mercoledì 30 marzo 2016

Alcoolismo, sporcizia e povertà. Così era la Garfagnana del 1911

Quello che andrete a leggere fra poco sembra un resoconto socio
Gallicano, i primi
del secolo
scorso
economico di un fantomatico inviato delle Nazioni Unite mandato in un fantomatico paese del terzo mondo a relazionare su di esso.Non parleremo però in questo caso (con tutto il rispetto) di qualche paese africano o di uno stato dell'est Europa uscito dall'egemonia sovietica o magari di qualche altra nazione del sud est asiatico. Questo che mi è capitato fra le mani è un documento ufficiale del 1911 che il sottoprefetto di Castelnuovo Garfagnana invia al prefetto di Massa (n.d.r:la provincia di appartenenza al tempo) dove illustra la situazione sociale ed economica in Garfagnana Non è un bel quadro, si parla di pericolo di infiltrazioni socialiste, di gente dedita al bere, di povertà, sporcizia ed ignoranza e si fa riferimento (tanto per rimanere nell'attuale) di un eventuale ospedale unico. Sono passati "solo" 105 anni da questo bel quadretto, non tanti storicamente parlando e pensare che questa era la Garfagnana in cui vivevano i nostri nonni (per alcuni dei lettori anche bis nonni probabilmente), figuriamoci però che nel giro di pochi chilometri la situazione cambiava totalmente. C'era Bagni di Lucca, uno dei centri termali più rinomati di tutto il continente, definita "terra di principi e di poeti" frequentata dal fior fior della cultura internazionale, tanto per "snocciolare" qualche nome possiamo citare Puccini,Croce, Byron e Montale e chi più ne ha più ne metta. Bastava anche attraversare le Apuane per ritrovarsi in un mondo magico, i primi stabilimenti balneari attiravano già le teste coronate di mezza Europa,non dimentichiamoci poi di Lucca che da ex città ducale godeva ancora di signorilità e lustro e in mezzo a tutto questo po pò di bel mondo c'era la Garfagnana isolata da tutto e tutti dove regnava la miseria più assoluta. 
Bagni di Lucca.Le terme
stabilimento idroterapico

Faccio appello dunque al mio attento lettore perchè legga accuratamente questo documento, uno spaccato reale, incredibile e se si vuole anche curioso di quel tempo, di una terra vissuta nell'indigenza e che solo negli ultimi decenni è riuscita ad alzare la testa, grazie proprio all'instancabile lavoro e ai risparmi dei nostri nonni in quei tristi anni(e anche dopo),fatti con tanto sacrificio perchè la miseria che patirono loro non la provassero in futuro nè i loro figli nè i loro nipoti.Ma attenzione quei risparmi e quei nonni stanno per finire...

RELAZIONE DEL SOTTOPREFETTO DI CASTELNUOVO ROSSI AL SIGNOR PREFETTO DI MASSA 13 GENNAIO 1911

"Le condizioni dello spirito pubblico in questo Circondario sono abbastanza soddisfacenti data l'indole tranquilla e pacifica della popolazione, a cui le speciali condizioni topografiche e gli scarsi contatti con i centri più popolosi e progrediti hanno mantenuto quel carattere patriarcale e primitivo che le rende aliene dalle agitazioni e dai disordini. Se a ciò si aggiunge il frazionamento della proprietà, il carattere prevalentemente estensivo dell'agricoltura e la mancanza quasi assoluta di industrie se si eccettuino le poche fabbriche e officine del capoluogo (n.d.r: Castelnuovo Garfagnana) e la speciale estrazione dei marmi nei comuni di Minucciano e Vagli di Sotto si comprende come il partito socialista abbia avuto poco incremento in questa regione, e appena in Castelnuovo abbia una modesta rappresentanza, esplicandosi  nella forma più blanda e senza pericoli per l'ordine pubblico. Nemmeno la numerosa popolazione operaia che si accentra per i lavori della ferrovia ha potuto dare espansione  notevole alla propaganda socialista.
Costruzione ferrovia in Garfagnana

A questo che è il lato buono di queste popolazioni fa riscontro l'assenza assoluta di ogni iniziativa che sia di stimolo al progresso nell'ordine morale, intellettuale ed economico. Alla iniziativa feconda del lavoro si contrappone il criterio angusto dell'economia sterile e improduttiva. Scarsa è la cultura, mancano le scuole, ne si sente il bisogno di istituirne, ciò è causa della emigrazione degli elementi più intellettuali  e dell'abbassamento continuo del livello della cultura generale.L'edilizia e l'igiene personale degli abitanti è dovunque trascurata anche nello stesso capoluogo non esito a dire per esperienza avutane. Inoltre una metà dei fabbricati è a rigore d'igiene inabitabile. In molti dei comuni minori e specialmente nelle frazioni l'abitato non ha nulla da invidiare ai paesi delle più infelici regioni d'Italia.
Colla emigrazione abbonda nei comuni del Circondario ciò che ne è una delle conseguenze più frequenti, l'abuso dell'alcoolismo, essendo la bettola il ritrovo abituale dei contadini e operai che ritornano l'inverno a consumarvi nell'unico modo che per loro è possibile gli scarsi guadagni accumulati e non è infrequente che questi accumuli di denaro qualcuno non creda di farne cosa migliore che aprire un' altra osteria, che si va ad aggiungere alle tante altre già esistenti nei comuni. A ciò lo scrivente tentò di porre un freno col vietare (salvi casi eccezionali di interesse del pubblico per
Osterie in Garfagnana inizio 1900
speciali condizioni locali)l'apertura di nuovi esercizi nei comuni che più ne abbondano, se non in sostituzione di quelli che vengono a cessare. E pur conseguenza dell'emigrazione operaia è l'aumento continuo dell'onere di spedalità, che costituisce uno dei maggiori aggravi per le finanze comunali, reso ancor maggiore dalla mancanza di ospedali, poichè l'unico esistente nel capoluogo ha una capienza limitatissima e manca dei mezzi adeguati, nonchè ad aumentare il numero dei letti esistenti e provvedere convenientemente a quelli di cui può disporre. Vi fu, nè è ancora abbandonata a parole, l'idea di costituzione di un consorzio fra i Comuni della Garfagnana per provvedere ad un ospedale comune, ma come tutte le idee che richiedono iniziativa, non ha avuto seguito in concreti fatti (n.d.r:...mi sa di storia già sentita, qualcuno ci aveva pensato 105 anni fa, ne passeranno altri 105 e questo ospedale ancora non ci sarà...).

