lunedì 30 giugno 2014

Racconti a "veglio": la strega di Gorfigliano che non voleva morire...

                           Quando calavano le ombre
della sera,dopo il suono "dell'ordinotte" (n.d.r: suono della campana "a tocco" che avvisava dell'approssimarsi delle tenebre) le persone si riunivano per "andare a veglio" a trascorrere qualche ora insieme ai vicini.In cucine spesso annerite dal fumo,accostati al calore del camino si parlava della giornata trascorsa ,degli ultimi avvenimenti importanti,si sgranocchiava qualche noce,si mangiavano le mondine e si buttava giù qualche "bicchierotto".Via via che il vino "riscaldava" le parole,emergevano proprio le paure,racconti di fatti strani,esseri misteriosi che avvicinavano fra loro le sedie e che facevano affrettare il passo sulla via del ritorno per casa.Queste storie venivano raccontate da narratori molto abili che ti facevano vivere la storia come un film.Questa storia che vado a raccontare è una di quelle.Queste storie era spesso tratte da fatti perlopiù accaduti realmente,ma che poi l'immaginazione popolare ingrandiva ed arricchiva come era di abitudine.Il racconto è basato su un fatto veramente accaduto di presunta stregoneria, dove una donna di Gorfigliano nel 1643 fu accusata di tale maleficio,ma poi deceduta per cause naturali prima che si svolgesse il processo "per malefizi con sortilegio ereticale"e da qui in poi fu un fiorire di leggende e supposizioni che per secoli hanno appassionato le veglie di mezza Garfagnana,e  infatti per i "vegliatori" i fatti si svolsero così: A Gorfigliano in fondo al paese,al "Calcinaio" viveva un tempo una vecchia che era ritenuta una strega.Già, perchè in tempi antichi se c'era una vecchia brutta alta e magra quella era una strega anche se non era.Comunque fosse vero o meno, si diceva che questa donna dava con molta facilità il malocchio,che andava alla processione degli streghi,e così via Quando giunse a morire inizio per la vecchia una lunghissima agonia, sembrava che spirasse da un momento all'altro,ma invece continuava a vivere,fissando con quegli occhi così strani la gente che le stava intorno.La vecchia cercava di stringere continuamente la mano a qualcuno dei presenti come se volesse salutare compiutamente prima di trapassare,tutti però in virtù della sua fama avevano paura e si guardavano bene dal toccarla:
"Mi raccomando nessuno le dia la mano! Senz'alro sta cercando di trasmettere a qualcuno prima di morire il suo spirito di stregoneria.Lasciatela stare vediamo cosa accade"
I giorni passavano ed anche i mesi ma la vecchia non moriva In tutti lo sbigottimento ed anche la paura  aumentavano,anche perchè la donna non beveva e non mangiava assolutamente niente e non si capiva come potesse vivere.Alla fine il prete decise di intervenire.Si fece accompagnare a casa dalla moribonda, che stava là stesa sul letto ormai uno scheletro ma con gli occhi sbarrati, accesi da una inquietante luce, ed il braccio teso .Il prete si fece dare una scopa e, reggendola da un capo la fece stringere alla vecchia dall'altra parte.La donna quasi
Gorfigliano
istantaneamente morì.Allora si accese il fuoco,ed il prete vi gettò la scopa che, tra lo stupore generale schizzò via dalla fiamme e gli tornò in mano.Così accadde anche al secondo tentativo.Infine quando il prete la gettò nel fuoco per la terza volta dalla scopa si sprigionò una fiamma bluastra ed in pochi attimi si consumò..

Questa è la storia della povera vecchia di Gorfigliano,la tipica storia,per le veglie garfagnine che la sua unica colpa era di essere brutta,magra ed alta...

venerdì 27 giugno 2014

Pietro Campori da Castelnuovo Garfagnana, che per soli tre voti non diventò Papa

Cardinali si, ma Papi no.La Garfagnana è stata terra di
Pietro Campori "il quasi Papa"
cardinali,personalità eminenti di grande levatura direi,ed alcuni poi li abbiamo avuti  anche in tempi 
recenti...Ma ne abbiamo uno,di questi cardinali,che per soli tre voti,dico tre,non è diventato Papa.Questa è la storia di Pietro Campori nato a Castelnuovo Garfagnana nel 1553.Pietro era un passo avanti a tutti i suoi coetanei, tant'è che si credette utile mandarlo a studiare a Lucca gli studi classici  e poi successivamente a Pisa dove ottenne la laurea in utroque (n.d.r:laurea che veniva conferita nelle prime università europee che indica i dottori laureati in diritto civile e in diritto canonico) con il plauso di tutti i docenti.Praticamente come si direbbe oggi Pietro era un "cranio" e per uno con le sue capacità intellettive all'epoca uno delle poche strade percorribili era dedicarsi al sacerdozio e così vocazione fu.Infatti fu una mirabolante escalation la sua,salì in maniera veloce tutti i gradini ecclesiastici fino a sfiorare alla morte di Papa Paolo V nel 1621 l'elezione a Sommo Pontefice.Ma andiamo per gradi e cerchiamo di raccontare in maniera piuttosto breve come andarono le cose.Pietro giunto a Roma ben presto assunse una posizione influente nella potentissima famiglia Borghese,che già al soglio pontificio aveva un proprio componente, Paolo V (al secolo Camillo Borghese).Alla corte dei Borghese,il nostro concittadino assunse in un primo tempo la segreteria personale del cardinal nepote Scipione Borghese,poi divenne
Papa Paolo V
al secolo Camillo Borghese
maggiordomo e con tale qualifica non solo ebbe conoscenza di tutti gli affari dei Borghese,ma addirittura assunse la gestione dei loro traffici.Era diventato il personaggio più importante di tutto l'entourage della famiglia.Le onorificenze per Pietro Campori si sprecavano,compreso il giorno in cui Papa Paolo V il 19 settembre 1616 lo elevò alla porpora cardinalizia (si riferisce di ricchi omaggi al nuovo cardinale da Modena,Castelnuovo e Lucca).Arrivò poi il giorno (28 gennaio 1621) che Paolo V morì e qui si aprì una lotta fra famiglie per portare Papa un proprio rappresentante.Già il defunto Papa Paolo V aveva fatto capire che il Campori doveva (e sottolineo doveva) essere eletto Papa,addirittura si credette che inizialmente il cardinale garfagnino avesse forze sufficienti per essere eletto per adorazione (
n.d.r: senza votazioni) ma l'altrettanto influente famiglia Orsini mise il bastone fra le ruote.Il cardinale Orsini procedette energicamente a radunare un partito per l'esclusione di Campori,poteva contare su alcuni cardinali importanti e sull'appoggio dei rappresentanti di Francia e Venezia.Mentre Pietro poteva contare sugli ambasciatori di Spagna e Toscana.La cosa poi degenerò,si rincorsero voci gravissime contro il Campori che lo dipingevano uomo indegno,macchiato di gravi peccati giovanili e si disse addirittura che avrebbe comprato i voti dei cardinali d'Este, dandogli in cambio, una volta Papa, la restituzione del ducato di Ferrara.Comunque sia alla chiusura della porta del conclave la situazione
Castelnuovo,
la chiesa di San Pietro
era totalmente incerta.Infatti fu così.Si dice che per soli tre voti Pietro Campori non diventò Papa e così solo dopo un giorno di conclave Alessandro Ludovisi con il nome di Gregorio XV salì sulla cattedra di Pietro con buona pace di tutti.Pietro cadde in piedi, gli fu riconosciuto l'onore delle armi e il nuovo Papa gli dette l'importante incarico del vescovato di Cremona.Da allora risiedette costantemente nella città lombarda dove morì quasi novantenne e dov'è ancora sepolto...Questo era Pietro Campori da Castelnuovo...il quasi Papa...














