giovedì 27 febbraio 2020

Il mistero dei "bagni di Torrite". La loro storia e l'enigmatico arcano della nascita

Erano una vera e propria goduria... i romani frequentavano le terme


per lavarsi e per rilassarsi, queste furono un vero e proprio centro di socializzazione, di divertimento e anche di sviluppo di attività. Il loro incremento ci fu verso il II secolo a.C e con il passar dei tempi diventò uno dei principali luoghi di ritrovo, dal momento che la loro entrata era libera e potevano essere frequentate da persone di qualsiasi ceto sociale. I "balneum" pubblici furono talmente amati che gli imperatori che si succedevano facevano a gara a superare i propri predecessori nel costruire terme più grandi e più belle. Tanto per rendere chiara l'idea, all'interno di esse si potevano trovare centri sportivi, piccoli teatri, locande, ristoranti e saloni per feste, insomma una struttura antesignana delle attuali e modernissime Spa. Anche la tanto rinomata ingegneria romana qui trovava la sua esaltazione, difatti le acque venivano scaldate da un'ingegnoso impianto idraulico, giacchè il calore veniva prodotto nel "praefornium", un forno dal quale l'aria calda si diffondeva nelle camere d'aria lasciate sotto i pavimenti
rialzati (detti "ipocausti"), o si diramava attraverso un reticolo di tubi in terracotta ("i tubuli") nascosti lungo le pareti.  Esistevano poi, come nell'argomento di cui ci interesseremo, impianti termali nati da sorgenti naturali di acque calde. In ogni suo dove Roma cercava sempre di individuare eventuali sorgenti naturali: nei villaggi, negli scali marittimi e perfino nelle vicinanze dei castra, così, forse, potrebbe essere avvenuta l'eventuale scoperta dei "Bagni di Torrite". I vecchi abitanti del paese di Torrite li hanno sempre chiamati così: "i bagni romani", quella zona posta tra il mulino del Campatello e la centrale Enel, dove da tempo immemore sgorgavano abbondanti acque calde. Cominciamo subito con il dire che la loro origine romana non è suffragata da nessun documento, esistono solamente alcune ipotesi che potrebbero lasciare qualche sospetto, ad esempio la loro ubicazione. Alcuni studiosi infatti vedono nel termalismo un'impulso alla viabilità, i romani nel costruire le loro strade tenevano (anche) conto di poter sfruttare eventuali sorgenti termali presenti nelle vicinanze, infatti la funzione dei "balneum" era quella di far riposare i viandanti in godevolissime vasche di acqua calda dopo le dure
fatiche del viaggio. Anche per questo motivo tali studiosi vedono un filo conduttore nelle sorgenti termali di Bagni di Lucca, Gallicano, Torrite e Pieve Fosciana, queste terme farebbero parte di un tracciato viario prestabilito e di un servizio nato sopratutto per
Torrite
quei  mercanti che provenivano dal nord Italia e che volevano raggiungere Lucca per i loro affari. Un'altra prova a favore dell'ipotetica genesi romana fu il rinvenimento da parte degli archeologi di quello che i romani chiamavano "opus signinum", ovverosia il cocciopesto, il materiale fu rinvenuto sulle pareti laterali di una grande vasca, 
anche questo rinvenimento però dava  possibilità a svariate supposizioni e a nessuna sicurezza, dato che il cocciopesto fu usato anche in epoca più tarda. Allora visti tutti questi dubbi, a quale epoca risalirebbero queste benedette terme? Domenico Pacchi, esimio storico garfagnino così scriveva nel 1785:"Lontano da Castelnovo un miglio lungo il fiume Torrita è situato il Villaggio chiamato Torrite, o Torriti, che prende il nome dal fiume istesso. Dugento passi, o poco più distante da questo villaggio, alla riva del suddetto fiume si vedono i diroccati avanzi degli antichi Bagni. Benchè al dì d'oggi corra voce che siano stati fatti fabbricare dalla contessa Matilde, non v'è peraltro fondamento alcuno, su cui possa appoggiare simil credenza" e in effetti il Pacchi aveva ragione da vendere, neanche per Matilde di Canossa esiste la
