mercoledì 31 gennaio 2018

Il Cristoforo Colombo garfagnino. Vincenzo Micheli e il fagiolo fico di Gallicano

Cristoforo Colombo eccelso navigatore o infimo schiavista? Agli
Vincenzo Micheli e il fagiolo fico
(foto tratta in parte dal
 sito www.buffardello.it)
storici l'ardua sentenza. Oggi infatti quello che ci interessa non è quello che fu Colombo come uomo, ma come scopritore. Non fu solo l'involontario scopritore di un nuovo mondo ma anche di una certa quantità di prodotti alimentari mai visti e conosciuti prima nel Vecchio Continente. Il 12 ottobre 1492 segnò una svolta importante per la storia dell'alimentazione europea, fu un "annus memorabilis" in questo senso. Dal nuovo continente giunsero cibi sconosciuti, specialmente fra la frutta e la verdura: patate, peperoni, peperoncini, pomodori, zucche, fagioli, ananas, arachidi, cacao, fichi d'india e uno strano e corpulento pennuto: il tacchino. Naturalmente passarono alcuni anni prima di comprendere l'uso corretto di queste straordinarie scoperte. Gli spagnoli ad esempio importarono i semi del pomodoro che in principio era ritenuto velenoso, tant'è che la pianta e il suo frutto venivano utilizzati solamente per abbellire parchi e
Cristoforo Colombo
giardini nobiliari. Che dire poi della patata? I suoi primi decenni nel nostro continente furono duri, difatti veniva utilizzata solamente per alimentare il bestiame. Da subito invece ebbe successo il mais, divenne subito popolare nelle cucine spagnole e portoghesi per l'uso che se ne faceva della sua farina. Anche i fagioli si diffusero rapidamente e grazie alla loro maggior resa nell'orto presero ben presto il posto delle varietà fino allora conosciute nel Mediterraneo. Ed è a proposito di fagioli che entra in ballo la Garfagnana, l'America e una sorta di Colombo garfagnino. 

Per spiegare questa curiosa ed originale storia bisogna andare avanti nel tempo di 397 anni e narrare quindi le vicende di Vincenzo Micheli, nato a Gallicano nel 1863. Il giovinetto parti per
Gallicano. Vecchia foto.
Piazza Vittorio
Emanuele II
l'America con tanta forza d'animo, determinazione e speranza. Vincenzo era alla ricerca di una vita migliore, voleva sfuggire a una povertà che a Gallicano alla fine dell'800 era presente in quasi tutte le famiglie  Arrivò finalmente nella terra promessa, in America, proprio quella terra che Colombo aprì al mondo e che dopo circa quattrocento anni dalla sua scoperta era ancora una terra in buona parte da esplorare. Proprio per questo motivo in quel periodo il porto di New York era tappezzato di volantini e manifesti che invitavano i nuovi arrivati a "conquistare" l'ovest. Per chi aveva dimestichezza con zappa e vanga, quella doveva essere la sua destinazione e la California la nuova "Mecca". La California da pochi anni (1850) era diventata il 31° stato dell'Unione e il governo in quei luoghi offriva nuove terre da coltivare anche ai migranti. Ognuno lì poteva avere il suo appezzamento da coltivare e da curare e questo faceva proprio al caso di Vincenzo, che da sempre lavorava i campi. Il caldo sole della California e un moderno sistema irriguo stava già rendendo questa nuova regione il massimo produttore agricolo di tutti gli Stati Uniti: agrumi, mele, pere, pesche, prugne, uva e pomodori, ma non solo, barbabietole da zucchero, cotone, riso, orzo e grandi allevamenti avevano reso
La California nel 1890
questa parte di mondo un vero e proprio Eden e anche il giovane gallicanese raggiunse questo paradiso terrestre. 

Però non sempre tutte le ciambelle riescono con il buco e forse la nostalgia dell'Italia, forse gli affari non andarono proprio come credeva, o chissà quale altro motivo, fattostà che nel 1889 Vincenzo tornò a Gallicano, ma non tornò a mani vuote, infatti nelle sue coltivazioni californiane apprezzò molto anche i nuovi ortaggi che  questa terra offriva e fra questi rimase completamente colpito dalla bontà di un fagiolo mai visto prima nella sua terra natia. Nel suo rientro in Italia volle quindi portare con se i suoi semi e così come un nuovo Colombo cercò di recare nella sua amata Garfagnana una nuova qualità di ortaggio che nessuno prima aveva mai apprezzato e conosciuto. Quello che è certo che la cosa sarebbe stata molto diversa da quello che accadde al navigatore genovese, che al suo ritorno fu accolto in terra di Spagna con tutti gli onori dai reali iberici, ringraziato e osannato anche proprio perchè aveva messo gli europei a conoscenza dei nuovi frutti del Nuovo Mondo. Il discorso per il Micheli era ben diverso, dato che vigeva negli Stati Uniti l'assoluto divieto di importare semi verso altri Paesi. Come fare allora? Quale sistema poteva escogitare? L'ingegno
fagiolo fico
garfagnino come si sa è sempre ben sviluppato e anche stavolta  ebbe la meglio su tutta la situazione. Lo stratagemma era ben congegnato  e così cinque semi di questi fagioli furono cuciti nel nastro di raso che contornava il suo cappello a falde. Il piano riuscì a meraviglia e una volta rientrato a Gallicano cominciò con curiosità ed apprensione la nuova coltivazione. Questa volta ogni speranza fu soddisfatta, la pianta cresceva molto vigorosa,forte e rampicante, questo baccello di colore verde accesso e questo fagiolo di misura medio piccola di colorazione bruna e con queste striature color vinaccia colpì l'attenzione di tutti gli altri gallicanesi, che a loro volta cominciarono la coltivazione di questo legume americano. Ma adesso bisognava dargli un nome, un nome che lo differisse da tutti gli altri... Si era notato che quando questo legume veniva lessato emanava nella cucina un gradevolissimo profumo di fico...ecco allora l'idea, il lampo di genio, l'intuizione, per tutti sarà conosciuto come fagiolo fico.

