mercoledì 9 marzo 2016

La guerra vista dagli occhi delle donne garfagnine

Non limitiamoci ad un semplice mazzetto di mimose,la festa della
Anni 50, donne sul Ponte di Gallicano
donna è ben altro ed è caduta anch'essa (come ormai tutte le feste) nel vortice delle celebrazioni super commerciali. Ristoranti e gadgets vari la fanno da padrona, dimenticando il vero significato della ricorrenza. La Giornata Internazionale della Donna o più comunemente detta festa della donna ricorda ogni anno le conquiste sociali, politiche ed economiche della donne, sia le discriminazioni e le violenze cui sono state oggetto (e lo sono ancora) in tutte le parti del mondo. In America la ricorrenza veniva già celebrata nel 1909, in Italia solo nel 1922.Per questo oggi (anche se con un giorno di ritardo), con questo articolo voglio rendere omaggio alle donne, ricordando la vita tribolata delle nostre nonne in Garfagnana in uno dei periodi più neri per l'umanità: la seconda guerra mondiale. Già durante il ventennio fascista e per la retorica di quel tempo la donna garfagnina doveva dedicarsi al lavoro domestico e provvedere esclusivamente alla riproduzione e all'amministrazione della casa. La numerosa famiglia fascista era infatti al centro della propaganda del partito, il ruolo che spettava alla donna era quello esclusivo di moglie e madre, ma in una posizione subordinata all'uomo, il suo corpo praticamente era come se fosse "nazionalizzato", la maternità così si trasformava in un dovere nei confronti della Patria. La cosa cambiò drasticamente e in peggio il 10 giugno del 1940 quando dal balcone di Palazzo Venezia Benito Mussolini annunciò trionfalmente l'entrata in guerra dell'Italia, a quel punto le donne garfagnine continuarono la loro attività di "angeli custodi" del focolare domestico ma inoltre cominciarono a sostituire l'uomo (che partiva soldato) anche nei lavori più duri. Non bastava più assolvere i compiti relativi alle faccende domestiche, oltre a quello di crescere i figli e curare gli anziani che erano in casa,ma bisognava anche coltivare, arare e zappare la terra per provvedere al mantenimento della famiglia stessa, ma non solo, dovevano
Donne in fabbrica alla SMI di Fornaci
(foto tratta da Bargarchivio.it) 
occupare anche quei posti lasciati vuoti dall'uomo nelle fabbriche, ecco allora salire alle stelle l'occupazione femminile alla S.M.I di Fornaci di Barga e nello stabilimento di Gallicano della Cucirini .Le nostre nonne non si risparmiarono nemmeno quando ci fu da dare un contributo nella resistenza partigiana, dove svolgevano la mansione di
"staffetta", era un compito difficilissimo e molto pericoloso, consisteva nel portare ordini, vestiti,cibarie e munizioni da una località all'altra riuscendo a superare i posti di blocco tedeschi, queste missioni erano spesso affidate a ragazzine di 16-18 anni che si pensava potessero destare meno sospetti. Ma il peggio venne dopo l'otto settembre 1943,alla firma dell'armistizio fu il caos totale.
Queste sono due testimonianze viste con gli occhi di donne garfagnine durante quei tremendi giorni, tratte dal bel libro di Tommaso Teora "Racconti di guerra vissuta".

Così raccontano le sorelle Settimia,Lola e Marilù Del Cistia di Sassi(Molazzana)

A settembre del 1944 eravamo tutti a casa. Vedemmo passare un gruppo di persone e ci chiedemmo cosa facessero li. Andammo tutti al piano di sopra e dalla finestra vedemmo un ragazzetto che veniva picchiato e sbattuto contro un ciliegio. Sapemmo solo in seguito che il ragazzo era stato trovato con una radio mentre ascoltava "Radio Londra" e chi inveiva contro di lui erano le camicie nere di Castelnuovo. Verso i primi giorni di ottobre del '44 tutta la nostra famiglia era impegnata nella raccolta delle castagne nelle nostre
selve di Rosceto, località sotto il campanile di Sassi. Al ritorno,a fine giornata la Lola e la Settimia andavano a mungere la vacca che era nella capanna sotto la nostra abitazione. Una sera una cannonata picchiò molto vicino, tanto che il secchio del latte si riempì di terra. Sparavano da Calavorno ed era la prima cannonata che arrivava a Sassi.Il papà per sicurezza ci portò a dormire in un cijere (n.d.r:una cantina) del paese. Il giorno dopo andammo tutti in Focchia, località sotto la Foce di Eglio, dove avevamo un metato. Rimanemmo li per circa un mese, poi nostra madre disse che voleva morire a Sassi e tornammo tutti in paese a casa del Pieroni. La notte dormivamo in cantina. Il 15 novembre fu segnato dalla morte di tredici orfanelle e di una suora sotto il bombardamento americano. Dopo tre o quattro giorni arrivarono i tedeschi, si impadronirono della casa e portarono tantissime munizioni, tra cui mine anticarro che furono messe nel corridoio. Dormivamo con le bombe a pochi metri. La sera del 27 dicembre '44 nostro padre ci disse:
- Domani non state in casa c'è pericolo di bombardamenti -.
Purtroppo non lo ascoltammo e il giorno dopo, mentre in sei o sette donne eravamo intorno al fuoco, cominciò un bombardamento aereo che dalla paura ci fece scappare tutte senza meta e direzione. Ci trovammo con molte altre persone nel bosco, alla capanna dell'Italo Rossi. Poi, insieme ad altri parenti ritornammo al nostro metato di Rosceto. Siamo rimasti lì finchè non fu dato l'ordine di andare tutti sulla riva sinistra della Turrite (febbraio 1945). Ci rifugiammo nella capanna sopra "Calorino". Siamo rimasti li per un certo periodo poi ritornammo a Rosceto fino alla fine della guerra. Quando sentimmo suonare le campane cominciammo ad incamminarci per
tornare a casa. Nel via vai di gente incontrammo molti soldati neri, che ci davano le cioccolate, ma non capivamo il motivo della loro presenza. Un particolare del gennaio '45 quando eravamo ancora a Rosceto, arrivò Pietro Tognocchi chiedendo aiuto a nostra madre Anna, poichè la moglie Maria stava per partorire. Nostra madre che era già pratica di parti, andò da loro a far nascere Giuseppe.

