mercoledì 11 novembre 2020

Quello che (forse) non si è mai saputo sulla I guerra mondiale in Garfagnana (e non solo)

Perdonatemi... Non vorrei essere accusato di vilipendio alla Patria... ma quel 4 novembre 1918 non fu vera gloria. Quel lontano 4 novembre il generale Armando Diaz nel celeberrimo "Bollettino della Vittoria" annunciò agli italiani il trionfo dell'Italia nella I guerra mondiale: "...l'esercito austro- ungarico è annientato, esso ha subito perdite gravissime...". Ma le perdite gravissime non le subì solamente il nostro "nemico". Seicentocinquantamila soldati morti, 950 mila feriti, 345 mila orfani e 546 mila vittime fra i civili, questi erano i numeri italiani riguardanti la Grande Guerra. Forse una qualsiasi vittoria di una qualsiasi guerra vale questo sacrificio? Credo proprio di no. Ma che ci volete fare, c'era da celebrare una vittoria, c'era da glorificare con ogni enfasi possibile il compimento dell'unità nazionale e la realizzazione degli ideali risorgimentali, per il resto, per le bruttezze, le nefandezze e le ingiustizie che avevano generato questa scellerata guerra i governanti del tempo adottarono la medesima difesa che attua lo
struzzo contro i predatori: mettere la testa sotto la sabbia, o meglio ancora buttare la polvere sotto il tappeto, facendo in modo che nessuno sapesse  degli strascichi che portava dietro di sè questa guerra. Strascichi non solo legati ai numeri sopra citati (che già basterebbero)ma anche a tutta una serie di risvolti poco chiari e poco noti, accaduti prima, durante e dopo il conflitto e che purtroppo si rifletterono su tutto il territorio nazionale e in quella piccola porzione d'Italia che si chiamava (e si chiama ancora) Garfagnana. Tutto quello che andremo a raccontare è supportato da vecchie testimonianze di coloro che combatterono questa Grande Guerra, che di grande ebbe poco. 

Tutta questa brutta storia cominciò ben prima che la nostra nazione decidesse di entrare in guerra. L'Italia era infatti divisa fra interventisti (coloro che volevano la guerra) e neutralisti (coloro che non la volevano). Ma fra la fine del 1914 e il maggio 1915 tutto cambiò, si passò da un convinto neutralismo al più acceso nazionalismo, trascinando di fatto gran parte dell'opinione pubblica su posizioni belligeranti. Un risultato ottenuto attraverso una capillare organizzazione del consenso, una delle prime attuate in maniera così minuziosa in Italia, che avrebbe coinvolto scrittori, testate giornalistiche e intellettuali. La stessa cosa accadde anche in Garfagnana. La stampa locale non aveva più dubbi, dalle posizioni attendiste passò in men che non si dica ad un convinto si alla guerra: "...è l'occasione per la Garfagnana di inserirsi nella storia nazionale e prendere parte alla nascita della nuova società...", così scriveva "La Squilla Apuana". Dello stesso avviso "La Garfagnana" che

