mercoledì 25 maggio 2016

La carta annonaria e la "borsa nera" in Garfagnana. I duri anni della II guerra mondiale

La mamma si ricordava sempre di quella comica scena.Eravamo
nei primissimi anni '40 del 1900 a Gallicano,quando lei bambina andò dal suo babbo e candidamente gli chiese:-Ascolta babbo, perchè per comprare il pane bisogna sempre andare dalla signora Annona che abita in fondo a Via Cavour?-,la risata di suo padre fu fragorosa, ma volle però fare subito chiarezza per evitare qualche imbarazzante qui pro quo: -L'annona non è una donna ma è l'ufficio comunale che ci da delle carte per comprare il pane, il latte o la carne- a questa risposta la mamma sorridente se andò soddisfatta per aver chiarito il suo dubbio. C'era poco da ridere in quei tempi però. Negli anni duri della seconda guerra mondiale l'alimentazione dei garfagnini (e non solo) veniva regolata dalle tessere annonarie, tale bizzarro nome faceva riferimento alla Dea Italica Annona, che nella mitologia latina aveva il compito di proteggere i magazzini e le riserve alimentari, nome più calzante di questo non poteva essere dato, il nome però con cui dai più fu tristemente conosciuta era "tessera della fame". Tale tessera segnò la vita di grandi e piccoli, il cibo quotidiano veniva distribuito e razionato, erano questi i primi sintomi di una crisi economica che l'Italia accusò con l'entrata in guerra. La scarsità di generi alimentari e l'aumento dei prezzi fece in modo che fosse creata la carta annonaria, da quei rettangolini di carta dipendeva la sopravvivenza di ognuno, metronomi del rimanere in vita erano appunto gli uffici municipali dell'annona che provvedevano a fornire ogni due mesi il rinnovo carta, una per ogni membro della famiglia. Avevano diversi colori, un colore per una determinata fascia d'età: verde per i bambini fino agli otto anni, azzurre dai nove ai diciotto anni, mentre per gli adulti erano grigie. Depositarie di cotanto tesoro di solito erano le madri garfagnine, numi tutelari dell'appetito familiare, guai a smarrire quelle carte, pena il digiuno. Abitualmente il nascondiglio dove conservare queste carte era sotto il materasso, li si sperava di mantenerle ben stese e stirate e pronte all'uso prima di andare in bottega. In quei tempi le code davanti alle botteghe erano un fatto usuale, tutti in attesa del proprio turno.I 
In fila per il pane
bottegai prima di aprire facevano operazione di controllo sulle carte, nelle quali erano riportate con inchiostro indelebile tutte le generalità di ogni membro familiare. Con l'andare della guerra i razionamenti e i regolamenti sulla distribuzione di cibarie si fecero sempre più stringenti. La provincia di Lucca ordinava che nel mese di giugno 1940 lo zucchero fosse distribuito nella quantità mensile di 500 grammi a persona, nei mesi successivi ci furono restrizioni sul burro (anche qui 500 gr mensili cadauno), perfino le quantità di latte furono ridotte (tranne che per bambini e ammalati).Invece i detentori di maiali dovevano dichiarare il numero delle bestie in loro possesso, esclusi due per il fabbisogno familiare, il resto doveva essere consegnato all'ammasso (n.d.r: disposizione di legge che imponeva ai produttori di cedere allo stato ad un prezzo fissato d'autorità generi alimentari e merci varie), anche gli allevatori di bovini subirono le solite limitazioni. Nel 1941 sempre la provincia di Lucca regolò la vendita di carne,la distribuzione fu prevista esclusivamente nei giorni di sabato e domenica, per le frattaglie nei giorni di lunedì, martedì e mercoledì. Sempre nel solito anno stessa sorte subì il pane che fu ancor più razionato,la razione giornaliera per famiglia fu portata a 200 grammi. Nel 1942 fu fatto divieto di vendere pane raffermo extra tessera, anche quello doveva essere ripartito fra la clientela che regolarmente esibiva la carta. Immaginate voi come era complicato districarsi fra tutte queste variazioni che si susseguivano a ritmi paradossali, talvolta
Manifesto del comune di Modena
che regolamenta la vendita
di farina di castagne attraverso
carta annonaria