mercoledì 25 giugno 2014

Una singolare grotta:"La Tana che Urla", fra leggenda,scienza e cronaca...

Nelle Alpi Apuane si aprono numerose
"la tana che urla"
grotte in fondo alle quali scorrono per effetto del fenomeno carsico numerosi corsi d'acqua sotterranei, che nei periodi invernali sono anche abbastanza impetuosi.Mettendo orecchie a queste grotte si ha l'impressione che una moltitudine di voci provenga dalla profondità di queste grotte,talvolta sembra di udire canti melodiosi, altre volte urla strazianti oppure bisbiglii sommessi.L'immaginazione popolare ha voluto che queste grotte fossero abitate da fantastiche fate o da terribili streghe.Fra le più famose per queste caratteristiche è difatti "la tana che urla",proprio così chiamata per le ragioni scritte prima.Incamminandosi per il Monte Forato(via Fornovolasco) e seguendo il sentiero n°6 ,dopo circa 1 km sulla destra,rialzata dal livello del sentiero, rimane questa singolare grotta famosa ai più per tre motivi:uno prettamente folkloristico per la sua bella leggenda,l'altro scientifico, mentre l'ultimo per un fatto di cronaca risalente al 1986 chiuso per fortuna senza conseguenze.Ma andiamo ad analizzare i tre aspetti.Cominciamo dalla leggenda che vuole un giovane minatore di Fornovolasco, mentre passava davanti alla grotta udì un melodioso canto. Aveva sentito dire che in fondo alla 
buca abitavano le fate. Rimase a lungo a sentire quei canti e nei giorni seguenti vi ritornò.Una mattina d’estate, mentre si recava a lavorare, volle passare davanti alla grotta per poter dare un’occhiata e vide una bellissima ragazza avvolta in un vestito leggero come le nuvole, Il minatore fu colpito dalla sua bellezza e tentò di avvicinarla, ma questa sparì come una spirale di fumo. Per giorni l’uomo tornò alla grotta senza alcun risultato.L’estate passò e, con l’arrivo dell’inverno, il giovane minatore rimaneva 
il suo interno
per lunghe ore a pensare  all’incontro che aveva avuto quella mattina.
 Divenne triste e si ammalò,nessuna medicina sembravano avere effetto sul giovane. Una notte, mentre giù dalla Pania scendeva un vento gelido, il minatore udì bussare alla porta. Aprì e trovò in terra un cesto colmo di fiori che nascono soltanto durante l’estate. Allora capì chi poteva avere portato fino alla casa quel cesto, uscì e corse verso la grotta. Riuscì a vedere la fata fuori dalla spelonca, le confessò il suo amore disperato. Ma la Fata gli disse che non era possibile e che se avesse mangiato quei fiori sarebbe guarito e l’avrebbe dimenticata per sempre. Ma il giovane insisteva; allora la Fata lo avvertì che se l’avesse seguita in fondo alla grotta non sarebbe più potuto tornare alla luce del giorno e, detto questo,si allontanò. Il minatore non si arrese e le corse dietro e le pareti della montagna si chiusero. Oggi dal profondo della grotta si sentono ancora le voci delle Fate e ogni tanto anche qualche colpo di piccone del minatore.Questo è quello che riguarda la bellissima leggenda.Mentre da un punto di vista scientifico "la tana" ha un notevole valore perchè suggerì ad Antonio Vallisneri (1661-1730)la teoria del ciclo perenne delle acque, in cui lo scienziato italiano (di Trassilico) confutò la cosiddetta “teoria marina”,che  riteneva che l’acqua scaturita dalle  sorgenti,
Antonio Vallisneri
fosse generata da quella marina penetrata in profondità, fatta evaporare dal calore interno terrestre 
entro le rocce e condensata nelle grotte sotterranee, secondo il principio dell’alambicco, per distillazione.(me l'hanno anche spiegata ma ho capito ben poco !!!).Per chiudere, questa grotta, è stata anche  protagonista sulle pagine nazionali di tutti i maggiori quotidiani, quando nel 1986 una scolaresca di un liceo di Lucca si avventurò all'interno della grotta per una lezione di geologia insieme all'insegnante di scienze ed alcune guide,quando sul più bello furono colpiti da un temporale che vide l'acqua interna alla grotta salire di livello e quindi intrappolare per ben 32 ore tutta la compagnia .La fortuna volle che cessò di piovere, così tutti poterono rivedere la luce del sole, avendo corso il serio rischio  di fare compagnia al minatore della leggenda...

