Proprio adesso, 24 marzo, mentre stai leggendo quest'articolo se tu avessi vissuto nella Toscana di 270 (e oltre) anni fa ti staresti preparando(covid permettendo) per i bagordi del veglione di fine anno... Se invece vivevi in Garfagnana (fino al 1582) e cioè sotto il Ducato di Modena, il veglione di fine anno lo avresti festeggiato la vigilia di Natale: il 24 dicembre. Naturalmente ai quei tempi non esistevano i festeggiamenti come noi oggi le intendiamo e di veglioni neanche a parlarne, però quello che è vero che l'Italia fino a non molto tempo fa era un'inestricabile guazzabuglio per quanto riguardava il modo di iniziare l'anno. Praticamente si viveva in un capodanno continuo, bastava viaggiare da uno staterello all'altro. Difatti esistevano svariati modi per calcolare l'anno e i più consueti contemplavano due cosiddetti stili legati strettamente alla sfera religiosa. Lo stile dell'Incarnazione e lo stile della Natività, tanto per complicare ancor di più le cose succedeva anche che nel medesimo stile potevano convivere delle varianti significative, c'era ad esempio lo stile Pisano che seguiva lo stile dell'Incarnazione, anticipando però di un anno lo stile Fiorentino,anch'esso basato sull'Incarnazione (quindi un anno datato Anno Dominice Incarnationis MCXXVII, die Kalendarum octubris redatto a Pisa andrebbe datato 1126 ottobre 1°, a Firenze
mercoledì 24 marzo 2021
Quando in Toscana il Capodanno era il 25 marzo. Storia di "stili", riforme e di...tanta confusione
mercoledì 17 marzo 2021
Quando l'emigrante garfagnino cadeva nella trappola del "padrone system"...
Il Castle Garden di New York, l'Hotel degli Immigrati di Buenos
Aires e l'Hospedaria di San Paolo non li troveremo su Trip Advisor fra i miglior hotel del continente americano. Direi proprio di no. In verità queste strutture erano più vicine ad un lager che ad un albergo a quattro stelle e anche i nostri emigrati garfagnini lo sapevano bene. Castle Garden, ossia "il Giardino del Castello" era tutt'altro che un giardino, in realtà nella sua origine era un forte militare meglio conosciuto come Fort Clinton. Nel 1847 questo edificio divenne il centro di smistamento della prima grande ondata immigratoria negli Stati Uniti d'America. Una pubblicità ingannevole diffusa anche in Italia descriveva questo posto decantandone le sue virtù. Già il suo
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Castle Garden |
leggiadro nome "Il giardino del castello" faceva apparire questo luogo come un posto sereno e confortevole, dove al suo interno esistevano persone cordiali, pronte a ricevere l'immigrato con tutte le gentilezze possibili, anche le stesse pratiche burocratiche venivano presentate come semplice formalità, ma la realtà era ben diversa: "era sommerso da un flusso enorme di esseri umani confusi, spaventati, carichi di fagotti, accalcati gli uni contro gli altri, in preda al panico, mentre venivano intruppati come animali in file che molto lentamente passavano davanti a funzionari indifferenti". Le stesse autorità nei loro giudizi su questo luogo e sulla gente che vi era internata non andavano tanto per il sottile, il 6 novembre 1879 il New York Times pubblicò in un articolo una dichiarazione del Sovraintendente del Castle Garden:" Tra i
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Castle Garden oggi |
passeggeri di terza classe c'erano 200 italiani, la parte più lurida e miserabile di esseri umani mai sbarcata". Questo centro rimase in funzione fino al 1890, quando l'amministrazione federale decise di aprire una stazione più funzionale: Ellis Island, l'isola delle lacrime... Molti garfagnini giunsero anche in Argentina e sicuramente passarono dall'Hotel degli Immigranti di Buenos Aires. Questo "hotel" era un enorme edificio di quattro piani, capace di ospitare fino a tremila persone, fu costruito fra 1906 e il 1911 con lo scopo di ricevere e dare assistenza a tutti gli immigranti che raggiungevano la capitale argentina. Al pianterreno c'era la cucina e la sala da pranzo, ai piani superiori c'erano le camerate, quattro per piano, tali camerate potevano contenere fino a 250 persone che dormivano tutte in delle cuccette prive di
