giovedì 28 aprile 2022

La leggenda del fantasma del passaggio segreto della Fortezza di Mont'Alfonso e storia misteriosa delle stanze segrete

"CASTELNUOVO GARFAGNANA (LUCCA), 06 APR - Una stanza segreta è stata
scoperta durante i lavori di restauro e recupero della Rocca Ariostesca a Castelnuovo Garfagnana (Lucca), struttura militare fortificata risalente al Medioevo. 
Gli operai delle ditte incaricate dei lavori hanno notato un abbassamento di una parte di pavimento del piano terra e da lì a poco, spostando una notevole quantità di detriti, dal sottosuolo è emersa una stanza segreta: si tratta di un vano o di un passaggio la cui presenza era finora rimasta sconosciuta e non è escluso che possa condurre ad altre stanze dell'antico palazzo che fu anche la dimora di Ludovico Ariosto". Sono le 20:15, l'Agenzia Nazionale Stampa Associata, a tutti meglio nota come ANSA (la quinta agenzia d'informazione al mondo) rilancia la clamorosa notizia. E pensa un po' che avevo creduto di chiudere quella giornata davanti alla tele in maniera tranquilla e rilassata. La notizia invece mi riportava a ricordi di quand'ero bimbetto. Infatti chi fra noi non ha mai immaginato di avere per sè un luogo dove dedicarsi ai propri hobby e alle proprie passioni, lontano da sguardi indiscreti? E' sempre stato un mio sogno, ma l'ho sempre visto come un'idea uscita solo dai libri o dai film, ma non è sempre così, anzi... Chi studia "castellologia" sa benissimo che nel primo medioevo sia nelle massicce fortezze o negli imponenti manieri era piuttosto usuale scavare cunicoli, passaggi e stanze segrete a vari metri di profondità. Un lavoro duro, da talpe, che veniva fatto con abbondante forza lavoro che creava questi sotterranei, talvolta piccoli ed angusti, altre volte talmente grandi da permettere il passaggio di una carrozza. D'altronde la vita dentro un castello era dura e abbastanza scomoda, si doveva vivere al
suo interno cinti da alte mura di protezione, si doveva rientrare dentro di esse a determinate ore prestabilite, dopodichè, chi non rientrava sarebbe rimasto fuori a passare la notte in preda ai briganti, malfattori e nemici vari. Fra tutti questi nemici i più temuti erano quegli eserciti che in alcune occasioni assediavano la roccaforte di turno e quando da parte degli assediati ormai anche l'ultima speranza di resistere al nemico spariva, quale miglior soluzione per salvarsi la vita c'era che fuggire attraverso stanze che portavano a dei passaggi segreti? Questi passaggi, spesso conducevano verso impenetrabili selve nascoste alla vista di chicchessia o anche  in direzione di altre inaccessibili fortezze. In questa fuga verso la salvezza avevano la precedenza i reali o i Signori del castello, si doveva in questo modo evitare un pericoloso vuoto di potere, ma non solo, un'altra funzione di questi passaggi era quella di avere un fondamentale ricambio di soldati fra una fortezza e un'altra. Quello che però è evidente che queste stanze segrete non sono un'invenzione medievale, già ai tempi dell'antico Egitto illustri architetti progettavano e realizzavano immensi monumenti funerari che prevedevano stanze e passaggi segreti per proteggere i tesori del loro faraone, alcune di queste ancora oggi rimangono segrete. Tornando a casa nostra uno dei passaggi segreti più famosi è quello del Castello Sforzesco di Milano, che si snoda fra cunicoli attraversabili anche a cavallo, fino ad arrivare alla campagna aperta. Altrettanto famoso è quello del Passetto di Borgo, un passaggio che collega il Palazzo Vaticano con Castel Sant'Angelo,
Passetto di Borgo
fortezza considerata inespugnabile. Sarebbe altresì sbagliato pensare che con l'avvento dell'era moderna la necessità di costruire stanze segrete sia svanita, tutt'altro. Oggi si chiamano "Panic Room". La Panic Room non è altro che una camera di sicurezza interna che permette di trovare riparo in caso di aggressione. Questa stanza ha trovato molta diffusione nei paesi anglosassoni ed è riservata a persone che se la possono permettere: attori, personaggi famosi e soprattutto politici. Essa non è una semplice stanza segreta ma un vero e proprio bunker, dotato di rivestimento in cemento armato, di porte blindate e antiproiettile, di sistemi tecnologici avanzati per comunicare con l'esterno. Manco a dirlo la più famosa è quella della Casa Bianca, accessibile attraverso porte nascoste negli angoli più impensabili. Ma torniamo però alla stanza segreta scoperta nella Rocca Ariostesca di Castelnuovo. Dopo l'incredibile scoperta la domanda più ricorrente è una sola. Dove condurranno questi misteriose camere? Alcune ipotesi sono state fatte... Chissà, potrebbe condurre ad altri locali dell'antico palazzo? O Forse potrebbe essere la classica "via di fuga"? Fra tutte le ipotesi fatte però, quella più affascinante narra del leggendario passaggio segreto che collegava la Rocca Ariostesca con l'imponente Fortezza di Mont'Alfonso, che si trova più a monte di qualche centinaio di metri. Da sempre si è parlato di questo