Non crediate che Vincenzo Micheli abbia reso un servizio da poco alla Valle del Serchio, portando clandestinamente questo fagiolo in Garfagnana. Oggi il fagiolo fico proprio per la sua unicità non essendo presente in nessuna altra parte dell'Italia è stato iscritto da alcuni anni nell'albo regionale sulla tutela e conservazione delle varietà locali con la denominazione di "fagiolo fico di Gallicano" e conservato nella Banca Regionale del Germoplasma di Camporgiano. Questa "banca" rende (almeno questa
volta) a questa parola un significato positivo, (dopo le note vicende politiche), e ci fa dire un doveroso grazie ai "banchieri" di questa associazione, che non sono naturalmente banchieri nel vero senso della parola, ma sono dei cosiddetti "coltivatori custodi", che con le loro piantagioni riescono a coltivare tutti quei prodotti locali a rischio di estinzione. Molti di questi "coltivatori custodi" sono pensionati, lavoratori comuni, proprietari di aziende agricole che con il loro lavoro mantengono ancora in vita (oltre al fagiolo fico) molteplici altri prodotti della nostra terra come: il fagiolo giallorino, la patata rossa di Sulcina, il melo Casciano, il "formenton" ottofile, il granturco nano di Verni e tanti altri ancora.
Ah! Dimenticavo...Per gli amanti della buona cucina il fagiolo fico trova "la sua morte" con le mitiche "
"Fogacce Leve" e fagiolo fico
(foto tratta dal sito www.buffardello.it)
fogacce leve" gallicanesi...

e allora un grazie ancora a Vincenzo Micheli...il Cristoforo Colombo di Garfagnana.




Bibliografia:

  • "L'Aringo il giornale di Gallicano" Anno 2 n°5 Marzo 2016 "Il fagiolo fico di Gallicano" di Ivo Poli

mercoledì 24 gennaio 2018

Sfuggire ad Auschwitz. Dal memoriale di Leo Kienwald, ebreo internato a Castelnuovo

Leo Kienwald...un nome che ai più non dirà niente, ma è un nome legato a doppio filo con la Garfagnana e con una delle pagine più crudeli della storia dell'umanità. La famiglia Kienwald composta da papà Oscar, mamma Rachele Nadel e dai figli Erwin e Leonard (detto Leo), proveniva dalla Polonia occupata e faceva parte di quelle famiglie ebree internate coattivamente dalla Germania nazista a Castelnuovo Garfagnana dal 1941 al 1943. 
Chi è un mio assiduo lettore avrà comunque già letto più di un mio articolo riguardante questa famiglia, infatti ogni tanto nella mia mente riecheggiano le parole che a suo tempo mi disse Eli Kienwald (figlio di Leo) e che sono le stesse del filosofo George Santayana: - "Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo", quindi- continuò il dottor Eli, riferendosi a me- nei suoi articoli, ogni tanto continui a scrivere di questa tragedia, perchè la gente non dimentichi mai quello che è accaduto - e così puntualmente mi appresto a farlo.
Il rapporto fra me ed Eli Kienwald cominciò qualche anno fa, quando da Londra lo stesso Eli mi contattò dopo aver letto un mio articolo sulla tragedia della sua famiglia internata a Castelnuovo. Mi
L'articolo pubblicato sulla rivista
ebraica Hamaor: Escape from Castelnuovo
Garfagnana (Fuga da Castelnuovo Garfagnana)
propose di condurre ricerche più approfondite su quello che successe a suo padre Leo in quei terribili anni in Garfagnana, la nostra collaborazione sfociò poi in un bellissimo articolo pubblicato su una rivista ebraica a maggior diffusione (Hamaor), in più mi inviò un vero pezzo di storia, unico e toccante: il memoriale di suo padre che racconta la sua fuga per la libertà attraverso le nostre montagne, un diario bellissimo, particolareggiato, ricordi vivi e nitidi di quei tremendi giorni scampati al rastrellamento, evitando così di finire nelle camere a gas di Auschwitz.

Tutto cominciò quel maledetto 4 dicembre 1943 quando arrivò l'ordine dall'Oberkommando der Whermacht, dove si diceva che tutti gli ebrei stanziati in confino coatto a Castelnuovo Garfagnana si dovevano
Una pagina del memoriale di Kienwald
in mio possesso
presentare il mattino seguente presso la caserma dei carabinieri. Grazie ad una soffiata di un maresciallo dell'arma si capì presto il perchè di questa convocazione: l'indomani tutti gli ebrei residenti sarebbero stati arrestati e condotti nel campo di concentramento di Bagni di Lucca, per essere poi trasferiti nei campi di sterminio del nord Europa. Il maresciallo avvertì tutti  gli interessati e consigliò di darsi immediatamente alla fuga. Nonostante tutto a questa soffiata pochi vi credettero, fra questi pochi la famiglia Kienwald fu una di queste, cominciò così la sua fuga attraverso le Apuane.

Quelle a seguire sono stralci salienti del memoriale di Leo Kienwald, scritti nel 1996 poco prima che lasciasse per sempre la vita terrena.

L'inizio della fuga (N.D.R: i titoli dati ai paragrafi non fanno
Verbale della Prefettura del 1942
Corrispondenza censurata
degli ebrei di Castelnuovo
parte del diario stesso, sono stati aggiunti da me per dare ordine all'articolo).


Era il 5 dicembre 1943. Il cielo era grigio quasi un segno della tragedia incombente. Perchè gli altri sono tutti finiti ad Auschwitz. E sono morti. Noi, padre madre e due ragazzi camminavamo su una strada sterrata, nella Valle della Turrite, nella direzione opposta a quella della caserma dei carabinieri. Il giorno prima era stato impartito un ordine: presentarsi quella mattina alle otto. Un'ora prima ebbi ancora un fuggevole incontro con Elisabeth (N.D.R: Elizabeth era l'innamorata ebrea confinata anche lei a Castelnuovo). Tentai di convincerla a seguirmi. Non poteva abbandonare la madre. Qualche anno fa la ritrovai nel "Libro della Memoria". Ebbi così la conferma del tragico destino suo e degli altri internati a Castelnuovo Garfagnana. Che sarebbe stato il mio, il nostro.


La paura,le bugie e la prima sistemazione

Raggiungemmo infine alcuni casolari. Era Colle Panestra. Ci
Vecchia foto L'Alpe di Sant'Antonio
presentammo come sfollati. Non avevamo documenti ne soldi. Solo le ultime carte annonarie di Castelnuovo. Trasformai il cognome Kienwald scritto a mano in "Rinaldo". Un nome straniero poteva destare sospetti. Fummo infine accolti da una famiglia nei pressi di Fontana Grande a Piritano di Sotto. Allora sapevo solo che ci trovavamo sull'Alpe di Sant'Antonio. Mio padre e mia madre dormivano in una camera messa a loro disposizione. A noi ragazzi diedero una capanna nel bosco dove si raccoglievano le foglie secche di castagno. Ricevemmo una lampada ad acetilene e due coperte.


La fuga continua: una nuova sistemazione

Ricordo con commozione la bontà di quelle persone. Ma non potevamo
Rifugio Rossi...una volta
approfittare a lungo dell'ospitalità. Ci mettemmo quindi in cerca di un casolare disabitato. E lo trovammo a Pasquigliora, non lontano da Colle Panestra. Era il casolare di un pastore, che prima della guerra portava su le pecore dalla Versilia. Il casolare era giusto attrezzato per quattro persone, non mancavano materassi, coperte e cuscini. Il custode del Rifugio Rossi, sotto la Pania della Croce, abitava a Pirano di Sotto. Si offrì di salire al rifugio con noi ragazzi per prelevare quanto occorreva.