Matilde di Canossa
certezza documentale che abbia dato mandato di edificazione e quindi nemmeno a lei possiamo dare il merito di questo.
Comunque sia, a dimostrazione della loro importanza, furono molti gli studiosi che s'interessarono a questo sito e a conferma di questo anche lo scienziato Antonio Vallisneri scriveva in una lettera di queste terme e anche all'epoca (1707) parlava già di "antichissime terme". Fra l'altro pure lui denunciava il loro stato d'abbandono e se da una parte lodava "la diligenza degli antichi", dall'altra (visto il deprecabile sconquasso che gli si mostrava davanti) criticava "la negligenza dei moderni", lamentando poi che una vasca di quei bagni termali "di bella struttura" sarebbe stata piena di sassi "con degli avanzi di una casa caduta", mentre miserevolmente le acque termali "trapelando per altra via si univano a quelle del vicino fiume". L'altro bagno caldo era invece conservato in maniera accettabile, così scriveva ancora il Vallisneri, i suoi  sedili di marmo erano ancora presenti, come era intatta la sua volta di mattoni. Nelle immediate vicinanze, sottolineava lo scienziato, scorrevano ancora da due rubinetti, due acquedotti, uno versava acqua caldissima e uno acqua limpida e freschissima.
Dei cadenti resti del bagno, nel 1600 ne parlò anche un' eminente
bagni romani di Bormio
storico garfagnino, Sigismondo Bertacchi, che lanciò pesanti accuse e amare colpe ai confinanti fiorentini e lucchesi, la distruzione delle terme di Torrite fu causa loro, l'invidia fu il motivo trainante di tale misfatto: 
"Vi sono le vestigie d’un bagno d’acqua calda, che per memorie di vecchi era tenuto celebre, che si dice, che per l’invidia fosse guasto da’ Fiorentini, o Lucchesi, quando presero la Garfagnana, perché gli levava tutto il concorso dalli loro", niente però fu mai provato.
Visto allora tutto questo disfacimento, come potrebbe essere stata la loro struttura e composizione? Partiamo parlando delle acque. A quanto pare quest'acqua raggiungeva i 34 gradi e in realtà le sorgenti sarebbero state ben tre: due calde e una fredda, così come tre sarebbero state le stanze, divise per reparti, con distinzione fra uomini e donne. 
Rimane il fatto, tanto per dare dati finalmente certi, che il primo documento che parla dei bagni di Torrite è un atto notarile datato 1525. Fra gli altri dati sicuri ci fu pure la visita del Duca d'Este Alfonso II, era il 1580 e così l'accademico Vandelli ci
Alfonso II d'Este
raccontava:"...
dove rilevò le qualità delle acque termali di Turrita, e trasferitovisi in persona vi riconobbe i cisternini, ed i vestigj d’antiche non meno, che vaghe fabbriche; e quantunque con animo generoso vi spendesse molte migliaja di scudi per ristabilire, ed assicurare i bagni dalla mescolanza delle acque della Turrita...". Il duca generosamente donò migliaia di scudi per ristrutturare e restaurare i bagni e dargli quindi nuova linfa. 
Quello che fece il duca probabilmente più nessuno lo fece, un colpo di grazia mortale alle già presenti rovine lo dette il terremoto del 1747, che portò tutto allo sfacelo totale. In tempi moderni le terme si resero nuovamente utili, ma non per fare refrigeranti bagni, stavolta furono usate durante la seconda guerra mondiale come rifugio antiaereo. Poco dopo, nell'immediato dopoguerra, Enel iniziò i lavori sotterranei per realizzare la nuova centrale... la sorgente delle acque termali sparì così per sempre...


