mercoledì 14 aprile 2021

Il diavolo e la Garfagnana... Storie fra leggende e presunte verità...

In Garfagnana e in Toscana in genere ci sono molte località che
portano il nome del diavolo o perlomeno ne richiamano la sua presenza: il Ponte del Diavolo, il Canale dell'Inferno, il Sasso del Diavolo e così via... Tutte
 località e luoghi legati ai racconti popolari, alle leggende e alle storie fantastiche. Parrebbe, infatti, che il diavolo conosca bene la nostra terra e i suoi abitanti. A quanto si dice, sembrerebbe che da queste parti il diavolo ha ricevuto sempre delle sonore fregature e questo avvalora la tesi che dice: "un garfagnino ne sa una più del diavolo". Infatti, si ritiene che quando il satanasso debba passare dalla Garfagnana, preferisce attraversarla a grandi balzi. Ma la paura del diavolo nasce da molto più lontano e si concretizzò maggiormente intorno all'anno mille, quando fra gli uomini si diffuse la paura che la fine del mondo fosse prossima. Questo terrore nacque dall'ultimo libro del Nuovo Testamento, l'Apocalisse di Giovanni che chiaramente profetizzava : "E vidi un angelo che scendeva dal cielo
con in mano la chiave dell'Abisso e una grande catena. 
Afferrò il drago, il serpente antico, che è diavolo e il Satana, e lo incatenò per mille anni; 
lo gettò nell'Abisso, lo rinchiuse e pose il sigillo sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni, dopo i quali deve essere lasciato libero per un po' di tempo". Così la fobia si insinuò nei cuori della gente che cercava ogni segno premonitore dell'imminente fine, perciò si scrutava il cielo, si osservavano gli eventi naturali e il passaggio di una cometa, si cercavano avvisi catastrofici anche in un'eclissi, nella moria di bestiame, in una siccità prolungata o in un inverno troppo rigido, tutte queste sventure sembravano le conferme del pauroso evento e nonostante che la fede cristiana nei secoli passati avesse spazzato via ogni dio pagano, la mentalità collettiva continuava ad essere dominata dalla superstizione con la differenza che gli dei malvagi furono sostituiti dagli emissari dell'anticristo: i diavoli. Probabilmente è da questo momento che il malvagio entra a far parte dei nostri racconti e delle nostre leggende e la sua presenza in queste storie è li inserita per incarnare un vizio, un peccato o una colpa grave e proprio per questo che a tali leggende si attribuiva anche un forte valore educativo, nonchè inibitorio su cui la Chiesa faceva particolarmente leva, quindi chi commetteva un peccato particolarmente grave, chi bestemmiava, chi abusava d'alcol, chi non andava a messa, per lui si sarebbero aperte le porte
dell'inferno. D'altronde l'intento di queste particolari leggende era sempre il solito, punire un comportamento scorretto per la morale del tempo. A conferma di questo, capitava anche che alcuni episodi incredibili assumessero i contorni della verità assoluta, è il caso di una vicenda  accaduta nel 1612 e riportata di Sigismondo Bertacchi nel suo libro "Descrizione Istorica della Provincia della Garfagnana": "Dell'anno 1612, essendo una donna chiamata Caterina Mazzoni da Dalli, d'età d'anni 40 in circa, maritata in Antonio di Bernardino da Orzaglia, dal quale aveva avuto quattro figliuoli, e tal donna era poco osservante de SS. Precetti di Dio. Ella aveva il peccato della bestemmia e quello di non santificare le feste commandate, e per ordinario usare fare le sue bugate (n.d.r: il bucato) ne' giorni festive, et in essi andarle a lavare alla fonte. Avvenne che fattane una in giorno di Domenica, et andatala a lavare, secondo il suo uso, condusse seco alla fontana un paro de vacche, acciò esse mangiassero, mentre essa lavasse la bugata, e mentre ciò faceva, venne una folgore, overo saetta dal cielo, et ammazzò lei, senza che li vedesse nella sua vita male alcuno, e la spogliò nuda, come se fosse allora escita dal ventre della madre; e quella stessa saetta ammazzò anche