venivano annunciate tramite manifesti e più raramente sui giornali. In tutta questa gran confusione emersero due cose, una bella ed una brutta:l'arte dell'arrangiarsi e la cosiddetta "borsa nera", il contrabbando. Sull'arte dell'arrangiarsi noi garfagnini siamo stati sempre superiori a tutti, difficilmente nei secoli abbiamo avuto una mano santa che potesse darci una mano a campar meglio e anche questa volta nel male fummo capaci di arrabattarsi in qualche maniera, eravamo avvantaggiati naturalmente dal vivere in mezzo alla natura e ai suoi frutti e l'inventiva ci portò ad esempio a sostituire il (raro) burro con un pezzo di grasso di maiale, mentre la solerzia delle mamme portò ogni genere di frutta a diventare una simil marmellata che divenne così il companatico per quietare i morsi della fame, sopratutto dei bimbetti. Anche le erbe selvatiche, ogni tipo di erbe commestibili vennero lessate per sfamare grandi e piccini, non parliamo poi della castagne che cucinate in mille modi diversi per l'ennesima volta salvarono letteralmente i garfagnini 
dai morsi della fame. L'arte dell'arrangio si contemplò anche in altri campi del viver quotidiano, sperare in abiti nuovi era a dir poco un'utopia, pantaloni, camicie, giacche venivano riadattate, rivoltate e passate da padre in figlio e da fratello a fratello, chi poteva permettersi delle scarpe, di risuolatura non se ne parlava, per fare ciò si ricorreva ai copertoni usati delle biciclette. La carta annonaria prevedeva anche la distribuzione del sapone che era stabilito in un pezzo al mese e per questo sempre insufficiente e così le donne impararono a lavare i vestiti con il "ranno" (n.d.r: miscuglio di cenere e acqua bollente).Purtroppo c'era chi di queste tessere ne faceva un uso poco accorto, infatti era abbastanza comune che la gente si facesse anticipare tutti i bollini del mese dal bottegaio, ma una volta terminati niente si poteva fare, bisognava solamente aspettare il mese successivo,questo accadeva perchè i prezzi variavano di mese in mese e tanti preferivano prelevare tutto quanto fosse possibile in un unica soluzione. Ma se tenevi in casa ciò che 
l'arte dell'arrangio...Un orto di guerra,
rispettatelo
avevi ricevuto, ovvio che eri tentato di consumarlo e quindi a rimanerne senza e fu così che abbienti contadini garfagnini si approfittarono di questa situazione facendo contrabbando di generi alimentari che erano stati nascosti all'ammasso di cui sopra detto. Questa è una pagina poco risaputa nella nostra valle ma è giusto dire che alcuni delinquenti in questa tragica situazione si fecero ricchi. La "borsa nera" in Garfagnana era già presente tra il 1941 e il 1942 nonostante ci fossero severissime sanzioni per chi praticava queste malefatte (n.d.r: il governo arrivò ad applicare la pena di morte per i casi più gravi). Chi disponeva di vari generi (sopratutto alimentari) senza scrupoli cominciò a venderli a prezzi elevatissimi, chi non aveva abbastanza soldi per pagare scambiava il cibo con anelli e catenine d'oro (n.d.r: questo fino al 1 agosto 1942 quando tutto l'oro doveva essere destinato alla Patria), nei casi più fortunati lo scambio avveniva con un iniquo baratto di merci. Da testimonianze locali questi accaparratori si facevano pagare cinquanta o sessanta lire quello che costava dieci. Una menzione particolare sempre secondo mie interviste invece andava rivolta a quasi tutti i bottegai della zona che si comportarono da veri amici della gente, furono solidali aiutarono tutti, assicurando un pezzo di pane in più, perchè tutti avevano diritto di mangiare,questo senza distinzione di censo e mestiere. Un occhio di riguardo veniva dato a quelle donne che avevano il figlio o il
"Noi tireremo diritto" Palazzo Comunale
Gallicano
marito caduto in guerra, vestite a lutto stretto, in testa un cencio nero e per mano un figlioletto scalzo con i calzoni rattoppati e il moccio al naso. La guerra poi grazie a Dio finì, ma fu un difficile e lento ritorno alla normalità, le carte annonarie restarono fino al 1949 a ricordare beffardamente l'immane tragedia che avevano subito i garfagnini e gli italiani in genere.