Allo stesso modo è pendente nel capoluogo (n.d.r: Castelnuovo) la questione delle scuole che sono sparse qua e là in locali inadatti e antigenici, dell'acqua potabile che è scarsa e di dubbia salubrità, della costruzione della strada d'Arni, che avrebbe capitale importanza per le comunicazioni. La viabilità è in genere scarsa e maltenuta. Vi sono comuni come Vergemoli, Trassilico, Fosciandora, Sillano che non hanno altra strada d'accesso che la mulattiera pressochè impraticabile, poche sono poi le frazioni che abbiano comodi mezzi di comunicazione col capoluogo e le poche strade esistenti sono malridotte, specialmente le stagioni invernali, per il transito dei carri che trasportano marmi dalle cave di Vagli e
Costruzione strada di Arni
Minucciano, non esclusa la strada nazionale da Castelnuovo a Ponte di Campia e Turritecava e le strade per Piazza al Serchio e San Romano che sono pressochè le uniche del Circondario.

Non esistono oltre i comuni enti morali di tale importanza da meritare un cenno speciale se non fosse a Castelnuovo la Società Operaia , scarsa di soci e di influenza e la Società di Assistenza Pubblica (Croce Verde) presieduta da sign. Silvio Fioravanti capo del partito socialista locale e la Confraternita della Misericordia con cui ha in parte scopi comuni.
I bisogni di questa comunità possono facilmente desumersi da quanto sopra si è accennato: attivare le industrie, sfruttare le risorse naturali, fondare una scuola secondaria (n.d.r:scuola media)che contribuisca ad elevare il livello intellettuale della zona, aprire un ospedale funzionale capace di provvedere ai bisogni delle popolazioni, il proseguimento della linea ferroviaria Lucca Aulla che darebbe senza dubbio un grande impulso all'industria marmifera è poi suprema aspirazione di tutta la Garfagnana, in parte unita ad una provincia povera di risorse e di mezzi qual'è quella di Massa, l'aggregazione alla provincia di Lucca, che diede luogo in passato ad agitazioni ora sopite che non mancheranno di risorgere in forma più legale finchè i desideri della popolazione non siano in qualche modo siano soddisfatti".
L'arrivo del primo treno a Castelnuovo
25 luglio 1911 (coll. Fioravanti)


Correva così l'anno 1911, molte cose sono cambiate in Garfagnana e molte come si può leggere sono ancora oggi di difficile soluzione: l'ospedale unico, la malmessa viabilità e il poco lavoro esistente sono fra i problemi più sentiti dalla gente, rimane il fatto che la nostra valle ne ha passate di cotte e di crude ma siamo ancora qua fieri della nostra terra e del lavoro dei nostri vecchi.

mercoledì 23 marzo 2016

"I Crocioni" di Castiglione. La Passione di Cristo in Garfagnana

La Processione dei Crocioni negli anni 20
(proprietà Vittorio Pieroni)
Le uova di Pasqua, le pasimate, le gite fuori porta il giorno di pasquetta, sono solo amenità della Pasqua moderna che allietano i primi giorni di primavera. Le Pasque antiche erano ben altra cosa, si festeggiava si la Resurrezione del Signore ma tutto era avvolto in quell'aura di solennità religiosa che la ricorrenza imponeva. Non parliamo poi dei giorni precedenti la Santa Festività e in particolar modo nella cosiddetta Settimana Santa, ricorrenze varie portavano alla espiazione dei peccati nei modi più incredibili e cruenti possibili a cominciare proprio dalle Sacre Rappresentazioni e anche la Garfagnana non sfuggiva da queste considerazioni.Il Concilio di Trento (il concilio che riformò la Chiesa Cattolica e che durò ben 18 anni: 1545-1563) dette una bella regolata a questi svariati
Un momento della
processione dei Crocioni
riti, alcuni di questi infatti furono addirittura impediti come le manifestazioni troppo rumorose, disordinate e becere che si celebravano all'interno delle chiese. Fu consentita però la sopravvivenza di queste rappresentazioni sacre, prime fra tutte quelle che riproducevano la Passione di Cristo e la vita e il martirio dei santi. Questa tradizione si consolidò nella nostra valle nel periodo che va dal 1600 al 1700, era l'epoca dei grandi predicatori gesuiti (e non solo) che percorrevano tutta la penisola in lungo e largo a predicare il Vangelo e il pentimento divino. Era con questo spirito che venivano organizzate interminabili processioni in Garfagnana in un clima e in un pathos di fervore religioso altissimo ed era proprio attraverso queste rappresentazioni che la fantasia popolare veniva colpita e faceva in modo che la fede diventasse un qualcosa di morboso, poi bisognava anche dire che  questi predicatori utilizzavano con maestria e sapienza le arti del teatro e della spettacolarizzazione. La partecipazione era dunque altissima e alcuni di questi partecipanti erano coperti sulla testa da vere corone di spine, altri portavano il cilicio (cintura uncinata e nodosa da portare di solito intorno alla coscia per penitenza)e altri ancora si flagellavano il corpo, il tutto si svolgeva in un clima surreale, in un atmosfera creata ad hoc dalla tremolante luce delle fiaccole, l'apoteosi si raggiungeva però quando si arrivava faticosamente sulla cima dell'ipotetico Monte Calvario, qui il predicatore e i teatranti inscenavano i momenti della Passione e si esortava la gente alla devozione assoluta in
Il Cristo incappucciato
dei Crocioni
(foto Matteo Pieroni)