Il ritorno a Castelnuovo e il recupero dei vestiti per affrontare il rigido inverno 

A Castelnuovo vivevamo abbastanza tranquilli fino all'ordine
Castelnuovo nel 1930. Nel cerchio rosso
l'appartamento dove abitavano i Kienwald
in Piazza Umberto i
impartito dai carabinieri. Quando fuggimmo da Castelnuovo portammo quasi nulla con noi. Gli effetti personali erano rimasti in un baule lasciato nella casa a Castelnuovo. Non si poteva superare l'inverno senza quegli indumenti e bisognava in qualche modo recuperarli. Un abitante di Castelnuovo, con il quale mio padre si mise misteriosamente in contatto, andò in quella casa, ruppe i sigilli applicati dai carabinieri, prese il baule, lo caricò su un mulo e ce lo portò su. Mio padre gli regalò una parte del contenuto


La nuova vita e le nuove abitudini

Vivevamo dunque in quel casolare a circa mille metri di altitudine.
Sfollati in Garfagnana in tempo di guerra
La principale preoccupazione era procurarsi da mangiare e legna per riscaldarsi. Era compito di noi ragazzi. Mio fratello era minore di quattro anni e aveva sempre fame. I contadini erano generosi e la farina di castagne non mancava mai. Imparammo a farci la polenta nel paiolo, a versarla sul piatto di legno, a tagliarla con la cordicella. Non volevamo essere mendicanti. Facevamo vari lavori per loro, il più terribile era caricare sul collo il cesto di letame per andare a spanderlo sui campi. La sera bisognava sottoporsi ad un intenso lavaggio. Passarono i  mesi, passò l'inverno. Non sapevo nulla allora di Auschwitz. Avevo la sensazione di essere scampato, insieme ai miei, ad un terribile destino.


La vita è in pericolo

Nella primavera del 1944 ci trovavamo praticamente al fronte. La
Calomini, sul fronte della Linea Gotica
(foto Gruppo Linea Gotica Garfagnana)
linea gotica passava a qualche centinaio di metri da noi. C'era una strada sterrata a mezza costa del Monte Piglionico, che finiva ai piedi della Pania della Croce. Alle Rocchette poco sopra la strada, c'era una postazione. Li dovevamo passare per entrare nella terra di nessuno
(N.D.R: Per "terra di nessuno" si intende una porzione di territorio non occupata)


Una battaglia nella notte...bisognava fuggire e salvarsi

N.D.R: Qui si racconta della celeberrima battaglia del Monte Rovaio (o Colle del Gesù), fra i partigiani del "Valanga" e le truppe germaniche, dove i nostri protagonisti furono attenti testimoni, prima, durante e dopo i fatti. Ecco un piccolo brano di quel ricordo:

Sia arriva così alla fine di agosto, esattamente il 29 agosto 1944.
Il Monte del Gesù, luogo della battaglia
raccontato da Leo Kienwald
Quella mattina, era ancora notte, si sentì una forte sparatoria intorno a noi. Mi affacciai alla finestra e vidi dei razzi illuminanti salire verso il Monte del Gesù. Avevo la netta sensazione di essere circondati, Ci vestimmo in fretta ed uscimmo. Dovevamo allontanarci. Dietro il casolare una ripida discesa portava in un fosso, che ci copriva dai proiettili e in qualche modo ci nascondeva. Arrivati in fondo ci dirigemmo verso il mulino. Sapevo che il mugnaio aveva preparato una grande buca nel bosco. Egli ci accolse. Solo mia madre ed altre donne rimasero fuori. Entrammo carponi. Eravamo in 12 li dentro, sdraiati su un tavolato, uno accanto all'altro. C'era anche il giovane parroco de L'Alpe di Sant'Antonio. Lì restammo per tre giorni e tre notti. Le donne ci portavano qualche piatto di pasta senza sale. Devo ammirare il coraggio di mia madre. Era una donna fragile e timida. Ritornò al casolare per salvare qualcosa. Ormai bruciava. Si trovò faccia a faccia con i tedeschi. Terminata la battaglia nel corso della mattinata i tedeschi bruciarono infatti tutti i casolari.


La disperazione

A questo punto eravamo veramente soli. Il nostro casolare, tutti i
Il sentiero della libertà ripercorre
quasi le stesse strade che fecero i Kienwald
(foto Daniele Saisi)
casolari, erano bruciati. I residenti s'enerano in gran parte andati. I pochi rimasti cominciarono ad aver paura. Avevamo perso tutto. Non sapevamo dove andare. Non potevamo più contare su un eventuale assistenza di chi ancora si aggirava sull'Alpe. Risalimmo Colle Panestra e prendemmo un sentiero a destra, arrivammo a casa di una certa Viola.
(N.D.R: Viola Bertoni alias "la mamma dell'Alpe", nel 1981 gli verrà conferita una medaglia al valore civile per la sussistenza data ai gruppi partigiani). Questa fu la nostra dimora fino alla fine di novembre. Mi chiedo oggi come abbiamo fatto a vivere. Non ricordo i dettagli. Ogni sforzo mentale era concentrato sul modo di come uscire da questa situazione disperata. Intanto l'inverno avanzava 


I primi tentativi verso la libertà

Mi decisi di andare a chiedere aiuto ad una grossa formazione
Partigiani del Valanga
(foto tratta da il libro
"L'altra faccia del mito")
partigiana, comandata da un maggiore inglese, che si trovava sui monti di fronte, dall'altro lato della Turrite...
[continua]...Mi incontrai con il maggiore Oldham (N.D.R: il maggiore Oldham fu fatto prigioniero dagli italiani, fuggi dal carcere e si mise a capo della Brigata partigiana Lunense), al quale diedi informazioni sulle Rocchette, da dove poteva congiungersi con la V armata [continua]...All'occupazione della postazione sulle Rocchette mi avrebbero dovuto mandare una staffetta per passare il fronte. [continua]. Passarono i giorni e nulla successe.


Il terrore e poi...libertà, libertà !!!

L'attesa diveniva insopportabile e giorno dopo giorno la situazione
Castelnuovo bombardata
peggiorava. Un giorno decisi con mio padre di recarci direttamente sul posto consapevoli ovviamente del rischio. Ma non avevamo ormai scelta. Ci incamminammo e raggiungemmo la strada che passava sotto le Rocchette. C'era nebbia quella mattina e camminavamo in un silenzio irreale. Improvvisamente sbucarono dalla nebbia tre militari con i fucili spianati: alto là. Portavano l'elmo dei bersaglieri. Siamo proprio capitati male, pensai. Uno di loro urlò: "Sono ebrei, li conosco". Dopo qualche secondo si rivelarono. Erano partigiani, che avevano occupato la postazione e si erano messo in testa l'elmo dei prigionieri. Forti abbracci, profonda emozione. Quello che aveva urlato era di Castelnuovo e ci aveva riconosciuto. Chiedemmo se potevamo passare
[continua]


N.D.R: Le peripezie dei Kienwald continuarono, adesso bisognava recuperare il resto della famiglia, passare il fronte e consegnarsi nelle mani della V armata americana. Nella stessa notte però imperversò un'ennesima battaglia che mise a repentaglio la loro vita e il lieto fine di questa tragica avventura. La descrizione di quelle decisive e fondamentali ore è precisa e minuziosa, ma finalmente...

