mercoledì 14 agosto 2019

Gallicano 1929: una singolare storia di una squadra ciclistica...nata non per correre, ma per soccorrere

Tempi epici quelli di Bartali e Coppi, ciclismo di un'altra epoca,
La squadra ciclistica della Misericrdia
gallicanese davanti alla sede al gran completo
una sfida infinita fra le strade d'Europa. Al tempo la rivalità tra i due campioni era vista come una metafora per la suddivisione politica e sociale del paese, diviso tra movimenti di ispirazione laica, impersonati da Coppi, e d'influenza cattolica, che Bartali rappresentava con la sua devozione e i suoi riti della tradizione popolare. Quegli anni fra il 1940 e il 1950 furono il momento di maggior popolarità del ciclismo italiano, anche se a onor del vero già nei decenni passati l'Italia annoverava nei suoi ranghi ciclisti di tutto rispetto: Girardengo, Binda, Guerra. Era il tempo dell'Italia in bicicletta e qualcuno in Garfagnana seppe andare oltre, oltre all'evento sportivo, oltre alla rivalità, anzi in tal senso fu fatta un operazione che aveva pochi esempi nel Paese, dove la bicicletta rappresentava non divisione (seppur sportiva) ma unione, solidarietà e soccorso.

Tutto nacque dalla fulgida mente di un gallicanese, il geometra
Cavalier Luigi Paoli Puccetti detto
"il signorino" creatore della
squadra ciclistica
Luigi Paoli Puccetti, presidente della Misericordia di Gallicano, che in data 8 ottobre 1929  istituì alle dirette dipendenze della Misericordia locale una squadra ciclistica... Una squadra ciclistica direte voi!? Una squadra ciclistica sportiva nata dalle mirabili gesta del famoso Binda? No! Questa squadra non aveva intenti sportivi ma bensì umanitari. Negli anni '20 la bicicletta rappresentava un mezzo veloce nelle impervie stradine dei paesi garfagnini, ancor peggio le dissestate strade non permettevano l'accesso ad eventuali mezzi di soccorso più grandi, ed ecco che il Cavalier Paoli Puccetti pensò di creare una squadra ciclistica ad hoc, nata allo scopo di accorrere prima di tutti nei luoghi del disastro o di infortunio per segnalare e nel caso effettuare i primi soccorsi d'urgenza. La squadra naturalmente aveva bisogno di avere alle sue dipendenze aitanti giovanotti, forti, dalla pedalata veloce, infatti il regolamento prevedeva che la formazione fosse composta da 12 uomini di età compresa fra sedici e i trent'anni. Fra le altre cose si ebbe l'idea di rendere la squadra riconoscibile a tutti e quindi bisognava dotarla di una divisa, che era composta da una maglia bianca con l'iscrizione in color nero "Misericordia di Gallicano", calzettoni neri e berretto alla Raffaella (n.d.r: il berretto prendeva il nome dal pittore Raffaello Sanzio: era un largo basco
Raffaello Sanzio
con il classico basco oggi
detto "alla raffaella"
come quello indossato dal pittore nei suoi ritratti), non mancava nemmeno il vessillo, che non era altro che un gagliardetto viola con lo stemma e con anche qui scritto "Squadra ciclistica Misericordia di Gallicano". Ovviamente c'era anche una scala gerarchica ben definita, composta da un capo squadra, un vice capo squadra, un porta gagliardetto, che veniva scelto fra coloro che l'anno precedente avevano accumulato un punteggio maggiore (n.d.r.: esisteva una tabella in cui venivano assegnati dei punteggi in base ai soccorsi fatti e alle presenze),inoltre c'erano due porta cassette, adibiti proprio al trasporto delle cassette di pronto soccorso. Il servizio era presente 24 ore su 24, tutti pronti a salire in sella in un raggio d'azione di mille metri dalla piazza centrale di Gallicano (Piazza Vittorio Emanuele II). Furono molti gli episodi d'intervento che videro questi stoici ragazzotti sempre in prima linea, molti sono i documenti d'intervento che attestano le loro operazioni, salvarono molte vite con il loro pronto soccorso, sopratutto nei luoghi di lavoro, nelle selve, nei campi, dove non arrivava la bicicletta i ciclisti della Misericordia erano pronti a prendersela in spalla e raggiungere l'infortunato. Nei casi più gravi come terremoti e incendi la totale formazione ciclistica con le loro biciclette era tutta mobilitata e tutti indistintamente dovevano compiere il loro dovere. Proprio per questa loro abnegazione, dalla gente di Gallicano erano considerati dei veri e propri angeli, degli eroi su due ruote, la loro presenza
La squadra ciclistica della Misericordia
in mezzo alla gente
in Piazza Vittorio Emanuele a Gallicano
era il fiore all'occhiello delle Misericordia e i ciclisti passavano in parata con le loro biciclette in tutti i raduni regionali delle Misericordie. Le biciclette non erano proprietà della Misericordia ma erano personali, dei ciclisti stessi, che le dovevano mantenere sempre efficienti e ben oliate pronte all'uso, la divisa come già ho detto era di proprietà dell'Associazione e proprio la divisa e lo sviluppo industriale che avanzava sancì la fine della gloriosa squadra ciclistica. Dopo 12 anni di servizio impeccabile il 23 novembre 1941 il plotone fu disciolto. Il consiglio direttivo approvò (dopo una relazione del suo presidente) di adoperare la lana delle maglie per fare indumenti da inviare sul fronte russo ai soldati italiani, ma non solo, il progresso avanzava e le prime auto ambulanze  soppiantarono per sempre i valorosi uomini su due ruote.