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L'Hotel degli immigrati di Buenos Aires |
materassi, questi erano rimpiazzati da stuoie di cuoio per evitare infezioni o malattie. Nell'albergo i nostri immigrati potevano sostare gratuitamente per cinque giorni, durante quei giorni l'immigrato doveva trovare lavoro, in caso contrario molte persone erano costrette a vivere li per settimane e settimane fino a che, qualche parente o conoscente (che già viveva a Buenos Aires) non andava a cercarli. Un'altra delle mete migratorie predilette dei garfagnini era il Brasile, non si direbbe ma fra il 1875 e il 1914 circa ottantamila toscani partirono per quella lontana terra. I flussi maggiori di questi immigrati toscani provenivano infatti dai territori della Lunigiana e Garfagnana. Per capire bene quale fu la proporzione di questo fenomeno "brasilero" è necessario sottolineare i dati ufficiali del 1910 che evidenziarono la netta predominanza delle due aree geografiche che rappresentavano da sole il cuore dei movimenti migratori regionali, superiori a quelli di ogni
altra provincia del Regno. Rimane il fatto che le destinazioni conclusive di quel lungo viaggio erano due "Hospedaria": quella di Rio di Janeiro e di San Paolo. Quella di San Paolo fu il traguardo di molti
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Hospedaria di San Paolo |
garfagnini. Questa enorme costruzione era sita sul terreno nel bairro del Bras, era progettata per ospitare tremila persone, arrivò comunque a stiparne fino ad ottomila. La struttura offriva tre pasti principali, assistenza medica e dentistica. Tutti dormivano in ampie camerate in attesa di un lavoro che molto probabilmente sarebbe arrivato dalle piantagioni di caffè. Era proprio per questo motivo che quel centro d'accoglienza era l'unico che non era all'interno di un porto, gli immigrati venivano caricati sui treni merci che collegavano San Paolo, una volta arrivati nella grande città brasiliana venivano fatti scendere, e in una scena che ricorderà negli anni che verranno altri tragici momenti, venivano selezionati e smistati per la manodopera necessaria per il faticoso lavoro nelle fazendas, le grandi aziende agricole dedite alla coltivazione del caffè. Insomma, quello che rimane chiaro è che questi luoghi, erano luoghi di speranza e di attesa, ma soprattutto erano luoghi di sofferenza. Ad alimentare questa sofferenza talvolta erano gli stessi emigrati italiani verso i loro stessi connazionali, in quello che è conosciuto come il fenomeno del "padrone system". Tanto era umiliante e degradante questa pratica che non troveremo
testimonianze dirette di chi fu colpito da questa brutta esperienza. La vergogna e l'imbarazzo dell'emigrante era superiore a qualsiasi voglia di rivalsa o di denuncia, quello che è chiaro che anche molti garfagnini caddero nella trappola tesa dai loro stessi compatrioti arrivati prima di loro. Tutto accadeva ai tempi della "grande emigrazione"(dal 1861, agli anni '20 del 1900) a New York nel già citato centro d'accoglienza di Castle Garden che nelle intenzioni doveva essere un centro a cui tutte le imprese e le persone che avessero avuto bisogno di assumere lavoratori dovevano far capo. In pratica la cosa fu ben diversa, gli immigrati venivano trattati e contrattati come alle fiere del bestiame che si facevano a quei tempi in Garfagnana, in una sorta di mercato degli schiavi. Fu in questo clima che nacque il "padrone
