domenica 30 marzo 2014

Il Monte Forato: la sua origine,la sua storia,la sua leggenda

Tante cose nella nostra Garfagnana sono uniche e meravigliose e proprio perchè sempre sotto i nostri occhi poco le apprezziamo...Ad esempio,il monte Forato forse è unico nel suo genere mai però ci siamo domandati la sua origine e la sua storia.Bene,allora facciamo un po' di ordine.In passato era chiamato anche Penna o Pania Forata si trova (è bene dirlo) nonostante che sia ritenuto (giustamente) anche patrimonio garfagnino interamente nel comune di Stazzema (Versilia). La geologia freddamente ci dice che:l'arco è naturale e cominciò a formarsi circa 220 milioni di anni fa e ci dice che la causa di ciò è dovuta dall'erosione di acqua e vento sulla roccia calcarea.Il monte ha una campata di 32 metri e lo spessore della roccia che forma l'arco è circa 8 metri mentre l'altezza è circa 12 metri.Da sempre, ha attirato scienziati, escursionisti e curiosi.Inoltre ha stimolato la fantasia popolare nella creazione di storie e di leggende sull'origine del foro stesso.Difatti si dice un giorno San.Pellegrino venne tentato dal diavolo a Bocca di Fornello(antico valico del sentiero tra Garfagnana e Frignano) mentre era intento a costruire una grande croce di faggio che voleva sistemare bene in vista sulla vetta dell’Alpe. Dapprima si manifestò in un drago spaventoso con viscide squame e narici infuocate,poi lo stesso drago si trasformò in un’affascinante fanciulla che tentò di sedurre il santo,ma San Pellegrino rimase tranquillo per niente turbato dalla presenza di quelle strane creature di cui conosceva bene la natura e l’intento. Il diavolo decise allora di presentarsi di persona sotto il suo terribile aspetto e quando si trovò di fronte a San Pellegrino gli rifilò un bel ceffone,che lo fece girare tre volte su se stesso e cadere poi a terra tramortito. L’eremita,ormai stanco delle angherie del diavolo,si alzò e ricambiò il ceffone con un altro più energico,che fece attraversare al diavolo tutta la valle del Serchio,mandandolo a sbattere contro le Panie trapassandole da parte a parte.L’impatto dette così origine a quella bizzarra apertura nella montagna oggi conosciuta come il monte Forato.Ed infine ultima curiosità un quadro di Andrea Markò (pittore paesaggista di origine austriache)intitolato "Il monte forato nelle Alpi Apuane" del 1871 e conservato nel Museo di Palazzo Pitti a Firenze.Gli onori quindi non finiscono mai!

Quadro di Markò 1871 conservato in Palazzo Pitti a Firenze

venerdì 28 marzo 2014

"Il Chioccoron" il poeta che osò farsi beffa del re...