lunedì 23 giugno 2014

La (probabile) visita segreta del Duce a Sassi...Gennaio 1945

Mussolini in Visita
Ormai era già tutto compromesso o quasi per il fascismo e la Germania nazista. L'ultimo baluardo era rappresentato dalla Linea Gotica (per i Tedeschi era meglio conosciuta come Appenninstellung o Grune Line), ma ormai stava per vacillare anche quella.Era da poco cominciato il 1945 il paese di Sommocolonia nel barghigiano era già stato liberato il 2 gennaio dalla 92a Divisione americana Buffalo.Dopo i vari scontri armati in tutta la Garfagnana gli alleati presero la definitiva consapevolezza di poter sfondare, infatti ormai le diserzioni nelle file di dei tedeschi e sopratutto da parte delle truppe italiane delle Divisioni Monterosa e Italia fedeli al Duce erano frequenti,mentre chi non disertava si consegnava in mano alleata.In tutta questa situazione nasce un episodio veramente particolare,purtroppo non provato ma abbastanza credibile,tutto questo nel paese di Sassi a pochi chilometri da Molazzana.Andiamo quindi a raccontare.
La particolare situazione e sopratutto le diserzioni avevano destato preoccupazione negli alti vertici dei comandi militari della Repubblica Sociale, bisognava in qualche maniera tenere alto il morale delle truppe e rendersi conto della reale situazione.Una sera non precisata del gennaio 1945 la signora Viviani Maria   di Sassi sentì bussare alla porta con insistenza (il padre gestiva un piccolo spaccio di vino e poche altre cose) andò ad aprire avendo in braccio il figlio Giuseppe nato da pochissimi giorni (il 20 gennaio '45),entrarono quattro ufficiali e chiesero da bere e di essere rifocillati. Uno dei quattro, dai modi piuttosto decisi ma cortesi, d'aspetto abbastanza imponente anche se non troppo alto e semi nascosto da una palandrana prese in braccio il piccolo e disse con voce solenne:
 - Ti auguro di avere una vita più fortunata della mia -.
Il Paese di Sassi
 Poi restituì il bimbo alla madre e, dopo poco, i quattro se ne andarono, ma nella mente di Maria rimase impresso quel profilo quasi conosciuto di quell'ufficiale che prese in braccio il bambino. E questo fu tutto ciò che la Maria ha ricordato sempre.  Sapete talvolta la vita ci lascia a bocca aperta, i destini si incrociano e si mischiano miracolosamente ed in maniera qualche volta stupefacente e quindi dopo qualche tempo finita la guerra,un parente della Viviani si sposò e andò a vivere in Piemonte. Qui conobbe un certo Gianni Bava, ufficiale appartenuto alla Repubblica Sociale Italiana e parlando del più ​​e del meno venne fuori della presenza nel comune di Molazzana di lui (il Bava) con altri ufficiali e nientepopodimeno con la presenza in prima persona,come disse il Bava,di Sua Eccellenza il Duce Benito Mussolini.L 'Ufficiale  dunque parlò di una visita fatta sul fronte garfagnino da Mussolini e ricordò l'episodio proprio del bimbo appena nato e della frase pronunciata dal Duce, tanto che il parente della Viviani vi riconobbe il fatto accaduto a Sassi e lo riferì poi alla stessa Maria,che l'uomo che aveva preso in braccio suo figlio era il Duce. L'episodio è abbastanza singolare e non esistono conferme della presenza di Mussolini sul fronte della Garfagnana. Si sa, però, per certo che egli visitò i bersaglieri della Divisione Italia nei giorni dal 24 al 26 gennaio 1945 (quindi pochi giorni dopo la nascita di Giuseppe) ed è accertato che si spinse sicuramente fino nei pressi di Aulla.Guardando la cosa da un altro punto di vista ci si rende conto che la sua presenza a Sassi può essere improbabile, sia perchè per raggiungerlo avrebbe dovuto percorrere la mulattiera che da Torrite viene a Sassi (era la normale via usata dai soldati.Una via carrozzabile al tempo non esisteva) a piedi o a dorso di mulo, sia  perchè una sua presenza al fronte, malgrado la grande segretezza con cui la visita venne condotta, non avrebbe potuto non lasciare qualche traccia tangibile.Altri tempi quando quindici anni prima (1930) visitò la nostra valle accolto con tutti gli onori ...

venerdì 20 giugno 2014

E la Pania comincio a "vomitare" fango e massi... Venti anni fa la tragedia. L''alluvione a Fornovolasco

Il giorno dopo "Il Tirreno"
Sono già passati venti anni da quel 19 giugno del 1996. Le previsioni meteo in Garfagnana avevano dato cielo sereno e terso...niente di più falso. In verità si stava formando sulle creste delle Alpi Apuane uno scontro di aria fredda proveniente dal nord Italia, con aria calda umida proveniente dalle coste, creando così una rapidissima evoluzione meteorologica, ed infatti violentissimi temporali si scatenarono a partire dal primo mattino sulle Apuane a cavallo fra la Garfagnana e la Versilia e precisamente nella "striscia" di terra compresa fra i paesi di Cardoso di Stazzema  e Fornovolasco. La mattinata passò quasi indenne a Fornovolasco,pioveva forte si, la Turrite si era ingrossata, ma niente lasciava  presagire a quello che sarebbe successo di lì a poco. Verso le ore tredici il disastro si compì,la pioggia si trasformò in vero e proprio diluvio, in poche ore il pluviometro delle Apuane registrò un valore cumulativo di precipitazioni da record pari a 440 mm in otto ore con una punta massima di 157 mm in un ora. Fatto sta che dalla montagna
scese acqua mista a fango e detriti che distrusse i ponti di
Fornovolasco, qualche mese
dopo l'alluvione
(foto tratta da facebook Laura Giannini)
Fornovolasco e le case. Dal Monte Forato che sta ad ovest del paese, ma sopratutto dalla Pania Secca e dalla Pania della Croce insieme all'acqua, questi monti "vomitarono" migliaia di metri cubi di terra dalla profondità delle loro viscere. Purtroppo la tragedia ebbe il suo apice con la morte della povera signora Isola Frati,la sua casa fu travolta dalla furia dell'acqua e dei massi. Il paese di Fornovolasco quel giorno rischiò veramente di sparire dalla faccia della terra. Ben più grave in fatto di vittime fu il bilancio versiliese. Cardoso contò quel maledetto 19 giugno ben 12 vittime. Lo stesso Gallicano è bene precisare a detta degli esperti rischiò seriamente quel giorno,fortuna volle che più a valle la diga di Trombacco fosse completamente vuota perchè in manutenzione e fu così in grado di accogliere l'impeto della gran parte della piena. A tragedia avvenuta ancora in molti non si spiegano la
Oggi Fornovolasco
tanta acqua precipitata in così poco tempo, mai era successa una cosa simile, mai da archivi storici locali risulta almeno in tempi moderatamente recenti una catastrofe simile.Comunque il paese si rimboccò le maniche e trovò l'immediata reazione dei suoi abitanti e degli enti locali e Fornovolasco un anno dopo poté già inaugurare i due ponti e la ricostruita Piazza Pascoli,nonché il ripristino della chiesa di San Francesco di nuovo agibile e affrescata dal maestro Paolo Maiani. Ad oggi Fornovolasco è ancora lì;grazie a Dio più bello che
prima.

mercoledì 18 giugno 2014

1751 a Gallicano arriva Padre Maurizio ...Il miracolo (vero) della caduta delle foglie in piena estate...

