mercoledì 7 ottobre 2015

Pieve Fosciana: la rivolta del tricolore.La prima bandiera italiana a sventolare in Toscana,era il 1831

Il tricolore che sventolò a Pieve Fosciana
Ogni tanto penso a quanta fatica e con quanti morti siamo arrivati ad avere un Italia unita, poi un attimo dopo la mia mente va all'Italia di oggi e penso a quei poveretti di Pieve Fosciana nel 1831...vedessero adesso... e mi è impossibile non ricordare quella lontana domenica del 6 marzo di 184 anni fa. Sono passati molti anni dal quel giorno, da quella che gli storici hanno definito come"la prima rivolta del tricolore" in Toscana.Per gli onori della cronaca la Pieve ha il privilegio (come già tutti ben sappiamo) di essere il primo luogo in Toscana in cui è sventolata la nostra bandiera nazionale. Raccontiamo però come andarono i fatti. Tutto nacque ancor prima di quella notte tra il 5 e il 6 marzo. Pieve Fosciana faceva parte del Ducato di Modena, sotto il duca Francesco IV d'Este, quando i carbonari Ciro Menotti e il suo braccio destro Antonio Angelini di Pieve Fosciana iniziarono a organizzare la rivolta di Modena e del suo regno.Fra i due fu amicizia fin da subito,condivisero l’idea di un’Italia unita e libera e in questo anelito di libertà la macchina della rivoluzione si mise in moto anche alla Pieve. Gli artigiani cominciarono a cucire le coccarde tricolori da mettere al petto, mentre sette ragazzi di buona famiglia si mossero per far partecipare tutto il paese. Questi baldi giovanotti fautori della rivoluzione pievarina si chiamavano: Jacopo Pierotti, Nicola Amicotti (già inquisito per i moti del 
Il Terrazzo con lapide
da cui sventolò
1821), Pietro Pierotti, Pietro Mariani, il dottor Porta Catucci e il professor  Giovan Battista Tognarelli Arriviamo così alla fatidica notte del 5 marzo 1831,la notte a cui si fa riferimento.La rivoluzione contro il Duca doveva partire da Modena ed estendersi a tutto il Ducato, per un disguido e per le informazioni che “correvano” con le carrozze o a piedi(internet e gli smartphone ancora non c'erano), a Pieve Fosciana nessuno fu avvertito che questa era stata rimandata di un mese.Tutto però aveva preso il via,alla Pieve sventolò per alcuni giorni il Tricolore. I giovani tolsero dalla casa comunale l’aquila di pietra simbolo di Francesco IV e il Tognarelli issò il tricolore dal terrazzino della casa comunale. Fu un vero tripudio cominciarono le feste,si brindò e si cantò.Furono già elette le nuove magistrature dichiarando di fatto decadute le autorità ducali, fu nominato addirittura un commissario governativo provvisorio Felice Spezzani che partecipò ad un lauto banchetto a base di tordi preparato dalle donne del paese .La rivoluzione però durò tre soli giorni e nel martedì pomeriggio, quando rientrò il Duca nei suoi territorio fu imposto a tutte le 
Francesco IV duca di
Modena
chiese di suonare le campane per richiamare la popolazione all'ordine, al Sillico questo non fu possibile perchè i tre fratelli Bonaldi avevano tagliato le corde della campane e inchiodato il portone del campanile, per questo furono arrestati e processati.Alle forze armate estensi fu dato immediato ordine di riportare tutto
alla normalità.La sollevazione di Pieve Fosciana in quattro e quattr'otto fu subito sottomessa  e fu pagata anche a caro prezzo. Ciro Menotti di li a poco tempo fu impiccato, al resto dei "pievarini" andò meglio perchè fuggirono "all'estero", cioè a Barga facente parte del Granducato di Toscana e a Gallicano sotto il ducato di Lucca e per venti lunghi anni non rividero le loro case, anche il paese stesso fu punito: per sei anni venne privato dallo stesso Duca della sua sede comunale. Si dovette aspettare così il 1859 quando i plebisciti unirono tutta la Toscana al Piemonte...in tutta questa confusione però una furtiva e benedetta mano riuscì a trafugare quella bandiera italiana che per tre giorni sventolò orgogliosamente in paese. Questa era la benedetta mano di Jacopo Pierotti che conservò gelosamente questa"reliquia" e quando sua figlia sposò l'avvocato Giulio Pesetti, poi sindaco di Castelnuovo,la bandiera passò alla famiglia del marito che l'ha portata fino ai giorni nostri, e come ebbe a dire il carbonaro
pievarino Antonio Angelini "Quel 10 marzo era già tutto finito",con questa frase mise fine ai sogni di gloria ma inconsapevolmente aprì una gloriosa pagina per la nostra valle.

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