Quei giorni rimasero indelebili nella memoria di chi li visse e il pensiero di queste persone ancora oggi va al consumismo attuale e allo spreco, e quand'è così quei maledetti anni vengono prepotentemente sempre in mente. Impossibile dimenticare! 

mercoledì 18 maggio 2016

Dalle Zinabre alla Margolfa. Viaggio negli esseri fantastici della Garfagnana

Il gruppo delle Panie
Ogni popolo e cultura sulla Terra ha le proprie storie, tradizioni,
miti e credenze legate a mostri, creature leggendarie e animali fantastici. Quello che altrove si è perso in Garfagnana e sulle Alpi Apuane resiste, radicato ormai nella vita della comunità, sono echi ancestrali, di culti pagani è un mondo di mezzo questo, un qualcosa di fantastico che sta fra il sacro e il profano, popolato da creature dalle mille forme, tali esseri le possiamo trovare anche in leggende dell'antica cultura romana e greca o addirittura nei racconti dei popoli nordici. Quando si parla di queste creature innanzitutto dobbiamo tener presente che in una data cultura e in un determinato momento storico sono stati creduti esseri reali, quindi effettivamente esistiti. Oggi analizzeremo non quegli esseri che ormai tutti nella nostra valle conoscono e già sono stati frutto dei miei articoli come il buffardello, l'Omo Selvatico o le fate, ma andremo appunto ad esaminare alcune di quelle creature sconosciute a molti ma che una volta nelle notti d'inverno qualche anziano, al fuoco del camino raccontava e giurava di averle viste.
Questa ad esempio è la storia dell'OMO VERDE, si dice che fra le Alpi Apuane sia sempre esistito. Vive nelle grotte e negli anfratti più inospitali delle nostre montagne, si nasconde fra gli alberi e le rocce in modo tale da mimetizzarsi con l'ambiente circostante e rimanere invisibile a tutti, preferisce però celarsi dentro i castagni dai tronchi cavi in cui è capace di stare immobile per giorni interi. Così quando andrete a far passeggiate ed escursioni per le Apuane se vi sentite osservati è sicuramente l'Omo Verde che vi sta scrutando, ma non c'è da aver paura  e vano sarebbe se qualcuno lo volesse individuare o seguire, sicuramente non si farebbe nè vedere nè prendere. Un tempo era abbastanza usuale per pastori, carbonai e cavatori intravederlo, ma impossibile era avvicinarlo. Si racconta di un pastore di Vagli che da ragazzo lo vide quando con suo padre si recava ai pascoli sul Monte Fiocca.Narra così che quando l'ora era tarda e si era ormai sul far della sera,in lontananza su uno sperone di roccia del monte Sumbra lo vide, era seduto la in alto e seguiva il volo di un falco e ne seguiva la direzione muovendo un braccio, aveva anche uno zufolo che cominciò a suonare, ad un tratto una moltitudine di uccelli di ogni sorta e razza cominciarono volteggiare sopra la testa dell'essere facendogli festa e poi all'improvviso come erano comparsi altrettanto rapidamente se ne andarono dispersi nel vento. Gli unici che temevano l'Omo Verde erano i cacciatori, che pur non vedendolo sapevano che avrebbe avvertito gli uccelli della loro presenza. Ancora oggi nel profondo silenzio delle montagne, sia al sorgere e al tramontar del sole risuona un canto melodioso e sublime è l'Omo Verde che saluta tutti i volatili delle Apuane. 
Simili creature le possiamo trovare al femminile nelle ZINABRE, anche loro abitano nelle selve delle nostre montagne e sono fanciulle misteriose, dormono nelle grotte e per cuscino hanno dei tronchi ricoperti di muschio. Di muschio sono fatti anche i loro vestiti e anche loro (così come l'Omo Verde) difficilmente si fanno vedere. Da dove arrivino nessuno lo sa, si può pensare che siano le antiche abitanti del bosco e che da loro dipenda l'andamento dei raccolti e delle stagioni. Per tutto dire hanno un caratterino niente male, sono gentili si, ma anche permalose fuor di maniera. Ne sapeva qualcosa quella coppia di pastori marito e moglie che abitavano ai piedi della Pania. Un bel giorno una Zinabra gli venne a far visita e alla vecchia pastora donò un pane che mai sarebbe finito, ma la pastora di più non doveva chiedere, questi erano esseri che facilmente si indispettivano e senza esitare si sarebbero poi vendicate,infatti state a sentire quello che successe. Le terre di questi pastori erano fra le più fertili della zona e gli animali che vi pascolavano tra i più belli del circondario e ogni anno riuscivano ad ammassare grandi quantità di fieno e riempivano la cantina di ogni prelibatezza. Le Zinabre spesso si avvicinavano alle stalle dei pastori e si facevano