caso contrario sarebbe stata la dannazione eterna. Tanto per fare un esempio a Castelnuovo già nel 1451 esisteva una confraternita di flagellanti che era proprio dedita a questi riti, era la Compagnia della Croce che fra le varie opere di misericordia verso i poveri e gli infermi aveva anche l'obbligo della fustigazione volontaria in pubblico. Altro che pasquette varie e uova benedette, qui non si scherzava affatto e queste rappresentazioni sacre ancora oggi esistono in Garfagnana nel periodo pasquale(con le dovute differenze...ma poi neanche tante a dire il vero) in perfetta continuità con il passato e fra le più suggestive e misteriose rimane la rappresentazione sacra di Castiglione Garfagnana, la ormai famosa "Processioni dei Crocioni".
La particolare rappresentazione ripercorre l'ascesa di Gesù al Calvario, una volta si svolgeva il Venerdì Santo, ma ormai da tempo viene fatta nella notte del giovedì.Il rito ha origine antichissime,
quasi ormai indefinite, tanto d'aver perso la precisa datazione della sua nascita, anche se un dato sicuro rimane dal momento che dagli archivi parrocchiali si evidenzia che sono almeno due secoli che l'Arciconfraternita del SS.Sacramento e Croce del
il bacio di Giuda
(foto Matteo Pieroni)
Castello di Castiglione
accompagna questa tradizione.
La caratteristica fondamentale di questo rito è il significato profondo che viene attribuito al voto o alla penitenza dell'uomo che impersonerà il Cristo, in effetti quello sarà un percorso duro e fisicamente doloroso per colui che ha scelto di purificarsi l'anima attraverso questo rituale.Ma scendiamo nel particolare e guardiamo come si svolge.
Dopo la rievocazione dell'Ultima Cena, l'uomo che interpreta Cristo comincia a percorrere secondo un prestabilito tragitto le vie del paese. L'usanza vuole che il Cristo sia vestito con una cappa bianca e il suo viso sia nascosto da un cappuccio anch'esso bianco coronato da irte spine, così messo fa il suo arrivo nella chiesa di San Michele dopo che si è celebrata la messa.Il suo arrivo è annunciato dal sinistro rumore delle catene poste alle caviglie dei nudi piedi, a quel punto entrato in chiesa l'uomo riceve il bacio da Giuda e viene caricato del gravoso peso di una croce di legno ed è a quel punto che
comincia la processione; il Cristo con la sua pesante croce comincia così il suo cammino di penitenza a piedi nudi per le lastricate vie del borgo scortato da guardie romane.Il corteo religioso si snoda così per le vie del paese,anticipano il suo arrivo gli uomini della confraternita con le loro torce e ogni rullo di tamburo annuncia le tre cadute (come Via Crucis vuole) nei punti più suggestivi del paese(il sagrato di San Pietro,Torricella e Porta del Ponte Levatoio). Ma fin qui, seppur tutto coinvolgente ed emozionante sembrerebbe di trovarci di un fronte ad un qualcosa di classico nel suo genere, ma invece no.L'elemento che rende unica nel suo genere questa rappresentazione è data dal fatto che nessuno (tranne il Priore della confraternita) conosce l'identità di colui che impersona Cristo, per far si che l'anonimato sia garantito la persona prescelta per il difficile ruolo viene chiusa dallo stesso Priore in un armadio della sacrestia prima dell'inizio del rito, sarà così al riparo da occhi indiscreti.Una volta conclusa la rappresentazione e la processione nel frattempo è tornata al punto di partenza(nella chiesa di San
Michele), il penitente viene nuovamente preso in consegna del Priore stesso che lo riaccompagna  in sacrestia fra mille difficoltà dovute alla difficile camminata,alle varie cadute e sopratutto ai piedi sanguinanti, e lì verrà ancora rinchiuso nell'armadio, mentre fuori due membri della confraternita vestiti da soldati romani si mettono di guardia, perchè il tutto si svolga nella massima tranquillità e nel massimo riserbo. Solo a notte fonda quando ormai tutto il paese è deserto e la gente dorme, l'interprete del Cristo potrà abbandonare il suo rifugio, sicuro ormai di non esser visto da nessuno.
Castiglione Garfagnana
Tradizione, storia e religione un mix che ancora una volta è presente più che mai nella nostra Garfagnana, una delle ultime terre che fortunatamente è legata ancora a doppio filo con il suo passato
Buona Pasqua a tutti!!!