Padre Leonardo
mentre predica
 I fatti della vita spesso ci portano a dare delle priorità e in fatto di devozione dei santi i gallicanesi hanno le idee ben chiare: al primo posto naturalmente c'è San Jacopo, ma subito a ruota c'è un altro pio uomo che proprio nel nostro paese lasciò un segno indelebile, lui è San Leonardo da Porto Maurizio. Prima di arrivare al nocciolo della questione e del perchè questa persona sta tanto a cuore ai gallicanesi bisogna fare una doverosa premessa e partire proprio da quando il tempo era segnato da anni e anni di divisioni, lotte intestine, guerre e vendette, solo una cosa univa la nostra Garfagnana e l'Italia in genere: la religione e questo Papa Benedetto XIV lo sapeva bene, tanto da mandare in missione apostolica nei vari stati italiani, preti ma sopratutto frati per diffondere ancor di più la parola di Dio e di Santa Romana Chiesa. Correvano gli anni a metà del 1700 e fra questi predicatori vi era una figura che già odorava di santità in vita dal momento che si diceva che era già stato miracolato, quando nel borgo di Porto Maurizio (paesotto in provincia di Imperia) si ammalò di tubercolosi e dove nel giro di pochi anni guarì per l'intervento della Madonna, questo frate francescano era proprio padre Leonardo da Porto Maurizio al secolo Paolo Girolamo Casanova, che fin da giovane sentì la vocazione di predicare la parola di Dio in tutto il mondo, proprio in tutto il mondo, difatti la sua prima richiesta fu quella di fare il missionario in Cina, il cardinal Colloredo a questa esigenza così gli rispose: - La tua Cina sarà l'Italia !-, tale affermazione se si vuole fu anche giusta dal momento che alla fine del seicento l'Italia aveva abbastanza miserie e sufficienti disgrazie per essere considerata terra di missione. Cominciò così il suo girovagare per la nostra bella penisola, folle oceaniche accorrevano per sentire la sua parola, la sua predicazione incantava e impressionava allo stesso tempo, richiamava i fedeli alla penitenza e spesso la gente scoppiava in lacrime davanti alla drammaticità di certi momenti, era infatti cosa abbastanza abituale che frà Leonardo si sottoponesse a volontari tormenti, ponendo la sua mano sulle fiaccole accese, oppure arrivava perfino a flagellarsi a sangue, d'altronde come diceva lui “anche l'altro suppliziato pendente dalla Croce aveva sofferto per il nostro bene”. Sant'Alfonso de' Liguori lo definì senza esitazione “il più grande missionario del nostro secolo”, tanto è vero che la sua sua fama raggiunse anche i livelli più alti della scala sociale, era talmente grande da essere richiesto per intercessione papale dai regnanti dell'epoca, come quelli della Repubblica di Genova, ma il suo pensiero era sempre rivolto a quei posti sperduti ed inospitali del nostro Paese e nel suo peregrinare Padre Leonardo giunse anche in un remoto paese della Garfagnana, strategicamente importante perchè posizionato in modo da accogliere i fedeli di ben tre stati: Lucca, Firenze e Modena. Questo piccolo paese era Gallicano.                                         

" Conforme all'ordine avuto dal Santo Padre portò Leonardo la Divina Parola a Lucca ed in ogni luogo di quella Republica,dove predicò fece ammirabili frutti, di comporre antiche e notorie inimicizie,di togliere pubblici concubinati,e di ridurre anime a Dio,così fece a Camaiore e a Brancoli ,dopo di che passò a Gallicano dove chiamati i popoli confinanti di Modena,di Barga di Firenze fu tale il concorso che bisognò formare due ponti sul fiume Serchio  per agevolare il passaggio dei  concorrenti che formarono il numero di trentamila persone..."
il luogo del miracolo
 Santa Maria a Gallicao

                                  Ebbene si!...Avete capito bene. Alla predicazione di Padre Leonardo giunsero ben trentamila persone da ogni dove della valle e non solo, infatti come letto in precedenza fu necessario costruire due precari e provvisori ponti sul Serchio per agevolare il defluire di migliaia e migliaia di fedeli. Il più bello però doveva ancora accadere e la folla che accorse non rimase sicuramente delusa...è bene sottolineare che terra di miracoli non siamo mai stati in nessun senso e in nessun caso, ma quel giorno di agosto del 1751 rimase veramente mirabolante e stupefacente.
Padre Leonardo compì un vero prodigio, anzi chiamiamolo con il suo nome, un vero e proprio miracolo (infatti è riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa) quando in località Pianiza (o Pianizza) nei pressi della chiesa di Santa Maria in Gallicano, fu compiuto il cosiddetto “miracolo della caduta delle foglie in piena estate”, destando forte emozione fra la moltitudine di persone.
Si narra che frà Leonardo giunto nel pieno fervore del suo discorso esortò i devoti a pentirsi dei propri peccati con queste parole:
"Guardate fratelli e sorelle come cadono le anime all'inferno"
la lapide sul
 campanile di
 San Jacopo 
all'istante tutte le verdi foglie degli alberi della radura circostante caddero al suolo, figuriamoci lo stupore delle persone a tale evento, la gente cominciò ad inginocchairsi, a pregare e a piangere . Oggi a ricordare il miracolo ai piedi della torre campanaria della Chiesa di San Jacopo è posta una lapide messa nel 1958 dal “Circolo culturale Tognotti” in ricordo di questo portento e così dice: “Clero e popolo di Gallicano a perenne ricordo della missione predicata all'aperto nel 1751 in questa parrocchia da San Leonardo da Porto Maurizio e della prodigiosa caduta delle foglie dagli alberi circostanti, a conferma del gran numero da lui annunziato di anime che precipita all'inferno”. Reliquie del santo (fra le quali il suo bastone) donate da lui stesso al paese di Gallicano proprio quel giorno sono ancora fra noi e sono costudite gelosamente in una teca nella canonica di San Jacopo.
Quel giono di agosto fu la sua penultima predicazione, pochi mesi dopo consumato dalle fatiche missionarie venne richiamato a Roma dove tenne la sua ultima predica al cospetto del Papa. Padre Leonardo morì a Roma nel convento di San Bonaventura il 26 novembre 1751, accorsero i soldati per tenere indietro la folla piangente.
Perdiamo un amico sulla terra - disse Papa Lambertini – ma guadagniamo un protettore in cielo” e chissà se da lassù un occhio benevolo lo darà anche su Gallicano.