Ci trovammo nella terra di nessuno e ci fermammo in un piccolo
La V armata americana
villaggio, dove passammo la notte dormendo sul pavimento in una casa vuota. Era il 20 novembre 1944. Al mattino riprendemmo il cammino. Grande fu l'emozione quando incontrammo una pattuglia di americani che ci diedero della cioccolata e ci portarono al loro campo. Mio padre tolse dalle spalline della giacca il suo vecchio passaporto polacco. Ci portarono a Gallicano, nell'immediata retrovia poi a Viareggio.


N.D.R: Il diario continua con quello che accadde dopo la liberazione, le varie sistemazioni in altre parti della Toscana, la fame patita più da liberi che da ricercati e sopratutto la ricerca di una nuova Patria e di una nuova vita, ma comunque non era niente a confronto di quello che successe agli altri ebrei "castelnuovesi". Il diario si chiude con il perchè di questo scritto:


Qui finisce la nostra piccola odissea che, posso dirlo, è stata
Auschwitz. Una mia foto.
 Le scarpe degli ebrei uccisi..
splendida se paragonata a quella che sicuramente sarebbe stata senza il mio modesto atto di coraggio, prodotto da quella fiammella di Dio che, credenti o non credenti, c'è in ognuno di noi e che guida la nostra mente. Dopotutto, a dispetto della soluzione finale, sono qui con figli e nipoti. I genitori riposano nella terra d'Israele. Mio fratello vive in Israele, ha un figlio e tanti nipoti. Ho raccontato questa storia perchè la memoria non vada persa.


Leonard Kienwald 

Bibliografia

Per chi vuole sapere di più su questa famiglia e su gli ebrei in confino coatto a Castelnuovo Garfagnana può consultare i miei articoli cliccando su questi link:


mercoledì 17 gennaio 2018

I "Monument's Man" garfagnini. Quelli che nella II guerra mondiale salvarono il patrimonio artistico garfagnino

I Monument's Man nel castello
di Neuschwainsten in Germania nel 1945
Erano trecentocinquanta valorosi, sia uomini che donne, appartenenti a tredici nazioni diverse che fra il 1943 e il 1951 prestarono servizio presso la "Monuments Fine Arts and Archives" (M.F.F.A). Hollywood pochi anni fa fece passare alla storia queste persone con un bel film e così le stampò nella memoria di tutti. Al mondo erano e sono  conosciuti come i "Monuments Man". Un gruppo di persone colte ed appassionate, la maggior parte di loro non aveva nessuna esperienza militare dal momento che erano per lo più restauratori, archivisti, direttori di musei e archeologi, prestarono servizio negli eserciti alleati durante la seconda guerra mondiale e vennero presto inviati nella martoriata Europa con una precisa missione: recuperare e salvare i capolavori dell'arte. L'intento principale era quindi salvare dai bombardamenti e dalle distruzioni varie le migliaia di capolavori sparsi per tutto il continente, un tesoro non solo di puro valore economico, ma un tesoro culturale che rischiava seriamente di essere perso per sempre. Altro compito se si vuole ancor più difficile era recuperare le opere d'arte ancora intatte e già trafugate. Ma trafugate da chi? Com'è noto le armate tedesche mentre invadevano un Paese dopo l'altro razziavano in modo sistematico dipinti, sculture ed altre innumerevoli opere d'arte, la maggior parte di questi razziatori agiva nel nome del maresciallo del Reich Hermann Goring (numero due del partito nazista), che senza
Hermann Goring
"il razziatore"
mezzi termini nel 1942 ebbe a dichiarare: "Una volta si chiamava saccheggio. Ma oggi le cose devono avere un aspetto più umano. Ad onta di ciò, io intendo saccheggiare e intendo farlo in maniera totale" . Era una vera e propria corsa contro il tempo, la guerra volgeva al termine, gli eventi si stavano susseguendo uno dopo l'altro, i Monument's Man vennero sparsi rapidamente per tutta Europa. A Parigi per svuotare e mettere in sicurezza tutte le opere del Louvre ci vollero ben sei settimane, ma il vero "colpo gobbo" dei Monument's fu in Austria, nella miniera di salgemma di Altaussee(nelle vicinanze di Salisburgo) furono rinvenuti ben 6500 quadri, statue (fra le quali la Madonna con bambino di Michelangelo del 1503), mobili, libri antichi, monete e altri oggetti preziosi, ma non solo, in Turingia (regione della Germania) fu rinvenuta l'intera riserva aurea nazista e un notevole numero di altri capolavori. 

E in Italia? In Italia questi anomali eroi sbarcarono in Sicilia nell'autunno del 1943, erano in ventisei, pronti a tutto (o quasi) pur di proteggere, ristrutturare e recuperare il ricchissimo patrimonio artistico italiano. La strategia era chiara, man mano che i territori venivano liberati si interveniva immediatamente per preservare i monumenti danneggiati e mettersi a caccia dei tesori rubati. Queste operazioni portarono nella sola Sicilia a mettere in sicurezza decine di siti e iniziare la ricostruzione di monumenti
Le chiese di Palermo con i loro tesori
devastate dai bombardamenti
importantissimi ormai perduti come la Cattedrale di Palermo. Quando la guerra si spostò in continente le cose furono più difficoltose. Gli alleati si aspettavano di risalire in un batter d'occhio tutta la Penisola, ma finirono intrappolati in estenuanti battaglie. Finalmente il 4 giugno 1944 gli americani liberarono Roma e trovarono una città quasi intatta, il "solo" quartiere di San Lorenzo era stato bombardato. Il bello però doveva ancora venire. L'ultima fase nella campagna estate-inverno 1944 fu la più importante, gli alleati stavano per entrare in Toscana e i Monumen's sapevano che qui non sarebbe stata una "passeggiata di salute" come a Roma. In effetti molto di ciò sarebbe dipeso dai tedeschi e da dove avrebbero deciso di attestare il fronte. Il fronte per disgrazia dei garfagnini e della Garfagnana (e non solo) si fermò sulla costituita Linea Gotica, su quel fronte di 300 chilometri la guerra si fermò per circa nove mesi. 