passaggio, molti danno per scontato che sia sempre esistito, ma in effetti nessuna l'ha mai trovato. Naturalmente le teorie di dove potesse sbucare sono molteplici. C'è chi dice che forse poteva arrivare in Piazza Umberto I, chi asseriva che arrivasse proprio dentro la Rocca. Altri ancora invece "giurarono" di averne visto una porzione durante i lavori di scavo e manutenzione degli acquedotti comunali. D'altra parte c'è chi assicura che all'interno del favoloso passaggio ci sia imprigionato un fantasma. Tutto insomma rimane avvolto nel mistero, nel mito e nell'enigma più recondito. Rimane comunque opportuno mettere in guardia coloro che andranno a fare i futuri scavi, forse potrebbero incontrare chissà chi o forse chissà che cosa... Questa è infatti la leggenda del fantasma del passaggio segreto della Fortezza di Mont'Alfonso. Come in tutte le rocche, fortezze e castelli che si
Fortezza di Mont'Alfonso
rispettino, al comando di esse vigeva sempre un castellano che aveva il compito di guidare la vita del castello, sia da un punto di vista civile che militare. Difatti a questa regola non sfuggiva nemmeno la Fortezza di Mont'Alfonso, dato che, anche li risiedeva con tutta la sua famiglia il suo Signore, in quella che oggi è denominata "la casa del Capitano". Il castellano oltre a due figli maschi aveva anche una figlia femmina di nome Lucia, di cui era a dir poco geloso, tanto geloso da proibirle l'uscita dalla fortezza stessa. Ma come ben sappiamo la fortezza era costituita da valorosi soldati e fra questi soldati c'era un fascinoso ufficiale. Nonostante i severi controlli cupido scoccò però la sua freccia e la fanciulla s'innamorò perdutamente del militare. I due giovani infatti divennero  amanti all'insaputa di tutti, il problema stava però nel dichiarare questo amore al padre geloso. Il fato tuttavia ci mise lo zampino e durante una delle frequenti guerre fra gli Estensi e i fiorentini, anche i soldati della fortezza furono chiamati a dar man forte all'esercito del Duca di Modena. La battaglia in questione fu dura, morti da entrambi le parti e nel bel mezzo di uno di questi combattimenti il giovane ufficiale salvò la vita al castellano. Una
La rocca Ariostesca
volta, come ben saprete, la cavalleria era cosa seria e il protocollo prevedeva che colui che aveva avuto salva la vita dovesse concedere al suo salvatore un desiderio e così il castellano fece con il suo ufficiale. Il giovane difatti non si fece sfuggire l'occasione e chiese al padre la mano di sua figlia Lucia, confessando pubblicamente l'amore corrisposto della futura sposa. La richiesta fu delle più ferali che il signorotto potesse ricevere, avrebbe quasi preferito perire valorosamente in battaglia che cedere a questo desiderio, ma a questo punto non poteva nemmeno negare il consenso alle nozze, e così fu. L'ufficiale felice come non mai chiese il permesso al futuro suocero di andare a Modena per avvisare i genitori della lieta notizia. Il castellano furbescamente acconsentì. Nei giorni successivi il padre prese così da parte la ragazza e dato che sarebbe diventata la Signora della Fortezza era giusto che ne conoscesse tutti i suoi segreti, che erano ad esclusiva conoscenza di colui che la comandava. Fra tutti gli arcani che ci potevano essere dentro il fortilizio, il più misterioso e segreto era quello della galleria che conduceva di lì fino al paese di Castelnuovo. Così fu che un giorno, lontano da occhi indiscreti il padre portò la ragazza a conoscere questo fantomatico passaggio. Una volta davanti all'entrata aprì il cancello d'ingresso e nell'attimo preciso che la ragazza ebbe oltrepassata la soglia d'accesso il castellano la richiuse immediatamente, imprigionando di fatto la sventurata. In men che non si dica, fra le urla disperate della fanciulla, il malvagio uomo si adoperò senza indugio alcuno a murare l'ingresso della galleria, in questo modo "l'amata" figlia non sarebbe stata sua, ma
La stanza segreta trovata
a Castelnuovo (foto de "Il Tirreno")
nemmeno di nessun'altro. La poveretta infatti li rinchiusa in poco tempo morì di fame e di sete. Il castellano nei giorni successivi raccontò alla gente che la figlia era fuggita, la stessa versione fu poi raccontata al ritorno dell'ufficiale. Il giovane disperato cominciò a cercare Lucia in ogni dove, naturalmente le ricerche non portarono a nessun esito e preso dallo sconforto, passato un po' di tempo, abbondonò l'incarico e tornò nella sua Modena. Di li a poco anche per il perfido 
castellano il destino fu avverso, una malattia misteriosa lo portò inesorabilmente alla morte. La storia però non finì qui. Si racconta che il fantasma di Lucia ancora oggi vaga in quel passaggio segreto che collega la Fortezza con Castelnuovo. La sventurata di fatto è ancora lì che cerca di fuggire da quella maledetta prigione. La sua anima non ha ancora pace, quella pace sarà ritrovata solamente quando uno dei varchi d'entrata del passaggio sarà nuovamente aperto...