mercoledì 16 marzo 2016

Gulì, la meravigliosa storia del cane di Giovanni Pascoli

La storia non la fanno solo gli uomini, tra i vari protagonisti
Gulì
delle varie civiltà ci sono anche gli animali. Alcuni ad esempio, come il cavallo Bucefalo di Alessandro Magno o Asturcone il cavallo di Giulio Cesare sono stati compagni inseparabili nelle battaglie di questi importanti condottieri, altri come il cane Argo di Ulisse sono sinonimo di fedeltà assoluta e sempre a proposito di cani mi viene in mente anche il pit-bull Stubby nominato sergente dall'esercito U.S.A durante la I guerra mondiale per aver salvato il suo reggimento dai gas asfissianti e sono sempre cani quelli che hanno fatto la storia aerospaziale mondiale come la piccola bastardina Laika che fu sacrificata nel lancio della navicella russa Sputnik II.Non parliamo poi della lupa capitolina che leggenda volle che allattando Romolo e Remo abbia dato il via a tutta la millenaria storia di Roma antica e questi non sono solo che alcuni esempi.In Garfagnana e nella Valle del Serchio non voliamo così in alto e rimaniamo un po' con i piedi per terra in questo campo, ma anche nella nostra terra c'è un animale a cui dare lustro e notorietà. Fu testimone di poesie fra le più belle di tutto il panorama italiano, questo animale si chiamava Gulì ed era il cane di Giovanni Pascoli e questa che racconterò oggi è la sua storia.

Per una volta quindi lasceremo perdere il protagonista principale di cui già si è tanto scritto e parlato e racconteremo del suo piccolo e fidato amico che il poeta considerava addirittura il suo alter ego a cui confidare le sue imprese e le sue sventure.
La tomba del merlo Merlino nel
giardino di casa Pascoli
Un doveroso preambolo però è dovuto, per capire bene fino in fondo l'amore che il poeta aveva per gli animali. Giovanni Pascoli può essere considerato senza dubbio un antesignano degli animalisti, in un'epoca in cui le bestie avevano un ruolo marginale nei sentimenti della gente, in lui trovavano amore e comprensione che veniva ricambiata con un sentimento disinteressato di chi niente vuole in cambio. Prima di arrivare a Gulì nel 1858 abbiamo il primo cane, il meticcio Joli, compagno di giochi del piccolo Giovannino, ma non troviamo solo cani nella vita del poeta, a Castelvecchio (e non solo)ci fu una costante presenza di uccelletti, la storia di questi piccoli amici comincia con una tortorina, compagna di camera nel liceo di Urbino, proseguiva con un piccione viaggiatore che sembrava provenisse dal Belgio, continuava poi con il passero Ciribibì immortalato in una delicata poesia:"dal canto si consola, se il sol ride alla stanza" e ancora il lucherino, la capinera e l'usignolo, per finire alla tomba di Merlino il merlo dall'ala rotta, sepolto in una nicchia chiusa e sormontata da un epitaffio ormai illeggibile, poco più oltre riposa anche la capretta la cui madre fornì il suo latte alla figlia primogenita della sorella Ida. Tutto però magicamente cambiò quel 4 giugno del 1894 (come racconta l'amico Pier Giuliano Cecchi in suo bell'articolo) quando Gulì fece il suo ingresso in casa Pascoli. Mariù (la sorella del poeta) ricordava con queste parole quegli attimi di felicità:
-...quel caro compagnino che non doveva separarsi più da noi se non con la morte...-
Il Pascoli che gioca con Gulì

Glielo portò infatti il padre di Antony De Witt (disegnatore delle poesie del Pascoli, vedi Myricae)e sempre Mariù nelle sue memorie così ne parla e lo descrive:
-... per collocarlo bene aveva pensato di farne dono a Giovannino. A dire il vero non poteva trovargli padrone migliore. Il cucciolo, che aveva appena cinque mesi, era un incrocio di due razze assai diverse essendo figlio di una canina levriera e di un bracco...Il pelame aveva raso, lucido e morbido come velluto; nero sul mantello e nella testa, ma bianchissimo nel petto, sul collo, in parte del muso e nei quattro piedi e nella punta della lunga coda. Era un gran bel balzanino, snello, elegante ed aristocratico.Ma quale nome poteva convenirgli?-
Proprio in quei giorni il Pascoli aveva ricevuto in dono un vassoio di dolciumi spedito da alcuni ex alunni con sopra stampigliato il curioso nome del pasticcere, tale Emanuele Gulì da Palermo e proprio nel mentre che pensa e ti ripensa tutti riflettevano sul nome da dare al nuovo amico a quattro zampe l'occhio del poeta cadde proprio su quel vassoio:
- Ecco trovato il nome! Gulì!- 
E subito le sorelle Mariù e Ida cominciarono a chiamarlo con quel nome. Da quel momento fu parte integrante della famiglia, era considerato la punta del triangolo familiare, praticamente quella bestiola divenne come un figlio. Molti schizzi e disegni fatti a penna dal Pascoli rimangono ancora oggi, dove viene ritratto Gulì che passeggia con il padrone, Gulì sul divano e altri ancora e a quanto sembra il piccolo cane era "laureato", su alcune cartoline conservate a Castelvecchio si ritrova la firma "dottor" Gulì, addirittura sapeva pure leggere e scrivere (anche se con qualche erroruccio) tanto è vero che il 26 giugno 1901 il Pascoli invia una scherzosa lettera all'amico Caselli di Lucca dove si
Un disegno del Pascoli che ritrae
Gulì e se stesso
immedesima nel cagnolino e nel suo presunto parlare:

-Spero presto rivederdi a manciare una piccola bistecca con losso e il ventilatore.Zio e mamma ti saltano e tabbracciano sono tuo Gulì Pascoli, dei piscottini menè toccati poini. Ne manciano molti zio e mamma e altri secatori.-
Visse felicemente con lo "zio" e la "mamma" per ben 18 lunghi anni e proprio sul finire del 1911 oscuri presagi si affacciavano all'orizzonte. In una lettera il Pascoli così chiudeva:- Non sto bene!-,  già il tremendo male si manifestava nel fisico del poeta e il fidato Gulì sembrava saperlo, cominciò anche lui a perdere le forze e il vigore che sempre lo avevano contraddistinto e nel gennaio del 1912 il Pascoli ancora annota:
- Gulì, il caro Gulì, Dottor Gulì, quello che non era un cane ma Gulì stava morendo-
Purtroppo a distrarre Giovanni dalle cure mediche e quindi a ritardare anche la sua partenza per Bologna dove sarebbe andato per cercare di guarire dalla malattia, c'era una più immediata preoccupazione il povero Gulì stava peggiorando
Augusto Vicinelli nel suo libro del 1961 "Lungo la vita di Giovanni Pascoli" così scriveva:
-Ho ascoltato molto dopo,nella sala da pranzo di Castelvecchio, su quel divano dove il vecchio morì, Maria parlare ancora commossa di lui e ripetere un profondo motto di Giovanni:"Se un cane potesse conoscere Dio come lo amerebbe" e ricordare quella fine e il seppellimento,compiuto lei assente per non farla soffrire troppo,nell'orto dove già erano Merlino e la caprina-
La tomba di Gulì
Gulì spirò la sera del 21 gennaio 1912 alle ore 21 e 45. Volle "egoisticamente" morire due mesi circa prima del suo amato padrone per non soffrire troppo del suo distacco.Fu questo così l'ultimo sacrificio di un grande amore del cane verso il suo padrone. Il dispiacere fu tanto per Giovanni e Mariù, fu tale da non ammettere neppure agli amici e ai conoscenti il triste evento,in quella chiusa sensibilità domestica furono inventate mille bugie perchè non si sapesse in giro che Gulì era morto. Fu seppellito nel giardino di Casa Pascoli "tra odorosi laurii, cullato dal dolce canto degli sgriccioli e delle capinere".Lo stesso poeta disegnò la stele funeraria di quello che come lui disse:"non era un cane ma... era Gulì".

mercoledì 9 marzo 2016

La guerra vista dagli occhi delle donne garfagnine

Non limitiamoci ad un semplice mazzetto di mimose,la festa della
Anni 50, donne sul Ponte di Gallicano
donna è ben altro ed è caduta anch'essa (come ormai tutte le feste) nel vortice delle celebrazioni super commerciali. Ristoranti e gadgets vari la fanno da padrona, dimenticando il vero significato della ricorrenza. La Giornata Internazionale della Donna o più comunemente detta festa della donna ricorda ogni anno le conquiste sociali, politiche ed economiche della donne, sia le discriminazioni e le violenze cui sono state oggetto (e lo sono ancora) in tutte le parti del mondo. In America la ricorrenza veniva già celebrata nel 1909, in Italia solo nel 1922.Per questo oggi (anche se con un giorno di ritardo), con questo articolo voglio rendere omaggio alle donne, ricordando la vita tribolata delle nostre nonne in Garfagnana in uno dei periodi più neri per l'umanità: la seconda guerra mondiale. Già durante il ventennio fascista e per la retorica di quel tempo la donna garfagnina doveva dedicarsi al lavoro domestico e provvedere esclusivamente alla riproduzione e all'amministrazione della casa. La numerosa famiglia fascista era infatti al centro della propaganda del partito, il ruolo che spettava alla donna era quello esclusivo di moglie e madre, ma in una posizione subordinata all'uomo, il suo corpo praticamente era come se fosse "nazionalizzato", la maternità così si trasformava in un dovere nei confronti della Patria. La cosa cambiò drasticamente e in peggio il 10 giugno del 1940 quando dal balcone di Palazzo Venezia Benito Mussolini annunciò trionfalmente l'entrata in guerra dell'Italia, a quel punto le donne garfagnine continuarono la loro attività di "angeli custodi" del focolare domestico ma inoltre cominciarono a sostituire l'uomo (che partiva soldato) anche nei lavori più duri. Non bastava più assolvere i compiti relativi alle faccende domestiche, oltre a quello di crescere i figli e curare gli anziani che erano in casa,ma bisognava anche coltivare, arare e zappare la terra per provvedere al mantenimento della famiglia stessa, ma non solo, dovevano
Donne in fabbrica alla SMI di Fornaci
(foto tratta da Bargarchivio.it) 
occupare anche quei posti lasciati vuoti dall'uomo nelle fabbriche, ecco allora salire alle stelle l'occupazione femminile alla S.M.I di Fornaci di Barga e nello stabilimento di Gallicano della Cucirini .Le nostre nonne non si risparmiarono nemmeno quando ci fu da dare un contributo nella resistenza partigiana, dove svolgevano la mansione di
"staffetta", era un compito difficilissimo e molto pericoloso, consisteva nel portare ordini, vestiti,cibarie e munizioni da una località all'altra riuscendo a superare i posti di blocco tedeschi, queste missioni erano spesso affidate a ragazzine di 16-18 anni che si pensava potessero destare meno sospetti. Ma il peggio venne dopo l'otto settembre 1943,alla firma dell'armistizio fu il caos totale.
Queste sono due testimonianze viste con gli occhi di donne garfagnine durante quei tremendi giorni, tratte dal bel libro di Tommaso Teora "Racconti di guerra vissuta".