Luigi Prosperi nacque a Careggine nel 1832 era meglio conosciuto come “il Chioccoron”.Era di famiglia modesta e dopo aver frequentato la scuola si metteva (come molti altri suo coetanei dell'epoca) a lavorare la terra con i genitori. Ma già dai primissimi giorni di scuola il maestro vide in lui l'abilità nel comporre versi e la passione per la lettura addirittura diventò quasi maniacale,tanto che arrivava perfino a raccogliere pezzi di giornale trovati per strada.Ma purtroppo la grama esistenza lo portò a non proseguire gli studi,però la sua innata dote era rimasta e non mancava occasione che gli amici lo esortassero a “poetare” .Egli era talmente abile che riusciva a declamare a braccio, estemporaneamente anche versi piccanti ed abbastanza irriguardosi.Naturalmente non potevano sfuggire ai suoi versi le autorità politiche dell'epoca.Per questo rischiò più di una volta di rincorrere in qualche severa reprimenda come quando il sindaco e alcuni consiglieri erano a giocare a carte all'osteria nell'orario di lavoro declamò all'istante sonetti “lesivi alla loro immagine e al loro decoro” tant'è che fu spiccato un mandato di cattura,ma i carabinieri non avevano fatto i conti con la scaltrezza del Chioccoron che era fuggito nel bosco e raggiunta la cima di un colle cantò una quartina che ancora oggi si serba memoria 
“Son venuti gli angioletti
per portarmi alle prigioni
non pensavo i minchioni
ch'io passato avrei colletti”
Vignetta satirica dell'epoca
Fu poi perdonato.Ma il più bello e clamoroso doveva ancora venire...Altro che sindaco!Arrivò a toccare i quattro artefici dell'unità d'Italia:Vittorio Emanuele II,Cavour, Garibaldi e Mazzini.Stavolta non ci fu scampo :“Composizione gravemente denigratoria per l'onore della Patria stessa”e questa volta fu arrestato.La composizione del Chioccoron giunse perfino a Roma e addirittura fu pubblicata e riuscì a vendere molte copie e arrivò perfino nelle mani stesse di Sua Altezza il Re d'Italia Umberto I che volle convocare al Quirinale il Chioccoron. Si racconta che tra i rimbrotti del sovrano e le bugie del Prosperi ne scaturì un incontro tragicomico.Tra le menzogne che il Chioccoron che volle far bere al re ci fu quella di fargli credere di essere analfabeta,il re allora gli mostrò il componimento e li il Prosperi si sentì perduto.Ma l re dal carattere mite e bonario lo perdonò concedendogli la grazia e consegnandoli anche una banconota da 50 lire “Comprateci il pane per la famiglia” affermò Sua Maestà.Venditore ambulante il Choccoron prosegui la sua vita nella campagna garfagnina dove non mancava alle sue clienti di dedicare qualche sonetto.Prosperi mori nel 1907 a Fabbriche di Careggine (il paese adesso sommerso dal lago di Vagli) a seguito di un infezione contratta da una puntura di una spina. Il comune di Careggine in suo onore gli ha intitolato la biblioteca comunale:“Luigi Prosperi,il Chioccoron”

mercoledì 26 marzo 2014

L'eremo di Calomini,la sua storia

L'abbiamo sempre visto lassù arroccato fra irte rocce è uno dei simboli turistici della nostra valle ma pochi conoscono la sua storia.La sua origine risale intorno all'anno 1000, quando degli eremiti decisero di venire in questo luogo solitario,aspro ed impervio tanto che  lo ritennero perfetto per le loro preghiere.Iniziarono scavando delle grotte a mano,vivevano la loro vita di preghiera in queste grotte,la loro giornata era ritmata dalla lode a Dio,alla cura del piccolo orto tutto nel ritiro e nella solitudine.Con gli anni la fama di questo luogo e dell'immagine della sua Madonna crebbe dal momento in cui gli fu attribuito prima il miracolo di aver salvato una pastorella mentre cadeva dalla sovrastante parete rocciosa,poi secondo una tradizione, nel luogo dove tutt'oggi scaturisce dalle rocce uno zampillo d'acqua purissima,l'immagine della madonna (che si venera nel santuario) si rivelò ad un'altra pastorella di Calomini.Il nome della ragazza non si conosce, ne si hanno notizie se la Madonna parlò alla ragazza.Subito dopo la fama della Madonna si sparse nei vicini villaggi e mirabilmente crebbe tra il popolo il desiderio di farle onore.Con devoto e numeroso accompagnamento fu portata quindi a Gallicano, in luogo ritenuto più onorevole.Ma, sebbene custodita con attenzione, non passarono ventiquattro ore che nuovamente fu ritrovata dove si era fatta vedere alla pastorella di Calomini. Conosciuto il volere di Maria con questo prodigio, nessuno ardì più rimuoverla dalla sua grotta.Si pensò quindi di costruire sul luogo una degna dimora e fu raccolto tanto denaro che tra il 1631 e il 1690 si edificò l'attuale Santuario,era tanta la popolarità della Madonna dell'eremita che vescovi e cardinali si portarono fino a lei per renderle onore .Come detto dunque la chiesa nacque e gli fu dato il nome di S. Maria ad Martyres.Gli eremiti ebbero cura del santuario fino al 1868, anno in cui i parroci dei paesi confinanti decisero di prendersi cura loro del Santuario mettendo praticamente al bando gli eremiti.Gli eremiti lasciarono dato che anche la loro principale prerogativa di pregare in solitudine era finita dal momento in cui la chiesa veniva aperta anche al culto popolare.La Diocesi di Massa quindi affidò la cura della chiesa ai sacerdoti.Gli eremiti abbandonarono mestamente il luogo dopo esservi stati in continuità per oltre cinque secoli.



lunedì 24 marzo 2014

Ludovico Ariosto: "Garfagnini gente incolta..."