una delle vacche. Il marito con il Clero andornò a condurre la donna alla sepoltura, il che fatto, condussero anche la vacca nella Terra. Qui ora nasce la maraviglia. La vacca fu scorticata et aperto il suo ventre vi trovorno tutti i panni della donna, senza aver patito lesione alcuna"
 . Storie legate a personaggi realmente esistiti non finiscono con i fatti riguardanti questa povera donna, ma coinvolgono anche persone garfagnine di alto lignaggio che a quanto pare a suo tempo fecero un patto con il diavolo in persona. Vi vado allora a narrare l'inquietante caso che riguarda il capitano Pietro Cilla, nato a Giuncugnano nel 1776, laureatosi in medicina. Il Cilla aveva ricoperto nella sua vita incarichi importanti sia in ambito militare che amministrativo, infatti durante il periodo napoleonico era diventato comandante generale della gendarmeria e in seguito fu nominato a Castelnuovo "Incaricato per l'economato dei beni nazionali del Dipartimento del Panaro". Proprio grazie a quest'ultima mansione già nei primi anni del 1800 riuscì ad accumulare un ingente patrimonio che si andava a sommare con quello che già possedeva, ma non solo, tale ricchezza aumentò quando assunse su di sè per mezzo dello Stato tutti i beni ecclesiastici, un fatto che naturalmente sia per il popolo che per i religiosi fu poco apprezzato. Fattostà che al momento della morte del Cilla nacque uno spaventoso racconto. Infatti le cronache del tempo riferiscono che il corpo del capitano fosse misteriosamente sparito dalla bara. Ad insospettire i presenti fu l'eccessivo peso della bara stessa che una volta riaperta avrebbe rivelato la presenza di alcune pietre e alcuni pezzi di legno. Il cadavere, a quanto pare, così come la gente del posto diceva, era stato trafugato dal demonio in persona con il quale il Cilla, in vita, aveva stretto un patto per far
accrescere le sue ricchezze in cambio del suo corpo e della sua anima. Rimane il fatto che voci sullo stretto rapporto fra il capitano e il demonio già circolavano da molto tempo quando era ancora in vita, difatti si raccontava di diaboliche feste organizzate nella villa del Cilla stesso, non mancava nemmeno chi lo accusava di rapire bambini e di evocare entità maligne. Ma come già scritto in precedenza in Garfagnana il maligno più che un diavolo era considerato... "un povero diavolo" . Cominciamo con il dire che nel folklore garfagnino il diavolo risulta nettamente in subordine al Buffardello e agli Streghi e che dire poi di quelle solenni fregature che si è preso nella nostra valle? Tanto per riportare il primo esempio va ricordato proprio il fatto che ha dato il nome al ponte più famoso della Valle del Serchio: il Ponte del Diavolo. 
La storia narra che la costruzione del ponte fosse stata commissionata ad un capomastro che era molto preoccupato per i tempi di consegna. L’opera era difficile da realizzare, e l’imminente scadenza lo fece cadere in disperazione, tanto che​​ il diavolo si manifestò proponendo di aiutare il capomastro: avrebbe completato il ponte lui stesso, in cambio dell’anima del primo essere vivente che lo avrebbe attraversato. Stretto il patto, in una notte il ponte fu eretto, ma il muratore si sentì talmente in colpa da correre a confessarsi da un prete che gli suggerì una strategia per rimediare alla sua debolezza: far attraversare per prima una bestia (una versione della leggenda
