mercoledì 30 luglio 2014

Terra di lupi e di briganti.Quando la Garfagnana era in mano ai banditi...

un brigante del 1500
Terra di lupi e di briganti così era conosciuta la Garfagnana  nel periodo rinascimentale,mentre nella vicina Firenze  si era nel pieno fulgore delle arti e del pensiero umano la nostra terra era in mano ad un manipolo di briganti della peggior specie .Era un male da estirpare per ripristinare la giustizia,ma anche qui come succede spesso un conto è dirlo e uno è farlo.La storia si ripete appunto e sembra sentir raccontare storie già sentite di strane connivenze fra stato e  mafia e dato che a quel tempo la mafia non esisteva vi erano evidenti complicità fra stato e briganti e a sopraintendere a tutto questo teatrino mandarono un certo Ludovico Ariosto che poverello armato delle migliori intenzioni trovò subito grosse difficoltà, ma trovò anche il rispetto dei briganti stessi.Leggete sembra una storia paragonabile ai giorni nostri.
L'organizzazione estense lasciava a tutte le terre della Garfagnana sotto il suo controllo una larga indipendenza; il ruolo di rappresentante della corona era svolto dai Commissari, successivamente sostituiti dai Governatori. Uno dei primi Commissari/Governatori fu Ludovico Ariosto, che arrivò a Castelnuovo nel 1522 e rimase fino alla metà del 1525; le lettere da lui scritte in questo periodo rivelano che il soggiorno in Garfagnana fu per lui difficile e sofferto. L'Ariosto infatti era soprattutto un poeta e non uomo politico e la carica di Goverantore fu da lui accettata esclusivamente per motivi economici. Il poeta ebbe più volte a rimproverare al Duca Alfonso I la sua indulgenza verso i banditi che, in quel periodo, erano la piaga della Garfagnana. Nonostante l'insofferenza verso la sua mansione, l'Ariosto cercò comunque di dare sempre il meglio di sè: conosceva bene i briganti e sapeva che la loro forza veniva sia dalla paura della gente, sia dalla paralisi del potere;
Ludovico Ariosto
conosceva anche i pastori, i contadini, gli abitanti dei villaggi e , se all'inizio li aveva considerati gente ottusa e cocciuta, ben presto aveva capito che si trattava solo di poveri uomini, dimenticati da tutti e umiliati da troppe vessazioni. L'Ariosto cercò subito di mettere in atto leggi severe contro i banditi e i loro favoreggiatori, ma queste leggi non furono gradite al Duca che le bloccò immediatamente. Di fatto il duca Alfonso aveva ricevuto aiuto proprio dai briganti un anno prima, quando questi avevano difeso per lui la Rocca delle Verrucole contro le forze pontificie di Leone X. Quindi il Duca non aveva nessun interesse ainimicarsi il favore dei briganti. Questi ultimi infatti si facevano sempre più baldanzosi e si vantavano addirittura di essere protetti dal Duca in persona. Lucca e Firenze, da parte loro, potevano solo trarre vantaggio da questa situazione e aspettavano il momento opportuno per rioccupare le terre perse e finite in mano agli Estensi. Ciò è dimostrato dal fatto che quando i briganti riuscivano a fuggire, si nascondevano spesso nei territori di Lucca o Firenze. Tra i briganti della Garfangana, alcuni sono rimasti avvolti da un alone di leggenda e le loro gesta e malefatte hanno dato origine a storie e racconti rimasti a lungo nella memoria della gente, come la storia del Brigante Pacchione: 

“Era un conosciuto capobanda nascosto nei boschi dell'Appennino. Pare proprio che il suo rifugio fosse nei pressi di San Pellegrino,luogo privilegiato per assalire e derubare i viandanti che da Modena scendevano in Garfagnana. Un giorno, mentre l'Ariosto saliva verso il passo, fu assalito e derubato dei suoi averi. All'improvviso uno dei banditi della banda di Pacchione pronunciò il nome dell'Ariosto ed il bandito svelto domandò – Dov'è? Dov'è Messer Ariosto? -Sono io – rispose il poeta. - Compagni, udite! -
La Rocca Ariostesca a Castelnuovo.
La "casa" dell'Ariosto ai tempi garfagnini
disse il bandito con voce risoluta –che non sia torto un capello al grande Ariosto! - Tutta la merce fu restituita ed il Pacchione aggiunse: - Messere, anche i banditi della Garfagnana, che voi sferzate nelle vostre satire, vi apprezzano e vi rispettano – E si inchinò ossequiente e cerimonioso prima di sparire nel folto dei boschi" 

lunedì 28 luglio 2014

La storia dei fratellini Kurt e Liliana, ebrei di Bagni di Lucca trucidati ad Auschwitz.

Lo strazio che questi giorni corre davanti ai nostri occhi attraverso la T.V ci lascia senza parole.Palestinesi ed israeliani conducono una guerra al massacro, all'annientamento totale e tutto cade nell'infamia più profonda quando a morire sono i bambini.Il bambino è futuro e speranza per un mondo migliore,ma come può essere migliore se si uccide la speranza stessa? Eppure nonostante tutto gli ebrei stessi venivano massacrati settant'anni anni fa durante la seconda guerra mondiale, donne, uomini, vecchi e anche in questo caso bambini. Settant'anni fa,tanto per intendersi, a livello storico- temporale è come dire qualche ora fa, ebbene nonostante conoscano la sofferenza di tale strazio nessuno si fa scrupolo.Lontano da me fare un analisi del confronto ebreo-palestinese per questo ci sono fior fiore di giornalisti e storici, però la mia è una constatazione di fatto innegabile.Ma siccome la storia è memoria e memoria vuol dire non dimenticare ( e possibilmente anche riflettere) voglio raccontare a tutti la storia dei fratellini Urbach,del piccolo Kurt e di Liliana lei nata a Bagni di Lucca il 19 ottobre 1942.La sua famiglia era una di quelle famiglie mandate al confino nella nostra valle per la sola colpa di essere ebrea.In precedenza erano fuggiti dalla propria terra natia (l'Austria) per le persecuzioni razziali.Vivevano a Ponte a Serraglio come internati se così si può dire liberi,lavoravano, vivevano in maniera tranquilla e piuttosto serena anche se con le limitazioni che imponevano le leggi razziali (niente radio, controllo della corrispondenza, nessuna attività politica, minimi rapporti con la popolazione, firma due volte al giorno dai carabinieri).Ma vivevano.Alla fine del 1943 le cose precipitarono.
Una vecchia foto di Ponte a Serraglio
Il 30 novembre, in lucchesia gli ebrei cominciarono ad essere rastrellati, e fu aperto il campo di concentramento provinciale di Villa Cardinali a Bagni di Lucca. Il campo era di transito la destinazione una sola: i campi di sterminio. A gennaio tutta la famiglia Urbach compresa la piccola Liliana e Kurt furono deportati.La prima tappa fu Firenze al centro smistamento regionale (tipo pacchi postali),poi Milano e da li partirono il 30 gennaio con i camion destinazione Auschwitz.Il padre di Liliana e Kurt esortato dalla madre ( "Vedrai alla donne ed ai bambini non faranno niente !") riuscì a fuggire.Purtroppo le rassicurazioni di mamma Alice non furono veritiere.Il 6 febbraio verso le sei del mattino giunsero ad Auschwitz a mezzogiorno erano già stati uccisi nelle camere a gas. Kurt aveva 4 anni,Liliana 15 mesi.