lunedì 16 giugno 2014

A proposito di Mondiali di calcio...Jonny Moscardini un barghigiano con la maglia azzurra

Jonny Moscardini con
 la maglia della Nazionale
I mondiali di calcio Brasile 2014 sono cominciati.I nostri cuori stanno trepidando per la nostra Italia .Già rivediamo la gloria del 2006 o i mitici "eroi" di Spagna '82,ma... a proposito la nostra valle ha mai fornito giocatori alla nostra Nazionale? Scusate, ma per me è così,dietro ogni evento cerco di trovarci qualcosa di storico o perlomeno di storicamente curioso.Comunque sia andiamo per ordine, a me ne vengono in mente due giocatori (non so a voi...) uno è Marco Tardelli (nato alla Capanne di Careggine) campione del mondo'82, mai fiero delle sue origini garfagnine,quindi personalmente non degno di menzione.L'altro è un pioniere del calcio nazionale anni '20 ed è Jonny Moscardini.Un bel personaggio,epico,leggendario,un uomo di tutto rispetto.Giovanni (il suo nome di battesimo) nacque a Falkirk in Scozia  nel 1897 da genitori barghigiani emigrati in quella terra.Era l'epoca del grande esodo nel territorio di Barga e dintorni,s'andava in cerca di fortuna. Jonny, naturalmente fu ribattezzato così in Scozia.In quella terra si innamorò del gioco del calcio.Incominciò ad appassionarsi a questo nuovo gioco che era capace di tenere con il fiato sospeso milioni di persone,ma anche qui sul più bello qualcosa ad interrompere il sogno intervenne.Lo scoppio della I guerra mondiale nel 1915 vide Jonny a diciotto anni arruolarsi volontario nelle forze armate italiane, (nonostante fosse nato in Scozia) andava a servire con onore la Patria delle sue origini.Malauguratamente nella disfatta di Caporetto fu ferito gravemente ad un braccio.Passò la sua convalescenza in Sicilia e quando
Jonny Moscardini il giorno dell'inaugurazione
del campo sportivo intitolato a suo nome
ritornò a Barga,paese natale dei genitori,la sua passione per il calcio riprese vita.Organizzò subito una squadra e fu così che le doti di Jonny vennero subito notate dagli osservatori della Lucchese (che allora militava in Serie A) e fu ingaggiato.La sua carriera partì dalla stazione ferroviaria  di Mologno
(Barga-Gallicano) con un biglietto per Lucca e di li fu un bruciare le tappe.Nel suo D.N.A le doti abbondavano ed i tecnici stravedevano per lui.Il treno della gloria passò poi da Pisa e Genova sponda genoana furono le tappe della sua bella carriera.Ma l'apice della suo successo fu toccato con le convocazioni nella Nazionale Italiana.Il funambolismo di Jonny e le serpentine incantarono anche uno dei  C.T (al tempo erano quattro...) della nazionale Umberto Meazza (niente a che fare con il famoso calciatore) e fu così che venne convocato per la prima volta nel novembre del 1921 con la Svizzera segnando poi il gol che permise all'Italia di pareggiare.Alla fine con l'italica maglia azzurra collezionò nove presenze e ben sette reti.La sua carriera improvvisamente terminò. Jonny antepose gli interessi familiari a quelli della carriera.Si sposò nel 1924 e decise di fare ritorno in Scozia e formare una solida e sana famiglia e dove aprì a Prestwick il Lake Cafè
il giorno della sua morte
 "La Nazione" titolava così
fino al 1960 anno della pensione.Barga poi nel 1979 gli intitolerà il campo di calcio locale Morì nel 1985 in Scozia all'età di 88 anni e lassù magari incanterà ancora le platee calcistiche a suon di ubriacanti dribbling...


venerdì 13 giugno 2014

Dante, la "Divina Commedia" e le Alpi Apuane: da Aronte, alla Pania della Croce per finire alla Tambura

Ebbene si, Dante Alighieri, il Sommo Poeta, conosceva  i nostri monti
e le nostre valli. Voi mi direte che mi sono bevuto il cervello e vi starete domandando come mai cotanto personaggio fosse a conoscenza di questi luoghi impervi e selvaggi. 
Eppure è così, abbiamo un privilegio che pochi hanno, ossia che le "nostre" Alpi Apuane siano citate nella "Divina Commedia", ed in particolare vi sono menzionati: la Pania della Croce, il Monte Tambura e Aronte protettore delle Apuane...Bhè! Andiamo allora nel particolare...Prendiamo i versi della Divina Commedia in questione e poi andiamo a spiegare:

"Per ch’io mi volsi, e vidimi davante
e sotto i piedi un lago che per gelo
avea di vetro e non d’acqua sembiante.
Non fece al corso suo sì grosso velo
di verno la Danoia in Osterlicchi,
né Tanaï là sotto ’l freddo cielo,
com’era quivi; che se TAMBERNICCHI
vi fosse sù caduto, o PIETRAPANA,
non avria pur da l’orlo fatto cricchi"