La Garfagnana non sarà Firenze in fatto di monumenti e opere d'arte, ma il suo patrimonio artistico da difendere ce l'aveva, eccome se ce l'aveva. Parliamoci chiaro, qui i Monument's Man non arrivarono mai, vuoi perchè la Valle del Serchio era considerata zona ad alta pericolosità, ma sopratutto perchè come tutti ben sappiamo la vita è fatta di priorità e tale priorità fu data alla salvaguardia della culla del Rinascimento: Firenze e in effetti qui il lavoro era
Firenze: Ponte Santa Trinita disegnato
da Michelangelo distrutto dalle bombe
tanto. Ritirandosi dalla città del giglio i nazisti fecero saltare tutti gli storici ponti con esclusione di Ponte Vecchio, poichè leggenda (o verità) narra che quando Hitler visitò Firenze nel 1939 rimase totalmente affascinato da questo gioiello, tanto che dette ordine ai propri ufficiali di risparmiarlo dalla distruzione. Il  lavoro come detto era tantissimo e le opere d'arte erano un'enormità. I Monument's Man giravano di quartiere in quartiere, di borgo in borgo catalogando le opere sparite dai musei che a sua volta erano state spostate altrove dai nazisti in attesa di espatrio. Furono ritrovati solamente a Firenze tremila casse di dipinti, sculture e interi archivi. Nei garagi di Villa di Torre a Cona (Rignano sull'Arno) furono trovate impacchettate di tutto punto statue di Michelangelo, altri centinaia di dipinti degli Uffizi e di Palazzo Pitti vennero invece rinvenuti nel castello di Montegufoni (Montespertoli). 
Come detto in Garfagnana questi eroi d'oltreoceano e d'oltremanica non si videro. Non fummo però dimenticati in questo senso. Della nostra piccola realtà si occupò comunque un Monumet's Man tutto italiano (e toscano) che si chiamava Rodolfo Siviero, che è bene dirlo con i Monument's originali non aveva niente a che fare. Ma partiamo però dall'inizio e cominciamo subito con il dire che la maggior parte delle opere d'arte "garfagnine" sono nelle chiese...e le nostre chiese sono tante... Pensiamo solamente che attualmente le 
Rodolfo Siviero, vero eroe italiano
parrocchie dell'Arcidiocesi di Lucca sono 362 e immaginiamo ancora che non esiste paese, borgo o sperduta località garfagnina che non abbia almeno una chiesa antica con almeno un opera di pregevole valore. Questo era il panorama artistico con cui si doveva confrontare Siviero. Rodolfo Siviero nacque in provincia di Pisa, a lui si deve il recupero di gran parte delle opere che erano state trafugate dai tedeschi nel nostro Paese proprio durante la seconda guerra mondiale, il metodo rocambolesco con cui talvolta vennero recuperate queste opere gli valse il soprannome di 007 dell'arte e in effetti così era, oltre che essere uno storico dell'arte, era un agente segreto facente parte del Servizio Informazioni Militare. Fattostà che il patrimonio artistico garfagnino fu messo dall'intelligence di Siviero in una scala di messa in pericolo da uno a tre al numero due. Il pericolo maggiore non era che fosse sottratto, dal momento che i tedeschi a quel punto della guerra il loro ultimo pensiero erano le opere d'arte da rubare, per molti di loro sia ufficiali che soldati l'intento principale era di portare a casa la pelle, il vero pericolo veniva però dai bombardamenti alleati che potevano più o meno accidentalmente distruggere le chiese. A questo scopo, dal momento che lo stesso Siviero coordinava dei gruppi partigiani, dette mandato a loro di raggiungere i paesi garfagnini e di aiutare i parroci locali a spostare, a nascondere e mettere il più possibile al sicuro tutto quello che gli stessi parroci ritenevano di proteggere maggiormente, naturalmente fu spostato quello che si poteva spostare come quadri, statue, oggetti sacri e preziosi archivi, quello che era intrasportabile fu lasciato al suo destino e forse meglio dire in questo caso alla Divina Provvidenza, ad esempio
La Pala Robbiana nel
duomo di San Jacopo a Gallicano
le Pale Robbiane di Gallicano, Barga, Castelnuovo, Pieve Fosciana e molti altri affreschi disseminati per le pievi si salvarono grazie al fato. Così le cantine, i metati, i fienili e le stalle dei paesi delle valle per un po' di tempo diventarono dei veri e propri musei, opere attribuite alla scuola di Matteo Civitali, tavole di Giuliano Simone da Lucca del 1389, statue lignee del XIV secolo attribuite all'ambito di Tino Camaino, opere del 1500 di Giuseppe Porta detto il "Salviati" e tanti altri tesori erano sparsi per le selve della valle. Comunque sia non tutti i nazisti  erano come il loro supremo maresciallo Goring e un po' di sensibilità artistica almeno nella Valle del Serchio la dimostrarono. Questa vicenda ricalca similmente la storia narrata poche righe sopra che riguardava Ponte Vecchio, simile sorte toccò anche al Ponte del Diavolo di Borgo a Mozzano. Oramai le mine naziste erano piazzate il celebre ponte
 con i suoi mille anni di storia era pronto a saltare in aria. Le truppe germaniche erano pronte a ritirarsi verso nord e bisognava quindi tagliare ogni via di comunicazione all'esercito alleato che era sempre più vicino, rimane il fatto che non si sa bene come e perchè, quando ormai mancava solamente l'ordine di farlo esplodere, l'ordine fu annullato. Per quale ragione ciò accadde ancora non è chiaro,questo forse trova ragione in una teoria non documentate ma secondo me veritiera e dice che probabilmente nel comando tedesco ci sia stato qualcuno che aveva una sensibilità particolare per il
Il Ponte del Diavolo a Borgo a Mozzano
scampato alle mine naziste
patrimonio storico e culturale, sopratutto collegato al fatto che tale ponte non fosse ritenuto idoneo per il passaggio dei mezzi militari, a conferma di questo il "Ponte Pari", alcune centinaia di metri più a sud fu fatto saltare inesorabilmente in aria. Rimane il fatto che grazie ai nostri Monument's Man nostrani: Siviero e i preti locali, il patrimonio artistico garfagnino fu salvato o quanto meno messo in sicurezza.

L'opera di recupero di Siviero e dei Monument's Man continuò anche dopo la guerra e tutt'oggi molte opere trafugate dai nazisti non sono state ancora ritrovate. E' notizia di alcuni giorni fa del ritrovamento di un opera di inestimabile valore economico e culturale: "Il Busto di Cristo", realizzato da Matteo Civitali nel 1470 e trafugato dai tedeschi dalla chiesa di Santa Maria della Rosa in Lucca, nella notte fra il 7 e l'8 febbraio 1944. L'opera era
"Il Busto di Cristo" di Matteo Civitali
ritrovato dai carabinieri
 restituito alla città di Lucca
stata catalogata alla fine degli anni trenta dalla Sopraintendenza di Firenze con due fotografie conservate oggi agli Uffizi di Firenze e segnalata in una nota del 1947 come "asportata dalla truppe tedesche", successivamente queste informazioni confluirono nell'archivio Siviero e poi dopo nella banca dati del Ministero dei Beni Culturali. Di quest'opera nonostante questi minuziosi passaggi si era persa ogni traccia, fino a che nel dicembre 2017 i carabinieri nell'ambito della complicatissima operazione "Jackals" hanno restituito il capolavoro alla città. 