venerdì 25 luglio 2014

San Jacopo come pochi lo hanno raccontato.Il santo,la sua chiesa e la gente di Gallicano

E' una delle più belle feste
Una vecchia foto della chiesa
 di San Jacopo in Gallicano illuminata a festa
di tutta la Garfagnana.Il Palio di San Jacopo è fra i più sentiti e partecipati di tutta la valle,con le dovute proporzioni la partecipazione dei gallicanesi è al pari a quella  dei contradaioli senesi.Borgo Antico,Bufali e Monticello (in rigoroso ordine alfabetico...per l'amor di Dio!!!) negli ultimi anni hanno raggiunto un livello eccelso:carri,costumi,coreografie degne (senza esagerare) dei migliori spettacoli italiani.Pensare che un piccolo paese con poco più di quattromila anime riesca a partorire tutto questo è mirabolante.Il lavoro di tutti i gallicanesi è encomiabile, chi non partecipa in prima persona nella sfilata aiuta certamente nelle sartorie,nell'organizzazione,nella costruzione dei carri...praticamente è uno spettacolo che non va descritto, ma visto.Oggi io voglio entrare un po' nelle viscere di questo Palio raccontandolo sinteticamente sotto due aspetti inconsueti e talvolta non tenuti in considerazioni.Il primo; è giusto anche sapere a chi è dedicato questo Palio.Chi era San Jacopo? e cosa ha fatto? San Jacopo (o Giacomo) fu uno dei 12 apostoli di Gesù,nato non si sa quando ma morto in Giudea nel 43 o 44 d.C, conosciuto come Giacomo di Zebedeo detto anche il maggiore per non confonderlo con l'altro apostolo Giacomo di Alfeo detto appunto il minore, si racconta appunto che  prima di incontrare Gesù tanto "santarello"
San Jacopo ritratto da Rubens esposto
 nel museo del Prado a Madrid
non fosse.Di mestiere  faceva il sensale di cavalli. Acquistava i cavalli al mercato promettendo al venditore di saldare il debito con il sopraggiungere del caldo, allorché si fosse tolto il cappotto e quando in pieno luglio il venditore si recava da Jacopo per riscuotere il dovuto, lo trovava ancora incappottato e pronto a dichiarare che «l'estate tardava a venire».Fatto sta comunque, che Jacopo divenne fra i più fidati apostoli di Gesù. Dopo la morte di Gesù continuò la sua missione, andò in Spagna per diffondere il Vangelo e in seguito ad un ritorno dell'apostolo in Giudea, re Erode Agrippa lo fece decapitare. I suoi discepoli trafugarono il suo corpo e riuscirono a portarlo sulle coste della Galizia in Spagna. La tomba divenne meta di grandi pellegrinaggi nel Medioevo, tanto che il luogo prese il nome di Santiago (Santiago de Compostela) Divenne così (oltre a quello di Gallicano) anche il Santo Patrono di tutta Spagna.Secondo aspetto.Raccontiamo un po' della Chiesa maggiore di Gallicano a lui intitolata.La Chiesa di San Jacopo in stile romanico e collocata nella sommità del centro storico.Nata come chiesa castellana fu edificato intorno al 1100.L'edificio sostituì la vecchia chiesa dedicata quella a San Cassiano  che era collocata fuori dal borgo "deserta e così minacciata che non si spera di poter riparare".A causa di ciò fu precocemente abbandonata e con i resti di San Cassiano fu eretto San Jacopo e  sistemate le fortificazioni del castello.Ultima curiosità durante la guerra fra Lucca e gli eredi di Castruccio che coinvolse il castello di Gallicano,la chiesa risultò violata e alla cacciata dei ribelli dovette essere riconsacrata nuovamente.Infine nel 1390 fu consacrata Pieve.
Prima della sfilata: un gruppo
 di piccole api con l'ape regina
(Palio 2014 foto di Ismaele Saisi)

 Ecco qua, ho voluto raccontare il "mio" San Jacopo nella maniera che mi riesce meglio...il resto e il più bello è al meraviglioso spettacolo di questa sera.

mercoledì 23 luglio 2014

L'Indiana Jones garfagnino. Pietro Pocai fondatore della città brasiliana di Salto Grande