system". Già lo stesso nome la dice lunga su questa abbietta pratica. Di solito anche gli stessi immigrati italiani (un po' come succede adesso) tendevano ad "americanizzare" ogni parola, questa volta furono gli stessi statunitensi a lasciare per integro quel termine italiano "padrone" per distinguere bene l'origine di questa nefandezza. In pratica tutto ruotava intorno ad un boss (un padrone) che in cambio di una tangente procurava ai nuovi emigrati una pronta occupazione. Il padrone rimediava anche un alloggio in una lurida pensione a cifre esorbitanti, ed inoltre offriva lavori di durata settimanale per riscuotere in questo modo più frequentemente la tangente sull'ingaggio. In breve, quando si cadeva nelle mani di questa brutta persona, era certo che il suo compito era quello di spremere lo sventurato, il più possibile e il più a lungo possibile. Fu un'antica prassi consolidata questa, purtroppo oggi in Italia esiste ancora e porta il nome di "caporalato". Una pratica attuata sui quei migranti stranieri che sbarcano nel nostro Paese. Qui il giro d'affari non è quello di oltre un secolo in America, le cifre sono maggiori e a dir poco esorbitanti. Tale fenomeno oggi è un businnes da 4,8 miliardi di euro (dati 2019) che colpisce i lavoratori extracomunitari del settore agricolo nel sud Italia, mentre al nord è coinvolto il settore edile e anche al tempo, come oggi, il "padrone system" continuava per ilpovero emigrato fuori dall'orario lavorativo, nella vita di tutti i giorni. Il boss difatti dava in affitto baracche simili a case che dai datori di lavoro otteneva gratuitamente e che affittava al malcapitato di turno a suon di dollari che gli venivano trattenuti dalla busta paga. Ma non solo, anche i piccoli negozietti, gli spacci di merci ed alimentari dove andavano a comprare i nuovi immigrati erano gestiti dallo stesso boss, naturalmente i prezzi in queste botteghe erano altissimi, talvolta la mercanzia costava il cinquanta per cento di più dei prezzi correnti. Quello che posso dire al mio caro lettore è che sarebbe ingiusto accusare l'emigrante garfagnino d'ingenuità, faciloneria e di creduloneria, bisogna calarsi nella mentalità garfagnina di 110 anni fa, i nostri avi erano nati in una terra semplice, questi atti erano inimmaginabili nella testa del garfagnino di quel tempo, i nostri paesi erano comunità dove ognuno si aiutava reciprocamente nelle faccende domestiche e di vita sociale. Loro malgrado furono catapultati in una realtà totalmente diversa e nel vero senso della parola in un nuovo mondo dove non conoscevano la lingua, gli usilocali e non avevano relazioni sociali, perciò affidarsi a una persona (per di più della solita nazionalità) che prometteva di aiutarti era quasi la normalità. Quello che mancava era infatti un'istituzione che vigilasse su questi biechi andamenti e se non ci pensò il governo americano ci pensò Santa Romana Chiesa con la St. Raphael’s Italian Benevolent Society. Questa organizzazione cattolica fu la principale istituzione cattolica che operò fra il 1891 e il 1923 per l'assistenza agli immigrati italiani negli Stati Uniti. L'idea di una organizzazione di assistenza agli emigranti italiani che nella seconda metà dell'ottocento si recavano ormai numerosissimi in America fu promossa da Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza, il quale a partire dal 1876 scrisse numerosi articoli sulla stampa cattolica richiamando l'attenzione sulle difficili condizioni materiali e spirituali degli immigranti in mancanza di un sostegno più attivo da parte della Chiesa cattolica. Il 25 novembre 1887 con la lettera apostolica Libenter Agnovimus egli ricevette l'approvazione pontificia da Papa Leone XIII alla costituzione di una congregazione missionaria, che formasse dei religiosi specificamente specializzati in questa missione. Intanto nel 1890 padre PietroBandini (gesuita missionario) fu incaricato di costituire l'organizzazione a New York, punto di arrivo delle navi degli emigranti. Giunto a New York il 29 marzo 1891, Bandini si mise subito al lavoro, assistendo già nel primo anno oltre 20.000 persone, aiutandole nelle pratiche di immigrazione e fornendo anche alloggio temporaneo a chi ne avesse bisogno nella sede della Society. Molti garfagnini furono così sottratti dalle grinfie dei padroni. Negli anni a venire nacquero altre associazioni simili che forzarono la mano al governo americano perchè varasse una legge a tutela degli immigrati. Il caso NON volle che questa legge prese il nome di "Padrone Act". Fu così che nel 1930 il "padrone system" era praticamente estinto. Della serie "volere è potere"...