Bibliografia:

  • "Descrizione Istorica della provincia di Garfagnana" Sigismodo Bertacchi, a cura del Centro studio Carfaniana Antiqua Lucca 1973
  • Domenico Vandelli 1724 "Carta del modenese"
  • Domenico Pacchi "Ricerche istoriche  sulla provincia della Garfagnana" 1785
  • "Le origine dei bagni di Torrite" di Andrea Giannasi, "Lo Schermo" giugno 2013

mercoledì 19 febbraio 2020

Soprannomi garfagnini. La loro nascita, il loro perchè

Un soprannome è come un diamante... lo è per sempre. Il soprannome
non è cosa di origine moderna, nemmanco antica, i nomignoli hanno genesi millenaria. Questa consuetudine non risparmia nessuno, nè il povero, nè il ricco, tantomeno il regnante di turno o il personaggio famoso. Alcuni esempi? Partiamo da lontanissimo, da due millenni fa... probabilmente se dico il nome di Gaio Giulio Cesare Germanico non dirà niente a nessuno, ma se dico Caligola la cosa cambia. L'imperatore romano rimase noto alla storia come un sovrano eccentrico e stravagante, ma il suo nomignolo risale a quand'era un bambino e viveva insieme al padre negli accampamenti dei soldati indossando le alte e robuste calzature dei militari dette "caligae", proprio per questo motivo le truppe chiamarono bonariamente il bambino Caligola, cioè "piccola scarpa". Risalendo nel tempo, che dire di Riccardo d'Inghilterra? La sua folta
Caligola
capigliatura rossa e il suo coraggio gli varranno il soprannome di Riccardo Cuor di Leone. Anche in tempi moderni, per citare altri casi, i soprannomi attribuiti ai potenti abbondarono: "Wustenfuchs" ovverosia "la Volpe del Deserto" non era altro che Erwin Rommel, feldmaresciallo tedesco, divenuto noto 
nella seconda guerra mondiale per la sua astuzia e temerarietà. In terra italica, sempre nello stesso periodo che visse Rommel, nessuno potrà dimenticare "Sciaboletta", alias Vittorio Emanuele III re d'Italia, così detto per la sua bassa statura (un metro e 53 centimetri), per la quale si rese necessario forgiare una sciabola particolarmente corta, che evitasse di strisciare in terra. Restringendo il campo, o meglio il territorio, si arriva nella nostra Toscana, patria dei soprannomi, e per rimanere nell'ambito delle personalità importanti ecco che svetta lui: Lorenzo de' Medici detto il Magnifico, definito così per la sua cultura e raffinatezza. Anche il giornalista e scrittore Carlo Lorenzini (l'autore di
Carlo Lorenzini detto
"Il Collodi"
Pinocchio) aveva il suo soprannome, dovuto al suo paese di origine: Collodi. Sempre in ambito toscano e letterario pure Luigi Bertelli avrà il suo nomignolo, per tutti lui sarà "Il Vamba" (pseudonimo tratto da uno dei protagonisti del romanzo Ivanhoe), con il suo soprannome firmerà la sua opera più famosa: "Il giornalino di Gianburrasca". Che dire della Garfagnana allora? Statistiche in questo ambito non ne esistono, ma credo che facendo un calcolo sommario, considerando quello che mi circonda, penso senza esagerare che il novanta percento della popolazione locale abbia un soprannome, anche perchè mi sono reso conto di conoscere molte persone solo per il loro soprannome e il nome... non lo ricordo. Non crediamo però che questo usanza abbia avuto un valore marginale nella nostra società, tutt'altro, un nomignolo aveva una valenza popolare notevole e non solo, ebbe la funzione di riconoscimento immediato delle persone ai tempi in cui le fotografie non c'erano. Negli archivi storici garfagnini, in documenti riguardanti proprietà di terre, di case e addirittura in processi penali viene riportato oltre che al nome e al cognome anche il soprannome come certezza assoluta d'identità. La sua funzione
Un soprannome sopra
 un atto ufficiale
maggiore era infatti quella di riconoscere le persone, ad esempio il soprannome serviva per distinguere i figli di due fratelli con lo stesso cognome e con lo stesso nome (dato che, come d'uso tipico garfagnino, ai figli maschi veniva attribuito il solito nome del nonno). Altre necessità pratiche erano dovute al fatto che il patrimonio dei cognomi nei nostri borghi era ristretto, buona parte delle famiglie nei paesi garfagnini portava il solito cognome, si vide quindi la naturale necessità di distinguere queste persone con un'appellativo. 

Altre ragioni storiche del perchè nella nostra terra sia così diffusa l'attribuzione del soprannome la si può ricercare semplicemente nel poco numero di abitanti che ha la valle. I nostri paesi sono piccoli, comunità quasi autonome, dove ognuno conosce del prossimo l'intero "curriculum", vizi, virtù, abitudini e hobby.
Viviamo in case di vetro, dove la vita privata ha limiti ristretti: azioni, comportamenti, modi di essere, difetti fisici, qualità morali, insomma tutto è notato e tutto ciò da occasioni infinite e le più impensate per attribuire un soprannome. Tali nomignoli nella cultura popolare garfagnina hanno radici antiche, ci sono alcuni soprannomi che addirittura vanno per diritto ereditario, da generazione in generazione, come se fosse una vera e propria scala dinastica, tanto antico può essere questo soprannome che il suo significato originario si può perdere nei meandri del tempo. Figuriamoci, talmente radicato è questo uso che non è difficile vedere nei manifesti mortuari delle nostre zone oltre al nome e al cognome anche il soprannome che ha accompagnato il defunto per tutta la sua vita terrena . Come rovescio della medaglia bisogna anche dire che esistono nomignoli talvolta crudeli, che la stessa persona a cui è rivolto nemmeno sa di avere, sono nomignoli derivanti spesso da credenze popolari, legate al fatto che una determinata persona porti sfortuna, altresì possono anche essere riferiti a gravi difetti fisici. Invece, da un punto di vista linguistico tutto ciò è accentuato dai vocaboli dialettali che portano la fantasia popolare al potere, creando fantasiosi e variopinti appellativi, talvolta comprensibili solo all'interno della comunità stessa. Alcuni casi ci dicono che "il Chioccoron", cioè il testone può essere dato alle persone per due motivi, o perchè tale persona ha la testa grossa o perchè sempre questa 
Un libro sui soprannomi
gallicanesi dell'amico
Daniele Saisi
persona risulta che abbia un po' di difficoltà nel comprendere. Esiste anche "l'Acciarin", riferito ad individuo che si arrabbia facilmente, infatti l'acciarino è quello strumento che provoca un'accensione tramite scintilla. O sennò c'è anche "il Mestaina", questo soprannome può essere dato ad una persona pia, che ad ogni immagine sacra che trova per la strada si ferma a pregare. Che dire poi dell'"Affuffigna"? Nomignolo dato a quelle persone "maneggione" e trafficone. Esistono persone a cui viene attribuito un soprannome perfino per i prevalenti stati d'animo che hanno: "il Logora", uno che se la prende troppo per le cose, "il Loffaro" persona particolarmente indolente, "lo Sconturba", un individuo sempre turbato, "Lo Stragina", persona sempre stanca, che struscia (straginare) i piedi in terra, "Lo Sciagatton", persona pigra e disordinata. Altri soprannomi vengono attribuiti alle diverse parti del corpo: "Il Culon", "Il Nappa" (naso grande), "Il Bazza" (mento pronunciato, "Il Tarpon"(piede grande), "Il Gambilon"(gambe lunghe). 