parla di un maiale, l’altra di un cane). 
Il giorno dell’inaugurazione il capomastro segui il consiglio del prete, e bloccata la folla che entusiasta voleva attraversare il ponte, fece per primo passare un maiale (o un cane). In questo modo il diavolo, sentendosi sbeffeggiato dall’arguzia del capomastro decise di gettarsi nelle acque del fiume Serchio scomparendo per sempre. Per rimanere attinenti a questo
 non ci si può nemmeno dimenticare di quella storia che per protagonisti ha Satana, San Pellegrino e il Monte Forato. San Pellegrino dopo un lungo girovagare, proprio in quelle montagne dove adesso è il paese omonimo, aveva finalmente trovato il luogo dove pregare e fare penitenza. Il diavolo cercava spesso di farlo cadere in tentazione ma il sant’uomo era di animo puro, così il diavolo pensò bene di andare di persona a sistemarlo. Quando arrivò, San Pellegrino stava pregando così intensamente che il diavolo non ebbe pazienza e così gli rifilò un bel ceffone. “Finalmente, ora  la smetterai di pregare!”, disse tra sé il diavolo, ma ecco che San Pellegrino si rialzò e a sua volta gli tirò un bello schiaffo! Il diavolo, preso alla sprovvista e soprattutto colpito da un ceffone davvero potente,
fu addirittura sbalzato in aria, attraversò tutta la valle ed infine si schiantò sulla montagna, passando dall’altra parte e lasciando un grandissimo foro che creò quello che oggi è conosciuto come Monte Forato. Insomma, le storie riguardanti diavoli e demoni in Garfagnana e nella Valle del Serchio pullulano e da questa consuetudine non sono esenti nemmeno le Alpi Apuane e tanto per citare alcuni episodi posso raccontarne un paio davvero singolari. Si narra di un sentiero dimenticato fra le selve in quella che un tempo era una via di comunicazione importante fra Garfagnana e Versilia, ebbene, si dice che di li anche le bestie si rifiutavano di passare, poichè tra quelle pietre si trova la cosiddetta "culata del diavolo". A quanto pare su quel terreno si trova nitida l'impronta di un culo, con accanto tre fori che dovrebbero corrispondere al forcone di cui il diavolo è in possesso. Proprio in quel punto di passaggio il demone cercava anime da fare sue, ma un bel giorno fra le rocce gli sembrò di scorgere la Madonna, tanta fu la sua paura e il suo timore che scappò a gambe levate ed inciampò fra quei sassi, lasciando l'impronta del sedere e del forcone che teneva in mano. Particolare è anche la vicenda che ha portato in dote il nome a quello che oggi è una delle vie che portano alla Pania della Croce: il Canale dell'Inferno. Era da tempo che il diavolo stava arroccato sul Pizzo delle Saette, da quel punto infatti poteva vedere bene tutte le anime che arrivavano sulla vetta della
Il canale dell'inferno
 Pania. La sua presenza era celata da un grande mantello nero che gli serviva per sorvolare da una parte all'altra le cime delle Apuane. Un mattina un prete portò una sua processione sulla cima della Pania, da li poteva impartire la benedizione su tutte le cime vicine. Il maligno non la prese bene, anzi si arrabbiò tantissimo, tant'è che gettò il suo mantello che andò a cadere proprio ai piedi della Pania della Croce, creando di fatto un solco dove nessuna erba e nessuna pianta ancora vi cresce, questo aspetto portò quel luogo a somigliare ad una sentiero che portava agli inferi. In conclusione, bando ad ogni folklore e a qualsiasi credenza, non rimane che ricordare una sacrosanta e veritiera citazione di William Shakespeare, dove nella sua opera teatrale "La Tempesta" rammentava: "L'inferno è vuoto...tutto i diavoli sono qui in Terra".