La storia non
le cascate di Salto Grande
lo volle, le enciclopedie non lo conoscono,ogni tanto qualcuno in Garfagnana si ricorda di questo personaggio (vedi il periodico "La Pania"),eppure in Brasile ha fondato una città che conta più di mezzo milione di abitanti,ne divenne poi capo politico e sociale,per poi diventarne anche sindaco nel 1911.Oggi a ricordarlo in questa città c'è una  strada: "Rue Pietro Pocai". Ma chi era Pietro Pocai? La storia merita di essere raccontata proprio per la diversità dalle altre.Questa è la cronaca di un Indiana Jones garfagnino, di un avventuriero,,di un esploratore,le sue avventure hanno il fascino della leggenda, 
un racconto questo  che sembra uscito dalla penna di Emilio Salgari.Pietro Pocai nacque a Eglio nel 1853, era il secondo di cinque figli e siccome la vita era grama e povera la famiglia decise di mandarlo in seminario con la speranza di ricavarci un prete.Ma il "latinorum" non era fatto per lui, abbandonò quindi l'idea di diventar prete,lasciò famiglia ed affetti più cari e s'imbarcò clandestino verso il Brasile che  in gran parte era ancora semi sconosciuto.Arrivò a San Paolo,ma ha lui la città non piaceva.Quello era il tempo che in Brasile giungevano da tutti i porti del Sud America avventurieri di ogni tipo che si spingevano fino alla foreste vergini dell'Amazzonia,del Mato Grosso,del Paranà, del Rio Grande do Sud a cercar fortuna e così fece anche Pietro.Partì, e nel partire dimenticò se stesso e la sua vita trascorsa.Non tenne più rapporti con i parenti,non scrisse più a nessuno (i parenti in Italia conosceranno molti anni dopo la data della sua morte).Studiò le varie tribù indigene,imparandone la lingua ,gli usi e la religione.Ormai il vecchio mondo era alle spalle,c'era rimasto solo l'ignoto da esplorare.Attraversò per primo (e sottolineo primo) la vasta zona che si estende da San Pedro do Turvo fino al lontanissimo Rio Paranà. Fra i Munduru (tribù indigena che mummificava le teste dei nemici) ebbe in dono la 
la bella città di Salto Grande
figlia del capo tribù e l'alto onore di coabitare nella solita tenda,ma anche li ad un certo punto si stancò pure della figlia del capo tribù  e dei Munduru e si incamminò verso le impervie foreste del sertao paulista.In più occasioni si trovò a lottare con giaguari e serpenti, raccolse farfalle,pappagalli e... diamanti, fino a che nel 1886 giunse nei pressi di un grandioso fiume.Il posto era circondato da verdissimi campi, la terra era rossa;il fiume era il Paranapanema che serpeggiava sinuosamente nella verde vallata.Qui Pietro volle fermarsi,costruì una capanna e da quel giorno terminò la sua vita nomade.Ma non fu subito vita facile, i Coroados i temibili tagliatori di teste, la tribù che viveva in quelle zone, gli bruciò la capanna, allora Pietro chiamò a se altri emigrati italiani e dopo alcuni mesi sorse un improvvisato numero di abitazioni.I nuovi abitanti formarono un simil esercito che si mosse senza pietà contro gli indigeni, scorse
la diga di Salto Grande
copioso sangue e alla fine i Coroados furono definitivamente allontanati .Una cascata d'acqua meravigliosa rompeva con il suo frastuono il silenzio di quel luogo, in onore a detta cascata la nuova città fu chiamata Salto Grande.In pochi anni le abitazioni crebbero. Gli emigrati italiani giunsero da tutto il Brasile con l'intenzione di aggregarsi alla "tribù del Pocai".Adesso gli italiani erano padroni di un intera regione,incominciarono a coltivare il caffè, canne da zucchero, si costruirono chiese e negozi.Il suo capo incontrastato rimase Pietro Pocai  fino al giorno della sua morte avvenuta l'8 settembre 1913.Oggi questa grande città è ancora lì con il suo mezzo milione di abitanti.Nel centenario della nascita di Pietro  i cittadini eressero una statua in suo perenne ricordo...l'Indiana Jones garfagnino...

lunedì 21 luglio 2014

Il treno impazzito...21 luglio 1981, una tragedia sfiorata

Anche la cronaca è storia. Anche i fatti di cronaca ordinaria fanno
La stazione di Barga Gallicano distrutta
(foto concessa da Anna Maria Marchetti)

parte di tutto quel bagaglio storico e di memoria di ognuno di noi. Alcuni fatti sono legati ai nostri ricordi in maniera indelebile. Come dimenticare infatti il"treno impazzito" che si andò a schiantare nella stazione ferroviaria di Barga- Gallicano? Sono passati esattamente trentacinque anni da quel lontano giorno ma i miei ricordi di bimbetto sono ancora impressi nella mia mente come se tutto fosse successo ieri. Ringraziando Dio in Garfagnana incidenti ferroviari di grande rilevanza non sono mai avvenuti, però quel 21 luglio fu il giorno in cui ci si andò più vicino. Sembra di raccontare la trama di un film hollywoodiano dove ad un treno si rompono i freni e da quel momento intraprende la sua folle corsa per tutta la valle, ma non era un film, era la cruda realtà.
Un giorno tranquillo quel 21 luglio 1981, niente lasciava presagire che nella paciosa stazione di Barga- Gallicano situata nell'abitato
la stazione di Barga Gallicano ieri
di Mologno si andasse ad abbattere a folle velocità un treno-gru con due pianali del peso di oltre 200 tonnellate, distruggendola completamente. Nel raggio di decine di chilometri la gente pensò ad una forte scossa di terremoto talmente fu grosso il boato del treno che impattava nella stazione. Arrivai anch'io sul posto con la mia bicicletta, ero piccolo, sfuggi dalle grinfie della nonna che giustamente mi voleva tenere con se. Quello che mi si parò davanti era una scena apocalittica, il gigantesco "mostro" d'acciaio era conficcato nella sala d'aspetto e nella biglietteria innalzandosi con i suoi respingenti fino al tetto della stazione stessa, piovevano ancora polvere e calcinacci. Per una serie di fortunate coincidenze quella che poteva essere una tragedia di immani proporzioni si risolse con quattro feriti, di cui due
Il treno merci ancora fermo in stazione
(foto archivio Giuseppe di Giangirolamo)
gravi che però riuscirono comunque a cavarsela. Ecco la cronaca dei fatti: ore 12,20 tre operai addetti alla manutenzione della linea Lucca-Aulla terminati 
i lavori presso il ponte della Villetta decidono di rientrare nella vicina stazione quando improvvisamente un avaria dei freni della locomotiva non gli consente più di
azionare i comandi. Cominciò così la precipitosa corsa verso la valle. Il convoglio con l'andare dei chilometri prendeva sempre più velocità.Paralizzati dal terrore i tre operai (tutti romani) furono presi da diversi stati d'animo.Uno dei tre si gettò dal treno in corsa, quando fortunatamente il treno non era alla sua massima velocità, in qualche maniera quest'uomo con contusioni nel corpo ed un braccio rotto raggiunse la stazione della Villetta dando l'allarme  a tutte le stazioni a sud della valle, lanciando di fatto una folle corsa contro il tempo per fermare in qualche maniera quella maledetta gru. Un treno proveniente da Lucca,carico di
Ancora distruzione
passeggeri fu subito bloccato a Fornaci di Barga, il ritardo di pochi minuti evitò
 una carneficina. Un altro treno merci era però in sosta a Barga-Gallicano sullo stesso binario del convoglio impazzito, fu presto isolato da un pronto scambio, mentre l'altro treno procedeva in maniera inesorabile la sua corsa ad alta velocità attraversando passaggi a livello incustoditi, sfrecciando e seminando terrore tra il personale delle ferrovie e gli abitanti dei paesi delle stazioni di Pontecosi,Castelnuovo,Fosciandora e
Castelvecchio Pascoli, finchè non andò a schiantarsi ad oltre 120 Km orari nella stazione di Mologno. Diversa sorte toccò agli altri
il modellino simile del convoglio che
distrusse la stazione
operai che erano rimasti nei convogli, un operaio si buttò dal treno nei pressi di Castelnuovo procurandosi un trauma cranico, un altro invece rimase impietrito dalla paura sul treno per tutta la sua corsa, all'impatto con i muri della stazione venne sbalzato fuori, verrà ritrovato in gravissime condizioni,ma dopo una lunga degenza riuscì a salvarsi.L'altro ferito fu il capostazione di Barga Gallicano che fece sgombrare prontamente la sala d'aspetto,