Ludovico Ariosto
Checché se ne dica, nonostante che la nostra Garfagnana annoveri fra i suoi illustri antichi residenti Ludovico Ariosto e benchè la nostra valle gli renda gli onori del caso dell'illustrissimo poeta possiamo dire tranquillamente che lui onore ai nostri luoghi non gliela mai dato...Nei suoi quattro anni garfagnini (1522-1525) di commissario estense si contano solo sei uscite fuori dalla Rocca di Castelnuovo e tutte per questioni di ufficio,lasciando traccia poi del suo malcontento in alcuni componimenti dette Satire difatti definisce i garfagnini: "gente inculta, simile al luogo ove ella è nata e avezza" e nella IV Satira dice sempre del suo soggiorno in terra garfagnina:”Ognuno dica quel che vuole, e pensi quel che gli pare: insomma ti confesso che qui ho perduto l'allegria, il divertimento e la felicità...” Però nonostante tutto una lancia a suo favore andrebbe spezzata.Pare(anzi è certo) che il duca Alfonso D'Este lo inviò per forza nelle nostre terre(regione al tempo turbolenta, abitata da una popolazione fiera poco abituata al comando ed infestata di banditi in cui l'ordine doveva essere al quanto prima ripristinato) ma causa principale del suo malessere fu il dover abbandonare in terra ferrarese tale Alessandra Benucci amore segreto con la quale si sposerà dopo molti anni... e sapete com'è il duca può comandare...ma al cuor invece no !

sabato 22 marzo 2014

Benvenuta Primavera ! Cartolina del 1910

Diamo il benvenuto alla primavera in questa bella e colorata cartolina floreale del 1910 di Castelnuovo Garfagnana,con Piazza Umberto I e uno scorcio della Rocca Ariostesca....BENVENUTA PRIMAVERA !

giovedì 20 marzo 2014

I frati cannibali di Fornovolasco...fra leggenda e verità

Forse questo è il luogo più misterioso e inquietante di tutta la Garfagnana (anche se per la verità qui siamo nel comune di Stazzema)Risalendo la Turrite di Gallicano attraversando i boschi di Fornovolasco sui sentieri che portano al Monte Forato dopo un po' incontriamo i ruderi di un antico monastero la cosiddetta”Chiesaccia”.Nel 1260, nel Libellus extimi Lucanae Dyocesis,(documento che elenca tutte le chiese, i monasteri e i luoghi di culto con rendite) si trovava già elencato tra le chiese dipendenti dalla Pieve di S. Felicita di Valdicastello, l'hospitale de Volaschio. Quest'ultima struttura, consacrata a S. Maria Maddalena, era situata in Petrosciana lungo una diramazione della Via Francigena, all'epoca passaggio obbligato fra la Media valle del Serchio e l'odierna Versilia.I frati agostiniani erano i suoi custodi e date certe del loro arrivo non esistono (ma si ritiene che possa far risalire al periodo compreso tra l'800 ed il 1000.) La “Chiesaccia”, era adibita sopratutto ad accogliere e rifocillare i viandanti che, per commercio o per pellegrinaggio, si spostavano dalla Garfagnana alla Versilia verso gli imbarchi raggiungendo il valico denominato "Foce di Petrosciana"... da qui in poi si va nella leggenda più nera.La leggenda vuole che questi frati non fossero cosi' pii e misericordiosi come volevano far credere.Infatti molti dei viandanti che si fermavano a questo monastero per rifocillarsi non riprendevano più il loro cammino.Il motivo? Durante la notte i frati si davano al cannibalismo mangiando ancora vivi i poveri viandanti.Durante questo "speciale" banchetto notturno facevano risuonare le campane del monastero che erano udibili per tutta la valle. Udendo il suono notturno di queste campane mortali, i fedeli del luogo sapevano che anche quella notte i frati avevano banchettato! Un'altra versione collega il dispregiativo "Chiesaccia" al fatto che i monaci se non uccidere erano soliti nella notte spaventare e depredare i viandanti ed i pellegrini che transitavano lungo la strada di Petrosciana .Che dire, qualcosa di ambiguo sicuramente c'era...le leggende non nascono a caso.
I ruderi della "Chiesaccia" antico e misterioso monastero

martedì 18 marzo 2014

Due uomini e una Patria...