pure vedere tant'è che la moglie lasciava loro delle ciotole di latte di cui erano golosissime, facendo in questo modo credeva di ingraziarsi queste creature che avevano appunto il potere di regolare raccolti e stagioni, ma un dì qualcosa andò storto, quando queste simil fate entrarono nella stalla e videro una serie di secchi di latte appena munto, prima ne bevvero uno, poi due, poi tre, fino a quando non le finirono tutti, improvvisamente entrò il pastore che indispettito le cacciò aamle parole e le cominciò ad inseguire con il forcone in mano, le Zinabre fuggirono avvolte dalla nebbia delle montagne. Passava il tempo e nonostante i due sposi lavorassero molto la terra non rendeva più come prima. Frequenti erano le grandinate che rovinavano i raccolti, mentre gli animali morivano di strane malattie, la cantina rimase così ben presto vuota come le
tasche della coppia. Le Zinabre non tornarono più in quel posto, la loro gentilezza era stata irrimediabilmente tradita.
Un altro essere inquietante è la MARGOLFA, questa donna non vive nei boschi o nelle montagne, ma vive in prossimità dei villaggi, dei borghi o dei paesi. Chi la vede la può riconoscere perchè è molto alta, in maniera spropositata e veste di una grande sottana dove solitamente nasconde i bambini che si sono comportati male, ma a differenza di altre credenze la Margolfa non è una paura unicamente dei piccoli ma bensì anche degli adulti, poichè conosce tutte le malefatte, gli inganni e le brutte azioni di ogni persona, difatti è sua abitudine nascondersi sotto le finestre e ascoltare quello che si dice in casa ed è pronta a ripetere ai quattro venti quello che sente con il suo tremendo vocione. Esiste una maniera sola per difendersi da questa donna recitare il Rosario e farsi il nome del Padre.
Non ci sono però solo figure umanoidi nelle nostre leggende, sono presenti anche animali mostruosi come quella lucertola grande come una volpe che vive fra le rocce del Pizzo delle Saette, essa è dotata di squame durissime e lucenti, talmente lucenti che quando è sui massi a prendere il sole il bagliore rossastro del suo riflesso se incrocia l'occhio umano può stordire la persona e
lasciarla inebetita per alcune ore. Chi ha subito questa sorte, nell'attimo in cui gli si è offuscata la vista ha potuto vedere nelle viscere della montagna un'enorme buca piena d'oro circondata da lingue di fuoco.
Sempre a proposito di bestie sovrannaturali nel vallone opposto al Pizzo delle Saette c'è la Pania Secca dove era antica abitudine dei pastori locali andare a distruggere i nidi delle aquile con lunghe pertiche uncinate per preservare gli agnellini da eventuali attacchi. Era un operazione molto pericolosa nella quale si poteva rischiare anche la vita, specialmente da quando questa montagna era dominata dalla grande aquila, questo volatile era enorme e si dice che avesse la forza di ghermire non solo agnellini, ma anche cani e capre, le mamme temevano addirittura per i bambini.I fatti vogliono che questo uccello non avesse la testa d'aquila, ma quella di donna, si diceva anche che fosse dotata di denti affilatissimi ed emetteva strilli
così acuti non sopportabili da orecchio umano. Un giorno una spedizione notturna formata da uomini provenienti da varie località arrivò sulla cima della Secca e fece rotolare dei massi infuocati cosparsi di pece, da quel giorno l'essere non si vide più.
Per ultimo analizzeremo non un animale mostruoso o una strana creatura ma piuttosto un fenomeno meglio conosciuto come il GALON DI RODE. Questo prodigio si rifà alla figura di Erode e alla leggenda dell'ebreo errante, nata a quanto pare nel basso Medioevo, secondo la quale questo ebreo ignoto negò (come Erode) l'acqua a Gesù lungo la strada che portava al Golgota. Per questo motivo il Signore lo avrebbe maledetto, costringendolo a vagabondare per sempre sulla terra senza riposo e senza poter morire. Sulle Alpi Apuane questa entità la descrivono come una scia luminosa che solca il cielo, c'è chi l'ha visto con la forma di una gamba o di uno stinco che attraversa la volta celeste lasciando una traccia lucente, oppure c'è chi giura che può prendere l'aspetto di un pezzo di legno infuocato che finisce la sua corsa nel mare.Tradizione narra che il fenomeno accada ogni cento anni, per
molti può essere portatore di sventure e di cattivi presagi, per altri invece può essere foriero di ingenti fortune.C'è pure  chi ancora ricorda l'ultimo passaggio di questa fiamma che sorvolava velocemente il canalone del Trimpello e la Pania.