Così raccontano le sorelle Settimia,Lola e Marilù Del Cistia di Sassi(Molazzana)

A settembre del 1944 eravamo tutti a casa. Vedemmo passare un gruppo di persone e ci chiedemmo cosa facessero li. Andammo tutti al piano di sopra e dalla finestra vedemmo un ragazzetto che veniva picchiato e sbattuto contro un ciliegio. Sapemmo solo in seguito che il ragazzo era stato trovato con una radio mentre ascoltava "Radio Londra" e chi inveiva contro di lui erano le camicie nere di Castelnuovo. Verso i primi giorni di ottobre del '44 tutta la nostra famiglia era impegnata nella raccolta delle castagne nelle nostre
selve di Rosceto, località sotto il campanile di Sassi. Al ritorno,a fine giornata la Lola e la Settimia andavano a mungere la vacca che era nella capanna sotto la nostra abitazione. Una sera una cannonata picchiò molto vicino, tanto che il secchio del latte si riempì di terra. Sparavano da Calavorno ed era la prima cannonata che arrivava a Sassi.Il papà per sicurezza ci portò a dormire in un cijere (n.d.r:una cantina) del paese. Il giorno dopo andammo tutti in Focchia, località sotto la Foce di Eglio, dove avevamo un metato. Rimanemmo li per circa un mese, poi nostra madre disse che voleva morire a Sassi e tornammo tutti in paese a casa del Pieroni. La notte dormivamo in cantina. Il 15 novembre fu segnato dalla morte di tredici orfanelle e di una suora sotto il bombardamento americano. Dopo tre o quattro giorni arrivarono i tedeschi, si impadronirono della casa e portarono tantissime munizioni, tra cui mine anticarro che furono messe nel corridoio. Dormivamo con le bombe a pochi metri. La sera del 27 dicembre '44 nostro padre ci disse:
- Domani non state in casa c'è pericolo di bombardamenti -.
Purtroppo non lo ascoltammo e il giorno dopo, mentre in sei o sette donne eravamo intorno al fuoco, cominciò un bombardamento aereo che dalla paura ci fece scappare tutte senza meta e direzione. Ci trovammo con molte altre persone nel bosco, alla capanna dell'Italo Rossi. Poi, insieme ad altri parenti ritornammo al nostro metato di Rosceto. Siamo rimasti lì finchè non fu dato l'ordine di andare tutti sulla riva sinistra della Turrite (febbraio 1945). Ci rifugiammo nella capanna sopra "Calorino". Siamo rimasti li per un certo periodo poi ritornammo a Rosceto fino alla fine della guerra. Quando sentimmo suonare le campane cominciammo ad incamminarci per
tornare a casa. Nel via vai di gente incontrammo molti soldati neri, che ci davano le cioccolate, ma non capivamo il motivo della loro presenza. Un particolare del gennaio '45 quando eravamo ancora a Rosceto, arrivò Pietro Tognocchi chiedendo aiuto a nostra madre Anna, poichè la moglie Maria stava per partorire. Nostra madre che era già pratica di parti, andò da loro a far nascere Giuseppe.

Questa invece è la drammatica testimonianza  della signora Valentini Letizia nata a Gragliana (Fabbriche di Vallico) nel lontano 1917, all'epoca dei fatti abitava a Castelnuovo Garfagnana.

Quando bombardarono per la prima volta Castelnuovo era il 2 luglio del 1944, io ero alla messa in San Pietro con mia figlia Maria Rosa di due anni e mio nipote. Scappammo immediatamente salvandoci per un pelo. Nel settembre '44 i tedeschi e gli alpini dopo, vennero a stabilirsi a casa mia. A noi ci lasciarono solo una stanza in cui vivere. Ci sequestrarono tutto: vino, cinque vacche e un maiale. Passammo tutto l'inverno in quella maniera. Certi alpini erano brave persone, ci portavano da mangiare ed io e mio marito lavavamo i loro panni, che erano pieni di pidocchi. I militari italiani di solito mi trattavano bene e mi davano anche buoni consigli per come comportarmi con i tedeschi; uno di loro addirittura tornò a trovarmi un paio di anni dopo la fine della guerra. Durante l'inverno che quell'anno fu particolarmente rigido, i soldati intirizziti dal freddo,cominciarono a bruciare tutto il legno che avevamo in casa, compresa la mia camera di noce. Quella volta non riuscì a
trattenermi e mi arrabbiai tantissimo, ma questo provocò un caos.
Castelnuovo bombardata
Due militari mi presero e mi portarono via per fucilarmi verso Pieve Fosciana e così gli chiesi:

- Dove mi portate? E come faccio a camminare nella neve senza scarponi?-
Allora un alpino ebbe compassione e mi dette i suoi e così ci si incamminò. Ma cosa volevano da me? Ero incinta della Silvana, che poi è nata nel luglio del '45. Arrivati in località Merlacchia ci raggiunse un soldato italiano che ci disse di tornare subito indietro, perchè il comandante tedesco aveva saputo della mia gravidanza e aveva avuto un ripensamento. Quando finalmente tornai a casa, un soldato italiano medico mi dette alcuni consigli per come rispondere durante l'interrogatorio che mi avrebbero fatto. Fui portata dentro una stanza con tre militari e un comandante tedesco di cui non ricordo i gradi, che mi fece una lunga serie di domande con una cattiveria indescrivibile. L'avevo scampata perchè ero in stato interessante, ma se potessi ritrovare quel tedesco! Nonostante la mia età lo strangolerei! Era odioso. Tra i militari a casa mia c'era anche un ragazzetto di quattordici anni, con il padre e sparavano tranquillamente insieme. Nel marzo del '45 ci mandarono via di casa dicendo che era pericoloso stare là. Il primo trasferimento fu in un metato poco sopra, poi ci trasferimmo al casello ferroviario di Volcascio. In seguito andammo sotto Bargecchia, a Rondanecchio e da li molto spesso sono tornata a Volcascio a portare da mangiare alle famiglie rimaste. Avevamo portato con noi l'ultima vacca rimasta. Quando tornammo a casa dopo la guerra, trovammo la casa vuota e tanta sporcizia. Dovemmo rimboccarci le maniche e ricominciare tutto da capo.

Di li a poco l'Italia tornò ad essere un Paese libero.La guerra finì dopo
Gallicano. La guerra è finita. Donne
ragazze e bambine in posa
cinque lunghi anni di strazio e tormenti infiniti. La guerra era persa, ma da questa tragedia uscì un vincitore: la donna, che ebbe un ruolo fondamentale in questo maledetto conflitto. Eroina rimasta anonima che si sacrificò per il valore più alto:la famiglia.

mercoledì 2 marzo 2016

La prima (e quindi la più antica) strada garfagnina:la Via Clodia Nova, orgoglio di Roma

Un vecchio detto così semplicemente rammenta: "tutte le strade
Una strada romana

portano a Roma", sembra un motto senza apparente significato ma storicamente parlando niente di questo è più vero. Il proverbio trae origine dall'efficiente sistema di strade dell'antica Roma, su cui buona parte di esse si basa l'attuale sistema viario italiano. Molte strade consolari partivano da Roma e quindi se prese in senso contrario riportavano proprio alla "Città Eterna".A sottolineare l'importanza delle strade per Roma ci pensa Plinio il Vecchio cronista dell'epoca che sottolineava il fatto che: "I romani posero cura in tre cose sopratutto, che furono dai greci poco considerate, cioè nell'aprire strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo cloache".Le funzioni principali di queste strade erano due: movimentare gli eserciti per tutti i territori conquistati e agevolare il trasporto di merci.Questa fu nella sua totalità un opera di ingegneria mostruosa che portò ad avere in tutto l'impero ben centomila chilometri di strade lastricate e ad oltre centocinquantamila chilometri di strade in terra battuta. Vuoi che fra tutte queste strade e stradine una non attraversasse tutta la Valle del Serchio? Certamente si, ed ha il primato di essere la prima strada(nel vero senso della parola) e di conseguenza anche la più antica mai costruita in tutta la Garfagnana e portava il glorioso nome di Via Clodia Nova o via Clodia Secunda, che si differenziava dalla già esistente Via Clodia che collegava Roma con i centri etruschi dell'antica Etruria(Toscana). La Via Clodia Nova poteva vantarsi del titolo di strada consolare(e non strada agraria) dato che una strada era considerata consolare quando era pubblica e di responsabilità militare e ricadeva di fatto sotto la giurisdizione di un console, perchè attraverso queste, le legioni si potevano spostare velocemente o i messaggeri portare notizie. Dai romani stessi fu considerata una notevole opera al pari della Via Aurelia o della Via Flaminia e ne curò la sua realizzazione l'importante console M.Claudio Marcello (da qui il nome della strada).Ma guardiamo però come si arrivò alla nascita di questa nuova e importante via. 
Oramai i Liguri Apuani erano stati sconfitti, ancora rimaneva qualche sacca di resistenza nei luoghi più impervi e montuosi della Garfagnana, ma a questo punto tutta la valle era assoggettata definitivamente alle legioni romane e di fatto cominciò quel
l'antico percorso della Via Clodia
(foto tratta da escursioni apuane.it)
processo che portò alla romanizzazione di tutto il territorio. Furono invitati i cittadini dell'impero romano ad occupare le nuove zone conquistate, promettendo a chi avesse abitato queste terre dei sostanziosi sgravi fiscali,questo favorì la fondazione e lo sviluppo di molti degli attuali paesi della Garfagnana, ma l'impulso decisivo all'occupazione delle nuove terre si ebbe nel 183 a.C quando terminò la costruzione di questa nuova via che partiva dalla città di Lucca e arrivava 
nello strategico porto di Luni(attuale provincia di La Spezia).Fu una costruzione molto difficile data la conformazione del territorio, ma si arrivò comunque al suo compimento.La strada divenne bella ed imponente, variava la sua larghezza dai quattro ai sei metri, così che si potessero incrociare agevolmente due carri e talvolta ai lati vi erano dei marciapiedi lastricati. Da un punto di vista squisitamente estetico si dice che fosse alquanto apprezzabile dal momento che ai suoi margini (dove possibile) si piantavano alberi che avevano doppia funzione di abbellire e di evitare che i suoi cigli franassero.Con il tempo lungo la sua carreggiata sorsero statue e piccoli tempietti votivi e a distanza di circa venti chilometri una dall'altra c'erano anche delle stazioni di posta (statium), dove si poteva cambiare e ristorare cavalli, muli o buoi e c'era perfino la possibilità di riparare i carri. Presso queste stazioni esisteva un organizzazione di tutto rispetto, erano presenti delle mappe (dette itineraria) in cui erano segnate strade,fiumi,boschi e monti e marcate le distanze da un luogo ad un altro e non mancavano in queste guide i centri di ristoro,osterie e locande, tutte quasi sempre pericolose, infestate da ladri di ogni risma. Ma guardiamo adesso nel dettaglio questa strada quali paesi o località toccava. Come detto partiva dalla porta nord di Lucca (ubicata probabilmente vicino a Via Cesare Battisti), correva lungo il fiume Serchio verso i paesi di Sesto di Moriano, Valdottavo e Diecimo, località che devono il loro nome alle pietre miliari poste lungo la Clodia Nova atte a segnalare la loro distanza (segnata in miglia romane) da
Di qui passava la Via Clodia:
chiesa di Santa Lucia Gallicano
Lucca (sextum,octavum e decimun lapidem), di qui si proseguiva per Borgo a Mozzano, si risaliva verso Pieve di Cerreto per arrivare di lì a Gioviano, proseguendo per il primo paese della Garfagnana che era Gallicano (la strada transitava proprio nei pressi della stupenda chiesina di Santa Lucia), di qui si raggiungeva Cascio, Monteperpoli e Castelnuovo, la consolare si dirigeva poi in modo piuttosto lineare fino a Piazza al Serchio, di li la via romana si sarebbe diretta verso Minucciano e il valico di Tea per aprirsi nel bacino del Magra e raggiungere definitivamente il porto di Luni, terminando così i suoi circa 150 chilometri di tracciato. Furono centocinquanta chilometri non facili,il territorio garfagnino oggi come allora non aiuta le vie di comunicazione e per attraversare fiumi torrenti e fiumiciattoli vari fu essenziale la costruzione di ponti, ne furono fatti a centinaia, di pietra, di legno, a più arcate o anche a più piani e ancora oggi qualcuno di essi è presente, naturalmente è stato ristrutturato più e più volte, ma ad esempio il bellissimo ponte a dorso d'asino di Pontecosi (Ponte della Madonna) è ancora lì. 