Questa invece è la drammatica testimonianza  della signora Valentini Letizia nata a Gragliana (Fabbriche di Vallico) nel lontano 1917, all'epoca dei fatti abitava a Castelnuovo Garfagnana.

Quando bombardarono per la prima volta Castelnuovo era il 2 luglio del 1944, io ero alla messa in San Pietro con mia figlia Maria Rosa di due anni e mio nipote. Scappammo immediatamente salvandoci per un pelo. Nel settembre '44 i tedeschi e gli alpini dopo, vennero a stabilirsi a casa mia. A noi ci lasciarono solo una stanza in cui vivere. Ci sequestrarono tutto: vino, cinque vacche e un maiale. Passammo tutto l'inverno in quella maniera. Certi alpini erano brave persone, ci portavano da mangiare ed io e mio marito lavavamo i loro panni, che erano pieni di pidocchi. I militari italiani di solito mi trattavano bene e mi davano anche buoni consigli per come comportarmi con i tedeschi; uno di loro addirittura tornò a trovarmi un paio di anni dopo la fine della guerra. Durante l'inverno che quell'anno fu particolarmente rigido, i soldati intirizziti dal freddo,cominciarono a bruciare tutto il legno che avevamo in casa, compresa la mia camera di noce. Quella volta non riuscì a
trattenermi e mi arrabbiai tantissimo, ma questo provocò un caos.
Castelnuovo bombardata
Due militari mi presero e mi portarono via per fucilarmi verso Pieve Fosciana e così gli chiesi:

- Dove mi portate? E come faccio a camminare nella neve senza scarponi?-
Allora un alpino ebbe compassione e mi dette i suoi e così ci si incamminò. Ma cosa volevano da me? Ero incinta della Silvana, che poi è nata nel luglio del '45. Arrivati in località Merlacchia ci raggiunse un soldato italiano che ci disse di tornare subito indietro, perchè il comandante tedesco aveva saputo della mia gravidanza e aveva avuto un ripensamento. Quando finalmente tornai a casa, un soldato italiano medico mi dette alcuni consigli per come rispondere durante l'interrogatorio che mi avrebbero fatto. Fui portata dentro una stanza con tre militari e un comandante tedesco di cui non ricordo i gradi, che mi fece una lunga serie di domande con una cattiveria indescrivibile. L'avevo scampata perchè ero in stato interessante, ma se potessi ritrovare quel tedesco! Nonostante la mia età lo strangolerei! Era odioso. Tra i militari a casa mia c'era anche un ragazzetto di quattordici anni, con il padre e sparavano tranquillamente insieme. Nel marzo del '45 ci mandarono via di casa dicendo che era pericoloso stare là. Il primo trasferimento fu in un metato poco sopra, poi ci trasferimmo al casello ferroviario di Volcascio. In seguito andammo sotto Bargecchia, a Rondanecchio e da li molto spesso sono tornata a Volcascio a portare da mangiare alle famiglie rimaste. Avevamo portato con noi l'ultima vacca rimasta. Quando tornammo a casa dopo la guerra, trovammo la casa vuota e tanta sporcizia. Dovemmo rimboccarci le maniche e ricominciare tutto da capo.

Di li a poco l'Italia tornò ad essere un Paese libero.La guerra finì dopo
Gallicano. La guerra è finita. Donne
ragazze e bambine in posa
cinque lunghi anni di strazio e tormenti infiniti. La guerra era persa, ma da questa tragedia uscì un vincitore: la donna, che ebbe un ruolo fondamentale in questo maledetto conflitto. Eroina rimasta anonima che si sacrificò per il valore più alto:la famiglia.

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