Bibliografia 

  • "Garfagnana isola fantastica" di Alberto Cresti, edito Banca dell'Identità e della Memoria, anno 2020

giovedì 14 aprile 2022

"Giusti fra le Nazioni". La storia di Giuseppe Mansueto Rossi e di sua moglie Maria da San Pellegrino

Calcolare il numero esatto di persone che morirono a causa delle politiche naziste è un'impresa difficile. Non esiste alcuna documentazione tenuta da funzionari nazisti che contenga il numero dei morti causati dall'olocausto. Per stimare con maggior precisione le perdite umane, i ricercatori insieme a organizzazioni ebraiche e agenzie governative hanno usato, fin dal 1940, fonti diverse quali censimenti, archivi o indagini condotte dopo la fine della guerra. Man mano che venivano trovati nuovi documenti i dati venivano perciò aggiornati. Fattostà che senza l'intervento di persone di buon cuore il numero degli ebrei sterminati sarebbe stato di gran lunga maggiore. Fu proprio per questo motivo che nel 1953 venne fondato con un atto del Parlamento israeliano lo Yad Vashem, l'Ente nazionale per la memoria della Shoa con sede a Gerusalemme. Questo ente ha infatti lo scopo (fra gli altri) di nominare, ricordare e celebrare i "Giusti fra le Nazioni". La definizione "Giusto fra le Nazioni" va fatta risalire al "Talmud", testo fondamentale per la religione ebraica e Yad Vashem ha ripreso questo termine per rendere omaggio e commemorare coloro