La locandina della bellissima mostra

Post scriptum: Per chi fosse interessato ad approfondire ancor di più la storia della squadra ciclistica della Misericordia gallicanese, consiglio a tutti di visitare la bellissima mostra allestita nella locale sede dell'attuale Misericordia di Gallicano (situata in Via Serchio). Mostra di foto e cimeli, nata per i 150 anni dell'associazione, organizzata dall'Associazione culturale L'Aringo (di cui faccio orgogliosamente parte).

giovedì 1 agosto 2019

Leggende garfagnine e personaggi storici, un mix tra mito e realtà

Le leggende garfagnine, (ma in genere un po' tutte) nella maggior
parte dei casi sono legate a personaggi di fantasia o a esseri sovrannaturali, oramai questi esseri (come già abbiamo avuto modo di raccontare) come il buffardello,gli streghi, il biscio bimbin e molti altri ancora sono entrati nel nostro immaginario popolare, per ognuno di essi viene raccontata la storia, l'origine e i miti che si sono sviluppati dietro questi personaggi, queste entità hanno influenzato la nostra fantasia facendoci viaggiare in un mondo senza tempo il cui fascino non si è mai spento. 
Gli esperti di antropologia hanno poi sempre sostenuto una correlazione fra leggenda e verità, per spiegare meglio, essi sostengono che in fondo ad ogni leggenda una base di verità esiste sempre, naturalmente il mitico buffardello non è reale, ma con ogni probabilità i danni, le carestie e gli impicci che si credeva che fossero causati da questa creatura, quelli sono veri. Il discorso sarebbe lungo e si vuole anche un po' complesso da affrontare, non basterebbe sicuramente un semplice articolo per essere esaurienti, ma però ad avvalorare ancor di più questa tesi sono le leggende che riguardano i personaggi realmente esistiti, in questo caso personaggi storici che nei secoli passati hanno vissuto o sono passati in Garfagnana. Facciamo allora un viaggio fra questi personaggi che il destino ha voluto ammantare la loro vita di un aurea leggendaria tutta garfagnina.