A ognuno quindi il suo soprannome e a conforto di quanti, leggendo il proprio soprannome dovessero sdegnarsi, premetto una
considerazione. I soprannomi sono sempre esistiti presso tutti i popoli. In tempi antichi avevano la validità del nostro cognome e quindi (se dati con rispetto), andiamone orgogliosi.

mercoledì 12 febbraio 2020

Quando Hollywood arrivò nella Valle del Serchio...

Sei nomination all'Oscar, un Oscar alla carriera nel 2015,
Una scena del film:
 "l'Omo Morto sullo sfondo"
un'ennesimo nel 2019 per il film "Blackklansman" consegnato per la miglior sceneggiatura non originale, altri film pluripremiati come: 
"Malcom X", "Jungle Fever", "La 25a ora", "Inside Man". Nel 2020 sarà presidente della giuria del Festival di Cannes, eppure... quando il regista Spike Lee venne in Garfagnana e nella Valle del Serchio arrivò certamente con tutti gli onori, ma se ne andò fra mille polemiche. Una storia complicata questa, di quando Hollywood, con l'H maiuscola giunse dalle nostre parti. Sono già passati dodici anni dall'uscita del film "Miracolo a Sant'Anna" e
La locandina del film
tutto cominciò sotto i migliori auspici. Nel 2007 già erano state scelte le location e le date per le riprese del film, le lettere per i vari permessi erano state già inviate ai comuni interessati: Borgo a Mozzano, Careggine, Stazzema, Camaiore, e Pescaglia e per quanto riguarda la Garfagnana il film sarebbe stato girato dal 15 ottobre al 15 dicembre del solito anno e in ogni caso la produzione rassicurava gli amministratori che l'uso che veniva fatto di ambienti e locali sarebbe stato ripristinato come in origine e sopratutto si diceva che sarebbe stata garantita la massima sensibilità nei confronti del dramma subito dalla gente, questo è quanto di più bello era nelle intenzioni. 
L'occasione poi sarebbe stata perfetta, finalmente la Valle del Serchio avrebbe avuto la sua opportunità di farsi conoscere al mondo attraverso uno dei mezzi di comunicazione più potenti: il cinema americano. La nostra storia, i nostri paesaggi e la nostra cultura sarebbero stati veicolati in tutto il pianeta. Una circostanza accolta con tutti i buoni propositi da amministratori locali e popolazione, ma purtroppo non è tutto oro quello che riluce...
Ma partiamo dall'inizio e analizziamo gli eventi dalla loro nascita.  Il film "Miracolo a Sant'Anna" fu tratto dall'omonimo
Lo scrittore James Mc Bride
libro di James Mc Bride che uscì nel 2000. James Mc Bride, scrittore di fama, già era stato nella Valle del Serchio quando all'epoca il sindaco di Barga Umberto Sereni ebbe l'occasione di invitare a Sommocolonia i reduci afro americani della 92a Divisione Buffalo, che nel paese, durante la seconda guerra mondiale, nella famosa battaglia di Natale del dicembre 1944 si misero in luce con atti eroici. Fu qui, che lo scrittore prese ispirazione per scrivere il suo romanzo, in quei luoghi che videro lo zio di Mc Bride combattere per la liberazione della Garfagnana:"E' stato Enrico Tognarelli, il figlio di un partigiano che ha combattuto a fianco di mio zio Henry su quella montagna, il primo a farmi conoscere Sant'Anna di Stazzema. Ci incontrammo a Sommocolonia nel 2000, io ero venuto in Italia con alcuni veterani della Buffalo. Sono molte le persone, partigiani, soldati, civili ad aver ispirato il mio lavoro. Non solo, ma i campi, i castagni, i boschi, i crinali, le montagne che descrivo nel libro sono quelli
Sommocolonia
che ho visto a Sommocolonia"
. Lo stesso Tognarelli raccontò come nacque l'incontro: "Alcuni rami della mia famiglia emigrarono in Inghilterra e negli Stati Uniti. La gente di Barga sapeva che parlavo inglese e allora mi presentò Mc Bride. Gli parlai così di mio padre Franco, partigiano nella brigata Pippo (n.d.r: gruppo partigiano comandato da Manrico Ducceschi, alias Pippo) e di mio zio Gianni e anche dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema". Rimase il fatto che una volta uscito questo libro fece breccia su un altro amico di James: il regista Spike Lee, che ne volle fare un film, sarebbe stata l'ennesima occasione di mettere in risalto un tema a lui caro, la condizione sociale dei negri d'America. Il film tratta infatti le vicende di una pattuglia di soldati afro americani della 92a Divisione Buffalo, dispersi nelle montagne della Garfagnana nell'autunno del '44. Il razzismo diffuso fra le truppe
Spike Lee
statunitensi, l'incontro fra culture diverse e il rapporto fra questi soldati e un bambino sopravvissuto alla strage di Sant'Anna di Stazzema è il filo conduttore della pellicola. Le riprese cominciarono così il 15 ottobre del 2007 e durarono undici settimane. Un periodo di tempo in cui Pian di Gioviano e il fiume Serchio diventeranno scene di battaglia fra americani e tedeschi, dove le montagne che compongono "L'Omo Morto" vigileranno su questi soldati come un attento osservatore e la brulla strada di Arni vedrà il radunarsi delle truppe naziste per prepararsi all'efferata strage, mentre il paese di Colognora di Pescaglia sarà la location dove si svolgerà tutta la triste vicenda, ma non solo, naturalmente anche Sant'Anna di Stazzema, la sua piazza e la sua chiesa dove ci fu il triste epilogo dei tragici fatti diventerà protagonista della pellicola, anche la villa che fu della duchessa Maria Teresa di Savoia a Capezzano Pianore si trasformerà nel quartier generale americano. Insomma, tutto era bello ed interessante, ma la cosa cambiò quando il film uscì nella sale
