giovedì 9 gennaio 2020

Rocca La Meja: la più grande tragedia (voluta) di militari garfagnini in tempo di pace

Rocca La Meja... Per molti garfagnini questo luogo non dirà niente
, molti, forse, non sapranno neanche dove si trova, ma qui, in questi posti c'è un pezzo di Garfagnana. Rocca La Meja è una montagna delle Alpi Cozie, ben più alta delle nostre Apuane, dai suoi 2831 metri si ha una vista magnifica sulla Val Maira e su Canosio, un comune piemontese di appena ottanta anime che si trova in provincia di Cuneo. A poco più di trenta chilometri però c'è un altro "paesotto": Dronero. Ecco, questa località per le orecchie garfagnine può già suonare più familiare. E' infatti dal 1906 che Dronero si lega a filo con la storia della nostra valle e con gli alpini di casa nostra. Proprio da quell'anno li, furono arruolati nel battaglione omonimo la stragrande maggioranza dei garfagnini, sia in tempo di pace, sia nelle due guerre mondiali. Il ricordo di questi garfagnini, molti di loro usciti di casa la prima volta, rimase impresso anche nella
Dronero,caserma alpini Beltricco
memoria dei piemontesi locali che così ne narravano: "
Quei conforti (i gelati acquistati dagli alpini in libera uscita per Dronero), erano possibili per chi disponeva di qualche lira e, i piemontesi, salvo poche eccezioni qualche liretta l'avevano tutti, ma, i toscanini (n.d.r: un soprannome dato che aveva origine in due parole:toscani e garfagnini), in fatto di finanze se la passavano peggio di noi, ed era notorio che alcuni di loro passarono i 18 mesi di naia senza mai ricevere soldi da qualunque parte fosse.
La loro disponibilità di denaro veniva dalla "decade" (50 centesimi ogni 10 giorni, pagati dall'ufficio contabilità della compagnia). Di conseguenza, per chi non disponeva di quattrini voleva dire tribolare a digiuno dal rancio della sera fino al rancio del giorno dopo alle 11.30.Cari toscani, contadini, montanari della Garfagnana
Rocca La Meja oggi
o cavatori di marmo delle Apuane, io li stimavo. 
Arrivavano al Battaglione Dronero in maggioranza magri, denutriti, ma ben decisi a non essere da meno dei montanari delle Alpi. Molto frugali, sobri, non disdegnavano la "sbobba" che passava il convento e, seduti addossati ai muri del cortile se il tempo era bello, come del resto si faceva un po' tutti, tenendo la gavetta in mezzo alle ginocchia, mangiavano con appetito tutto; che fossero i "tubi" (i maccheroni), il lesso di vacca vecchia o il pastone di riso stracotto e fagioli semi crudi del rancio serale. Quando ce n'era in abbondanza non se la lasciavano scappare, mangiandola poi, la sera tardi, seduti sulla branda prima dell'appello o del silenzio. 
Mangiando tutto da non schifilitosi, quei bravi ragazzi si irrobustivano e, in fatto di resistenza alle fatiche e ai disagi della vita militare, non avevano nulla da invidiare ai valligiani piemontesi".
Per far capire bene la presenza della gente della valle, emblematico
Compagnia del battaglione Dronero
fine anni 30
è anche il ricordo di Luigi Grilli di Pieve Fosciana che appena arrivato alla caserma "Aldo Beltricco" di Dronero trovò di sentinella il suo amico Tommaso Tagliasacchi, in men che non si dica fu una rimpatriata di persone e conoscenti tutti garfagnini, molti di loro però non tornarono più a casa, nel 1942, il viaggio nelle steppe russe, durante la seconda guerra mondiale fu senza ritorno. Ma questa è un'altra storia. Ma anche la storia che sto per raccontarvi fu altrettanto drammatica e dolorosa, una storia che merita di essere ricordata perchè fu 
la più grande tragedia di militari garfagnini in tempo di pace. 
Il ricordo di quella sciagura lo lascio però alla penna di un testimone diretto, lo scrittore Pietro Ponzio, classe 1905.Correva l'anno 1937, era il 1° febbraio, e in quel maledetto anno, sul Rocca La Meja, si compì (volutamente) una strage di alpini.
"Dopo tre giorni, durante i quali aveva nevicato fitto fitto,
Caserma della Gardetta 1922
finalmente una sera ad occidente le nubi si ruppero, appena in tempo per lasciar vedere mezzo disco di sole che stava tramontando dietro il monte Cassìn:-Segno di bel tempo per il giorno che arriverà- pensarono gli abitanti del Préit. 
Infatti il giorno seguente i mattinieri, con gradita sorpresa, constatarono una limpidezza di cielo da rallegrare il cuore, ma quasi contemporaneamente e con minor piacere sentirono frullare "l'aire marìn", una brezza sciroccale e ciò voleva dire, dopo così imponente nevicata, pericolo immediato e sicuro di valanghe.
Ore 8 di quella mattina: dalla mulattiera, che dal fondovalle immette nella piazzetta dinnanzi alla chiesa, sbuca una colonna di soldati. Sono gli alpini della 18a compagnia del battaglione
Esercitazioni invernali in
Valle Maira fine anni 30
Dronero. Carichi come muli di pesanti zaini, fucili, racchette e ansanti, via via che giungono, si radunano e fanno alt per un momento di sosta. Un borioso capitano, pur con evidente riluttanza, si degna tuttavia di rivolgere la parola a un gruppetto di gente del posto, che stava osservando i soldati, per avere qualche informazione sull'itinerario in direzione della Gardéto. Gli interpellati, grandemente stupiti che quell'ufficiale voglia mettere i suoi soldati in così grave pericolo di essere travolti da qualche valanga, cercano di dissuaderlo, pregandolo di desistere, ché voler marciare verso Gardéto con una nevicata simile ed il vento di scirocco equivale ad un suicidio.Un tenente, che senza parlare aveva seguito il dialogo, si avvicina e dice al suo superiore:-Capitano, se questa gente ch'è del posto ed ha certamente esperienza, avesse
Esercitazioni invernali anni 30
ragione?-.Ma il capitano, infastidito, tronca la parola al tenente, dicendogli:-Lasci perdere, tenente, che vuole che sappiano costoro! Sono solo dei "rozzi" montanari-.
E la compagnia, dopo breve sosta, si rimette in marcia. Un andare massacrante! Gli uomini del plotone sciatori, pur faticando molto anch'essi, si tengono relativamente a galla, ma quelli del grosso della compagnia, anche con le racchette ai piedi, affondano in quello spesso manto nevoso di due e più metri di altezza, col risultato che la marcia si svolge talmente lenta, da impiegare più di un'ora e mezzo per coprire i circa due chilometri e mezzo che separano Preit dalla borgata Corte. 
Qui la compagnia fa di nuovo alt, ed alle reiterate e pressanti esortazioni che la gente del posto fa di nuovo a quel capitano, perché non prosegua la marcia, tanto è immediato ed
Canosio oggi
evidente il pericolo, costui, senza tenerne conto, ancora una volta offende con volgari apprezzamenti. 
Dopo breve tragitto la compagnia giunge a Grangéto, al bivio da cui si dipartono due direttrici verso la "counco de Pianés": a sinistra per Grànjos Quialaussà e la Méyo e a destra – la più breve – direttamente verso la Gardéto. Là il capitano si trova nell'incertezza: a destra i ripidi costoni di monte Pralounc gli danno da pensare; di fronte, a distanza, gli ancor più ripidi costoni sotto le Tres Poùnchos par che gli dicano: vieni, la morte ti aspetta! Nel rugginoso testone di quell'uomo impastato di sufficienza, pare che cominci a concretarsi qualche briciola di ragionamento; si consulta con il suo tenente e opta per la direttrice Quialaussà-La Meyo. Da quella parte, anche se minore, il pericolo esiste pur sempre e, malgrado certi schianti di assestamento, che potrebbero anche dare inizio a rovinose valanghe e che fanno raggelare il sangue nelle vene a quei malcapitati ed estenuati ragazzi, la marcia continua, miracolosamente senza danni, fin dopo Grànjos Quialaussà, ma, qui giunti, sentono in alto, alla loro sinistra, il pauroso boato d'una valanga, che si è staccata dal
Rocca La Meja innevata
monte Bergia e precipita veloce nella loro direzione.