precipitandosi poi sulla leva dello scambio che una volta azionata evitò l'impatto con il merci in stazione che si trovava  a meno di 50 metri di distanza al momento dello scambio. Anche lui se la cavò con contusioni varie e la frattura di una spalla. Una storia
incredibile allucinante che ricorda i tragici fatti avvenuti dieci giorni fa sulla linea Andria Corato che sono costati la vita a più di trenta persone. Qui, in quel lontano 1981 il buon Dio mise la sua mano santa, tutto si consumò nel breve spazio di 10-15 minuti e
La stazione dopo l'incidente
(foto archivio Giuseppe Di Giangirolamo)
quello che poteva costare decine di morti nella nostra valle, si risolse miracolosamente con alcuni feriti. I fatti di Mologno fecero il giro delle televisioni nazionali e addirittura finirono nei giornali di tutta Europa, mio padre seppe della disgrazia  quando si trovava in vacanza in Grecia da un quotidiano locale. Ricordo ancora

le fotografie dell'epoca del treno schiantato dentro la stazione, fotografie di cui ho fatto ricerca ma che purtroppo sono andate perse...Peccato.
PS: Finalmente !!! Devo ringraziare i lettori e gli amici di questo blog che mi hanno fatto pervenire le rare foto della stazione purtroppo distrutta. Un ringraziamento di cuore va fatto a Nicola Bellanova giornalista de "Il Tirreno" e a suo suocero Giuseppe di Giangirolamo che dal suo personale archivio fotografico mi ha fornito di due bellissime foto dell'accaduto e anche l'amica Anna Maria Marchetti che ha dato l'immagine che è ad inizio articolo. Grazie, grazie, grazie !!!

venerdì 18 luglio 2014

Quando gli emigranti eravamo noi...Sfruttamento,fatica e nostalgia questa era la condizione dell'emigrante garfagnino...

Eppure una volta nei loro panni
Emigranti in partenza da Genova
c'eravamo noi.Gli emigranti eravamo noi, ma non solo noi italiani in senso generale ma noi garfagnini.Non credo che nella nostra valle non ci sia famiglia che perlomeno ha un parente in qualche parte del mondo.Chi nelle lontane Americhe (come si diceva una volta), chi in Australia o nella stessa Europa.Lungi da me naturalmente fare differenze e paragoni con le migrazioni che stiamo subendo nel nostro Paese,il momento storico era diverso,le condizioni sociali anche, però nei secoli una cosa accomuna chi decide di emigrare, migliorare la propria condizione di vita.Fu un fenomeno questo di dimensioni a dir poco rilevanti che fra l'800 e il 900 coinvolse migliaia e migliaia di persone delle nostre zone che abbandonarono Patria ed affetti  sperando di veder garantito un futuro migliore per se e i propri figli.Lo scarso rendimento della terra,le alte tasse e l'alto tasso di natalità furono le condizioni principali che spinsero i garfagnini ad emigrare.Il primo notevole flusso fu verso la Francia e la Corsica dove si recarono numerose donne richieste come balie.Per rendersi conto della condizione di queste donne alcuni giornali dell'epoca (si parla intorno al 1870)  la definirono addirittura di una "tratta delle bianche".Il flusso migratorio poi cambiò agli inizi del 900 aumentarono infatti le quotazioni delle migrazioni transoceaniche e le speranze garfagnine si rivolsero verso le Pampas argentine,l'Amazzonia, il Mato Grosso,New York,California.Non è esagerato dire che alcuni nostri paesi furono completamenti svuotati del fiore della gioventù Gallicano, Perpoli,Fiattone,Cerretoli,Vrgemoli... vi partirono un terzo degli uomini.Per procurarsi i soldi per emigrare se non si aveva qualche parente che le prestava l'unica alternativa rimanevano le
la nave transoceanica della Società Italiana
 "Conte di Savoia" 1931 nel porto di Genova
banche e contrarre un oneroso mutuo.A Castelnuovo già nel 1874 c'era il Banco di Anticipazioni e di Sconto che tramite l'ipoteca su beni terrieri della famiglia si rifaceva pure sui primi salari guadagnati in terra straniera per rientrare del prestito dato.Alcuni garfagnini riuscivano a far fortuna,altri si barcamenavano e altri ancora non avevano nemmeno i soldi per tornare in Italia.La maggior parte dei nostri conterranei veniva impiegato nell'agricoltura o nel far legna, impararono anche mestieri che non erano abituati a fare come camerieri di locanda e ambulanti,ma come detto erano i lavori di fatica che la facevano da padrone.Era risaputo in queste lontane terre che il garfagnino era uomo di fatica e si diceva che: "Dove si costruiva i garfagnini a scavare e a portar calce,si coltivava e i garfagnini a zappare, c'era un lavoro che gli altri non facevano perchè fiaccava le ossa: e loro sotto.La costruzione del Canale di Panama,la grande rete stradale atlantica,i boschi del Montana e del Colorado furono le prime tappe,ma ormai non c'erano più ostacoli ne remore dove gli altri sdegnavano ascia,vanga e piccone il garfagnino costruiva capanne,gettava sementi e incanalava acque...".Ma le difficoltà erano tante,i problemi linguistici,l'integrazione e sopratutto la nostalgia dei cari lontani e della amata Terra natia la facevano da padrone.Con questo stralcio di lettera (che poi pubblicherò integralmente perchè bellissima ed unica) scritta in dialetto da un nostro emigrante alla famiglia voglio ricordare la sofferenza di queste persone: 

" E,'gni mattina ciò la smania addosso perchè 'sta mostra d'una Garfagnana e così bella anco s'edè lontana che mi
emigranti 
sforzo di scurdalla ma non posso.Crediate non so più che fà,vorrei dormì per tant'ore per sognammi ma non vorrei durmi per non svejammi e capì ch'era un sogno e tribbolà"

mercoledì 16 luglio 2014

"Il politico promette ma non mantiene"... Fino a che un giorno del 1618 Bertolo da Careggine...