Bibliografia
- "Storie di ieri e di oggi, di donne e di uomini. I migranti" Fondazione Paolo Cresci per la Storia dell'Emigrazione Italian
Gianpaolo Zeni, En Merica! L'emigrazione della gente di Magasa e Valvestino in America, Cooperativa Il Chiese, Storo 2005
giovedì 11 marzo 2021
I Liguri Apuani: non solo rudi guerrieri, ma anche abili commercianti
Ce li hanno raccontati sempre come uomini rudi, violenti, sanguinari
e predatori, ma loro non furono solo questo. I Liguri Apuani, gli antichi abitanti delle terre garfagnine (e non solo), erano anche altro, infatti nessuno lo direbbe ma furono anche degli abili commercianti. Allora voi mi direte che cosa vuoi che commerciasse un popolo che faceva dell'aggressività la sua forza? E poi, cosa avevano da dare abitando una terra ricoperta da alberi, rocce e animali selvatici? Bhe, l'abilità del bravo commerciante stava proprio lì, adattarsi all'ambiente in cui viveva e perciò offrire "al cliente" di turno quello che la natura donava a loro. Naturalmente tutto si basava sul baratto: "io ti do, tu mi dai" e questa forma di commercio esisteva già nella preistoria, addirittura anche altre civiltà più evolute come gli egizi attuavano questa "forma commerciale", ma fra tutti i veri commercianti della storia furono i Fenici, come loro nessuno mai. Il loro fu un commercio marittimo, veleggiavano con le loro navi in tutto il Mediterraneo vendendo prodotti a dir pocopregiati: porpora, oro, argento, rame. Consideravano il commercio la loro attività più importante fino al punto che oltre a possedere una fornita flotta commerciale possedevano anche una potente flotta militare che serviva soprattutto a proteggere quelle rotte commerciali fenice dai predoni e dai pirati. Insomma, per farla breve in quanto a questo i Liguri Apuani non avevano niente a che vedere con i Fenici, gli stessi Apuani non consideravano il commercio un'attività preminente, però in qualche maniera anche loro riuscirono a tessere una rete commerciale di tutto rispetto. Già a partire dall'età del ferro (500 a.C -332 a.C) quando i mercanti stranieri passavano per le nostre terre scambiavano con loro i propri prodotti che Madre Natura metteva a disposizione. In questo caso facendo un azzardato parallelismo possiamo dire che i prodotti erano i soliti che i nostri nonni e bisnonni commerciavano nei mercati garfagnini di una volta: formaggi, lana, pelli, cera d'api e miele, ma non solo, probabilmente vendevano legname, carbone e le loro personalicreazioni: vasellame e ornamenti. In cambio cosa avrebbero ricevuto? Tutti quei prodotti che (anche) nella Garfagnana odierna non sono di eccelsa qualità: vino e olio, oltre a ceramiche di provenienza etrusco-italica e soprattutto... armi. Con quelle armi avrebbero poi sviluppato il commercio a loro più redditizio, il loro principale "prodotto", quello che sapevano fare meglio: i mercenari. All'occorrenza sapevano vendere se stessi "nell'arte" a loro più congeniale: il combattimento. Capitava sovente che quando qualche popolazione italica nelle proprie guerre aveva bisogno di "manodopera" si rivolgesse proprio agli Apuani che in cambio della loro "opera" ricevevano stoffe, ceramiche e quant'altro. Il loro commercio non si fermava solo qui e come se fossero stati degli affermati imprenditori del XXI secolo a quanto pare concedevano agli stessi etruschi "permessi" per l'escavazione di marmo nei propri territori. Insomma i nostri Liguri Apuani conoscevano la propria terra a menadito, questa conoscenza la riversavano al personale tornaconto proprio come quando da guide ante litteram aspettavano negli sbocchi delle valli i mercanti stranieri che dovevano oltrepassare i passi appenninici o eventualmente andare verso il mare per imbarcare i loro prodotti. In conclusione a tuttonon rimane che dire che per conoscere qualcuno o qualcosa non bisogna fermarsi solo alle apparenze o a quanto leggiamo: bisogna approfondire... Apuani docet...