Scene di guerra sul fiume Serchio
nei pressi di Pian di Gioviano
cinematografiche, il 26 settembre 2008 negli Stati Uniti e il 3 ottobre in Italia. La critica lo stroncò inesorabilmente, ma altre diatribe, polemiche e accuse furono mosse dall'A.N.P.I (associazione nazionale partigiani d'Italia), dagli storici, dalla popolazione e dai sopravvissuti dalla strage di Sant'Anna di Stazzema. Ma andiamo per ordine ed analizziamo tutto. Partiamo da cose puramente di stile e di pronuncia delle nostre località, che d'accordo, saranno pure poca cosa, ma se ciò non viene fatto correttamente significa non aver rispetto del territorio e conoscenza dei luoghi: il Serchio viene menzionato la e chiusa, mentre il paese di Torrite, viene pronunciato con la I accentata, inoltre Valentina Cervi (che nel film interpreta la bella paesana Renata) nel film parla di Castelnuovo, Vergemoli, Torrite, Rontano, Barga e Pietrasanta come se fossero paesi a poca distanza fra di loro, raggiungibili in poco tempo e non eventualmente con ore e ore di cammino. Anche la tradizione e la leggenda garfagnina vengono usurpati nel buon nome del cinema americano, infatti si racconta la leggenda de "L'Omo Morto" (nel film è chiamato "l'Uomo che Dorme"!!!), 
una storia tutta diversa da quella che è, e poi, in una nota di colore non si è
Sul set del film
(foto gentilmente concessa
 da Graziano Salotti)
voluto nemmeno far mancare "un omaggio" a Giovanni Pascoli, dando un tocco di umanità ad un ufficiale tedesco che legge le poesie del poeta. Insomma, quello che ne esce è un calderone di argomenti mai approfonditi e trattati con superficialità, tanto che, anche gli storici a suo tempo ebbero da ridire: mai è esistito a Gallicano il comando generale della Divisione Buffalo e più che altro quello che ha fece sobbalzare sulla sedia gli studiosi fu l'intrecciarsi scollegato e confuso di due vicende di guerra locale distanti nel tempo e ben diverse per svolgimento dei fatti, come la Battaglia di Natale del dicembre 1944 avvenuta in Garfagnana e l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema che accadde il 12 agosto 1944. Non mancano nemmeno curiosità ed errori sui personaggi del film, che sono d'ispirazione a personaggi realmente esistiti, Peppi infatti non è altro che il capo partigiano Manrico Ducceschi, comandante dell'XI Zona Patrioti, ma a Sant'Anna non è mai stato, lo ribadì a suo tempo Tognarelli: "
Nel libro tante cose sono inventate di sana pianta.Ho raccontato io a McBride di
Pierfrancesco Favino
nel film interpreta
Peppi 
Pippo. La sua storia. Lui l’ha messo nel libro chiamandolo Peppi, su questo non ci sono dubbi. Ma non è mai stato a Sant’Anna. Da dov’era ci avrebbe messo giorni per arrivarci, mentre nel libro c’è un sentiero che non si sa come attraversa l’Uomo morto. Non so se ci fossero partigiani a Sant’Anna, non credo. Di certo non c’erano quelli dell’XI, non era zona nostra. Così come è fantasia il tradimento del suo braccio destro. Non so perché se lo sia inventato, però non ci sono rimasto così male. So benissimo che si tratta di un romanzo di fantasia".
A quante pare sembra realmente vissuto anche Angelo, il bambino protagonista del film, che nella pellicola una volta diventato adulto paga la cauzione ad uno dei reduci della Buffalo, infatti così affermò l'ex Sindaco di Barga Sereni:
"L’ho riconosciuto leggendo il libro, si tratta di Mario Ricci. Era un grande imprenditore, adesso è morto, per qualche anno ha vissuto alle Seychelles. Nel romanzo la scena si svolge alle
Matteo Sciabordi,
nel film è Angelo
Bahamas, ma non ho dubbi che sia lui
". Ma l'accusa più pesante venne dall'A.N.P.I, a suscitare le polemiche fu il modo in cui vennero descritti i partigiani e il fatto che fu uno di loro, con il tradimento, a determinare la carneficina di Sant'Anna, un episodio mai avvenuto nella realtà come sentenziato dal Tribunale militare di La Spezia nel 2005: "Non si trattò di rappresaglia (ovvero di un crimine compiuto in risposta a una determinata azione del nemico), si trattò di un atto terroristico premeditato e curato in ogni dettaglio per annientare la volontà della popolazione, soggiogandola grazie al terrore. L'obiettivo era quello di distruggere il paese e sterminare la popolazione per rompere ogni collegamento fra i civili e le formazioni partigiane presenti nella zona". Nei superstiti della strage fu forte la sensazione che il loro dramma fu usato nel film
La vera strage
di Sant'Anna di Stazzema
come un pretesto, perchè ciò che veramente interessava a Lee e a Mc Bride era mostrare il ruolo che ebbe un battaglione di soldati afro americani nella guerra di liberazione. 