La Pania della Croce
Questi versi fanno parte del XXXII° Canto dell'Inferno (versetti 28/30) e qui Dante narra che alla fine dell'inferno, nella cosiddetta Caina, dov'è imprigionato Satana vi sia uno spesso strato di ghiaccio, che non farebbe nemmeno una crepa se la Tambura (Tambernicchi) o la Pania della Croce (Pietrapana) vi fossero crollate sopra. E' bene dire che un tempo la Pania veniva chiamata "Pietrapana", in quanto questi monti, come sappiamo, oltre duemila anni fa furono abitati dagli Apuani, difatti anche la sua vetta per eccellenza, la Pania della Croce, aveva preso il nome da questi antichi abitanti. Fu per questo che gli antichi romani la battezzarono "Pietrae Apuanae", nome divenuto poi "Pietrapana" cioè "monte degli Apuani". Per quanto riguarda la Tambura le teorie sono discordanti, ma alcuni esperti ed insigni studiosi della Divina Commedia(vedi il Del Lungo e il Porena)  affermano che dai remoti scrittori del tempo la Tambura sarebbe stata chiamata "Stamberlicche" o "Stanberliche", comunque l'elemento più valido a sostegno dell'identificazione di tale monte è l'appartenenza della Tambura allo stesso gruppo montuoso della Pania della Croce (citato insieme nei soliti versi),gruppo montuoso del quale Dante ebbe sicuramente visione. Non dimentichiamoci che il Sommo Poeta nel suo esilio fu ospite dei Malaspina nel lontano 1306,
Fosdinovo Castello Malaspina
nel loro castello di Fosdinovo, quindi ebbe sicuramente l'opportunità di essere profondamente colpito dalle nostre magnifiche montagne. Infine, il Sommo, volle dare lustro al protettore delle Apuane: Aronte. Infatti, la fama dell'indovino etrusco
 raggiunse più di mille anni dopo anche  Dante Alighieri, tant'è che citò  anche lui nella Divina Commedia, nel XX canto dell'inferno e lo immaginava in una spelonca tra i bianchi marmi sopra Carrara da dove poteva guardare il mare e le stelle: 

"Aronta è quei ch’al ventre li s’atterga,
che ne’ monti di Luni, dove ronca
lo Carrarese, che di sotto alberga,
ebbe tra bianchi marmi la spelonca
per sua dimora; onde a guardar le stelle
E’l mar non gli era la veduta tronca."

Dante contribuì in maniera essenziale a rendere la sua figura 

Bivacco Aronte
leggendaria nei secoli, l'amore di questo aruspice per le sue montagne salì a simbolo di esse, tant'è che si racconta (e qui si entra nella leggenda) che Aronte era un gigante che aveva il compito datogli dagli Dei di difendere le Alpi Apuane dagli attacchi dei nemici che provenivano dal mare.

mercoledì 11 giugno 2014

Oliviero Mancini il "re" dei mulattieri.Quattro volte a piedi il giro della Terra

Il Re dei mulattieri
Oliviero Mancini e i suoi muli
La storia è fatta di personaggi ma non sempre è fatta dai "soliti noti"come Garibaldi,Napoleone e via dicendo... Per meglio intendersi rimanendo sull'argomento nell'ambito garfagnino è bene dire che non esistono solo il Pascoli,il Fabrizi o il Mordini a dar vanto alla nostra terra, ma la storia del viver quotidiano è fatta anche dai personaggi del luogo,dalla gente di paese,quelli che non per forza hanno contribuito con opere d'arte,poesie o imprese leggendarie a render lustro alle valle,ma magari gli è bastato entrare nel cuore della gente per la loro bontà o disponibilità o per un servizio ben reso alla comunità.Questa infatti è la storia di "uno dei tanti" che andremo a raccontare in queste pagine.Oggi è il turno di Oliviero Mancini il mulattiere più emblematico e caratteristico della Garfagnana che per quarant'anni ha assicurato il collegamento giornaliero fra San Pellegrinetto  situato oltre i 1000 metri e Gallicano.Nato in quello splendido paesino nel comune di Vergemoli nel 1905 subito da bambinetto inizio il trasporto a mezzo di mulo,sostituendo il fratello maggiore Modesto (che gestiva il negozio di famiglia)  caduto nella I guerra mondiale (insignito in seguito della medaglia d'argento al valore).All'epoca,è bene subito far chiarezza, i residenti sulle montagne erano molti,ancora era lontano l'esodo a valle delle popolazioni montane e la strade era una chimera.Per questo infatti c'era Oliviero che partiva assai prima dell'alba per Gallicano,il suo servizio consisteva nel rifornire il bar-alimentari di famiglia in San Pellegrinetto.Alla testa di due,tre muli per viaggio (ne possedeva 19 che poi  alternava) carichi di carbone,legname frutti di bosco,panetti di burro,suini macellati arrivava a Gallicano dove scambiava la merce con i negozianti .Al mattino il suo arrivo era
Una vecchia cartolina di San Pellegrinetto
 paese natale di Oliviero Mancini
annunciato dallo schioccare della frusta  alla quale faceva emettere suoni festosi di saluto come facevano i migliori domatori di leoni dei circhi più famosi...era quasi una magia e a richiesta addirittura concedeva il bis .Ai bambini una volta raggiunta Piazza Vittorio Emanuele II prima di ricoverare i muli nelle stalle concedeva l'onore di cavalcare le proprie bestie per qualche metro. Dopo pranzo si recava al bar a farsi un litro (forse anche due... ) di rosso.Poi verso le tre del pomeriggio  caricati i muli di provviste ripartiva per l'alpe  con l'immancabile concerto di frusta  e ripartiva inerpicandosi verso la via di casa e raggiungeva il paese ormai a notte fatta.Così tutti i giorni che nostro Signore metteva in terra,sia nei rigidi inverni che nelle torridi estati fino al 1955.Quarant'anni di servizio 1915-1955 che lo portarono calcoli alla mano fatti allora dai negozianti ed amici a compiere quattro volte il giro del mondo a piedi ,figurarsi quante volte aveva compiuto la tratta San Pellegrinetto Galliicano andata e ritorno...Il "Re dei mulattieri" gli ultimi anni di vita li trascorse con il figlio Don Ascanio parroco a Pontecosi dove si spense a tarda età

lunedì 9 giugno 2014

Le prime T.V in Garfagnana: Quando la Maria vide per la prima volta la televisione...1960...