La Garfagnana invece, anche grazie alla preventiva azione descritta
"San Giorlamo penitente"
del Perugino rubato dai nazisti
a Capezzano nel '44
e non ancora ritrovato
sopra non subì (almeno io non ho notizia) nessuna ruberia artistica da parte delle truppe tedesche, ma come abbiamo visto stessa sorte non toccò alla provincia di Lucca. Dopo 73 anni ci sono ancora opere che ancora non hanno fatto mai più ritorno. Nella Villa Borbone delle Pianore a Capezzano Pianore vicino Camaiore i nazisti della XVI Divisione Corazzata delle SS nella primavera 1944 razziarono gran parte della collezione Borbone Parma, dipinti come "Veduta

degli Schiavoni verso est" del Canaletto, "San Girolamo Penitente" del Perugino, "Il Redentore" di Dosso Dossi e di molti altri ancora ne sono state perse da tempo immemore le tracce. Anche Viareggio fu colpita dalle "mani lunghe" naziste il dipinto "L'Imperatore Guglielmo a cavallo calpesta un cumulo di teschi" di Lorenzo Viani sparì sempre in quel maledetto 1944.
Ancora oggi questa storia non è finita. L'italia e la Toscana in particolare hanno ancora fuori (e non si sa dove sono) centinaia di opere. Una filosofia di guerra criminale questa, studiata non a caso, che trovava il suo credo in un pensiero espresso bene da un Monument's Man:
"Puoi sterminare un'intera generazione, bruciare le loro case e troveranno una via di ritorno. Ma se distruggi la loro cultura è come se non fossero mai esistiti. E' questo che vuole Hitler ed è esattamente questo che noi combattiamo".


Bibliografia

  • "Chi li ha visti? I tesori d'arte della Toscana ancora prigionieri di guerra" Giannella Channel. A cura di Salvatore Giannella
  • "La vera storia dei Monument's Man" L'undici Informazione Pura di Mara Marantonio
  • Museo Casa Rodolfo Siviero -Archivio Siviero-

mercoledì 10 gennaio 2018

Il garfagnino che scoprì il cinema in America. La storia di uno dei più grandi impresari del cinema moderno

La chiamano la "settimana arte", prima di lei erano sei, molto più
Zefferino "Sylvester" Poli
antiche, le loro origini si perdono nelle notti della storia: architettura, musica, pittura, scultura, poesia, danza e infine nel 1895 appare lui: il cinema. I fratelli Lumiere proiettano per la prima volta al Gran Cafè des Capucines di Parigi dieci film della durata di circa un minuto ciascuno...è meraviglia. Nato semplicemente come curiosità tecnica nel giro di dieci anni il cinema diventa un nuovo genere di spettacolo a diffusione popolare in grado di creare mode, miti e abitudini. Il successo di pubblico porta l'America a intuirne il businnes, ed è qui che nascono le maggiori case di produzione e il cinema si trasforma in una vera e propria industria, ben presto sorgono le prime case di produzione dove letterati, giornalisti e uomini di teatro vengono via via chiamati a collaborare, di conseguenza ecco la costruzione delle prime sale di proiezione, dotate di un palco per l'orchestra che "accompagna" il film muto. In questo scenario meraviglioso e incantato un garfagnino fiuta l'affare, un garfagnino ha l'intuizione,l'ardire e la lungimiranza di capire che con la "settima arte" si può diventare milionari. Questa è l'incredibile storia di un emigrante della Valle del Serchio, questa è la storia di "Sylvester" Zefferino Poli.