"E la chiamano estate"
Alfonso I d'Este il prototipo
 del politico italiano
....Era il titolo di una canzone del 1962 di Bruno Martino, sarebbe proprio indicata come la colonna sonora di questa piovosa stagione che non ha lesinato tuoni,lampi e acqua a dirotto,causando poi anche allagamenti e danni a cose piuttosto rilevanti sopratutto verso le zone di Lucca. Questa situazione mi ha fatto tornare alla mente una tragicomica situazione di alcuni secoli fa e raccontava  di un tizio che aveva subito danni dal maltempo causati sopratutto da dei possedimenti terrieri dello stato e che appunto poi lo stato non gli aveva ripagato...Allora mi sono messo a ricercare la notizia nei meandri delle mia libreria,negli anfratti dei cassetti e fra le scartoffie della mia scrivania e alla fine... eccola qua! Meritava di essere ricercata perchè il documento è un chiaro esempio di come i tempi non siano cambiati...il povero cittadino è destinato a subire mentre il signore (o politico di turno) vince sempre,finchè però non nasce qualche Bertolo da Careggine che in qualche modo rivolta la frittata.Leggete bene perchè questa è veramente una chicca storica:

Anno Domini 1618 dal "Libro delle Denunzie" del magistrato di Castelnuovo Garfagnana si evince che tale Bertolo da Careggine fu querelato dall'ispettore estense Giovanni Battista venuto da Modena.Il contenzioso nacque dal momento in cui il suddetto ispettore  non mantenne la promessa fatta da Sua Altezza Serenissima Alfonso
vecchia foto del paese di Careggine
I d'Este che  avrebbe pagato di tasca sua "li guai" causa forti piogge fatti dal "rio" (n.d.r: torrente) che scorreva "intro" (n.d.r : dentro) proprietà statale allagando ed infangando  il campo dove il povero Bertolo coltivava i suoi ortaggi per se e il sostentamento della sua famiglia.Fatto sta che vistosi alle strette l'ispettore disse appunto che sua colpa non era dato che lui era il portavoce di Sua Altezza Serenissima,Bertolo rispose che dal momento che era il suo portavoce portasse ad Alfonso I per sua "dote" anche le percosse che stava per dargli e quindi si legge


"Prima li tirò una sassata nella vista,poi datogli due pugni nella bocca et fronte facendo sangue e percossolo con un marello (n.d.r: un bastone) sul brazzo minacciandolo di ammazzarlo..."
La storia insegna...il politico promette,ma non mantiene...Fino a che  un giorno da qualche parte nel mondo lo spirito di Bertolo da Careggine non si risveglierà...

lunedì 14 luglio 2014

Il Serchio,il nostro fiume.Storia e curiosità...

E' il nostro fiume.
Castelnuovo Garfagnana
Donne che lavano i panni in fiume
Quante volte nella stagione estiva ci siamo refrigerati con le sue acque, ma è bene dire che nei millenni i suoi servigi sono stati ben più nobili.Il Serchio per la Garfagnana è stato croce e delizia, ci siamo serviti delle sue acque per difenderci dai nemici,per lavarci (il bagno non esisteva ancora...) e lavare i panni e nei tempi moderni con la sua acqua abbiamo prodotto energia elettrica, ma però quando madre natura l'ha scatenato è stato fonte anche di distruzione.Oggi voglio provare in maniera abbastanza esauriente  a raccontare un po' di storia di questo fiume,(ci sarebbe molto da raccontare, magari quello che non riesco a fare oggi lo farò in post successivi).Si parla del Serchio ancor prima che della nascita di Cristo, lo troviamo citato per la prima volta dal geografo greco Strabone vissuto nel 64 a.C nel suo trattato "Geographica" nel quale narra della nascita di Pisa, avvenuta tra due fiumi confluenti,l'Arno discendente da Arezzo e il Serchio discendente dall'Appennino... Come!? Direte voi, il Serchio non confluisce nell'Arno...Ed ecco qui la prima curiosità.In tempi antichi il nostro fiume seguiva appunto un altro corso confluendo appunto nell'Arno nei pressi di Bientina (Pisa).Nel corso dei secoli è stato poi regimentato decine e decine di volte.Il Serchio è il terzo fiume della Toscana per lunghezza (111 km) dopo l'Arno e l'Ombrone e il secondo per portata.Il ramo principale nasce dal monte Sillano (m1864) e si riunisce al ramo denominato "Serchio di Gramolazzo" e continua poi per tutta la Garfagnana e la lucchesia per poi sfociare nel mar Tirreno, nella zona del Parco di San Rossore (Pisa). Nell'antichità era chiamato Auser, poi con i secoli modificato in Ausercolo,Auserclo,Serculo,Serclo,Serchium
il placido scorrere del Serchio nella valle
e infine Serchio.Il significato di tale nome è da ricondursi all' etrusco e significa Dio,divinità mentre per altri glottologi moderni deriva da una parola Ausa (pre ligure) che significa sorgente.Si narra anche di un miracolo avvenuto in queste acque quando il vescovo di Lucca Frediano deviò il corso del fiume salvando la città da sicura alluvione.La realtà in questo caso è un altra e afferma che il vescovo  Frediano (in carica dal 561 al 589) era un esperto di idraulica ed esegui dei lavori per deviare il corso principale del fiume che costantemente minacciava Lucca  e fece convogliare le sue acque nel mare (dove sfociano adesso) e non più in Arno come detto prima.Ricordiamo poi le sue tragiche alluvioni.Il fiume per la sua posizione e conformazione è storicamente esposto a repentine piene in seguito ad abbondanti precipitazioni.Fra le più rovinose ricordiamo quelle 1812 (7 morti) l'acqua entrò addirittura nella città di Lucca,quella del 1836 che ha il record di portata pari a 3200 metri cubi al secondo.Il Serchio è stato poi menzionato da grandissimi poeti come Dante,Ariosto,Pascoli,
l'antico mestiere del
 traghettatore sul Serchio
D'Annunzio,però io voglio chiudere così,con quello a me personalmente più caro: Giuseppe Ungaretti ( i genitori era originari di Lucca) che ricordava il Serchio in questi bellissimi versi della poesia


" I Fiumi " (1916)

"Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil'anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre"



venerdì 11 luglio 2014

Antichi modi di vivere: la transumanza in Garfagnana nei ricordi di chi l'ha vissuta...