Voglio chiudere questo viaggio negli esseri fantastici della Garfagnana, estrapolando una frase da una poesia francese di Patrice de La Tour du Pin intitolata "La quete de joie" del 1920 che dice pressapoco così: "I Paesi che non hanno leggende sono destinati a morire di freddo"...e la Garfagnana sicuramente non fa parte di questi.

mercoledì 11 maggio 2016

Le streghe di Soraggio. Un processo di stregoneria (dai clamorosi risvolti) del 1607

Il cinema (quello fatto bene) offre molti spunti per interessarsi e
La Santa Inquisizione interroga
una "strega"

approfondire i più svariati argomenti e l'altra sera come consuetudine mi sono comodamente seduto in poltrona dopo una lauta cena con la più ferma della intenzioni di vedermi un bel film e saltando da un canale all'altro il mio telecomando si è fermato(a mio avviso) in una bellissima pellicola dal titolo "La seduzione del male", un film del 1996 con un'ottima Winona Rider nel ruolo di Abigal Williams che interpreta una presunta e malefica strega. I fatti si svolgono nel 1692 nella cittadina americana di Salem(Massachussets), dove alcune giovani donne vengono accusate di stregoneria, strappate alle famiglie e processate. Alla fine del film queste vicende mi sapevano di storie già viste o perlomeno lette va a sapere dove e mentre ormai ero nel mio letto con un occhio ormai chiuso e l'altro aperto, la mia mente continuava a pensare...ecco l'illuminazione! Mi alzo repentinamente, vado a consultare la mia libreria ed eccolo lì.Eccolo li quel libro del professor Oscar Guidi che racconta proprio di un processo di stregoneria avvenuto in Garfagnana nel XVII secolo che ricalca verosimilmente proprio la trama di quel bel film e nonostante la tarda ora comincio a leggerlo...Quello che adesso andrò a raccontare non è frutto di fantasia ma è pura realtà e questi accadimenti rimarranno registrati dal Sant'Uffizio con l'intestazione de "Le streghe di Soraggio".
La chiesa di San Martino di Soraggio
La storia ha inizio nell'estate del 1607 quando il rettore della chiesa di San Martino di Soraggio (nel comune di Sillano) Joannes Paninius si reca in tutta fretta e alquanto allarmato dal vicario del Sant'Uffizio per la provincia della Garfagnana, tale padre Lorenzo Lunardi che risiede nel convento di San Francesco situato tra Pieve Fosciana e Castelnuovo. Il presbitero Joanness è agitato, quasi sconvolto e come un fiume in piena si sfoga e dice al padre inquisitore che nella sua parrocchia esistono almeno sessanta casi di persone "maleficate" e spiritate e senza esitare fa i nomi di quattro persone da lui individuate come streghe che sarebbero la causa di tutto questo. Si tratterebbe di Lucrezia moglie di Biagio dalla Villa di Soraggio, Jacopino di Luca da Brica, Maria di GiovAntonio frate da Brica e Maria già moglie di Francesco Cappa anche questa di Brica. Padre Lunardi è perplesso e dice al prete quali siano gli indizi a carico di questi individui per essere accusati del gravissimo reato di stregoneria, senza esitare il rettore di Soraggio risponde e ritiene che i nominati siano parenti o quantomeno discendenti di persone che sono in grado di compiere malefici e a confermare ciò ci sarebbe anche un cospicuo numero di testimoni, poi aggiunge che questi quattro miserabili quando incontrano un religioso per strada abbassano impunemente gli occhi per non incrociare il pio sguardo dei preti,ribadendo che più chiaro segno di colpevolezza di questo non ce n'è. Insomma secondo il prete è l'ora di far cessare queste stregonerie, sopratutto per salvaguardare le devote donne del paese costrette a subire esorcismi in continuazione, le quali in questi casi emettono grandi urla durante le preghiere.
L'emblema della Santa
Inquisizione 1571
Padre Lunardi è ormai convinto e il 3 luglio è nella canonica di Soraggio per ascoltare i testimoni su queste demoniache presenze. Comincia con Anastasia di Francesco di Villa Soraggio vicina di casa di Lucrezia presunta strega. La notte infatti i suoi figli la chiamano in continuazione ma lei non risponde, così ritiene che sia via con le streghe - imaginandomi che all'hora sia in stregaria- e alla sua domanda dove avrebbe passato la notte ella risponde vagamente di stare fuori a vegliare
Tocca poi a Lucia moglie di Francesco anche lei di Villa Soraggio che sempre a proposito di Lucrezia dice di averla incontrata una volta in località Canale e toccandogli la gamba così le disse - Oh la bella gamba che tu hai-, quasi immediatamente sulla gamba si formò un grosso livido, da quel momento si è sempre sentita la vita tutta travagliata, aggiunge inoltre di essere stata posseduta dal demonio per otto lunghi mesi, prima di essere stata risanata per grazia di Dio durante le quarantore della passata Quaresima, proprio nel momento della guarigione viene avvicinata dall'altra imputata Maria di GiovAntonio che così gli aveva detto - Figliuola no' aver più paura per l'avenire perchè se dirai la matina di bon hora 4 Pater Noster e altre tante Ave Maria no sarai più maleficata-
I testimoni continuano, una certa Antonia, moglie di Andrea Giovanni di Metello dice che una volta ha sentito Jacopino di ritorno alla messa pronunciare queste parole:-L'anima mia è spedita- e sempre su Jacopino vengono riferite altre accuse, infatti nel gelso che è vicino alla casa di Francesca di Francesco Ramella di Brica, l'imputato avrebbe piantato un chiodo nella radice facendo quindi un rito di fattura alla figlia di Francesca, la conferma di questo sta nel fatto che quando finalmente tolsero il chiodo dalla radice la povera piccola: -...faceva grandissimi strepiti ed urli bestiali, e poi era guarita. Lo Jacopino avrebbe minacciato di una malia Lucia figlia di Marco di Brica, ma sopratutto avrebbe insistentemente invitato Angiola figlia di Bartolomeo di Villa Soraggio ad andare con lui in stregaria promettendole gusti e piaceri, come di soni, canti, balli, cibi delicati e coito a gusto mio...-
Giuliano di Giovanni, un falegname di Metello invece è certo di avere la moglie "affatturata" poichè quando la sua consorte incrocia Maria di GiovAntonio comincia a sentire forti dolori e spavento.
Anche Battista Panini ha la sua da dire, infatti anche la figlioletta di due anni è maleficata e grande fu lo spavento quando
Torquemada, uno degli
inquisitori
più famosi al mondo
aprendo la porta di casa poco prima dell'alba si trovò dinanzi una moltitudine di animali, secondo lui però non erano dei veri e propri animali:-...ma malefichi streghi che volessero venire a far morire quella mia figliuola- di questo ne era sicura perchè alcune donne impossessate avevano detto che quella stessa notte sarebbero venute a casa sua per terminare il maleficio iniziato sulla sua bimba e gli dissero che tale maleficio era stato iniziato dai quattro imputati.

