.
 -Non vi lagnate così. Iddio penserà anche a noi se gli saremo fedeli.-
Le voci si spensero, poi ripresero:
- Viviamo fra gli stenti. Non abbiamo un frutto che ci nutra e dia un raccolto abbondante.-
-E’ vero,ma non vi scoraggiate. Iddio.... - 
Alzò la testa e scorse tra le foglie verdi dell'albero un riccio tondo e spinoso che non aveva mai veduto. Lo staccò cautamente e lo mostrò ai montanari stupiti.
- Guardate, ecco il frutto per voi!-
I montanari s'alzarono per osservare meglio quel riccio. Lo toccarono, lo soppesarono,poi si ributtarono in terra scontenti.
- Bel frutto! Non ha che spine pungenti. Ci ferirà la bocca. L'uva, l'oliva e il grano hanno un'altra apparenza!-
 Il saggio sorrise:
- Gente poco accorta, - disse. 
- Se di fuori questo frutto è così armato, vuol dire che dentro ha un tesoro da difendere dagli scoiattoli e dai ghiri. Prima di lamentarvi guardate che cosa contiene.-
Tracciò il segno della croce sul riccio, il quale si aprì in quattro e fece uscire tre belle castagne gonfie e lucide.I montanari garfagnini si erano fatti anch'essi il segno della croce, e ammiravano il prodigio delle tre castagne.

 - Queste, - disse il vecchio - son come tre sacchetti di dolce farina. Non patirete la fame, negli inverni più lunghi. Siete contenti?-
I tre montanari mormoravano:
- Iddio ci vuole bene, Iddio è stato generoso anche con noi.-
- E anche voi siate generosi, - ribatté il saggio - E ascoltate-.
I tre si avvicinarono a lui:
-Quante castagne contiene il riccio? - chiese il vecchio saggio.
 - Tre...Dunque il frutto è diviso in tre parti. Questa prima castagna, - disse -  è per il padrone del castagneto. Quest'altra - aggiunse prendendo la seconda castagna, - è per chi lavorerà nel castagneto.-
Rimase una castagna nel riccio.
- E quella? Di chi sarà questa terza castagna?- 
chiesero i tre e il vecchio rispose:
- Avete visto come ho fatto ad aprire il riccio? Col segno della croce.E il segno della croce chi ricorda? Gesù! Il riccio si è aperto per Lui. E noi lo ringrazieremo nelle nostre preghiere. Questa terza castagna è dunque per Lui, cioè per i poveri-.
Il saggio si allontanò e ripeté:
- Una al padrone, una al contadino, ed una al povero...-.
Raccolse di terra l'accetta, e tornò a spaccar legna nel bosco."

Una bella leggenda che affonda le sue radici nella fede contadina di secoli fa, dove Dio e terra erano legato in maniera
indissolubilmente e allo stesso tempo rende la castagna un frutto divino, nato per volontà di Gesù per sfamare la povera Garfagnana di quel tempo. Una leggenda questa ormai persa e da poco recuperata che rende onore alla castagna garfagnina e allo stesso tempo fa si che questa bella storia non vada persa nell'oblio dei tempi.

mercoledì 7 ottobre 2015

Pieve Fosciana: la rivolta del tricolore.La prima bandiera italiana a sventolare in Toscana,era il 1831