Era un vero e proprio fenomeno sociale ancor prima che economico.In tutta Europa la transumanza per secoli interi ha visto famiglie intere che si spostavano da un punto all'altro del continente in determinati periodi dell'anno.In Italia
1940 greggi al pascolo nelle
vicinanze di San Pellegrino
le genti della penisola grazie alla dorsale appenninica hanno da sempre approfittato durante i mesi estivi degli sterminati pascoli che esaurendosi verso l'inizio d'autunno spingevano quei greggi immensi a tornare nelle pianure o sulle coste assicurando grazie al clima temperato pascoli sufficienti durante l'inverno. Anche la nostra Garfagnana non era esente da questo fenomeno.Il percorso di queste migrazioni si svolgeva sui cosiddetti tratturi (autostrade ante litteram per i pastori) che collegavano tutta la penisola italica tramite la dorsale appenninica che univa l'Abruzzo con il Lazio,  attraversando il Molise,arrivavano all'estremo nord Italia sull'altopiano di Asiago per poi giungere ai pascoli della Garfagnana, per spingersi fino ed oltre i territori del Granducato a sud dell'Arno.Questi che vado a raccontare oggi sono i ricordi di un ragazzo dell'epoca,Giulio Simonini (diventato poi giornalista e memoria storica della Garfagnana).Il tutto si svolge negli anni 50 quando il fenomeno andava esaurendosi ma la tradizione era ancora viva e pulsante.

"La transumanza dei miei tempi avveniva due volte l'anno e coinvolgeva tutta la penisola e così pure numerose famiglie garfagnine partecipavano al trasferimento delle greggi con estenuanti marce a piedi verso i monti d'estate, in pianura o verso il mare d'inverno.La transumanza estiva iniziava ai primi di giugno con i greggi che attraversavano i paesi della Media Valle del Serchio provenienti dalla Maremma e in parte della Versilia dove avevano svernato.Risalivano verso i colli ubertosi della Garfagnana,alle pendici delle Alpi Apuane e degli Appennini.Si udivano arrivare,dal suono ritmico dei campanacci appesi al collo in gruppi di 100-200 capi invadevano le vie, all'epoca ancora sterrate,sollevando nuvole di polvere.Ogni gregge era preceduto da uno dei due pastori,l'altro chiudeva il branco,seguito da cani ,i cosiddetti "toccatori" che fieri del loro compito
i famosi caselli di Campocatino
controllavano gli armenti.Brividi ed emozioni quando riuscivo a penetrare in bicicletta dentro i branchi,con centinaia di corna ondeggianti che mi sfioravano senza colpirmi .Al sopraggiungere di qualche rarissima auto i pastori emettevano il fischio di richiamo per il cane che entrava in azione che con abbai e lievi morsi alle pecore restringeva il gregge al margine della strada.Poteva accadere che nel tragitto le pecore figliassero e allora gli agnellini venivano messi dentro una bisaccia o sulle spalle con le madri che le seguivano belando.Il viaggio poteva durare anche una settimana  con soste in vari paesi  dove le bestie si nutrivano nei campi del demanio o anche in quelli privati i cui padroni venivano contraccambiati con del formaggio.Gli armenti raggiungevano l'alta Garfagnana per pascolare all'ombra del Monte Roggio, Orto di Donna,Monte Calace, Gorfigliano, Sillano,Alto Matanna e San Pellegrino.La notte dormivano all'aperto negli stazzi mentre i pastori riposavano nei caselli (dimore in pietra murati a secco) All'alba dopo la mungitura,la bestia veniva rimandata al pascolo. Intanto nei caselli i pastori procedevano alla lavorazione del latte da tramutare in formaggio o
transumanza
ricotta.Il primo sarebbe entrato in commercio dopo una breve stagionatura,la seconda raggiungeva le botteghe della valle .Una stagionatura più lunga veniva riservata al pecorino, prodotto d'elite, destinato ad un mercato ancora più ampio e redditizio.A settembre si effettuava la marcia di ritorno per raggiungere climi più dolci. durante il tragitto era facile che i pastori facessero tappa nei paesi fatti all'andata per scambiare di nuovo un saluto ed un arrivederci all'anno successivo."

mercoledì 9 luglio 2014

Leggende metropolitane: il mostro della Palodina... e non solo

Le antiche leggende sono quelle che ci tramandano i nostri avi da secoli fatte di credenze popolari ataviche.Esiste però un altro tipo di leggenda che oggi viene detta propriamente "leggenda metropolitana", non detta così solo in contrapposizione a quella classica o per  il tipo di racconto che narra (spesso di origine contadina), ma è detta appunto così perchè  essa è nata e diffusa nella civiltà moderna e spesso è tramandata dai media e assume addirittura anche un certo tipo di credibilità.Ebbene anche nella nostra Garfagnana vi è un luogo preposto per il fiorire di leggende metropolitane.Curiosamente tutte queste leggende sono accentrate in un unico luogo, a mia memoria non c'è altra località simile nei nostri dintorni che vede uno svilupparsi di tali fatti che tirano in ballo UFO,marziani e uomini lucertola.Questo luogo è appunto il Monte Palodina che con i suoi 1171 metri d'altezza fa da spartiacque fra le Valli della Turrite Cava e la Turrite di Gallicano, è  praticamente un vero e proprio terrazzo naturale sulla Valle del Serchio. Andiamo allora a raccontare gli strani eventi leggendari che nascono da questo monte.Il posto è stato, ed è sempre luogo di escursionisti,cercatori di funghi e cacciatori  e proprio uno di questi cacciatori (esiste anche nome e cognome) verso la metà degli anni 80 divenne famoso in tutta Italia.Durante una battuta di caccia sulla Palodina si apprestava a ricaricare il suo fucile quando alle sue spalle uno scricchiolio di rami e foglie distolse la sua attenzione:"sicuramente sarà la mia preda" pensò fra se e se, ma subito di fronte si trovò un grosso essere
il monte Palodina ed il paese di Verni