che rischiarono la vita per salvare gli ebrei negli anni delle persecuzione nazifasciste. "Chi salva una vita, salva il mondo intero", così si legge nel Talmud. Nel memoriale di Gerusalemme è stato a loro dedicato un grande giardino, per ogni giusto veniva piantato un albero e ai piedi di questi alberi ogni visitatore lasciava un sasso. I sassi sono il simbolo del perpetuo ricordo, mentre l'albero è simbolo della vita che continua e che è  continuata grazie a questi  "Giusti fra le Nazioni". Fra quelli che hanno lasciato un segno indelebile nella nostra memoria non possiamo dimenticare Oskar Schindler, forse il più famoso, ma ci anche sono molti italiani (circa 700) come Gino Bartali, Giorgio Perlasca, Carlo Angela (padre del giornalista Piero)e Monsignor Angelo Riotta. Ma esistono anche personaggi meno illustri, e che hanno contributo in ugual maniera a salvare vite umane e che purtroppo non hanno mai avuto la ribalta della cronaca. Ebbene fra questi "Giusti fra le nazioni" abbiamo anche due garfagnini e queste che vado a trarre integralmente dal data base dello Yad Vashem sono le vicende che portarono Giuseppe Mansueto Rossi e sua moglie Maria di San Pellegrino in Alpe a fregiarsi di questa alta onorificenza. Nell’agosto del 1943 assieme alla madre Felicina Barocas, incinta della seconda figlia, Franca Sraffa si recò a Farnocchia di Stazzema, una località della montagna tra i boschi non lontana da Pietrasanta, dove i nonni Federigo Abramo Ventura e Ersilia Barocas possedevano un negozio di stoffe, in Via
San Pellegrino in Alpe
 Mazzini. E lavorava anche il padre, Aldo. Quella a Farnocchia doveva essere solo una breve vacanza consigliata dal medico a Felicina in vista delle sue condizioni di gravidanza e della calura estiva. Poi però con la caduta del regime fascista, e il precipitare degli eventi bellici, furono costrette a restarvi, dal momento che la situazione si era fatta particolarmente difficile in quanto la famiglia era ebrea sia dalla parte di Aldo Sraffa, che dalla parte di Felicina. Erano infatti comparse scritte antiebraiche in prossimità del negozio a Pietrasanta, e fu così che a Farnocchia arrivò anche Aldo. La famiglia Sraffa abitava in paese in una casa in piazza del Carmine, e fu a Farnocchia che il 18 ottobre 1943 nacque la piccola Donatella-Miriam. Purtroppo, l’ostetrica del paese, Siria Catelani, era di ideologia fascista, e dopo il parto si recò al comando tedesco per denunciare la presenza in paese di una famiglia ebrea.
Don Innocenzo Lazzeri
In questa condizione di grave pericolo, gli Sraffa furono accolti per alcuni giorni dal parroco di Farnocchia, don Innocenzo Lazzeri, che li nascose nella locale canonica. La stessa ostetrica tuttavia informò i nazifascisti del rifugio, e così una pattuglia arrivò a perquisire la canonica. In quel momento, l’intera famiglia Sraffa riuscì a nascondersi in un antro defilato della canonica, con Donatella-Miriam attaccata al seno materno in pieno allattamento, e l’alto rischio che se avesse smesso avrebbe potuto mettersi a piangere, permettendo così ai nazifascisti di trovarli. Dopo la perquisizione, gli Sraffa e don Innocenzo capirono che la canonica non era il posto