Affondati come sono nella neve e impacciati dalle racchette, ogni tentativo di sottrarsi all'investimento con la fuga appare impossibile. Ma là si verifica il miracolo! Fu davvero un miracolo che quella montagna di neve precipitante si arresti quasi a contatto con la colonna degli alpini, sfiorandola per lungo, con una inspiegabile deviazione dalla direttrice di caduta. Quel pauroso avvertimento dovrebbe far capire al capitano che è giunto, anche se in extremis, il momento di adottare ogni possibile accorgimento, per garantire il minimo di incolumità ai suoi uomini per il resto della marcia. Ma non è così. Dopo ancora un altro chilometro di cammino faticoso, giunti oramai alla base dei vasti e ripidi costoni sotto i contrafforti ovest di Rocca La Meja, là dove parte un crinale modestamente elevato, facilmente transitabile, che si allunga fin verso lou Jas de Marguerino, il capitano lo infila con il plotone degli sciatori, diretto a quella località, ed ordina al tenente di salire con la compagnia fino a metà costone, di transitarlo poi in trasversale verso sud e di riunirsi agli sciatori alle Granjos-de-la-Marguérino. Nessun "rozzo" montanaro, per cafone che fosse, e nessun ufficiale di truppe alpine degno di quella qualifica avrebbe, senza inderogabile necessità, mandato degli uomini a transitare quel costone in condizioni di così palese pericolo, ma avrebbe fruito del crinale fuori pericolo, dove, appunto, furono fatti passare gli sciatori. E perché quell'incosciente capitano non lo fece?
Sta di fatto che, appena la colonna inizia la traversata, una
valanga si stacca e investe il plotone di testa, trascinando in basso gli uomini e seppellendoli in un avvallamento. Nella grande disgrazia, fu fortuna che l'attraversamento era appena iniziato: poiché, se la neve fosse rovinata quando tutta la compagnia era inoltrata, essa al completo sarebbe stata travolta.
Altra circostanza inspiegabile per chi conosce la vita alpina e le rigorose norme preposte a garanzia della sicurezza degli uomini durante le marce militari in montagna, perché queste avvengano almeno con il minor danno possibile, è che in condizioni così pericolose il responsabile della compagnia non abbia fatto svolgere le funicelle da valanga. Dimenticanza? Indifferenza per l'incolumità dei suoi alpini, forse considerati non figli di mamma, ma solamente oggetti? Ore 17, già quasi il crepuscolo. Una pattuglietta di sciatori, sfiniti ed angosciati, arriva al Préit, di ritorno dalla marcia. Ai primi incontrati hanno appena il fiato di mormorare:-Sotto Rocca la Meya quasi tutto il plotone è rimasto sepolto da una valanga! La compagnia è di ritorno, molto staccata da noi-.
La notizia si sparge e in un baleno tutta la popolazione è radunata