Da Modena richiedono ancora ulteriori e nuove testimonianza e a queste accuse se ne aggiungeranno ancora molte altre. Altri incontri poi avvengono fra la metà di agosto e quella di settembre, sempre nell'anno di Grazia 1607 e questa volta riguardano le discendenze di alcuni di loro, in particolare  la mamma di Jacopino,la Filippa e di Maria GiovAntonio,la Catalina.
Il 6 luglio il solerte Padre Lunardi, raccolte le testimonianze trasmette il fascicolo a Modena all'inquisitore generale Padre Serafino Borra di Brescia e per timore di fughe da immediato ordine di cattura per i quattro accusati. I quattro vengono così arrestati e condotti a Modena via Castelnuovo e Frassinoro dove vengono messi a disposizione della Santa Inquisizione. Nel tragitto verso Modena un soldato avrebbe perfino raccolto anche alcune confidenze compromettenti di Maria di Francesco Cappa che avrebbe stramaledetto la coimputata Maria di GiovAntonio perchè era stata accusata per causa sua:- la quale invece era davvero strega perchè sa bene conciari et guariri dilli amalati et li oppongono che va via a cavallo sopra un caprone in un luogo chiamato Pradaria (n.d.r:Pradarena?)- .
Una volta giunti a Modena i quattro disgraziati vengono rinchiusi nelle prigioni ducali, gli interrogatori cominceranno il 23 luglio, ma un particolare interessante e fondamentale è da riferire e avviene il 21 agosto a Brica, quando l'inquisitore generale Padre Serafino giunge in Garfagnana nei luoghi dei presunti misfatti per verificare personalmente il caso e gli viene consegnata una lettera da un certo Giovanni. La lettera ha un notevole interesse e farà finalmente luce su tutta la vicenda:

"Molto reverendo Padre Inquisitore

Faccio sapere a Vostra Signoria che quelli poveretti da Soraggio sono stati messi al Sant'Offizio per malignità del prete del detto loco di Soraggio. La causa è che i detti che sono impregioni da Vostra Signoria havevano ditto et parlato d'alcune donne che facevano le spiritate et andavano e vanno di continuo a darsi piacere co detto prete alla sua canonica et per haver scoperto questo, detti poveretti sono stati tribolati come Vostra Signoria sa, et questo lo significo a V.S perchè so che il Sant'Offizio nopersegue alcuno per vendetta, suplicando V.S a liberare detti carcerati sapendo io che loro so' boni christiani"

Non è dato sapere quanto peso ebbe questa lettera per il Padre
La tortura della corda
Generale, fattostà che la lettera fu comunque acquisita negli atti del processo e dei dubbi cominciarono a farsi largo.Ma prima di tutto questo gli interrogatori erano già cominciati, ed erano

veramente duri e si svolgeranno nei mesi che vanno da luglio fino alla fine di ottobre. Tutti gli imputati negano anche quando vengono sottoposti alla tortura della corda che consiste nel sollevare il malcapitato da terra, egli ha le braccia legate dietro la schiena, il carnefice darà dei forti strattoni alla corda stessa che causerà tremende distorsioni e dolorose fratture alle articolazioni. Una delle povere donne (la più anziana) Maria di Francesco Cappa perderà la vita in carcere, il duro regime della prigione e le torture furono determinanti per la sua morte che fu registrata il 18 settembre. Gli altri non mollano e non confessano nessun reato, vengono però condannati a penitenze varie, la più grave colpì Jacopino che fu esiliato da Soraggio per due anni mentre le due donne per un solo anno. 
Non c'è che dire, senza quella lettera i quattro sarebbero stati dati alla fiamme, il rogo sarebbe stato la loro pena capitale. Le reazioni in paese dopo i fattacci furono veementi, i parenti e la gente del luogo reagiranno in malo modo, il rettore Joannes Paninius verrà minacciato più volte di morte.Gli atti di questo processo sono ancora oggi conservati presso l'Archivio di Stato di Modena.