Ma come è giusto che sia anche Spike Lee e James Mc Bride all'epoca dissero la sua sulla squallida vicenda:"Mi sono chiesto se era più giusto scrivere un libro di storia o un romanzo- così disse lo scrittore-, poi ho optato per quest'ultimo perché volevo che la storia si trasformasse in una rivelazione. Mi interessava parlare non solo della guerra, ma anche di tutte le difficoltà che questa comportava per gli italiani. Avevo uno spazio limitato e ho trovato nei due personaggi dei partigiani dei simboli per far vedere come la guerra poteva distruggere anche i rapporti di amicizia. Mi dispiace
Veri soldati
della Divisione Buffalo...
se ho offeso in qualche modo la sensibilità dei partigiani e degli italiani e chiedo scusa. Noi come persone di colore ci sentiamo ancora più vicine a questa situazione e sappiamo come sia difficile avere a che fare con libri su di te scritti da altre persone, ma bisogna dire che anche noi abbiamo partecipato a quella guerra, non stiamo parlando di cose lontane da noi. La mia missione era portare questa vicenda al pubblico, poi le cose sbagliate si possono correggere ed è già una cosa buona se oggi le persone parlano di questo e non del Grande Fratello". 

Il regista fu molto meno accondiscendente dello scrittore: "Come regista del film non chiedo scusa a nessuno. Ci sono tante questioni ancora aperte, c'è un capitolo della storia italiana che non è stato ancora risolto e se vengono fuori queste polemiche significa che il periodo della resistenza è una ferita ancora aperta in Italia.
...e quelli del film
All'epoca i partigiani non erano amati da tutta la popolazione, come era anche per quelli francesi, che facevano quello che dovevano fare e poi si rifugiavano sulle montagne, lasciando la popolazione in balia delle rappresaglie tedesche. Ci sono diverse interpretazioni su ciò che è successo a Sant'Anna, ma la storia è che per un tedesco ucciso, dieci civili italiani dovevano morire, e nel mio film è chiaro il mio punto di vista sulla questione e non ci possono essere fraintendimenti in proposito".

Nonostante il titolo del film non fu un miracolo quello fra la Valle del Serchio (i nostri vicini) e Hollywood, anzi. Alcuni moderni benpensanti ci accusarono di provincialismo e di essere dei poveri illusi: "la legge del cinema
americano guarda solo al businnes, a loro non importa niente della storia e della tradizioni" così dissero. Ma d'altronde c'era e c'è poco da fare, in Garfagnana e nella Valle del Serchio alle nostre memorie e alle nostre usanze pretendiamo rispetto...in barba ai milioni di dollari Hollywood.