La vita è fatta da piccoli fatti quotidiani che oggi nel 2014 possono essere a giusto titolo  fatti abitudinari, ma una volta erano considerati eventi straordinari.Fino agli anni 60, ad esempio la televisione (che oggi come minimo ne abbiamo due in ogni casa...) era un gran lusso che pochi si potevano concedere ed anche in Garfagnana era così.Fino ad allora il mezzo d'informazione più diffuso era la radio dove passavano tutte le notizie e gli intrattenimenti. La televisione aveva fatto il suo esordio in Italia nel 1954 mentre in questo racconto che vado a narrarvi (svolto in un paese dell'Alta Garfagnana) siamo già agli inizi degli anni 60  e narra la prima volta che la Maria incontrò la televisione, un incontro che oserei dire tragicomico...
"Nel paese si fa un gran parlare del nuovo aggeggio del prete che ha comprato ed installato in una stanzetta in canonica,in quella saletta delle riunioni della donne dell'azione cattolica.La stanza ha il pavimento di legno che fa da soffitto al porcile dove grugniscono ed ingrassano i due maiali acquistati per Santa Lucia a Castelnuovo." 
Siamo come detto negli anni 60 e la televisione fa il suo primo ingresso anche in montagna tra selve e metati,ed il prete è un vero "modernista" (come dice la Maria) a cui sta a cuore tenere vicini i parrocchiani.
"Prima di accendere l'apparecchio -continua- c'è sempre il fervorino (N.D.R: breve, ma sentito discorso religioso) per richiamare alla fede i tiepidi paesani che credono più alle loro poderose mule,agli streghi ed ai linchetti che alla Santa Misericordia.In una fredda e buia sera d'inverno dunque si va in canonica e con una modica spesa data al prete per contribuire alle spese della luce e dell'apparecchio, si può andare "a giro" per gli spettacoli e le cose appaiono meravigliose sullo schermo traballante, sfocato e pieno di "neve", ma è così bello! Era tutto così interessante quella sera che non ci si meravigliò di certi scricchioli ne al successivo salto al piano sottostante senza usar le scale...il pavimento cedette all'improvviso. I maiali se ne accorsero e si difesero dagli invasori con le uniche armi che avevano,gli unghioli.Tutto si risolse tuttavia con tanta paura,ma senza conseguenze gravi:un braccio rotto,delle escoriazioni in volto e sulle braccia e qualche nuovo moccolo coniato per l'occasione.La Gildona tornò a casa sgraffiata e polverosa,senza il fazzoletto e con la maglia strappata".
Il marito della Gildona raccontò in seguito all'avvenimento che la stessa sera la guardò a bocca aperta...Chi mai era riuscito a metterle le mani addosso? Chi era quel sacramento che era arrivato dove lui ormai dopo vent'anni di sforzi e buoni propositi non era più riuscito?Il marito era convinto di un ipotetico tradimento...
"Puttana dove sei stata stanotte? Chi t'ha cunciata così"
 e la Gildona  
"E' stato il prete"
 ammise la donna innocentemente che continuò
"Perchè gliero monta a cavalluccio e lui mi ha treppiato"
   "Ha fatto pur bene così impari a star dietro le tonache del prete e la sera  vieni a letto" 
ribatte il "su omo" quasi compiaciuto credendo quasi ad un raptus del pievano.Allora la Gilda raccontò tutto l'accaduto chiarendo il fatto e il marito  proibì in futuro alla Gilda di vedere la televisione perchè così disse il marito:
"Ben ti sta è il Signore che t'ha castigato te e il prete perchè quel coso  me l'han ditto l'ha inventato il diavolo..."



venerdì 6 giugno 2014

Il mito dell' "Omo Selvatico", signore del Monte Corchia

                        Di esseri fantastici
Un'antica rappresentazione
 dell'Omo Selvatico
la Garfagnana è ben popolata,alcuni fra gli abitanti più anziani della nostra valle sarebbero dell'avviso che tanto fantastici non sono, anzi c'è chi giurerebbe di averli visti...Ma andiamo nello specifico.Alcuni luoghi delle Alpi Apuane particolarmente inospitali sono diventati con il tempo teatro di leggende spaventose.Zone impervie,poco frequentate anche dagli stessi pastori che vi pascolavano i loro greggi tutti giorni.Si dice appunto che questi pastori avessero visto streghi e streghe e addirittura esseri soprannaturali come in questo caso l'Omo Selvatico.I pastori una volta ritornati in paese dai pascoli raccontavano di questi esseri e da lì il mito si spandeva a macchia d'olio in tutta la valle.In questo caso l'Omo Selvatico è descritto dal carattere schivo e taciturno e dal fisico muscoloso,alto, possente, a metà strada fra un uomo ed un gigante che camminava scalzo,ed in alcuni casi con grosse scarpe fatte di corteccia d'albero (c'è anche la versione che lo vuole vecchio e logoro vestito di pelli).La sua "casa"  era situata fra la Pania della Croce e il Monte Corchia vicino a Mosceta,dove ancora oggi vi

è la buca dell'"Omo Selvatico". Viveva sempre all'interno dei boschi,non dava noia alcuna,si cibava di erbe,radici e di miele che trovava nei tronchi degli alberi.Addirittura c'è chi l'ha sentito parlare una lingua incomprensibile,indecifrabile,comunque sia con lui era impossibile comunicarci data l'estrema timidezza.A questo personaggio sono attribuite molte bizzarrie,c'è chi dice che mangiando la frutta mangiasse la buccia,buttando via la polpa,c'è anche chi parla della sua tristezza per quando il tempo era bello e solatio perchè sapeva tanto che prima o poi sarebbe tornato il brutto tempo e infine si dice che riposava con il bel tempo e
la buca dell'Omo Selvatico nei
pressi del Monte Corchia
Qui si dice che vi viveva
lavora quando pioveva.Ma il mestiere in cui eccelleva in particolar modo era la pastorizia, era un abile pastore tant'è che un giorno si mise a guardare dal limite del bosco i pastori garfagnini che mungevano le loro mucche,quando poi vide che parte del latte veniva buttato via si avvicinò e disse loro che con quel latte buttato poteva esserci fatto del soffice burro e così fecero.I pastori felici lo invitarono a pranzo ma lui non volle accettare e fu trattenuto con la forza nella speranza che insegnasse loro ancora nuove cose e difatti insegnò loro a fare il formaggio.I pastori per ingraziarselo lo rimpinzavano dei cibi più succulenti e delle bevande più buone,così con il tempo istruì loro a fare anche la ricotta, a quel punto i pastori convinti di aver imparato tutto gli dissero che poteva tornarsene nella sua grotta nel bosco.Ma il pastore più anziano si rivolse agli altri suoi colleghi additandoli come dei poveri stupidi,se fosse rimasto ancora con loro gli avrebbe spiegato come fare a levare l'olio dal latte.
Il monte Corchia visto
 dalla Pania della Croce
 Il regno dell'Omo Selvatico
Invano i pastori cercarono di trattenerlo ma l'Omo Selvatico visto com'era fatto il mondo a valle decise per sempre di non lasciare mai più le pendici del Corchia...  

mercoledì 4 giugno 2014

Una lontana comunione del 1929.Cronaca di un semplice giorno di festa...