Bibliografia
- "Ligures Apuani" di Michele Armanini, ed Libreria Universitaria anno 2015
- "L'insediamento etrusco nella Valle del Serchio" G. Ciampoltrini 1998
- Aggiunta all'articolo:
- Il disegno di copertina non rappresenta nei particolari l'articolo in questione, ed è puramente rappresentativa
mercoledì 3 marzo 2021
"La Garfagnana storica"... ecco i suoi discussi confini...
Addentrarsi nell'argomento che affronterò nelle prossime righe è come fare un percorso ad occhi bendati su un campo minato, forse sarebbe meno insidioso passeggiare in una gabbia di leoni. E in effetti quando si parla d'identità, di confini e di appartenenze si rischia sovente di cadere nella trappola dei campanilismi più reconditi della persona e la conseguenza di ciò porterebbe alla faziosità più estrema dell'indole umana. Lungi da me questa intenzione, per l'amor di Dio, ma è bene chiarire una volta per tutte quali erano i confini storici della Garfagnana... Barga era dentro o era fuori? La Garfagnana terminava a Minucciano? Ed è vero che Gallicano è stato sempre il confine meridionale della regione?. Introduciamoci allora in quella che era la cosiddetta "Garfagnana Storica". Per fare questo non rimane che "armarci" di documenti, di fornire fonti e testi e di conseguenza far parlare questi, in modo da togliere ogni dubbio al mio caro lettore che quanto scriverò è tutto provato nei documenti d'archivio. Cominciamo con lo stabilire i confini attuali della Garfagnana. I comuni situati più a nord sono Minucciano e Sillano- Giuncugnano che rispettivamente
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Sillano |
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Gallicano |
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De Montibus |
Coreglis |
Bibliografia
- "De Montibus" Giovanni Boccaccio , edizione originale 1371 (rieditato)
- "Ligures Apuani" di Michele Armanini editore Libreria Universitaria
- "La giudicatura di pace di Castelnuovo Garfagnana in età napoleonica". Tesi di laurea in storia contemporanea di Dennis Favali anno 2015 2016
- "Terre di confine" AA.VV Archivio di Stato Lucca
- Luigi Angelini" Panoramica della storia ecclesiastica in Garfagnana" Atti del convegno Modena 2008 pag 129-172
- G. Santini "Unità e pluralità distrettuale nella stoia millenaria della Garfagnana" in "La Garfagnana storia cultura arte" Atti del Convegno Castelnuovo Garfagnana, settembre 1992
- "Luni nell'alto medioevo" P.M Conti, Padova 1967
- "Inventari di terre coloni e rendite" AA.VV Roma 1979
- "I bagni di Corsena e la Val di Lima lucchese dalle origini al XVI" Giambastiani Lucca 1996
- "La Garfagnana dai Carolingi ai Canossa. Distretti pubblici e amministrazione del potere" in "La Garfagnana dai Longobardi alla fine della Marca Canossana" Atti del Convegno Modena 1996, pag 147-195
- "Garfagnana medievale appunti storici" Guidugli 1982
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