Antonio Mordini
Nicola Fabrizi
«Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861».Con questo parole 153 anni fa nasceva l'italia come nazione e entità geografica unita.A cotanto glorioso e storico giorno erano presenti due nostri conterranei che meritano di essere ricordati perchè artefici fattivi della nostra unità.Questi due personaggi sono Nicola Fabrizi e Antonio Mordini . Il primo era nativo di Sassi  nato nel 1804 generale,patriota e statista " che volle e fece l'Italia " come ricorda una lapide posta sulla casa natia .Vero uomo d'azione.Nominato generale da Garibaldi.Conquistò in breve tempo tutta la parte  orientale siciliana.Fu nominato poi ministro della guerra del governo provvisorio Tanto che oggi può vantare nella passeggiata del Gianicolo a Roma un busto marmoreo a fianco di Garibaldi. Il secondo nacque a Barga nel 1819 da un' illustre famiglia, anche lui fervente patriota partì insieme a Garibaldi con la spedizione dei mille.Nominato colonnello dopo la conquista della Sicilia diventò prodittatore dell'isola che seppe governare con accortezza e lungimiranza.Divenne poi Senatore del Regno,prefetto di Napoli e ministro dei lavori pubblici.Con queste parole Giovanni Pascoli lo onorò nel 1905,in occasione dell'inaugurazione del monumento a lui dedicato a Barga "Per l'Italia libera, indipendente e una , suo sogno fin da gli anni suoi più giovani,Antonio Mordini cospirò, combattè, operò".

lunedì 17 marzo 2014

Castelnuovo 1784:impiccato e squartato...aveva avvelenato la suocera (e non solo...)

Quando in Garfagnana non si scherzava.Il prossimo 23 marzo sarà la bellezza di 230 anni che la “buon anima” di Giovanni Turriani ci lasciò per ardere nelle fiamme dell'inferno,come ebbe a dire il padre cappellano delle carceri castelnuovesi quando il reo Giovanni rifiutò anche di pentirsi di fronte a Dio.Giovanni si macchiò di uno dei delitti più feroci (se non il più feroce in assoluto) che la valle ricordi a memoria d'uomo.In questa sentenza del tribunale di Castelnuovo del 1784 si certifica l'avvenuta esecuzione capitale per impiccagione e squartamento di Giovan Turriani reo di aver avvelenato la suocera,sorella e nipoti.Cito testualmente:A DI 23 MARZO 1784 FU IMPICCATO E SQUARTATO GIOVAN TURRIANI DELLA PIEVE FOSCIANA SULLA IARA DEL FIUME VERSO S. LUCIA , E LA SUA TESTA FU POSTA SOPRA UNA COLONNA FABBRICATA DI NUOVO FUORI DELLA PORTA DI DETTA PIEVE FOSCIANA SULLA STRADA MAESTRA PER ANDARE A CAMPORI, ED IL SUO DELITTO FU D’AVER DATO IL IL VELENO ALLA SUA SUOCERA, E SUA SORELLA E FIGLI DELLA MEDESIMA, PER IL CHE MORI’ DETTA SUA SORELLA E SUOCERA, ED EGLI MORI’ RASSEGNATISSIMO Tempi duri nella Garfagnana estense per le suocere...