Bibliografia

  • "Il Tirreno" mercoledì 1 ottobre 2008 pagina 4 "Ecco il vero miracolo" Le stoie dei partigiani che hanno ispirato Lee

mercoledì 5 febbraio 2020

Curiosità sullo "striscino" e storia di un'antico male garfagnino: l'alcolismo

In Garfagnana è conosciuto essenzialmente con due parole dialettali:
"lo striscino" o lo "zezzoron", che in effetti esprimono in maniera sinteticamente perfetta le qualità di questo nostro prodotto che la natura ci offre: il vino garfagnino. Non sono assolutamente un'intenditore, ma a quanto ne so, la vite perchè produca un vino che sia un buon vino ha bisogno essenzialmente di sole, di bassi livelli di piovosità e di poca umidità, caratteristiche climatiche che la nostra valle non ha... Ecco allora la genesi delle due parole suddette, che ci riporta a tempi lontani, di quando le viti dovevano produrre più uva possibile, d'altronde la mezzadria garfagnina non badava alla qualità ma alla quantità, dal momento che il contadino doveva spartire metà del prodotto con il padrone della terra. Allora ecco che nasceva un vino di gradazione bassissima, addirittura di 6 o 8 gradi, per questo che veniva chiamato "striscino", la sua qualità era terra, terra, tanto da strisciarvi. Ma di questo i nostri contadini ne erano consapevoli, come erano altrettanto consapevoli di un'altra "qualità" di questo vino: l'asprezza e l'acidità, infatti la definizione "zezzoron" viene da queste caratteristiche e prende proprio il nome da quell'"erbo" che in Garfagnana è conosciuto dialettalmente parlando come "zezzora" e in italiano come erba acetosa e questo la dice lunga su questa particolarità del vino
nostrale. Il Santini, poeta dialettale, sottolineava nei suoi versi, che per bere un bicchiere di questo vino bisognava essere in tre persone, uno che lo beveva e due che  tenevano fermo lo stesso bevitore per non farlo sobbalzare sulla sedia. Sempre a proposito di vino e poeti, anche il sommo Pascoli, ottimo bevitore, non amava troppo il vino casalingo (anche se assolutamente non lo disdegnava), in una lettera all'amico Caselli così scriveva: "Va a vedere il vino, tutto. Se le cose vanno bene, potrai dire allo Zì Meo che a giorni gli mando un caratello (n.d.r: vaso da vino o da liquore) di Marsala e gli farò mandare un dodici bottiglie di vino delle Cinque Terre da Spezia- ma per me, per essere messi in cantina- le berremo poi insieme". Sempre a proposito rimane sospesa fra verità e leggenda la visita del Vescovo a Sassi (comune di Molazzana), quando dopo aver ispezionato la parrocchia si fermò nel paese a mangiare i manicaretti offerti dal comitato d'accoglienza, il religioso apprezzò molto, mangiò di tutto e di più, però beveva acqua...gli fu chiesto il perchè, eppure c'era vino prodotto in maniera genuina: "Guardi Eminenza, che è vino di Sassi!!!" al che il prelato furbescamente rispose: " Per essere di
sassi non sarebbe neanche male, anche perchè se fosse fatto d'uva le viti bisognerebbe tagliarle al calcio". Non mancarono giustamente fra i contadini questioni più seriose da affrontare e puramente economiche, come quando i comuni imposero tasse sul vino, pari a quelle di chi produceva Chianti o altri vini pregiati toscani. Insomma la storia del vino in Garfagnana è una storia antica, qui viene prodotto da secoli e secoli, dalle parti più basse della valle, lungo il Serchio, fino ad arrivare agli ottocento metri d'altezza. Documenti storici riportano la sua produzione già presente nell'anno mille da uve di tipo selvatico, ma il suo vero e proprio sviluppo si ebbe agli inizi del 1800, con tutte le conseguenze negative che il vino si porterà dietro e se fino adesso con il mio caro lettore ho potuto scherzare raccontando aneddoti o curiosità più o meno stravaganti, da questo momento la cosa si fa più seria, dal momento che racconterò quella che fu una vera piaga garfagnina: l'alcolismo. 
Siamo nel 1911 era il 13 gennaio, allora a Castelnuovo esisteva sempre la Regia Sottoprefettura e come ogni anno il sottoprefetto Rossi inviava alla Prefettura competente, che all'epoca era Massa,
un resoconto sociale sulle condizioni di vita della popolazione: "Colla emigrazione abbonda nei comuni del Circondario ciò che ne è una delle conseguenze più frequenti, l'abuso dell'alcolismo, essendo la bettola il ritrovo abituale dei contadini e operai che ritornano nell'inverno nel loro paese a consumarvi nell'unico modo che per loro è possibile, gli scarsi guadagni accumulati. E non è infrequente che chi accumuli qualcosa più degli altri, creda di non poterne fare uso migliore che aprendo un'osteria, che si aggiunge alle tante altre esistenti nei Comuni onde si verifica in alcuni di essi (come a Castelnuovo) salga al 20 per mille della popolazione, che è il doppio della cifra che fu deplorata alla Camera come esiziale per la popolazione. A ciò lo scrivente tentò di porre un freno col vietare (salvo casi eccezionali di interesse del pubblico per speciali condizioni locali) l'apertura di nuovi esercizi nei comuni che più ne abbondano, se non in sostituzione di quelli che vengono a cessare; opera questa che più autorevolmente costituita presso codesto ufficio". L'allarme alcolismo in Garfagnana arrivò così sul tavolo del Prefetto, bisognava porre rimedio, era diventato veramente un problema sociale serio che sfociava in frequenti scazzottate fuori