Maggio e giugno è tempo di Comunioni e questa è la storia di una lontana comunione del 1929.I tempi sono veramente cambiati adesso spendiamo soldi a palate per questo sacramento, quasi come se fosse un matrimonio, decine e decine di invitati,
il miglior ristorante, bomboniere, vestiti costosissimi per non parlare poi dei regali di parenti e amici, tutti di prima scelta...Ci mancherebbe altro è giusto festeggiare ,è giusto fare contento il bambino...Ma una volta era diverso, anche se i nostri nonni festeggiavano in povertà la dignità e la sacralità di tale festa era in prim'ordine.Questa come detto è la cronaca testimoniata in prima persona di una lontana comunione del 1929 di una bambina gallicanese..
"Era una domenica mattina del mese di giugno,non ricordo la data esatta.Il ricordo della mia prima comunione è uno dei più bei ricordi della mia vita.Rammento che la notte prima non riuscì a dormire molto,il pensiero che andavo a ricevere Gesù per la prima volta mi creava uno stato di emozione infinita.Tutto questo mi metteva dentro una trepidazione palpitante,avrei indossato l'abito bianco per la prima volta.La mia mamma l'aveva comprato con tanti sacrifici e con l'aiuto degli zii,addirittura avrei portato pure il velo spesso e ricamato come una mantiglia (n.d.r:mantellina di pizzo,di seta o di lana lavorata a mano),anche le scarpe sarebbero state bianche di tela, non di pelle perchè costavano troppo. Ci avviammo in chiesa, ricordo il parroco che mi comunicò era Monsignor Massimo Nobili (n.d.r: Pievano di Gallicano dal 1896).Rammento mio padre che mi  accompagnò all'altare,era bello mio padre,un lavoratore della terra,era alto quasi un metro e novanta e per l'occasione il babbo rispolverò il vestito dello sposalizio che indossava per le grandi occasioni.Al ritorno dalla Santa Comunione la mamma aveva preparato il pranzo e grande fu la sorpresa.La mamma per l'evento aveva comprato gli spaghetti alla bottega dell'Emma, era la prima volta in vita mia  che li mangiavo.Ci facemmo quindi per primo gli spaghetti al burro e di secondo eccezionalmente la carne di vitello,mentre ai dolci ci aveva pensato la nonna.Che felicità ! Allora non si potevano fare costosi regali ma io ero contenta ugualmente per quelle piccole grandi cose che mi avevano regalato: il libretto con la foderina di madre perla che mi sarebbe servito per andare alla messa,la coroncina, cose utili per la scuola.Una mia zia mi regalò
una borsetta bianca insieme a un vestitino di raso rosa ornato da dei bugnetti d'ape fatto con le sue mani ed infine un cappellino di paglia con le spighe di grano.Peccato che tutto sia passato, mi piacerebbe rivivere ancora quei momenti, mi piacerebbe rivedere ancora tante persone che non ci sono più..."
Storie di vita che appartengono ormai al passato... 

lunedì 2 giugno 2014

Perchè si dice"Menare l'orso a Modena"? La singolare storia di un oneroso detto...


"Menare l'orso a Modena". Questo è un vecchio detto che forse con il tempo si è fatto desueto, ma che ancora molti conoscono, specialmente in Garfagnana. Il perchè di questo adagio è legato ad una storia ben singolare, risalente addirittura al 1451.Per chiarire meglio l'episodio guardiamo nello specifico lo stretto significato del curioso detto. Difatti tale adagio sottolinea il fatto di accingersi a fare un impresa difficilissima, addirittura quasi impossibile. L'origine del detto nacque nei pascoli garfagnini a cavallo con l'appennino reggiano. All'epoca lo sfruttamento del pascolo e dei boschi era cosa ben seria, tanto che su questioni di confini si scherzava poco. Le liti continue talvolta sfociavano anche in omicidi con i confinanti lombardi (così era chiamato in Garfagnana chi viveva al di là dell'Appennino). Con il tempo che scorreva queste pesanti diatribe erano diventate fin troppo frequenti, era arrivato il momento di giungere ad una soluzione, bisognava che lo Stato intervenisse. Al tempo lo stato in Garfagnana non era Roma, ma era rappresentato da Ferrara e dai suoi governanti: gli Estensi. Con buona pace di tutti l'allora duca di Ferrara Borso 
Borso d'Este 
concesse ai garfagnini la deroga a poter sfruttare pascoli e boschi anche oltre Appennino, ma in cambio il duca fece una bizzarra richiesta. Con un atto pubblico del 28 luglio 1451 rogato da Baldassare Bardella notaro ferrarese, la comunità si impegnava di condurre ogni anno in perpetuo tempo per la festività del Santo Natale il canone di un orso vivo alla corte del duca. Originale richiesta quella ducale non c'è che dire. L'orso infatti doveva servire da preda per le battute di caccia che si facevano a corte o anche per inscenare divertimenti a palazzo durante le suntuose feste. Si può immaginare la difficoltà nel reperire tale animale e l'altrettanto improba missione di condurlo vivo a Modena attraverso impervie montagne, dirupi e valli... Fu allora da questo fatto che in Garfagnana scaturì questa massima, per indicare proprio una "mission (quasi) impossible". Ma la storia comunque sia non finì qui. Ricordiamo al caro lettore che il sopracitato accordo era perpetuo e difatti, nonostante che i secoli e i regnati passassero, tale obbligo rimase e a confermare la circostanza fu una lettera del 15 giugno 1607, il duca Cesare d'Este ribadiva l'impegno da saldare ogni anno, ma data la difficoltà nel reperire orsi (anche perchè forse venuti meno...) si accontentò prima di un cinghiale e poi di un maiale di circa libbre 300 (90 Kg): 

"II Comune et hommi de Carfaniana hanno a dare ogni anno al Nostro Signore a la Festa de Natale per feudo de gabella orsi uno o uno porcho cengiario, e quando non potessero dare dicto orso o porcho cengiario, debbano dare uno porcho domestico di libbre 300"  
Fra orsi, cinghiali e porci si arrivò addirittura al 1740 e al duca di quel tempo non importava un bel niente del vario "bestiaro", nonostante ciò non tolse tale tassa, bensì la tramutò in bei soldoni. Quindi per Natale niente animali, ma ben 12 ducati d'oro... La sospirata "liberazione" da funesta ed insolita gabella arrivò solamente con l'Unità d'Italia. La tassa quindi cessò, ma il detto continuò la sua vita fino ai giorni nostri, ricordandoci cheIn questo mondo non v'è nulla di certo, tranne la morte e le tasse" .