a tambur battente pubblicava poesie ed articoli interventisti. Ma chi era che spingeva un'intera nazione verso la guerra? Cosa c'era dietro a questo mutamento? L'industria italiana dalla guerra trasse profitti enormi. Qualche esempio? Fra le industrie più note l'Ansaldo fatturò due volte e si fece pagare due volte un'intera fornitura di cannoni o l'Ilva che al tempo investì una cospicua somma di denaro per finanziare la stampa nazionale e locale perchè creasse nell'opinione pubblica un clima complessivo di consenso alla guerra. Anche la S.M.I prese la palla al balzo e fiutando l'affare convertì la sua produzione in prodotti finiti per l'industria militare e in soli undici mesi (nel 1916) aprì una fabbrica di munizioni a Fornaci di Barga (l'attuale K.M.E). In barba a qualsiasi forma di malcostume da parte dei potentati del tempo "Il Camporgiano" rimase voce libera e rivolgendosi proprio ai ricchi industriali cosi scrisse: "...gli uomini garfagnini ignari nelle loro campagne non vogliono la guerra. Il popolo che lavora, dolora per avere un tozzo di pane da sfamare si e no i propri figli, la vita gli si presenta sotto un altro punto di vista, ha tutt'altro che per il capo i vostri grilli, le vostre chimere, le vostre utopie che l'oziosaggine vi fa passare per fantasia durante il chilo dei vostri lauti pranzi. Se c'è invero una guerra che va combattuta è una guerra interna: all'analfabetismo, alle terre incolte, alle zone malariche, che sono la causa prima della delinquenza". Nonostante questo il 24 maggio 1915 l'Italia entrò in guerra. Nei nostri libri di storia e nella maggior parte della letteratura che parla di questo conflitto si è sempre raccontato di battaglie, di soldati, del Piave che mormorava, di Caporetto e così via, tralasciando di fatto altre incredibili tragedie che i soldati italiani subirono. Infatti non era sufficiente combattere e vincere il nemico per portare a casa la pelle, bisognava salvarsi anche dal proprio esercito... Si, avete capito bene... Si aggiungeva così tragedia nella tragedia. Ma facciamo parlare ancora una volta i numeri: 870 mila militari denunciati, 470 per renitenza, 350 mila il numero dei processi
celebrati, 170 mila le condanne di cui 111 mila per diserzione, 220 mila pene detentive, tra le quali 15 mila ergastoli e infine ciliegina sulla torta, oltre 4 mila condanne a morte, 750 eseguite. Luigi Cadorna (Capo di Stato maggiore dell'esercito) era stato chiaro con i suoi ufficiali, aveva ordinato la massima severità onde mantenere rispetto e disciplina. Di questo se ne rese subito conto Mario di Castelnuovo Garfagnana(classe 1895): "I soldati che si rifiutavano di uscire dalle trincee durante un'assalto potevano essere colpiti alle spalle dai plotoni dei carabinieri". Il motto del generalissimo Cadorna d'altronde non lasciava dubbi: "Morire, non ripiegare". "Perdipiù le lettere che scrivevo a casa -
 continua Mario- mi venivano aperte e lette dagli addetti". Difatti se la lettera del soldato conteneva qualcosa di non pertinente si rischiava seriamente il carcere militare. L'aspetto più tragico furono comunque le condanne a morte. Fra l'ottobre 1915 e l'ottobre 1917 furono eseguite dall'esercito italiano 140 esecuzioni capitali contro i propri soldati. I motivi di ciò erano fra i più assurdi e disparati, si poteva essere fucilati per un ritardo dopo una licenza o per essere stato sorpreso a scrivere una frase ingiuriosa contro un superiore. Si può così anche capire i motivi per cui molti soldati disertavano. Anche perchè se non morivi durante un'assalto alla trincea nemica, rischiavi seriamente che il cervello partisse... La nota offesa "scemo di guerra" nacque proprio durante la I guerra
mondiale. Salvarsi da un assalto ad una trincea nemica lasciava segni psichici indelebili nella testa del povero soldato, altrettanto effetto lo facevano i bombardamenti. Per questi uomini parlavano le cartelle cliniche: "tremori irrefrenabili, ipersensibilità ai rumori, uomini inespressivi, che volgono intorno a sè lo sguardo come uccelli chiusi in gabbia, che camminano con le braccia a penzoloni e piangono in silenzio". Per 40 mila di loro si sarebbero aperte le porte dei manicomi e alcuni di loro erano garfagnini. Al loro rientro in Garfagnana buona parte delle loro famiglie preferì non farle ricoverare, sobbarcandosi di fatto tutte le difficoltà che comportava una persona del genere, ma l'onta non finì li, le autorità (militari)locali fecero visita a queste famiglie, ma non per una parola di conforto o per qualche aiuto, per loro questi uomini erano motivo di vergogna, qualcosa che andava nascosto, era meglio se non facevano vita di paese, erano persone da occultare alla vista dei civili e degli altri soldati che ancora combattevano. Quello che è certo, che alternative per questi soldati ce n'erano poche, quelli che non morivano o non diventavano pazzi venivano fatti prigionieri dagli austriaci. Erano 600 mila i prigionieri italiani, molti di loro (fra i quali anche garfagnini che non fecero più ritorno a casa) furono inviati nei campi di prigionia di Mauthausen (tristemente noto anche nella II seconda guerra mondiale) Theresienstadt (Boemia), Rastatt e Celle (Germania). E' giusto altresì chiarire che tutti questi italiani non furono catturati durante azioni militari, molti di loro si lasciarono catturare, sfuggendo in questo modo alla prima linea. Era una scelta
disperata, dettata dalla speranza di trovare nei campi di prigionia delle condizioni migliori rispetto a quella delle trincee. Ma così non sarà. Terribile fu il loro destino, reso ancor più crudele e beffardo dal nostro governo. Il trattato stipulato all'Aja nel 1907 all'articolo 7 così diceva: "... ai prigionieri deve essere garantito un trattamento alimentare equivalente a quello riservato alle truppe del Paese che li ha catturati". La situazione però anche da un punto di vista alimentare era drammatica. Le nazioni europee non avevano abbastanza cibo per sfamare la propria gente, figurarsi se lo avevano da dare ai prigionieri di un'altra nazione. Fattostà che questo famigerato articolo 7 andò eluso, ma per ovviare a ciò, grazie agli osservatori svizzeri fu deciso che ogni nazione doveva provvedere ai propri prigionieri nei campi di prigionia dove erano reclusi e così fecero Francia, Germania ed Inghilterra. E l'Italia? Il governo italiano in perfetta sintonia con il comando supremo dell'esercito, rifiutò sempre ogni tipo d'intervento statale per i prigionieri italiani, tollerando appena l'invio d'aiuti da parte dei privati cittadini. Questo mancato sostegno secondo le distorte menti dei governanti italiani doveva servire come deterrente per coloro che avessero intenzione di sfuggire alla durezza della vita al fronte con la resa al nemico. Questo "giochino" costò la vita a 100 mila nostri
connazionali, che da quei campi di prigionia non fecero più ritorno. Dall'altra parte, anche gli austriaci (legati dalla medesima motivazione) si lasciavano catturare dagli italiani e ben 500 di questi trovarono il loro luogo di detenzione a Castelnuovo. La loro prigione era nelle scuola "Giovanni Pascoli" e in località Carbonia presso la sede della S.E.L.T Valdarno. In Garfagnana vennero impiegati: "nel rimediare la deficienza delle braccia, dove questa minacci il buon andamento delle opere pubbliche e dei raccolti agricoli". 