Annibale

Annibale, come tutti ben sappiamo, fu uno dei più abili condottieri
che la storia abbia mai avuto, riconosciuto come il più grande generale dell'antichità, famoso per le sue vittorie durante la seconda guerra punica, ma sopratutto ancor più famoso quando nel 218 a.C valicò le Alpi con ventiseimila cartaginesi e trentasette elefanti per conquistare Roma. Dopo aver valicato le Alpi, leggenda racconta che arrivò il momento di attraversare gli Appennini con questi mastodontici animali. Ma quale fu il passaggio? In quale punto degli Appennini riuscì a valicare le montagne per poi dirigersi verso Roma? Passò attraverso la Valle del Taro? Oppure scese a Lucca dal passo di Foce a Giovo? Sul nostro Appenino sono molte le località che narrano del passaggio di Annibale, tradizione vuole che ai piedi del versante nord occidentale del Monte Giovo nel tratto di sentiero che conduce alla Boccaia (Castiglione Garfagnana) si trova, in una zona sassosa formata da pietre di origine morenica, il punto in cui i cartaginesi fecero sosta con gli elefanti.

Matilde di Canossa

O meglio conosciuta come la Grancontessa o più correttamente Matilde
Matilde di Canossa
di Toscana, fu contessa, duchessa, marchesa, vicaria imperiale, nonchè vice regina d'Italia. Potente feudataria e ardente sostenitrice del papato, personaggio di primo piano assoluto specialmente in un'epoca (XI secolo) in cui le donne erano considerate di rango inferiore. Si racconta che da donna tanto potente quale fosse, ebbe l'ardire di chiedere il permesso al Papa di poter celebrare messa. Il Santo Padre non voleva naturalmente deluderla e non sapendo come fare ad uscire dall'imbarazzante situazione decise di prendere la cosa un po' per le lunghe e un giorno le disse:- Se farai costruire cento ospizi, allora potrai celebrare messa-. La contessa cominciò subito a darsi da fare, ordinò ai suoi vassalli di costruire ospizi per tutto l'Appennino. Ecco così nascere sia nel versante garfagnino e  sia in quello emiliano questi "hospitali", nati proprio per dare ospitalità (vedi la località di Ospitaletto) ai poveri viandanti. Purtroppo la contessa non potè coronare il suo sogno di celebrare messa, poichè morì dopo aver costruito il novantanovesimo ospizio.

Miglior sorte toccò ad un suo soldato. Si dice che questo soldato cantava benissimo ed allietasse molte delle serate della contessa. Un bel giorno la contessa gli chiese cosa desiderasse per ricompensare i suoi servigi di soldato e di cantante. Il soldato chiese allora delle terre in Garfagnana, la contessa era molto riluttante di fronte a questa richiesta, decise comunque di proporgli un patto e così gli disse:- Se riuscirai a raggiungere una vetta delle Apuane e da li a far sentire la tua voce alla gente e fin dove il tuo canto sarà udito, ti concederò le mie terre- Di buon mattino il soldato salì sulla montagna e cominciò a cantare, la sua voce rimbalzò da valle in valle, la contessa fu così costretta a cedere al soldato tutte le terre fin dove era stato udito il suo canto.

Ludovico Ariosto

Le leggende sull'Ariosto sono molteplici. L'Ariosto fu governatore
estense in Garfagnana per tre anni (1522-1525), la poesia e le odi nella nostra valle se le era dimenticate, il suo compito era combattere le orde di briganti che infestavano le selve.
Infatti un giorno mentre ispezionava con i suoi soldati i boschi delle Apuane settentrionali a caccia di questi ribaldi, i ribaldi stessi lo sorpresero e lo catturarono, lo condussero all'ingresso di una grotta e li lo legarono ad un albero e mentre proprio un brigante lo legava a questo albero, uno dei banditi cominciò a recitare versi del poema dell'Ariosto, storpiandoli a più non posso; il poeta all'udire tale obbrobrio intervenne subito, recitandoli con passione e sentimento, dimostrando così di essere l'autore che aveva composto i magnifici versi. Con stupore ed ammirazione i briganti liberarono il prigioniero e lo invitarono a declamare i versi de "L'Orlando Furioso", tale e tanto fu lo spettacolo che i banditi rilasciarono l'Ariosto con la promessa di non importunarlo mai più.