Bibliografia 

  • "Gli Streghi, le streghe" di Oscar Guidi, Pacini Fazzi editore, anno 1990
  • "Usanze, credenze, feste, riti e folclore in Garfagnana" di Lorenza Rossi, edito Banca dell'Identità e della Memoria, anno 2004
  • "Racconti e tradizioni popolari delle Alpi Apuane" di Paolo Fantozzi, edito da "Le Lettere", anno 2013

mercoledì 7 aprile 2021

La storica e sciagurata epopea delle strade "garfagnine" (che tutt'oggi continua...)

"La Garfagnana è assolutamente isolata, si trova a sei ore da Lucca,
senza ferrovia, senza tramvia, senza strade comunali. Essendo senza mezzi di comunicazione e non avendo sbocchi artificiali, è povera. La legna dei suoi boschi di castagni e di faggi rimane in gran parte invenduta o è venduta a prezzo vile per l'enorme costo del trasporto
". Queste furono le parole scritte dal sottoprefetto di Castelnuovo in una relazione inviata allo Stato centrale. Era il 1894 e ancora oggi il problema viario affligge in maniera seria la nostra valle e se dopo tantissimi anni questo è ancora uno dei maggiori crucci la dice davvero lunga su quello che è accaduto (o meglio non è accaduto) in un secolo e oltre di tempo. Guardiamo allora di entrare dentro il problema e di capirne l'evoluzione attraverso un illuminante percorso storico.  Partiamo allora nel descrivere la situazione generale delle nostre strade subito dopo la seconda guerra mondiale e già al tempo possiamo vedere che esisteva un'unica strada agevole che collegava la valle con Lucca. Per diversi anni non esisterà una strada per la Versilia e verso Massa; l'Appennino sarà valicabile solo dal Passo
delle Radici; per la Lunigiana esisterà sino alla fine degli anni '50 la sola strada per il Passo dei Carpinelli. La situazione delle strade interne se si vuole era di gran lunga peggiore. Per molti anni a seguire dopo la fine del conflitto diversi capoluoghi di comune erano ancora raggiungibili attraverso mulattiere che d'inverno potevano anche essere impercorribili e le strade asfaltate erano un lontano miraggio. Tanto per fare qualche esempio pratico nel 1956 a Cogna (Piazza al Serchio) gli ammalati o i feriti venivano trasportati a valle legati su una vecchia scala a pioli e tutto quello che occorreva per il trasporto di cose e persone veniva caricato a dorso di mulo. Per avere una sistemazione dignitosa di tutte queste strade e stradine si dovrà aspettare gli anni sessanta del 1900, quando con una disposizione amministrativa molte strade passarono sotto il controllo della provincia. Lo stato di queste strade prima di questi lavori ci diceva che su 170 km di strade interne solo 55 erano asfaltate, per di più la larghezza di queste vie era completamente insufficiente, occorreva poi modificare le
pendenze, rettificare le curve, tutto per una spesa complessiva di due miliardi e mezzo di lire. Ma la storia delle nostre strade parte da molto più lontano ed è simbolicamente rappresentata da un cippo stradale che pochi conoscono e che è situato a Lucca e da tutti è conosciuto come "l'indicatore del Giannotti". Da questo indicatore stradale parte "il chilometro zero" delle strade della Garfagnana (e non solo)e fu realizzato nella seconda metà del 1800. La costruzione (fatta in pietra serena) pare un obelisco, è alto quasi cinque metri ed ha la parte inferiore a base triangolare che si sviluppa verso l'alto in forma conica, sulla sua sommità sono poste delle piastre marmoree che indicano la direzione di vari luoghi e proprio sul lato destro è indicata "la Via per Bagni di Lucca e Castelnuovo". Questi segnali stradali dovevano essere d'aiuto per tutti quei viandanti, vetturini e barrocciai che si
dovevano indirizzare verso l'impervia Garfagnana. In verità il vero intento di questi imponenti segnalatori era un altro e infatti rappresentavano una sorta di monumento autocelebrativo dei Granduchi di Toscana per il fatto di essere riusciti a dare alla Toscana intera un nuovo assetto stradale. Per la Valle del Serchio e la Garfagnana fu invece il punto iniziale di un nuova direttrice viaria, che nel 1928 prese il nome di via del Brennero, una strada statale (SS 12 dell'Abetone)nata per collegare Pisa con il confine austriaco. Nella seconda metà dell'ottocento nacque però come collegamento veloce ai primi insediamenti industriali della piana lucchese che sorsero al Piaggione e a Ponte a Moriano. Questa strada, una volta presa la
direzione del Passo dell'Abetone continuava in quella che era la strada Nazionale n° 39 (oggi SRT 445), la dicitura nazionale era attribuita a tutte quelle vie che valicavano l'Appennino, tanto è vero che una volta attraversati i paesi
 di Calavorno, Ghivizzano, Piano di Coreglia, Ponte all'Ania, Fornaci, Mologno, Ponte di Campia, Castelnuovo, Camporgiano e Piazza al Serchio la strada oltrepassava l'Appennino e continuava verso Mantova in quella che al tempo era conosciuta come la "Livorno- Mantova". Non furono però solo i granduchi di Toscana a dare sbocchi esterni alla Garfagnana, prima di loro ci pensarono gli "illuminati" regnanti di Lucca nella persona di Maria Luisa Borbone che una volta insediatasi sul trono lucchese volle cancellare ogni traccia di Elisa Bonaparte, dando vita così ad un illuminato governo, promuovendo cultura, scienze e soprattutto lavori pubblici. La duchessa Maria Luisa si compiaceva di prendere parte personalmente alla vita del governo e si era tutta infervorita proprio sulle questioni che riguardavano i lavori pubblici e così con un decreto del 25 dicembre 1819 volle dare il via a tutta una serie di lavori istituendo "Il commissariato delle acque e delle strade". Furono reclutati tutti i migliori ingegneri, ognuno con un suo determinato compito e fra questi ingegneri c'era anche il celeberrimo Lorenzo Nottolini.