Una parte dei numeri della
caccia alle streghe in Europa
Una storia dei secoli bui questa, dove imperava ignoranza e credulità. In quel tempo risulta assai chiaro in quale clima sociale nascevano denunce che potevano portare alla morte di persone innocenti, come in questo caso che un religioso probabilmente per coprire uno scandalo che lo vedeva coinvolto non esitò con la collaborazione di alcuni abitanti del luogo  a fare incarcerare, torturare e condannare anime affidate alla sua cura. Ricordiamo che la "caccia alle streghe" durò per ben cinquecento anni, erano campagne ben organizzate finanziate ed eseguite dalla Chiesa e dallo Stato, fu un vero e proprio eccidio che portò alla morte nove milioni di persone innocenti(l'80% di questi erano donne e bambine).

mercoledì 4 maggio 2016

Come erano le fiere in Garfagnana alla metà del 1800. Meraviglie mai viste...

L'inverno è finito, le giornate uggiose cominciano ad essere un
fiera del bestiame
triste ricordo e quindi basta con le noiose serate passate sotto un plaid a guardare delle deprimenti trasmissioni televisive, comincia finalmente la bella stagione, il periodo dello svago, delle feste e delle fiere. A proposito di fiere,che cosa c'era di più atteso che un evento come una fiera per un bambino? Nei miei ricordi di bimbetto fiera voleva dire regalo e dolciumi. Sì, perchè in ogni fiera che si svolgeva nel mio paese la nonna, la mamma o chicchessia sicuramente mi avrebbe regalato il giocattolo preferito che avevo visto 
la mattina di buon ora alla bancarella dei giochi, però a condizione imprescindibile di andare a messa e fare comunione. Dopodichè a fine messa tutto il parentado andava a pranzo dalla nonna, ci si rimpinzava a più non posso e poi di corsa fuori, si andava quindi a comprare il sospirato giocattolo,di conseguenza non poteva nemmeno mancare una capatina dal "chiccaio" per l'acquisto di qualche dolce leccornia: i brigidini, "i sigari" o magari il croccante e sicuramente ed immancabilmente sarebbe avanzato anche qualche lira per le autoscontro del Bisio. Questa brevemente era la mia fiera, ma le fiere nella valle esistono da secoli e allora andiamo a vedere com'era una fiera garfagnina nella metà del 1800.Un tuffo in un qualcosa di magico e poetico,fatto di antichi sapori e di immagini che sembrano uscite dalla macchina del tempo. 
La prima (forse) e la più importante fiera della valle era quella di
Niccolò III D'Este
Castelnuovo Garfagnana che si svolgeva a settembre. Fino agli anni precedenti all'unità d'Italia questo tradizionale mercato mantenne inalterate le sue caratteristiche prettamente commerciali,pensiamo fra l'altro che questa manifestazione risale addirittura al 1430 quando Niccolò III D'Este dette il benestare per il suo allestimento. Lo scopo della manifestazione era quello di riunire, nella prima settimana di settembre tutti i migliori commercianti di bestiame e di prodotti agricoli provenienti da tutta la Garfagnana e dalle zone limitrofe, qui si vendevano o si scambiavano prodotti, si discuteva di nuove merci o di semine. Il cambio radicale ci fu verso il 1850 quando gli organizzatori della fiera, al fine di richiamare quanti più visitatori ed operatori possibili, decisero di arricchire il mercato con divertimenti ed iniziative che coinvolgevano la cittadinanza e le associazioni di volontariato. All'inizio naturalmente si partì a piccoli passi, furono realizzate piccole cose, fatte comunque con grande entusiasmo e poca spesa grazie ad artisti locali. Man mano che gli anni passavano la cosa cominciò a prendere mano diventando di fatto la fiera più importante del Ducato (n.d.r: dopo Modena) tanto da richiamare artisti di strada di ogni sorta da tutta Italia. Sulla scrivania del sindaco giunsero numerosissime richieste, risale al 28 maggio 1850 la lettera di tale Napoleone Bigazzi di Milano che chiedeva il permesso di "mettere una baracca in tela sulla Piazza del Mercato per eseguire esercizi ginnici", stessa richiesta faceva anche Emilio Barbieri di Bologna che nell'agosto del 1858 pregava le autorità di " concedergli (come è stato negli anni decorsi) di poter chiudere un