La sentenza della condanna a morte di Giovanni Turriani

sabato 15 marzo 2014

Inverno 1854...In Garfagnana si moriva dal freddo

Anche se l'inverno che sta passando è stato climaticamente clemente non fu così per quello del 1854, ricordato negli annali come fra i  più freddi e tragici che la nostra valle ricordi tanto da causare alcune decine di morti..Era appunto l'inverno del 1854 fu veramente duro e culminò con una grande nevicata nel febbraio del solito anno che come riportano le cronache dell'epoca“potea ammantar omo di notevole statura”(poteva coprire un uomo molto alto).Tanto fu rigido l'inverno come si è detto che Herr Francesco V di Modena il teutonico sovrano regnante del ducato di Modena e Reggio e quindi anche di Garfagnana emanò un editto del 17 febbraio 1854(editto un po' tardivo,quasi l'inverno era finito...)e volle dare una mano ai “durftig” della Garfagnana(l'epiteto tedesco che significava pezzenti con cui venivano definiti dalla truppe estensi i garfagnini)dove si diceva che tutti i comuni di seconda e di terza classe ( i comuni considerati più poveri quindi tutti quella della Garfagnana )venissero aperti ad uso “scaldatoio”(cito testualmente) per accogliervi alla giornata i poveri privi di mezzi che soffrono nelle loro abitazioni i rigori del freddo...

In foto “il magnanimo” Francesco V regnante di Garfagnana

giovedì 13 marzo 2014

La famiglia ebrea Kienwald di Castelnuovo.Una storia di guerra finita bene.( E il raro filmato degli americani alle terme)


Famiglie ebree deportate
Non sempre tutte le storie di guerra fini
scono male.Certamente guerra non vuol dire felicità e spensieratezza,ma dalla disperazione e dal dolore in certi casi si può anche
miracolosamente uscire.Questa è la storia della famiglia polacca Kienwald che abitava a Castelnuovo Garfagnana.Come!? Mi chiederete voi, Kienwald non è un cognome tipicamente nostrale...e infatti il problema era proprio questo.Allora facciamo chiarezza. Castelnuovo nel periodo che va dal 1941 al 1943 era diventato paese per famiglie ebree internate.Qui queste famigle facevano la loro vita normale se così si può dire, ormai si erano ambientate in tutto e per tutto.Molti avevano un lavoro, i bambini giocavano e scherzavano con gli altri piccoli del luogo, tutto in barba alle mostruose leggi razziali del 1938.Ma i tempi erano oscuri e le prospettive preoccupanti e così in quel terribile clima arrivò anche il 1943 e per tali famiglie venne l'ordine dal comando tedesco che tutte fossero trasportate a Bagni di Lucca nel campo di concentramento locale e da li sarebbe seguita la deportazione nei campi di sterminio. A quel punto alcune famiglie tentarono la fuga e fra queste la famiglia Kienwald (la storia di questa famiglia è raccontata nel bel libro "L'orizzonte chiuso-L'internamento ebraico a Castelnuovo Garfagnana"di Silvia Angelini,Oscar Guidi e Paola Lemmi).La famiglia Kienwald era composta da Oscar Kienwald,dalla moglie Rachele Nadel e dai figli Erwin e Leonard.
L'Alpe di Sant'Antonio in quel periodo
(foto collezione Fioravanti)