C'era un tale conosciuto con il soprannome di "Pretaccio". Era un uomo che non badava troppo per il sottile, era un losco faccendiere che commerciava a cavallo dell'Appennino. Aveva ottenuto in promessa sposa una giovane castelnuovese di buona famiglia. A pochi giorni dalla nozze, la ragazza si pentì e fuggì nel convento delle suore a Barga. Lo smacco per il "Pretaccio" fu grande, così si mosse verso Barga con cinquanta uomini per riprendersi la donzella. Detto fatto invase così le proprietà del monastero, dichiarando che non si sarebbe mosso di li finchè la promessa sposa non sarebbe tornata fra le sue braccia. La questione giunse all orecchio di Ludovico Ariosto, attraverso i suoi buoni uffici convinse il "Pretaccio" a desistere e a tornare a Castelnuovo.

I Conti di Gragna e i nobili di Dalli 

I conti di Gragna erano una potente famiglia feudale del XII secolo
da sempre in lotta con i feudi vicini, il suo castello era proprio dove oggi c'è la località di Gragna, vicino Ponteccio (Sillano). Nonostante le liti e le guerre continue con le consorterie vicine i nemici per eccellenza dei conti di Gragna erano i nobili di Dalli. Tra i conti di Gragna e i nobili di Dalli era una continua guerra, fra le più sanguinarie che la Garfagnana ricordi, si racconta di catapulte che lanciavano pietre da Gragna verso Dalli e si racconta di una battaglia epica; si narra che tanto fu il sangue versato che i sassi si tinsero di rosso, l'erba seccò e per anni e anni non crebbe più rigogliosa. Durante queste guerre naturalmente una delle prime cose da fare era proteggere il tesoro della casata e proprio sotto il castello il conte di Gragna aveva fatto costruire un cunicolo, dove si racconta che ancora oggi è sepolto il tesoro, protetto però da un mostruoso serpente.

Il bandito Cesare   

Il bandito Cesare era uno fra i tanti manigoldi che infestava la
Garfagnana in epoca rinascimentale. Questo malfattore non è sicuramente fra i più famosi che la Garfagnana ricordi, ma su di lui la leggenda ha posato i suoi occhi. Anno di grazia 1541, il bandito Cesare era ormai accerchiato dalle guardie, le vie di fuga erano rimaste ben poche, non rimase altro che rifugiarsi nella casa del rettore della chiesa di Vergemoli, insieme ad altri suoi sei compagni. Qui rimase sotto assedio per alcuni giorni, fino al momento in cui le guardie decisero di passare ad un deciso contrattacco. La casa era ormai circondata dalle guardie, le urla dei soldati invitavano i banditi ad uscire, se non fossero usciti le guardie avrebbero appiccato il fuoco alla casa. I briganti non si fecero spaventare e così si affacciarono alle finestre, cominciò un violento scontro a fuoco. La situazione era diventata tragica, al comandante delle guardie non rimase che una soluzione, trattare con i briganti. Se il brigante Cesare si fosse fatto arrestare i suoi compagni sarebbero stati liberi. Così i compagni tradirono Cesare che fu consegnato alle guardie, ma anch'essi a loro volta furono traditi dalle guardie che ben presto le legarono come salami e le condussero nelle prigioni di Barga. Non soddisfatte le guardie misero a fuoco anche la casa del rettore. Ci sono delle sere che quando il vento soffia forte si odono ancora le grida disperate, le parolacce e le maledizioni dei poveri diavoli che furono portati in prigione ed ancora si passa malvolentieri dov'era quella casa, si dice che mani invisibili bussano ancora alle porte in cerca di briganti.

"Cos’è la storia, dopo tutto? La storia sono fatti che finiscono col diventare leggenda; le leggende sono bugie che finiscono col diventare storia".
(Jean Cocteau)