La storia di quest'uomo all'inizio è la solita di qualsiasi altro emigrante della Valle di inizio secolo. La vita è dura in
Gallicano inizio secolo
Garfagnana, alla fine dell'ottocento da queste parti "c'è una povertà ed un degrado che si taglia con il coltello". Zefferino nasce a Bolognana (Gallicano) il 31 dicembre del 1858, il padre a scappatempo suona l'organo in chiesa per due soldi e la madre prepara dolci da vendere porta a porta. Zefferino non va a scuola, c'è bisogno di lavorare per tirare avanti e accompagna la mamma a vendere "le ciaccine" (una focaccina di strutto, farina e zucchero). Il senso degli affari comincia a nascergli proprio in quei tristi momenti quando per attirare clienti s'inventa lo slogan che annuncia nei paesi la vendita dei suoi dolci: "E' roba di famiglia, chi le assaggia le ripiglia". Ben presto la famiglia Poli cambia casa e si trasferisce sulla riva opposta del fiume Serchio, trovando un alloggio migliore proprio a Piano di Coreglia. Nonostante la miglior sistemazione la vita rimane grama, però destino vuole che indirettamente una guerra portasse in dote a Zefferino un mestiere vero e proprio in cui sperare per un avvenire migliore. In quegli anni infatti scoppia la guerra franco-prussiana (1870-1871), molte persone scappano dalla Francia cercando rifugio a destra e a manca, fra queste persone c'e uno scultore transalpino di discreta fama, un certo Dublex(a quanto pare amico intimo di Napoleone III), che trova rifugio proprio dalla famiglia Poli, amici anche loro di vecchia data. Lo scultore propone di ricambiare il favore a guerra finita, promettendo alla  famiglia di portare con sè il piccolo Zefferino  per introdurlo nel mestiere del figurinaio, esperto nella modellazione dell'argilla e della cera. Detto fatto, a tredici anni
figurinai coreglini
Zefferino parte per Parigi, torna poi in Italia per tre anni per assolvere all'obbligo di leva, diventa il lustrascarpe personale del suo capitano. In seguito riparte per Parigi per riprendere gli studi e accettare un lavoro al Museo Grevin, diventa così un sopraffino modellatore. Ma a quanto pare il vero Eden per ogni emigrante non è la Francia, dall'altra parte dell'oceano c'è "la Merica" che da nuove ed incredibili opportunità. Zefferino decide di partire, torna in Italia ricomincia a vendere "ciaccine" con il solo ed unico intento di racimolare soldi per il transatlantico diretto a New York. Così a diciannove anni nel 1877 da semi analfabeta parte per le "lontane Americhe". I primi anni di vita americana sono terribili, enormi sono i sacrifici e le privazioni. Negli Stati Uniti porta il lavoro che conosce meglio di tutti: fabbricare statuine. Nel suo laboratorio di New Haven (Connecticut) di notte realizza santi in miniatura e graziosi gattini che il giorno va a vendere agli angoli della città al grido di: "Buy images cheap!!!" (comprate le immagini costano poco!!!). La vita cambia completamente quando conosce una genovese: Rosa Leveroni, è subito amore e il 25 agosto del 1885 (quando Rosa ha solo sedici anni) si sposano, il connubio è da subito vincente. Rosa capisce fin da subito che con Sant'Antonio, San Giuseppe e gattini vari, di soldi ne avrebbero fatti pochi, bisogna cambiare produzione e realizzare le celebrità del tempo. L'occasione più propizia capita quando sette anarchici vengono condannati (ingiustamente) a morte nella sommossa di Haymarket a
La sommossa di Haymarket
Chicago, questi tragici eventi balzano subito alla ribalta nazionale e quale miglior occasione di riprodurre i sette malcapitati? Infatti è un successo. Intanto Zefferino dapprima trova lavoro all'Eden Museo di New York e poi un nuovo impiego da capo modellista al Museo Egizio di Philadelphia, la fortuna finalmente comincia a girare, infatti un'ennesima intuizione dei coniugi Poli dà il segnale che il vento è cambiato, basta fare il venditore ambulante, bisogna mettere su qualcosa di stabile e permanente, un negozio dove esporre le proprie creazioni. Il negozio apre e l'attività ingrana, la moglie ormai si occupa di trattare con i clienti, mentre lui crea i personaggi. Le vendite in breve tempo triplicano, con i soldi guadagnati viene comprato un edificio dove esporre tutte le loro realizzazioni. Intanto il tempo passa e ormai si sta per aprire una nuova frontiera, questa nuova frontiera
 si chiama cinematografo, si sta  schiudendo un nuovo orizzonte anche per Zefferino, ma questo lui ancora non lo sa.
L'anno della svolta definitiva è il 1888, quando il nostro protagonista modifica anche il proprio nome, non più un semplice Zefferino Poli, aggiunge così un secondo nome americano: Sylvester, in omaggio al santo del giorno del suo compleanno e cosa più importante dà il via ad una società che apre locali a metà strada fra un negozio ed un teatro. Il loro espandersi è rapido vengono
Springfield Poli Thater
aperti locali a Toronto (Canada), Rochester, State Island e Troy nello stato di New York. Nel 1892 si stabilisce definitivamente a New Haven dove apre il "Poli Eden Musee", ma  ancora non basta, bisogna fare di più, c'e bisogno di un teatro autentico dove mettere in scena continui spettacoli di varietà di alta classe, a questo scopo nasce nel 1893 il "Poli's Wonderland Theatre" (la terra delle meraviglie di Poli), ma non finisce qui. Poli compra e ristruttura e trasforma vecchi locali in teatri che diventeranno poi fra i più famosi d'America. Dal 1897 al 1926 ogni città vede il marchio "Poli's Theatre": Waterbury,
Mae West primo sex simbol americano
scritturata da Poli
Bridgeport, Meriden e Hartford in Connecticut, Springfield e Worcester in Massachusetts, insomma tutta la costa est degli Stati Uniti compresa la capitale Washington vede in scena gli spettacoli della "terra delle meraviglie". Zefferino riesce anche a stare al passo con i tempi, per vincere la concorrenza e rendere il teatro il più moderno possibile lo fa ricostruire anche per tre volte di seguito fino a che non diventa come lui vuole, infatti la moda impone i "movie palace" locali molti diffusi all'epoca che possono contenere anche duemila spettatori. In pochi anni ecco nascere un impero che conta più di cento cinema dove si esibiscono dal vivo quelli che diventeranno i primi attori del nascente cinema, impossibile quindi non ricordare Mae West il primo vero sex simbol d'America, sennò l'illusionista
Harry Houdini
più famoso al mondo Harry Houdini, per passare poi a Shiley Booth vincitrice di un premio Oscar nel 1953, Berth Lahr colui che nel 1939 interpreterà il leone nel Mago di Oz insieme a Judy Garland, per poi continuare con George Burns uno dei più famosi comici americani, tutti scritturati dal garfagnino Zefferino Poli. 

Siamo così arrivati negli anni '20 del 1900, il cinema adesso ha preso campo anche fra la gente comune: Stanlio e Ollio, Charlie Chaplin e Buster Keaton sono già delle vere e proprie star, ma il più grande proprietario di cinema del nord est degli Stati Uniti rimane lui: Zefferino Poli. Il suo senso degli affari ha già intuito la trasformazione degli spettacoli di massa dell'epoca, capendo che per trasmettere sul "grande schermo" la nuova arte, i suoi teatri sarebbero stati l'ideale. Nel luglio del 1928 Poli vende per 75 milioni di dollari  parte dei teatri di proprietà alla  Fox New England Theatres (che con il tempo diverrà la celebre Twenty
Poli's Palace di Waterbury
Century-Fox) mantenendo una parte delle azioni creando di fatto la Fox-Poli. A questo punto le sue fortune sono incalcolabili, la grande crisi del 1929 non lo scalfisce nemmeno, anzi lo trova con così tanti soldi da ricomprare per "pochi dollari" tutti i suoi teatri venduti in precedenza alla Fox, caduta in amministrazione controllata nel 1932. Il previdente garfagnino acquisisce nuovamente il controllo dell'impero ma capisce che alla sua età è arrivato il momento di mollare e chiude con una mossa in grande stile cedendo nel maggio 1934 buona parte dei suoi teatri alla "Loews Theaters" (quella che dal 1924 al 1959 sarà la casa madre del colosso cinematografico Metro Goldwyn Mayer) creando anche qui una nuova società: Loew's-Poli New England Thatres.

A poco più di settant'anni Zefferino si ritira dagli affari quando possiede ancora venti teatri, tre alberghi, cinquecento uffici e due cantieri. Si ritira nella sua casa al mare di Woodmont: Villa Rosa (in onore alla moglie), insieme a lui c'e l'inseparabile consorte e l'affetto dei suoi quattro figli. Il suo dolore più grosso rimane però la perdita del primogenito Edward morto per embolia all'età di 31 anni nel 1922. Nel corso della sua vita l'Italia non si dimentica di un suo "figlio", il re Vittorio Emanuele III gli conferisce il titolo di Cavaliere della Corona d'Italia, mentre la moglie riceve dalla regina Elena la Croce d'Onore per le sue opere filantropiche.
Al cinema Loew-Poli trasmettono
Alice nel paese delle meraviglie di Disney
Zefferino il venditore di "ciaccine" che diventò uno dei pioneri del cinema muore il 31 maggio nel 1937 in seguito ad una polmonite.