Circo sulla piazza del bestiame nei giorni di fiera e presentare al rispettabile e colto pubblico anche esercizi ginnici". Naturalmente gli spettacoli di atletica andavano per la maggiore, ma molte richieste erano per eseguire il "ballo della corda" (n.d.r: una variante della quadriglia): "Da trent'anni circa veniva annualmente per la fiera di settembre in questa città- scriveva così un certo Gaspero Petreria di Livorno detto "il Diavoletto"- ed esercitava il ballo della corda nella così detta piazza del Crocefisso. Essendo anche quest'anno ritornato implorerebbe dalla Bontà della Signoria Vostra Illustrissima lo stesso permesso gratuito come fu per lo passato" così anche Giuseppe Tonini da Pisa: " Desideroso di recarsi in questa Città per la prossima fiera di settembre per eseguire con la compagnia di cui sono direttore,balli di corda e giochi di ginnastica nella Piazza del Crocifisso". Per accogliere le centinaia e centinaia di persone che venivano da tutta la valle e anche fuori regione occorreva variare anche le esibizioni e più singolari e curiose erano e più sicuramente avrebbero avuto successo è il caso di Michele Mazzoleni di Bergamo che nella fiera del 1876
Esercizi ginnici
presentò:"destro fisico e proprietario di una raccolta di uccelli ammaestrati ad eseguire diversi giuochi" oppure le richieste del violinista Gaetano Pucci di Livorno nel 1857 che voleva dare "accademia strumentale nella fiera di Domenica" e pregava che gli fosse concessa la sala comunale. Ma su tutte svettava la meraviglia delle meraviglie e quella fiera del 1868 rimarrà nella memoria dei garfagnini per molti anni.Fu un vero evento quello che Gaetano Ambrogini propose in quella memorabile fiera, fece vedere immagini che i garfagnini mai avevano visto in tutta la loro vita. Quella del "Gabinetto Panoramico" fu un vero incanto che così si descriveva nella sua presentazione "In esso si osservano dei nuovi ritrovati dell'arte fotografica e quadri ottico-plastici- ottico cosmografici, ottico- panoramici, che destarono ovunque grande meraviglia, specialmente per vedute di battaglie con macchine Alletescop all'ultima perfezione- così continuava il volantino- Si osserva il mondo in miniatura, da un polo all'altro, dalle più ridenti sponde del Nilo ai ghiacci eterni della Siberia, le più alte montagne, le rovine degli antichi monumenti,i più preziosi palazzi, tutto sarà dato vedere come pure i misteri di Londra,Parigi e Berlino dove si scoprirà la vita intima delle famiglie, dalle più aristocratiche alle più umili abitatrici di meschine capanne. Bisogna vedere per credere che tutto questo viene rappresentato in grandezza naturale, rilievo e colorito naturale, quanto un personaggio il più grande, non troverebbe meglio col spendere una vistosa somma". Immaginate voi la meraviglia che poteva essere per persone che a malapena e con difficoltà si spostavano da un paese all'altro.  Insomma gli anni passavano e la fiera aveva sempre più una buona riuscita, le richieste di partecipazione giungevano da ogni parte d'Italia, segno che la manifestazione aveva ormai un successo nazionale, infatti le associazioni furono coinvolte ancor di più con il compito di

reperire fondi e programmare al meglio i festeggiamenti e i giochi a sostegno delle attività commerciali. Ecco allora un programma degli eventi del 1895 fatto dalla Società Operaia, praticamente nasceva quella che ancora oggi  è meglio conosciuta come "la Settimana del Commercio" che grosso modo si svolge nel solito periodo.
L'albero della cuccagna
L'inaugurazione avvenne il 31 agosto alle ore 19 e fu aperta con l'esibizione della locale filarmonica in Piazza Umberto I a seguire avvenne una pesca di beneficenza.Il primo settembre fu un susseguirsi di concerti molto apprezzati dai visitatori, mentre il giorno successivo l'entusiasmo salì alle stelle per una corsa di asini con tanto di fantini. Giochi divertenti furono organizzati anche per il tre settembre con un appassionante corsa nei sacchi, mentre per il quattro si svolse un interessante corsa di velocipedi. Per la chiusura il sette settembre furono fatte le cose in grande quando si innalzarono diversi palloni aerostatici costruiti con spicchi multicolori. Ma per tutta la settima la vera attrazione fu l'albero della cuccagna. Si trattava di un lungo palo accuratamente unto e scorticato innalzato sulla piazza principale del paese e sormontato da una struttura circolare su cui si trovano appesi i salumi e i formaggio più belli e appetitosi.L'obiettivo è raggiungere i premi sulla vetta del palo che diventeranno così indiscussa proprietà del coraggioso giocatore. Un affermazione questa che al tempo aveva doppio significato: di aver fatto un impresa quasi impossibile ma sopratutto  perchè portare a casa  un bel prosciutto in periodi di magra equivaleva a una vera e propria festa in famiglia.Le gare erano seguitissime e le grasse risate degli spettatori risuonavano in tutta la piazza, specialmente quando il disgraziato concorrente che si era cosparso le mani e il petto di calcina in polvere scivolava miseramente a terra ad un passo dalla vittoria. 
Non resta quindi che dire ...buona fiera a tutti!!!

L'articolo trae notizie da uno studio della Signora Lorenza Rossi in collaborazione con la Banca dell'Identità e della Memoria