Il tricolore che sventolò a Pieve Fosciana
Ogni tanto penso a quanta fatica e con quanti morti siamo arrivati ad avere un Italia unita, poi un attimo dopo la mia mente va all'Italia di oggi e penso a quei poveretti di Pieve Fosciana nel 1831...vedessero adesso... e mi è impossibile non ricordare quella lontana domenica del 6 marzo di 184 anni fa. Sono passati molti anni dal quel giorno, da quella che gli storici hanno definito come"la prima rivolta del tricolore" in Toscana.Per gli onori della cronaca la Pieve ha il privilegio (come già tutti ben sappiamo) di essere il primo luogo in Toscana in cui è sventolata la nostra bandiera nazionale. Raccontiamo però come andarono i fatti. Tutto nacque ancor prima di quella notte tra il 5 e il 6 marzo. Pieve Fosciana faceva parte del Ducato di Modena, sotto il duca Francesco IV d'Este, quando i carbonari Ciro Menotti e il suo braccio destro Antonio Angelini di Pieve Fosciana iniziarono a organizzare la rivolta di Modena e del suo regno.Fra i due fu amicizia fin da subito,condivisero l’idea di un’Italia unita e libera e in questo anelito di libertà la macchina della rivoluzione si mise in moto anche alla Pieve. Gli artigiani cominciarono a cucire le coccarde tricolori da mettere al petto, mentre sette ragazzi di buona famiglia si mossero per far partecipare tutto il paese. Questi baldi giovanotti fautori della rivoluzione pievarina si chiamavano: Jacopo Pierotti, Nicola Amicotti (già inquisito per i moti del 
Il Terrazzo con lapide
da cui sventolò
1821), Pietro Pierotti, Pietro Mariani, il dottor Porta Catucci e il professor  Giovan Battista Tognarelli Arriviamo così alla fatidica notte del 5 marzo 1831,la notte a cui si fa riferimento.La rivoluzione contro il Duca doveva partire da Modena ed estendersi a tutto il Ducato, per un disguido e per le informazioni che “correvano” con le carrozze o a piedi(internet e gli smartphone ancora non c'erano), a Pieve Fosciana nessuno fu avvertito che questa era stata rimandata di un mese.Tutto però aveva preso il via,alla Pieve sventolò per alcuni giorni il Tricolore. I giovani tolsero dalla casa comunale l’aquila di pietra simbolo di Francesco IV e il Tognarelli issò il tricolore dal terrazzino della casa comunale. Fu un vero tripudio cominciarono le feste,si brindò e si cantò.Furono già elette le nuove magistrature dichiarando di fatto decadute le autorità ducali, fu nominato addirittura un commissario governativo provvisorio Felice Spezzani che partecipò ad un lauto banchetto a base di tordi preparato dalle donne del paese .La rivoluzione però durò tre soli giorni e nel martedì pomeriggio, quando rientrò il Duca nei suoi territorio fu imposto a tutte le 
Francesco IV duca di
Modena
chiese di suonare le campane per richiamare la popolazione all'ordine, al Sillico questo non fu possibile perchè i tre fratelli Bonaldi avevano tagliato le corde della campane e inchiodato il portone del campanile, per questo furono arrestati e processati.Alle forze armate estensi fu dato immediato ordine di riportare tutto
alla normalità.La sollevazione di Pieve Fosciana in quattro e quattr'otto fu subito sottomessa  e fu pagata anche a caro prezzo. Ciro Menotti di li a poco tempo fu impiccato, al resto dei "pievarini" andò meglio perchè fuggirono "all'estero", cioè a Barga facente parte del Granducato di Toscana e a Gallicano sotto il ducato di Lucca e per venti lunghi anni non rividero le loro case, anche il paese stesso fu punito: per sei anni venne privato dallo stesso Duca della sua sede comunale. Si dovette aspettare così il 1859 quando i plebisciti unirono tutta la Toscana al Piemonte...in tutta questa confusione però una furtiva e benedetta mano riuscì a trafugare quella bandiera italiana che per tre giorni sventolò orgogliosamente in paese. Questa era la benedetta mano di Jacopo Pierotti che conservò gelosamente questa"reliquia" e quando sua figlia sposò l'avvocato Giulio Pesetti, poi sindaco di Castelnuovo,la bandiera passò alla famiglia del marito che l'ha portata fino ai giorni nostri, e come ebbe a dire il carbonaro
pievarino Antonio Angelini "Quel 10 marzo era già tutto finito",con questa frase mise fine ai sogni di gloria ma inconsapevolmente aprì una gloriosa pagina per la nostra valle.