squamoso alto più di due metri e con la testa da rettile,il cacciatore preso dal panico fuggì a gambe levate distruggendo anche il fucile nella sua precipitosa fuga.La notizia in breve tempo raggiunse radio e televisioni locali che riportarono dettagliatamente l'evento,tale notizia fu poi ripresa dai media nazionali.Il monte Palodina da quel giorno diventò una sorta di X files.Furono fatti molti tentativi ed indagini ma del lucertolone non vi era traccia.Approfondendo poi la questione, di questi fenomeni sul monte si ha notizia dagli anni 70 quando fu avvistata una piramide arancione sulla sommità per poi sparire dopo un ora, o quando un testimone racconta di aver visto otto persone che avevano picchettato Pian di Lago (località sul monte) forniti di strumentazione sofisticata e avanzatissima.Per arrivare poi in tempi ancora più recenti intorno agli anni 90, si dice di avvistamenti di  elicotteri spuntati dal buio completamenti neri che illuminavano il bosco.Nel 2000 invece furono avvistati da dei campeggiatori degli esseri non alti più di un metro che scapparono subito spaventati.Insomma questo monte invece di essere un luogo ameno per scampagnate e passeggiate sembra nascondere un area 51 garfagnina...Ma io forse sarò all'antica a me piacciono di più le antiche leggende fatti di buffardelli, streghe e fate...Queste cose le lascio ai più giovani!


lunedì 7 luglio 2014

L'ultima condanna a morte nel comune di Barga,si dice che: "Morirono ambedue con molta disposizione e volentieri"...

impiccagione
"Signori l'argomento non è bello",così esordiva il conte Cesare Sardi all'inizio del libro: "Esecuzioni capitali a Lucca nel XIX secolo".Ma io voglio avere l'ardire e la sfacciataggine di raccontarvi la triste e macabra storia delle due ultime condanne a morte nel comune di Barga eseguite nel luogo reputato anticamente per le sentenze capitali meglio conosciuto oggi come allora con il nome di "forche della Giuvicchia".La Giuvicchia (o più correttamente Giovicchia),per chi non lo sapesse si trova per la strada che prosegue dopo l'ospedale di Barga e che anticamente era la principale strada per salire nel borgo e proveniva da Fornaci.Ma torniamo a noi e partiamo dall'inizio e con ordine.Siamo a Cutigliano,nell'appennino pistoiese,nel 1755 e due giovani provenienti dal Regno di Napoli in quei giorni stanno spargendo disordine per le vicine località.Il loro nome è Annibale Vespasiano di 21 anni proveniente da Marzano (Napoli) mentre l'altro si chiama Roberto Venosa 30 anni calabrese, molto probabilmente sono due disertori fuggiti chissà da quale armata,ma che dalle nostre parti si sono dedicati al brigantaggio.Rapinare viandanti era la loro "specializzazione" (n.d.r:allora tale pratica veniva detta grassazione).Il loro raggio d'azione con il tempo si spostò poi verso nord fino a raggiungere il territorio di Barga e qui un bel giorno dopo essersi rifocillati all'osteria "La Caciaia" decidono bene a pancia piena di rapinare tale Giuseppe Manfredini modenese, che da Pisa faceva ritorno al suo paese Sant'Anna a Pelago, ma le cose vanno male, il malcapitato si ribella intervengono le guardie che arrestano quasi subito Annibale Vespasiano mentre il Venosa viene catturato a Coreglia ed entrambi quindi rinchiusi nelle patrie galere.In quei tempi si scherzava poco e non si badava tanto per il sottile.Arrivò il giorno del processo e dopo il giorno
gli attuali boschi della Giovicchia
del processo quello della condanna.Il 15 agosto 1756 viene dato l'ordine da Firenze (allora Barga come ben si sa era sotto Firenze) di erigere il patibolo...Come il patibolo!?... Il patibolo vuol dire morte! La comunità di Barga rimase esterrefatta.In fin dei conti avevano "solo" rapinato senza uccidere mai nessuno. Barga non voleva condanne a morte nel suo territorio,tant'è che il cancelliere locale Matteo Puccini inviò una lettera (datata 27 agosto 1756) a Firenze per cercare di dissuadere i giudici dall'idea di giustiziare i condannati.Ma non ci fu niente da fare, la sentenza di morte doveva eseguirsi l'11 settembre anno di grazia 1756, luogo destinato a tale evento la Giuvicchia di Barga.Dopo un tentativo di fuga dei poveri disgraziati, facendo un buco nel pavimento della cella arrivò anche l'undici settembre 1756 giorno dell'esecuzione.Le campane del duomo non cessarono mai per tutto il giorno di suonare a "morto".Ormai tutto era compiuto,i condannati si avviarono mestamente su un carro con le catene ai polsi e alle caviglie.Il macabro corteo arrivò  fino alla chiesetta dei Pieracchi 
(adesso distrutta), a due passi dal luogo dell'esecuzione ,dove il cappellano Lucignani impartì ai malcapitati la comunione e la confessione,dopodichè il boia (venuto appositamente da Firenze,detto allora "maestro di giustizia") Francesco Falli  mosse la leva che apriva la botola del patibolo, il "crac" delle ossa rotte del collo risuonò per tutto il circondario.Purtroppo l'obbrobrio  per i due giustiziati non era ancora finito.Si legge infatti nel libro dei morti della parrocchia di Barga che le interiora dei condannati furono sepolte nel medesimo luogo, mentre due quarti di membra con la testa furono esposte sulla strada maestra, da monito ed esempio per tutti quelli che giungevano in Barga, mentre altri pezzi di corpo furono portati a Cutigliano luogo come detto prima delle altre scorrerie dei poveri impiccati.Menzione particolare merita la chiosa del medesimo atto di morte dove si legge testualmente 
"Morirono ambedue con molta disposizione e volentieri"... 
il libro di Pier Giuliano Cecchi
da cui è stato tratto questo post
e questa fu ,grazie a Dio l'ultima esecuzione a morte nel comune di Barga.