la Via Lodovica
Bolognana
Purtroppo pochi anni dopo la duchessa morì (1824) e salì al trono suo figlio Carlo Ludovico di Borbone che in qualche maniera prosegui sul solco tracciato dalla madre, continuando in tutta una serie di lavori già intrapresi da tempo. Proseguirono così anche quei lavori per quel tratto di strada che doveva collegare Diecimo e Valdottavo con Ponte a Moriano, mantenendosi sulla sponda destra del Serchio. Stava per nascere quella che anche oggi si chiama "Strada Lodovica", battezzata così in onore del regnante che intraprese la sua realizzazione: Carlo Lodovico. I lavori si prolungarono negli anni fra mille difficoltà, il tratto Bolognana Gallicano fu particolarmente arduo proprio nel punto in cui le pendici del monte Gragno cadono a picco sul letto del fiume Serchio ed inoltre a dare un ulteriore freno ai lavori fu una situazione politica paradossale. Il buon duca, difatti, era fin troppo prodigo e dalle mani bucate, tant'è che riuscì nella mirabolante impresa di far fallire lo Stato, consegnandolo così nelle mani dei (suddetti) granduchi di Toscana che su questo progetto vollero metter freno. E se per avere una ferrovia in Garfagnana ci volle più di un secolo, neanche per la realizzazione delle strade si scherzò poi tanto... Portiamo ad esempio la strada di Pradarena che avrebbe collegato la Garfagnana (Sillano) con l'Emilia (Reggio). Verso la fine del 1947 si parlava di questa strada come la
"nuova Abetone", su questa strada doveva nascere un polo turistico invernale di straordinaria bellezza e che avrebbe fatto diventare questa  un'arteria "di straordinaria utilità economica per le regioni Toscana ed Emilia". Come se non bastasse c'è chi vedeva in questa strada un valido mezzo per portare i turisti emiliani in Versilia... Ebbene di questa strada (il cui progetto iniziale risaliva al 1881), nel 1948 furono costruiti la bellezza di 450 metri. Solo nel 1952 ripresero i lavori e nel 1955 l'allora ministro Romita visitava i cantieri di lavoro. Non da meno la strada d'Arni, anche questo progetto era del 1881, in più alla via di Praderena questa strada aveva il supporto di una legge che la dichiarò "obbligatoria". Era talmente obbligatoria che nel 1914 si dovette riapprovare la sua costruzione e fra il 1915 e il 1917 fu compiuto il primo tratto Castelnuovo- Ponte di Rontano. Fattostà che
Strada d'Arni 
in costruzione
 per tutta una serie di eventi politico-burocratici i lavori si fermarono e ripresero nel 1936, per poi venire nuovamente sospesi con l'inizio della seconda guerra mondiale e ripresi ancora nei primi anni '50. Di questi fatti, se può essere consolante, è che almeno queste strade furono costruite nonostante i tempi biblici di esecuzione. Ci furono anche quelle vie che furono progettate e che (per fortuna) mai videro la luce, come il traforo del Monte Corchia che avrebbe portato "vantaggi ingentissimi", poichè si credeva che dalle solite province emiliane sarebbero venuti frotte di turisti. Che dire poi della Gallicano- Mare? 
Si trattava di un progetto elaborato come tesi di laurea dal giovane ingegner gallicanese Livio Alessandro Poli. La strada doveva partire da Gallicano, arrivare a Fornovolasco, di li inerpicarsi fino al valico di Petrosciana per poi scendere verso il mare e raggiungere Lido 
di Camaiore. Il progetto fu approvato, gli eventi del secondo conflitto bellico mandarono tutto nel dimenticatoio, per sempre. Da non scordare nemmeno la "Forte dei Marmi -Modena", progetto realizzato dall'ingegner Gianni, tale intenzione prevedeva che dall'Aurelia, all'altezza di Querceta, la nuova strada si distaccasse verso le Apuane tramite due gallerie, sotto il Monte Costalunga ed il Monte Forato, per raggiungere Gallicano, da Gallicano poi il tracciato per Fosciandora e il Sillico avrebbe attraversato
Quello che doveva essere 
la Gallicano-Mare
 l'Appennino con una galleria lunga sette chilometri e mezzo, andando poi a congiungersi con la Via Emilia all'altezza di Rubiera. Esisteva poi una "Livorno-Modena",  per non parlare di una ipotetica strada del marmo: "il traforo di Piastra Marina", un tunnel fra il Pisanino e il Monte Cavallo. Insomma, per continuare a scrivere la storia delle nostre strade non basterebbe un solo libro, anzi  a dirla tutta sarebbe più adatto scrivere un romanzo a puntate, di cui però non si vede ancora la parola fine...


Bibliografia

  • La foto di copertina è tratta dall'archivio Fioravanti ed è stata scattata al Casone di Profecchia nei primi anni del 1900 
  • " La Terra Promessa. La Garfagnana nella seconda metà del XX secolo" di Oscar Guidi, edito Unione dei Comuni della Garfagnana, anno 2017
  • "Il Sogno realizzato" di Umberto Sereni, Banca dell'identità e della memoria, anno 2011
  • "Da Lucca a Barga. Storia di viabilità" di Pietro Moscardini da "Il Giornale di Barga", febbraio 2016