più sicuro per loro, e così l’8 dicembre del 1943 si ritirarono a Greppolungo, un piccolo borgo del Comune di Camaiore, a circa 5 km di distanza da Farnocchia. Dopo un mese di permanenza su quelle montagne, nel corso del quale gli Sraffa cambiarono spesso luogo di residenza per evitare di essere scoperti, il dottor Mario Lucchesi, figlio del primario dell’ospedale di Pietrasanta, organizzò il loro trasferimento al Tendaio, località di montagna presso San Pellegrino in Alpe, nel comune di Castiglione di Garfagnana. Il trasferimento vide Aldo e famiglia scendere a Camaiore, ad attenderli trovarono Mario Lucchesi che con la sua auto li condusse a casa sua a Castiglione, dove trascorsero la notte e poterono rifocillarsi. La mattina seguente, all’alba alcuni membri della famiglia Rossi del Tendaio, tra cui Giuseppe Mansueto, venne a prelevare gli Sraffa per
Giuseppe Mansueto Rossi
 portarli presso la loro abitazione, a circa 15 chilometri da Castiglione. Al Tendaio, Aldo, Felicina, Franca e la piccola Donatella Miriam vennero accolti con grande generosità dalla famiglia Rossi, Giuseppe Mansueto, la moglie Maria, il figlio Franco e la sorella di Maria, Rosina. Gli Sraffa vennero raggiunti anche dagli zii Augusto Ventura e Giuseppina Trevi, e tutti rimasero dai Rossi per circa un anno e mezzo, fino al giugno del 1945, ovvero la fine della guerra, organizzando ogni notte dei turni di veglia per controllare l’eventuale arrivo di truppe nazifasciste. Allora, don Innocenzo Lazzeri aveva già trovato la morte, il 12 agosto 1944, trucidato dalle SS nel tristemente noto eccidio di Sant’Anna di Stazzema. 
L’8 dicembre 2015, Yad Vashem ha riconosciuto don Innocenzo Lazzeri, Mario Lucchesi, Giuseppe Mansueto Rossi e Maria Rossi come Giusti tra le Nazioni. Per far capire ancor meglio al caro lettore l'importanza e il significato di questo riconoscimento è giusto ricordare cosa poteva capitare a chi dava aiuto agli ebrei. Tali normative variavano secondo il Paese in cui veniva commesso il fatto. Innanzitutto le pene venivano date senza bisogno d'alcun processo e si andava dalla deportazione verso i famigerati lager, al carcere o alla fucilazione, le autorità naziste consigliavano però l'esecuzione di questi collaboratori sul posto. E' doveroso anche sfatare il mito di "italiani brava gente", non fummo tutti dei "Giuseppe Mansueto Rossi", ci furono molti "Siria Catelani", ossia dei delatori. Infatti, per quanto efficienti, i 
Maria Rossi
comandi della polizia tedesca avevano troppo poco personale e furono quindi costretti ad appoggiarsi ai funzionari della R.S.I.
Ma non fu soltanto la politica ufficiale della Repubblica a essere di aiuto. Anche la collaborazione spontanea di migliaia di «italiani comuni», di normali cittadini, fu fondamentale per l’arresto di migliaia di ebrei. I poliziotti tedeschi sfruttarono ampiamente i collaboratori italiani: spie, delatori, infiltrati, che agivano nei modi più diversi. Questo lavoro veniva pagato piuttosto bene, dato che su ogni ebreo, in media, veniva messa una taglia di 5.000 lire dell’epoca. Comunque sia come cita il Talmud: "Basta che esista un solo giusto perchè il mondo meriti di essere stato creato".