Si fu proprio così, Zefferino il venditore garfagnino di "ciaccine" fu fra i più grandi impresari cinematografici del Novecento. E' uno degli immigrati italiani negli Stati Uniti che ha avuto più successo in assoluto, uno che ha reso concreto il sogno americano, uno che aveva capito prima di tutti quello che la gente voleva: la sua bottega di figurine prima fu trasformata in teatro e da li in cinema, il primo di una catena fra le più diffuse in quella zona d'America. Non si dimenticò nemmeno della sua terra, ebbe occasione di tornare più volte nella Valle del Serchio e con ciò non si scordò mai di ringraziare "La Merica":
Il mausoleo eretto da Zefferino
per il figlio primogenito morto

"La nostra razza ha trovato un rifugio sicuro dietro le stelle e strisce e sentiamo che fra tutti i suoi figli che si sforzano di portare questo vessillo alla vittoria, nessuno porterà entusiasmo e più lealtà costante dei suoi figli di sangue italiano".

Note: Grazie a tre giovani ragazzi che studiano le vicende dei nostri emigranti la figura di Zefferino Poli è tornata a vivere. Luca Perei, Isaak J. Liptzin e Valerio Ciriaci sono i creatori del documentario "Mr. Wonderland". Questa è fra le opere vincitrici del bando emesso dalla Regione per il sostegno alla produzione di documentari nel 2017. Un investimento di 130 mila euro che permetterà anche alla storia di Zefferino di diventare film.


Bibliografia

  •  King Donald C. S.Z Poli from Wax to Riches. Marquee Magazine New York City 1979
  • Cullen, Frank, Florence Hackman and Donald Mc Nelly. Vaudeville. Old and New: an encyclopedia of variety perfomers in America. New York Routeledge 2007
  • "L'emigrante della Garfagnana che creò il businnes del cinema" di Ilaria Bonuccelli da "Il Tirreno" 13 dicembre 2017

mercoledì 3 gennaio 2018

Leggende dell'Epifania garfagnine, "contate a veglio"

Era proprio durante questo periodo,
sull'approssimarsi dell'Epifania che nelle case garfagnine c'era sempre veglia, anche quando nelle fredde sere di gennaio il vento gelido mulinava nell'aia, anche quando si scatenava un impetuoso acquazzone, insomma qualsiasi fossero state le condizioni del tempo "andare a veglio" era un rituale quasi sacro. In queste uggiose serate tutto si svolgeva nelle ampie cucine di una volta, alla luce di un gran focolare. I vegliatori più anziani si mettevano con le loro seggiole vicino al camino e così piano, piano  si avvicinavano i ragazzi e le ragazze, dopo pochi attimi ai ragazzi si aggiungevano le famiglie, intanto tutt'intorno nonostante il momento fosse di riposo e tranquillità i piccoli lavoretti andavano avanti, c'era chi aggiustava gli attrezzi, chi sgranava le pannocchie e chi badava al fuoco del camino, cosa fondamentale perchè proprio durante il periodo natalizio c'era l'usanza di accendere nel camino un grosso "ceppo". Sul "ceppo" si sistemava altra legna in modo che il grosso pezzo di legno che stava sotto si consumasse lentamente, dal momento che doveva durare tutti i dodici giorni che separano il Natale dalla festa della Befana, questi dodici giorni rappresentavano i mesi dell'anno e si diceva inoltre che bisognava tenerlo "vivo" perchè serviva per scaldare Gesù Bambino. Nel frattempo mentre le mani erano occupate in cento cose fiorivano i racconti e le storie più o meno fantasiose, più o meno vere e tutto si confondeva in un misto fra verità e leggenda. D'altronde era durante queste feste che certi racconti rimanevano più impressi nella memoria di tutti, storie che affascinavano genitori e bambini, personaggi come Gesù, Giuseppe e Maria e la Befana erano nell'immaginario e nel culto popolare e proprio questi racconti che vado a narrare vengono da quelle interminabili serate di veglia, di molto, ma molto tempo fa... 

la scarpa di ferro

Si credeva un tempo nei nostri monti che nella notte dell'Epifania i bambini che erano morti in tenera età tornassero al focolare delle
loro mamme per scaldarsi un po'. Passavano attraverso il camino e se trovavano il fuoco acceso si fermavano per passare la notte. Non si potevano avvicinare ne disturbarli e ne tanto meno rivolgergli parola, si potevano solamente osservare da lontano e in assoluto silenzio. Una notte una contadina di Sassi fra la cenere del camino spento trovò una scarpa di ferro, esterrefatta da questo accadimento la fece vedere subito al marito, la conclusione fu che sicuramente l'aveva lasciata qualche povera anima, proprio perchè il fuoco nel camino era spento. La vecchia contadina decise così di conservare la scarpa ben chiusa in una cassapanca e di non guardarla più fino all'anno successivo. Il seguente anno il giorno dell'Epifania la scarpa fu riposta in un cantuccio vicino al focolare scoppiettante. La mattina dopo, fra la sorpresa di tutti al suo posto furono ritrovate pagliuzze d'oro fino. 

Giuseppe, Maria e Gesù Bambino a Mosceta

Si dice proprio che un giorno di duemila anni fa la Sacra Famiglia per sfuggire alla furia dell'esercito di Erode attraversò la
Mosceta e il prato in questione
Apuane. Non vi immaginate voi la fatica della Madonna, San Giuseppe e il Bambinello nell'inerpicarsi per le aspre montagne. Maria ad un certo punto della scalata non ce la faceva più e così decise di fermarsi. All'improvviso al di là delle rocce apparve a loro un terreno completamente sassoso ma pianeggiante. Laggiù in quel luogo la Madonna decise di riposarsi e in omaggio a quel luogo che le aveva offerto ristoro quella "sassaraia" scomoda divenne un  bel prato verde, ed è per questo che Foce di Mosceta si presenta come un prato verde fra le pietre


I Re Magi sulla Pania

Ci fu una notte fra Natale e l'Epifania che sopra la Pania
Pania della Croce
passarono i Re Magi e i loro cammelli alati. Una stella li guidava verso Betlemme ma il percorso era lungo e faticoso e le Apuane non sono facili da superare, spesso sono flagellate da venti forti, nebbia e copiosa neve. Fu così che proprio all'altezza della Pania della Croce i cammelli dei Magi planarono e si abbassarono per prendere lo slancio verso il mare. Nel punto esatto dove gli zoccoli cozzarono con il terreno lasciarono un'impronta indelebile, in quel momento in cielo sfavillarono centinaia e
Le impronte
centinaia di scintille che splenderono come mille stelle cadenti 


Il poeta francese Jean Cocteau un giorno ebbe a dire: "Cos’è la storia, dopo tutto? La storia sono fatti che finiscono col diventare leggenda; le leggende sono bugie che finiscono col diventare storia".



Bibliografia:

  • "Racconti e tradizioni popolari delle Alpi Apuane" di Paolo Fantozzi edito "Le Lettere" anno 2013