 La storia, narrata dallo stesso Leonard (uno dei figli) comincia il 5 dicembre 1943. Quella mattina tutti gli ebrei di Castelnuovo avrebbero dovuto trovarsi presso la caserma dei carabinieri per il previsto trasferimento a Bagni di Lucca. Ma la famiglia Kienwald aveva deciso di sottrarsi a quel destino e a piedi si era diretta verso la valle della Turrite Secca.Giunti al Pizzorno attraversarono il torrente e penetrarono nel bosco risalendo verso l’Alpe di Sant’Antonio. Durante la salita si fece buio e i quattro trovarono rifugio in una capanna. Al mattino successivo giunsero all’Alpe di Sant’Antonio dove, presentandosi come sfollati in qualche modo riuscirono a sistemarsi. Dice Leonard che lui e suo fratello presero a lavorare per dei contadini del posto dietro compenso di generi alimentari sufficienti per sopravvivere. I rapporti con la popolazione erano sostanzialmente buoni (molti degli abitanti del luogo ancora li ricordano) e le condizioni di vita accettabili, per cui i  Kienwald pensavano di poter attendere qui al sicuro la fine della guerra. Ma le cose, purtroppo per loro andarono diversamente. Nella primavera del 1944 i partigiani del Gruppo Valanga si erano insediati proprio in quella zona e verso la fine di agosto avevano ucciso un sottufficiale tedesco che con una pattuglia, era salito fin lassù. La reazione tedesca fu immediata e terribile: il 29 agosto attaccarono i partigiani che si erano attestati sul monte Rovaio(per il caso leggi:http://paolomarzi.blogspot.it/agosto-1944), lo risalirono uccidendone una ventina e mettendo in fuga i sopravvissuti, dopodiche incendiarono tutte le case dei luoghi che avevano ospitato i partigiani. Anche il casolare che ospitava i Kienwald fu incendiato. La situazione era adesso più difficile e i Kienwald, dopo essere sopravvissuti in qualche modo fino a quel momento presero in seria considerazione l’idea di mettersi in salvo oltrepassando il fronte,quasi una missione suicida. Pare che per tale impresa presero contatto col maggiore Oldham comandante della divisione partigiana Lunense.Fatto sta che un mattino(doveva essere il 23 o il 24 di novembre 1944)stufi di aspettare gli eventi i quattro membri della famiglia Kienwald salirono alle Rocchette dove
Vergemoli oggi
trovarono dei partigiani che li riconobbero come ebrei (uno dei partigiani era di Castelnuovo e li aveva conosciuti in passato) e li fu la fortuna con la effe maiuscola,poichè i giorni precedenti alcuni operazioni militari condotte dai partigiani avevano fatto letteralmente breccia nel fronte.Mai breccia fu così provvidenziale, la zona in quel momento era completamente sguarnita di soldati.Quel breve intervallo di tempo fu fatale (in senso positivo) per i Kienwald che poterono con l’aiuto dei partigiani attraversare le linee e scendere fino al paese a Vergemoli già occupato dagli americani...Tutta la famiglia al completo si salvò.Gli americani rifocillarono e fornirono un riparo caldo a tutta la famiglia. Quando la guerra finì la famiglia al gran completo fece ritorno in Polonia dove continuò la sua normale vita consapevole della grande fortuna avuta e il pensiero, come ebbe a dire Leo,era comunque sempre rivolto alle famiglie dilaniate nei campi di morte. A Leo Kienwald lo stato italiano nel 1966 conferì la croce al merito di guerra.

Voglio inoltre aggiungere questo raro video dell'istituto Luce:Bagni di Lucca 5 febbraio 1945.In una Bagni di Lucca liberata ormai da qualche mese i soldati americani della 92a divisione Buffalo chiedono la strada ad una bambina del paese per raggiungere le terme per andare a farsi un bagno ristoratore.La bambina accompagna i soldati e viene ricompensata forse con della cioccolata...Chissà, sarebbe bello pensare che questa bimba un giorno avrà raccontato ai suoi nipoti di quando accompagnò gli americani a farsi un bagno alle terme.

martedì 11 marzo 2014

Quando volevano far esplodere il Ponte del Diavolo...