Arrivò anche quel fatidico 4 novembre 1918 e la guerra finì. Non finirono però i dolori, le pene e le sofferenze. I soldati garfagnini che persero la vita in quella carneficina furono centinaia: nel comune di Castelnuovo 101 giovani non fecero ritorno, 42 a Piazza al Serchio, ma le salme continuarono ad affluire nella valle anche anni dopo la fine del conflitto, la continuazione del patimento andò avanti ancora per molto tempo. Tutta la Garfagnana si strinse intorno ai propri reduci, molti di questi tornarono a casa sfigurati e mutilati. Quasi un milione furono infatti i feriti gravi: 500 mila mutilati, 74 mila storpi, 21 mila rimasti senza un occhio, quasi duemila completamente ciechi, centoventi senza mani, quasi diecimila fra sordi e muti e oltre cinquemila sfigurati nel viso... Tutti ragazzi di vent'anni o poco più. Questi diventarono i cosiddetti "i grandi mutilati", che pretendevano (giustamente) dallo Stato una contropartita per il loro sacrificio: posti di lavoro, pensioni, assistenza alle vedove, agli orfani. Dopo anni di vita al fronte questi uomini non intendevano riprendere la vita di prima. Fu una speranza ben presto disillusa dal governo. Una delusione che aprirà le porte ad un'altra sventura: il fascismo, che furbescamente fece leva sul patriottismo e la rivincita sociale di queste persone. Rimane il fatto che i garfagnini e gli italiani in genere si resero conto dell'immane disgrazia accaduta quando tutto ormai era finito. Infarciti di propaganda bellica e di proclami interventisti la gente capì troppo tardi che la guerra,
quella vera non era affatto come la raccontavano i giornali e i manuali militari. Nemmeno l'ombra di grandi manovre, di generali paterni, di eroici combattimenti. Quello che rimase di questa assurda chimera furono orfani, vedove, mutilati, prigionieri e tanti morti.


Bibliografia    

  • "Gli ammutinati delle trincee" di Marco Rossi BFS Edizioni 2014
  • "La Grande menzogna" di Valerio Gigante, Luca Kocci, Sergio Tanzarella, editore Dissensi anno 2015
  • "Dal fascismo alla Resistenza, la Garfagnana fra le due guerre mondiali" di Oscar Guidi. Banca dell'identità e della Memoria anno 2014
  • Appunti personali della maestra Moni Albertina
Sitografia

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