Bibliografia

  • Data Base online Yad Vashem
  • "Chi salva una vita. In memoria dei giusti toscani" di Alfredo de Girolamo. Regione Toscana 
Fotografie

  • Le fotografie di Giuseppe Mansueto Rossi e di Maria Rossi sono tratte dal libro "Dalla Versilia alla Garfagnana Storia di ebrei e di Giusti" di Marco Piccolino

venerdì 1 aprile 2022

Storia di epiche battaglie, "mestaine" insolite e di intercessioni (quasi) miracolose nella Garfagnana del 1600

Le possiamo sentire chiamare in svariati modi: marginette, maestà,
madonnine, edicole, per noi in Garfagnana sono semplicemente le "mestaine". La Mestaina non è altro che una piccola cappella votiva  contenente un'immagine sacra di qualche santo, di Gesù ma in particolar modo è la figura della Madonna che prevale in tutte queste piccole architetture. L'origine del nome lo si deve proprio al fatto di ciò che rappresentano: "una maestà", parola derivante dal latino "majestatem" cioè "grande", in riferimento all'immagine iconografica cristiana di Maria seduta sul trono. Nella forma "garfagnina", il vocabolo diminutivo "mestaina" significa proprio "piccola maestà", che richiama di fatto la piccola dimensione dell'icona. L'origine di questi tempietti si perde nella notte dei tempi e molto probabilmente già gli etruschi avevano l'abitudine di costruire queste opere (che rappresentavano le loro divinità), in prossimità delle strade o negli incroci viari. I romani con il tempo non mancarono di fare loro questa tradizione, che trasformarono ben presto in una ricorrenza, nella quale si rendeva omaggio ai "Lares Compitales", le divinità protettrici della
famiglia. Con l'avvento del Cristianesimo le immagini pagane furono poi soppiantate in maniera definitiva dalle icone cristiane. 
Il gran numero di mestaine nella nostra Garfagnana ci induce però a pensare che non siano frutto  di occasionali iniziative, ma bensì di un rituale consolidato nei secoli e ciò va inserito nel fermento religioso che coinvolse la valle intorno al 1600-1700, sull'onda della fine del Concilio di Trento che portò una ventata di "modernità" e di rispolvero in tutto il cattolicesimo, che vide proprio in quell'epoca un vero fiorire di queste edicole. Questi tempietti venivano collocati di norma nei pressi di incroci stradali, perchè, come spesso accade in questi casi, il sacro e la superstizione si fondono in un'unica cosa, visto che era diffusa la credenza che in queste intersezioni si potessero generare energie cosmiche tali da richiamare un confluire di streghe e demoni; da qui l'importanza della presenza di un'immagine evocante un soggetto più forte del Diavolo: la Madonna, che notoriamente schiaccia il
serpente, simbolo del maligno. 
Questo però non era il solo scopo della loro esistenza, erano soprattutto luoghi di preghiera e quelle più grandi servivano anche da riparo di fortuna per i viandanti, ma non solo, queste costruzioni spesso delimitavano i confini, ed erano pure un punto di riferimento e di orientamento. Ne esiste una che però esula da tutto questo contesto e da queste funzioni. La sua storia è particolare e al contempo curiosa, tant'è che vale la pena di raccontarla, dato che, a mio avviso (vi prego semmai correggetemi) di questo tipo in Garfagnana credo che non ne esistano altre. Infatti lo scopo della sua erezione a quanto pare lo si deve all'intercessione divina della Santissima Vergine, che non permise alle soldatesche estensi di radere al suolo il Castello di Gallicano. Ma andiamo per gradi e raccontiamo questa intrigante storia dall'inizio. Era il tempo in cui gli Estensi, padroni assoluti di quasi tutta la Garfagnana, avevano perso l'amata Ferrara che, per questioni dinastiche avevano restituito al Papa. Il conseguente indebolimento della casata d'Este non passò inosservato nemmeno agli acerrimi nemici di Lucca che da sempre aspiravano a conquistare l'intera valle, non si accontentavano più dei soli possedimenti di Gallicano, Castiglione e Minucciano, si aspirava a molto di più. Così ogni futile pretesto diventava buono per rinfocolare scontri, battaglie e guerre. L'occasione per Lucca si fece propizia nell'anno di grazia 1603 quando il generale lucchese Jacopo Lucchesini inviò a Gallicano 500 soldati e attraverso i monti del Sillico ne inviò altrettanti a Castiglione. La risposta degli agguerriti Estensi non si fece attendere e il condottiero modenese, il marchese Bentivoglio, ai primi sentori di guerra inviò una parte delle sue truppe ad assediare Castiglione e il restante del suo esercito si attestò sulle colline sotto il paese di Cascio, qui vi piazzò due potenti cannoni che puntavano le loro bocche da fuoco
Sotto le colline di Cascio
direttamente su un forte che era posto nell'odierna località detta il Broglio. Questo forte era l'avamposto di difesa di Gallicano, da qui la strada per la conquista di quel castello si sarebbe fatta molto più facile. Ci possiamo quindi immaginare la battaglia che ne scaturì. Era il 15 maggio 1603, la scontro fu cruento e sanguinoso come non mai. Il forte del Broglio era al comando di un tale "Mone" da Gallicano che chiamò a difesa dell'ultima frontiera perfino i civili, fra questi diverse donne che  prestavano 