 soldati alleati salgono sul ponte dalla strada Lodovica
Questa è una delle più belle storie di guerra (II guerra mondiale) della nostra valle che forse in pochi sanno ma che vale la pena essere raccontata:Si narra di un ufficiale tedesco in forza al comando germanico nella zona di Borgo a Mozzano.Sembra che questo ufficiale andasse molto orgoglioso di tutti i ponti e ferrovie che aveva ordinato di distruggere e quando vide la maestosità del Ponte del Diavolo pensò che solo uno spirito superiore potesse aver creato tale opera e provò enorme soddisfazione nell'aver la possibilità di distruggerlo.Un giorno mentre stava studiando la collocazione delle mine sul ponte, vide una giovane donna, che era andata a prendere l'acqua ad una vicina fontana.Fu immediatamente colpito dalla sua bellezza, tanto che se ne innamorò.La maggior parte degli abitanti avevano abbandonato le loro case per andarsi a nascondere in luoghi più sicuri, visto che oramai l’esplosione del ponte era imminente. La giovane donna, invece, non abbandonò la sua casa ne tanto meno i suoi anziani genitori ,tra l’altro questa casa si trovava nelle vicinanze del ponte.Le forze alleate stavano arrivando per cui il ponte doveva essere distrutto al più presto.La sera in cui era prevista l’esplosione del ponte, l’ufficiale entrò nella casa della giovane donna e la implorò di abbandonare la casa La giovane donna si rifiutò di dare ascolto all'ufficiale e di abbandonare la casa. L’ufficiale, poiché se ne era innamorato, per salvarla, non fece esplodere il ponte per non mettere a repentaglio la vita della ragazza e decise di restare li con lei e aspettare l’arrivo degli Alleati per poi caderne prigioniero.Questa è la versione romanzata ma da testimonianze locali che personalmente vissero gli avvenimenti si dice certa la presenza dell'ufficiale tedesco che era, in realtà, un capitano. Esisteva anche la ragazza che abitava in una casa tutt'ora esistente che si trova sul lato destro del Ponte. Il capitano tedesco, oltre a nutrire un forte interesse per la ragazza, sembra sia stato amante dell'arte e ammirasse profondamente la bellezza e in particolare l'architettura del Ponte del Diavolo e questo fu il  motivo perchè il capitano rinunciò a farlo esplodere.Non cadde prigioniero delle forze alleate, ma proseguì la ritirata con i suoi uomini, e sembra che morì in combattimento contro i partigiani, in alta Garfagnana.



                                                                

lunedì 10 marzo 2014

Pieve Fosciana: la rivolta del tricolore.La prima bandiera italiana a sventolare in Toscana,era il 1831

Il primo tricolore che sventolò
 in Toscana fu a Pieve Fosciana
Ogni tanto penso a quanta fatica e con quanti morti siamo arrivati ad avere un Italia unita, poi un attimo dopo la mia mente va all'Italia di oggi e penso a quei poveretti di Pieve Fosciana nel 1831...vedessero adesso... e mi è impossibile non ricordare quella lontana domenica del 6 marzo di 184 anni fa. Sono passati molti anni dal quel giorno, da quella che gli storici hanno definito come"la prima rivolta del tricolore" in Toscana.Per gli onori della cronaca la Pieve ha il privilegio (come già tutti ben sappiamo) di essere il primo luogo in Toscana in cui è sventolata la nostra bandiera nazionale. Raccontiamo però come andarono i fatti. Tutto nacque ancor prima di quella notte tra il 5 e il 6 marzo. Pieve Fosciana faceva parte del Ducato di Modena, sotto il duca Francesco IV d'Este, quando i carbonari Ciro Menotti e il suo braccio destro Antonio Angelini di Pieve Fosciana iniziarono a organizzare la rivolta di Modena e del suo regno.Fra i due fu amicizia fin da subito,condivisero l’idea di un’Italia unita e libera e in questo anelito di libertà la macchina della rivoluzione si mise in moto anche alla Pieve. Gli artigiani cominciarono a cucire le coccarde tricolori da mettere al petto, mentre sette ragazzi di buona famiglia si mossero per far partecipare tutto il paese. Questi baldi giovanotti fautori della rivoluzione pievarina si chiamavano: Jacopo Pierotti, Nicola Amicotti (già inquisito per i moti del
Il Terrazzo con lapide
da cui sventolò
1821), Pietro Pierotti, Pietro Mariani, il dottor Porta Catucci e il professor  Giovan Battista Tognarelli Arriviamo così alla fatidica notte del 5 marzo 1831,la notte a cui si fa riferimento.La rivoluzione contro il Duca doveva partire da Modena ed estendersi a tutto il Ducato, per un disguido e per le informazioni che “correvano” con le carrozze o a piedi(internet e gli smartphone ancora non c'erano), a Pieve Fosciana nessuno fu avvertito che questa era stata rimandata di un mese.Tutto però aveva preso il via,alla Pieve sventolò per alcuni giorni il Tricolore. I giovani tolsero dalla casa comunale l’aquila di pietra simbolo di Francesco IV e il Tognarelli issò il tricolore dal terrazzino della casa comunale. Fu un vero tripudio cominciarono le feste,si brindò e si cantò.Furono già elette le nuove magistrature dichiarando di fatto decadute le autorità ducali, fu nominato addirittura un commissario governativo 
provvisorio Felice Spezzani che partecipò ad un lauto banchetto a base di tordi preparato dalle donne del paese .La rivoluzione però durò tre soli giorni e nel martedì pomeriggio, quando rientrò il Duca nei suoi territorio fu imposto a tutte le
Francesco IV duca di
Modena
chiese di suonare le campane per richiamare la popolazione all'ordine, al Sillico questo non fu possibile perchè i tre fratelli Bonaldi avevano tagliato le corde della campane e inchiodato il portone del campanile, per questo furono arrestati e processati.Alle forze armate estensi fu dato immediato ordine di riportare tutto