Questo post lo voglio dedicare a due persone: una è Pier Giuliano Cecchi autore (insieme a Cristian Tognarelli) del bellissimo opuscolo "La paura di Barga è alla Giovicchia"(che consiglio), da cui è tratto questo post, l'altra è il mio amico Alessandro Lazzarini detto da me il"Signore della Giovicchia", sapiente conoscitore della zona.

venerdì 4 luglio 2014

La leggenda della Pania Secca...Voluta così da Gesù: brulla e spoglia...

                                        La vediamo sempre lì,da
La Pania Secca vista dalla Pania della Croce
qualsiasi parte della Garfagnana,vuoi da un versante,vuoi da un altro è quasi sempre visibile a tutti.Io vi sono nato all'ombra di questo monte,l'ho  avuto sempre davanti al naso,posso dire senza ombra di dubbio che è la "mia" montagna.La Pania Secca con i suoi 1711 metri d'altezza non è la più alta fra le montagne delle Alpi Apuane però è la più imponente e maestosa.Ogni montagna poi ha il suo nome con un significato ben preciso.La Pania Secca verrà forse chiamata così per il suo aspetto brullo e spoglio? Può darsi dico...ma pensandoci bene altre montagne delle Apuane hanno questo aspetto, dovrebbero essere tutte "Panie Secche".Ma ecco che nel mio "scartabellare" riesco ad avere una risposta.Anche questa storia affonda le sue radici nella tradizione popolare,nella leggenda e nell'intervento divino.La storia di questo monte non è troppo conosciuta,la sua leggenda è senz'altro fra le più belle nel panorama delle leggende "nostrali" che senza dubbio merita di essere raccontata:

"In un tempo lontano, dove oggi si eleva la vetta brulla e rocciosa della Pania Secca, si trovavano ampi prati e folte
brughiere. Era un luogo ricco di pascoli che si estendevano a perdita d’occhio e che appartenevano ad un pastore molto ricco. Un giorno il Signore volle visitare quell’uomo per mettere alla prova la sua generosità. Era un caldo giorno d’estate quando Gesù bussò alla porta dell’umile capanna per chiedere un po’ d’acqua. Si sa , anche a quei tempi l’acqua scarseggiava; non c’erano molte sorgenti in giro e l’acqua veniva trasportata dai pastori alle loro capanne con molta fatica. Il ricco pastore guardò male lo straniero che stava alla porta stremato dalla fatica e gli disse di allontanarsi subito. Poi aggiunse con voce disprezzante: 
"Preferirei rovesciare tutta l’acqua della cisterna sul prato, piuttosto che dare da bere ad un vagabondo come te". 

E subito dette ordine ai suoi servi di versare il prezioso contenuto della cisterna di legno sull’erba. Gesù lo guardò e gli disse: 
"Il tuo gesto richiama in questo luogo la collera di Dio"

E se ne andò come la nebbia che si scioglie nella valle.Il pastore rimase molto stupito dalle parole dello straniero e guardò il cielo dove nuvole minacciose andavano addensandosi intorno alla montagna. Cominciò subito a piovere molto forte e ogni goccia che toccava i prati si trasformava in una pietra; in poco tempo sui vasti pascoli si alzò una montagna fatta di grosse pietre, dove ancora oggi non spunta nemmeno un filo d’erba e l’acqua è difficile da trovare. Era nata la Pania Secca."


Se si vuole vedere da un altro punto di vista la storia è anche attuale e moderna visto che ci insegna l'uguaglianza,la fratellanza e a non discriminare il prossimo...


mercoledì 2 luglio 2014

Come si viveva nella Garfagnana del 1952.Tratto da un tema di una bambina di IV elementare di quel tempo...

Sul periodico "La Garfagnana" del 16 giugno 1952 veniva
Il più vecchio periodico d'informazione
garfagnino, dal 1891.Editore Agostino Rosa
pubblicato il tema vincente di un concorso bandito dal giornale per gli alunni delle quarte e quinte delle scuole elementari del territorio.Il primo premio era costituito dalla somma di lire 2500 e la pubblicazione del tema.I maestri degli alunni premiati si dovevano invece consolare con l'abbonamento per un anno al giornale.Ebbene in quell'anno la scuola "mista di Molazzana Brucciano" si distinse particolarmente perchè un alunno di quinta ebbe una citazione d'onore,mentre una piccola alunna di quarta si aggiudicò il primo premio in assoluto.

Bellissimo questo tema testimone di una Garfagnana che non c'è più,di uno spaccato di vita quotidiana che solo un bambino con le semplici parole può renderlo reale.Documento prezioso di un'epoca.Interessante inoltre vedere come il modo di scrivere si sia evoluto nel tempo.Riporto allora fedelmente ed integralmente il componimento della piccola Aurelia (così si chiama l'autrice)

L'argomento era: La Garfagnana
"Sono una bambina di Garfagnana e mi piace tanto la mia terra.Ai piedi delle nostre colline scorre il Serchio,lontani si vedono gli Appennini e le Alpi Apuane.La Garfagnana è montuosa,ci sono pochi campi ma tante selve.I contadini lavorano molto perchè non possono usare le macchine;fanno tutto a mano e portano ogni cosa sulle spalle.Il mio babbo è un contadino e deve lavorare tanto;a forza di portar carichi è diventato quasi curvo.Noi bambini aiutiamo i nostri genitori a
lavorare:portiamo le bestie al pascolo e d'ottobre andiamo a raccogliere le castagne dalla mattina alla sera.La gente di Garfagnana è povera,ma vuol bene alla sua terra perchè è bella.Io credo che non ci sia una terra bella come la Garfagnana,con tanti boschi e tanti castagni.Alcuni paesi poi sembrano fatti e messi lì sulle montagne come per miracolo.Molti sono scomodi,perchè lontano dalla ferrovia e dalle strade.Nei nostri pa
alunni negli anni '50
esetti non ci sono divertimenti e perciò ci accontentiamo di riunirci in qualche casa a bere un po' di vino agro e a mangiare le bruciate.Nelle sere d'inverno a veglia facciamo baldoria e ci divertiamo un mondo.D'estate vengono i villeggianti a godere l'aria pura dei nostri monti.Io non lascerei il mio paesino neanche per tutto l'oro del mondo"