coraggiosamente il loro aiuto. I morti però oramai non si contavano da ambo parti, furono addirittura dati  alle fiamme gli indispensabili mulini di Vescherana e un cronista del tempo raccontò che le acque del canale che di li passava rosseggiavano del sangue dei contendenti. Insomma, tanta e tale fu la confusione nel tremendo scontro, che la tradizione orale racconta che nel furore della mischia i combattenti non si riconoscevano tra loro, così uccisero per fatale errore (imbroglio) amici e nemici. Questo "imbroglio" a quanto pare dette il nome alla località dove accadde questo fattaccio: "il Broglio". A dare fine alla battaglia ci pensarono però i due cannoni posizionati sotto il paese di Cascio: "fatti collocare due pezzi da cannone sotto la collina, lo spianò (n.d.r: il forte) alle fondamenta". Gallicano era ormai spacciato, la
Il castello di Gallicano
strada per la conquista era ormai aperta. Senza se e senza ma gli Estensi in men che non si dica avrebbero distrutto il borgo e non avrebbero risparmiato nessuno, d'altronde Gallicano rivestiva un'importanza fondamentale vista la sua posizione strategica, per di più all'interno delle sue mura era costudito una buona parte dell'arsenale lucchese. Rimane il fatto che tutto quello che si crede ineluttabile così non è. Il destino, la fede, o quello che volete credere spesso e volentieri ci mette lo zampino. Fattostà che calata la notte, quando ormai a Gallicano si stavano preparando al peggio, il Marchese Bentivoglio ritirò clamorosamente e inaspettatamente le sue soldatesche. Tridui ed orazioni di tutta la popolazione si levarono al cielo per lo scampato pericolo, stavolta a difendere le mura castellane non furono i moschetti, ma la buona sorte. Ma perchè il Bentivoglio decise di ritirarsi? Le possibili risposte sono due. Bisogna ricordarsi che in quel tempo gli Stati italiani erano più o meno dei satelliti della Spagna e che a Milano risiedeva il Vicerè. Furono sempre i rappresentanti di Milano a mediare le contese, per cui è probabile che il condottiero estense si accontentasse solamente di tenere desta l'azione militare senza strafare, cercando in questo modo di non urtare le autorità spagnole che miravano sempre a tenere "la barca pari". L'altra risposta ha una considerazione puramente militare. Come scritto in precedenza anche Castiglione Garfagnana era al contempo assediata, diventava perciò
Castiglione Garfagnana
difficile sostenere due assedi, che potevano forse rivelarsi inefficaci entrambi, sarebbe stato più saggio concentrare le forze su uno dei due e in questo caso fu deciso per Castiglione. Ci fu poi una terza ragione sostenuta dagli assediati ed è quella del perchè di questo articolo. Ebbene, in primis si volle credere che su questa incredibile decisione estense contribuì il comportamento dei difensori del forte. Figuriamoci se un piccolo forte era stato difeso con tanto vigore da infliggere numerose perdite al nemico, come sarebbe stata allora la difesa della roccaforte di Gallicano? Sicuramente un fondo di verità in tutto questo ci fu, difatti non bisogna dimenticare il sostegno avuto dalle donne in questa battaglia. Il loro aiuto fu a tal punto eroico che il Consiglio Generale di Lucca, ad una famiglia di queste valorose, morta negli scontri e che si era distinta particolarmente per il suo coraggio fu attribuita una dote: "...alla figlia di Lorenzo Moni da Gallicano per il riconoscimento dimostrato portando polvere d'archibugio ai soldati del forte del Brolio nel giorno che fu assaltato dai modenesi, ne fu ferita a morte con una archibugiata
La mestaina del broglio nel
 luogo della Battaglia
nella testa. Si intenda costituita una dote di scudi 50
..." . Ma in tutto questo si volle credere ancor di più che la mano che guidò questi eventi, fu una mano divina. Per i gallicanesi ci fu l'intercessione della Madonna, solo Maria Vergine con il suo santo intervento poteva far si che il castello e la sua gente scampassero all'ineluttabile destino. Si decise perciò di rendere atto devozionale perpetuo costruendo una "Mestà" dedicata alla Madonna e che si facesse ogni 15 maggio per i secoli a venire una processione dal paese di Gallicano fino alla mestaina del Broglio:" 
Quella Comunità deliberò solennemente che, pel pericolo da cui fu scampato il paese, si facesse in perpetuo, in detto giorno 15 maggio, una festa solenne con processione generale per la terra di Gallicano; e si dovesse costruire una Mestà, ossia piccola cappelletta, al Brolio presso il
canale, ove accadde il fatto sanguinosissimo, che a tutta ragione ritiensi essere avvenuto là dove anche attualmente vedesi una Vergine dipinta nel muro della casa presso al ponte su quel canale
"... La "mestaina" dopo quattro secoli è sempre lì, ma la processione, che doveva essere perenne, non si fa più... 

Bibliografia

  • "Il Pettorale- la rocca di Gallicano" di Fabrizio Riva, edito MARIA Pacini Fazzi 2020
  • "Gallicano" - capitolo "Vicende storiche" dell'Ingegner Achille Fiorello Saisi- Maria Pacini Fazzi editore-anno 1995
  • "Descrizione geografica storica economica della Garfagnana" di Raffaello Raffaelli anno 1883
  • Gian Mirola- da La PANIA giornale del Comune di Molazzana