alla normalità.La sollevazione di Pieve Fosciana in quattro e quattr'otto fu subito sottomessa  e fu pagata anche a caro prezzo. Ciro Menotti di li a poco tempo fu impiccato, al resto dei "pievarini" andò meglio perchè fuggirono "all'estero", cioè a Barga facente parte del Granducato di Toscana e a Gallicano sotto il ducato di Lucca e per venti lunghi anni non rividero le loro case, anche il paese stesso fu punito: per sei anni venne privato dallo stesso Duca della sua sede comunale. Si dovette aspettare così il 1859 quando i plebisciti unirono tutta la Toscana al Piemonte...in tutta questa confusione però una furtiva e benedetta mano riuscì a trafugare quella bandiera italiana che per tre giorni sventolò orgogliosamente in paese. Questa era la benedetta mano di Jacopo Pierotti che conservò gelosamente questa"reliquia" e quando sua figlia sposò l'avvocato Giulio Pesetti, poi sindaco di Castelnuovo,
la bandiera passò alla famiglia del marito che l'ha portata fino ai giorni nostri,
 e come ebbe a dire il carbonaro pievarino Antonio Angelini "Quel 10 marzo era già tutto finito",con questa frase mise fine ai sogni di gloria ma inconsapevolmente aprì una gloriosa pagina per la nostra valle.

sabato 8 marzo 2014

La donna che attraversò tre secoli

Nelly Lemetti
Oggi 8 marzo festa della donna e mi piace iniziare omaggiando proprio le donne.Il primo post del mio blog è dedicato a una donna della nostra terra.Lei era nata alla Barca località nel comune di Gallicano il 19 dicembre del 1896; lei era Nelly Lemetti la donna che attraversò tre secoli.Conquistò il podio delle nonne d'Italia.Visse una parte dell'800,tutto il 900 entrando baldanzosamente nel terzo millennio.Era ai più conosciuta come la bambina del Pascoli.Era la prediletta del poeta e si incontravano ogni giorno all'Osteria del Platano al Ponte di Campia di proprietà del padre Luigi.Lei raccontava "Era qui che il poeta trascorreva il tempo libero.Amava leggermi le sue poesie e mi correggeva anche i compiti...Ricordo inoltre con nostalgia le giornate al colle di Caprona (dove abitava il Pascoli) per portare al professore (così lo chiamava la Nelly) il giornale e i sigari che aveva ordinato dal babbo dove per ricompensa mi venivano dati fragranti biscotti."In una delle ultime sue interviste rilasciate alla "La Nazione" riaffioravano ancora ricordi nitidi del suo ultracentenario cammino "A 16 anni mi innamorai di Giacomo un giovane del posto ci sposammo e partimmo per le lontane Americhe.Fu l'inizio di una bella e piacevole avventura. Prendemmo in gestione un saloon a Chicago era una vita dura ma redditizia. Con la sicurezza economica  e il richiamo dei familiari rientrai in Italia"Forte nel fisico e ricca di fede Nelly continuò la sua vita fra alti e bassi,amava ricamare e amava trascorrere i mesi invernali in Liguria a casa della figlia per ritornare d'estate nella sua amata valle.Nelly lasciò la vita nel 2004 poco prima del compimento dei 108 anni e oggi riposa nel cimitero di Castelvecchio a poche centinaia di metri di quello che fu il suo grande amico Giovanni Pascoli.