dalle osterie, anche per futili motivi e quello che era più grave che l'abuso d'alcol a questi uomini faceva dare  il peggio di sè fra le quattro mura di casa, non era difficile (anzi era piuttosto frequente)che il marito una volta tornato a casa ubriaco sfogasse il suo malessere contro la moglie e i figli. D'altra parte,in proporzione, in Garfagnana erano più osterie che abitanti, una media ben al di sopra di quella consentita da un vecchio regolamento regio, non rimaneva altro che non concedere altre licenze. Consideriamo poi che il vino non mancava nemmeno a casa e il suo stretto rapporto con il garfagnino cominciava la mattina presto, quando iniziava il lavoro nei campi, un paio di "bicchierotti" di buon'ora sarebbero stati il sostentamento per affrontare una dura giornata, se poi le mattinate erano fredde e gelide un po' di grappa avrebbe scaldato il corpo; tutti falsi luoghi comuni associati a questa bevanda. Insomma l'alcol era il fedele compagno del garfagnino che lo seguiva in tutto l'arco del giorno: colazione, pranzo, merenda, cena e la sera
all'osteria. Il vino in questo senso è sempre stato "subdolo" nella nostra cultura, gli è sempre stato dato un valore d'uso sostanzialmente alimentare, alla stregua di un piatto di pasta o di polenta, una familiarità tale che bere tanto o poco vino non faceva differenza e nella maggior parte dei casi l'abuso era maggiore dell'uso. Spesso anche il "povero Cristo" che  magari non era un gran bevitore o addirittura non beveva per niente veniva sottoposto ad involontarie pressioni psicologiche: - Ma come!? Bevi così poco? Dai bevi ancora!- e se non beveva era addirittura guardato con sospetto e diffidenza, sarebbe diventato "un fuori dal coro", un asociale, quasi indesiderato. Insomma gli aspetti sociali che toccava questa piaga erano molteplici. Si può dire però che queste persone erano perle rare, dato che il sapore del vino in Garfagnana c'accompagnava fin dalla culla, quando si diceva che per far addormentare un neonato che non ne voleva sapere bastava inzuppare un "cencino" con un po'di vino e farglielo succhiare e il gioco era fatto.... (e ci credo !!!). Le donne sotto questo punto di vista, erano preservate, l'alcol una volta era considerato prerogativa maschile, una donna ubriaca era un'indecenza, una vergogna, una madre ubriacona era disonore per la famiglia, perdipiù i vecchi contadini garfagnini credevano che far toccare o addirittura far avvicinare una donna in periodo di mestruazioni alle botti dove il vino era in fermentazione avrebbe mandato alla malora tutto il prodotto. Non crediamo però che l'abuso d'alcol sia stata  una prerogativa soltanto delle classi sociali più povere garfagnine, questo male prendeva tutti, dal più ricco al più misero: "I pochi individui che vivono sugli 8-10 poderi che hanno, in generale menano una vita oziosissima: si annoiano tutto il giorno, sbadigliano, stanno colle gambe a cavalcioni, sul muricciolo della piazza a ciarlare con quelli che passano. Se trovano i
compagni, giocano a carte, bevono, e per ingannar meglio il tempo passano la misura del bere ubriacandosi, Ad essi si unisce spesso anche il parroco, sia nel far due chiacchiere sulle novità del giorno, sia nel far la partita a carte, sia nel bere un litro di vino". Ma dove ricercare le cause di questa piaga nella società garfagnina? Difficile rispondere, rimane il fatto che non fu un fenomeno temporaneo, ma fu un fenomeno che durò per molti decenni e che vide il suo mitigarsi verso gli anni '50 del 1900, quando le nuove generazioni cominciarono ad acculturarsi, ad emanciparsi, quando finalmente lo Stato si accorse della Garfagnana e riuscì con investimenti infrastrutturali, industriali a far uscire dalla povertà e dall'emarginazione una valle che per secoli era stata dimenticata.  
Erano proprio così le condizioni in cui versava la società garfagnina, naturalmente non si può ora e non si poteva allora fare di tutta un'erba un fascio, ci mancherebbe altro, ma rimane il fatto che anche oggi questo mostro dell'alcolismo si ripropone con tutta la sua gravità e anche in questo caso la storia ci mostra le sue incredibili sfaccettature. Se una volta il principale motivo
dell'abuso di alcol era l'ignoranza e la povertà, oggi ci dice che il motivo principale dei giovani che abusano è per avere "lo sballo", per provare un qualcosa di diverso, al di fuori della routine quotidiana, diventata noiosa e monotona per chi ha tutto a disposizione.   



Bibliografia:
  • Rapporto del Sottoprefetto Rossi alla Prefettura di Massa 13 gennaio 1911
  • "Come la storia dell'alcol, anche la storia della sua regolamentazione è antichissima" di A. Culotta , tesi di laurea. Vittimedellastrada.org