I ponti della Via Clodia Nova
Il ponte della Madonna Pontecosi
Con il passare dei secoli come ben si sa l'impero romano si dissolse, il porto di Luni perse la sua fondamentale importanza, pensare che dalle sue sponde erano partiti quei blocchi di marmo apuano che sarebbero serviti per costruire decine e decine di statue e migliaia di obelischi, di conseguenza perse notevolmente importanza anche tutta la Via Clodia Nova che fu lasciata al suo destino. Riprese fortunatamente vita e lustro quando nelle nostre zone si stanziarono i Longobardi,si ricominciò a commerciare il marmo e si ripristinò tutta la parte garfagnina della via che era quella più malmessa, ma non solo fu anche potenziata, costituendo di fatto nel periodo medievale l'asse dorsale per gli scambi commerciali fra la Garfagnana stessa, la costa versiliese e la Pianura Padana. Fu un periodo di scambi piuttosto fiorente per la Garfagnana,grazie proprio a questa strada ritrovata e al nuovo porto di Motrone (posto oggi nella zona che corrisponde a Marina di Pietrasanta).Questo nuovo porto permetteva di ricevere le merci provenienti da sud, mercanzie di ogni genere arrivavano, alcune addirittura mai viste dalle nostre parti: dalla lana,alla seta e a varie spezie e dalle nazioni di tutta Europa come l'Inghilterra, il Portogallo,la Spagna e la Francia, nonchè agrumi e frutta dalla Sicilia e di li passava anche il preziosissimo sale proveniente dalla Sardegna. In questa nuova vita della Clodia Nova, la Garfagnana veniva servita attraverso questa strada da mulattieri e carrettieri, in pratica i
corrieri di allora, che mettevano in mostra la loro bella merce nei mercati paesani, i più importanti dei quali già nel trecento si trovavano sulla direttrice della strada stessa (vedi Piazza al Serchio, Camporgiano, Castelnuovo, Cascio, Gallicano e Borgo a Mozzano). Naturalmente questi mulattieri quando ritornavano verso il mare per rifornirsi verso i porti, portavano con se i prodotti dell'entroterra come le castagne, il farro, i formaggi, ma altri
La Tabula Peutingeriana
l'unica carta stradale romana giunta
sino a noi sebbene in copia medievale.
Qui vi è segnata la Via Clodia Nova
prodotti come pelli di animale, carbone e il ferro lavorato nelle fabbriche garfagnine. Insomma con la Clodia Nova la Garfagnana si aprì per la prima volta al commercio. Una strada naturalmente che con il corso del tempo sparirà per sempre, ma che sarà ricordata come la strada che per la prima volta collegò la Garfagnana con il resto del mondo.