nella piazzetta. L'ansia è grande, anche alcuni alpini del posto sono in quella compagnia, ma, fortunatamente, più tardi risulteranno tra gli scampati.
Passa un certo tempo e a monte sbuca una compagnia. Gli alpini procedono a testa bassa, sfiniti, con il morale a terra. Il capitano è disgustosamente impassibile, sul suo viso non si notano tracce di emozione, né di dolore, né rimorso. Lascia i suoi alpini sulla piazza fermi e disorientati e si dirige verso l'unica piccola locanda del posto, per ristorarsi. Un giovane sottotenente (il tenente era rimasto sotto la valanga) raduna i suoi soldati e li conduce ad una grande stalla disabitata, priva di porte e di finestre, dove avrebbero dovuto pernottare, senza disporre nemmeno di un giaciglio di paglia asciutta per stendervi le ossa indolenzite. Ma la grande umanità ed il buon cuore dei "rozzi" montanari del Préit in breve tempo si portò via gli alpini, a gruppetti, disponendoli al caldo un po' dappertutto: nelle stalle, se erano sane e asciutte, oppure nelle cucine, al caldo delle stufe.
Vengono subito ristorati con grandi tazzoni di caffè o latte
I primi soccorsi
bollente, poi fatti cenare con un po' tutto quel che la gente aveva a disposizione in fatto di vivande. Nelle stalle dormiranno su asciutti giacigli di paglia e nelle cucine su delle coperte stese sul pavimento, attorno alle stufe. Quella gente aiutò gli alpini come fossero figli suoi".

Una disgrazia che poteva essere evitata e tutto questo tormento per cosa? Per una semplice esercitazione militare. Nessuna urgenza, nessuna impellenza di una qualsivoglia azione di guerra o di soccorso, solo l'arroganza, la superbia e la presunzione umana vinsero sul rispetto della vita. I soccorsi comunque sia partirono immediatamente. La 19a compagnia alpini Dronero, mettendo a repentaglio la loro vita, partì alla ricerca di eventuali sopravvissuti. La valanga che colpì quei poveri alpini era enorme: 500 metri di lunghezza, tanto era grande la slavina che non lasciava individuare punti precisi per la ricerca dei corpi e più passavano le ore e più diminuiva la speranza di trovare qualche superstite. Con il tempo che passava e l'estenuante lavoro degli alpini cominciarono ad essere ritrovate le prime vittime: corpi inermi
i soccorsi sul Rocca La Meja
sotto dieci metri di neve, corpi sfigurati a causa del pietrame che la valanga aveva trascinato con se, altri poveri ragazzi nell'attesa della morte furono trovati abbracciati. Enorme fu però la gioia quando fu ritrovato vivo il caporale Busca...quel giorno evitò la morte, un'appuntamento rimandato solo di qualche anno, quando partì per le desolate steppe russe. Alla fine della storia i morti furono 23 (alcuni recuperati mesi e mesi dopo, con lo scioglimento delle nevi), cinque furono quelli
  salvati e come sempre le medaglie al valore, le corone di fiori e i funerali solenni misero la parola conclusione ad un dramma voluto dalla scelleratezza umana.
Di quei giovani garfagnini non ci rimane altro che il loro nome degno del nostro ricordo:   
Caporale Mario Piacentini, 21 anni di Gallicano 
Oggi nel ricordo
di quegli alpini
Caporale Aldo Pieroni, 21 anni di Castiglione Garfagnana
Alpino Santino Grassi, 22 anni di San Romano
Alpino Pietro Ottolini, 22 anni di Albiano
Alpino Emilio Ferrarini, 21 anni di Piazza al Serchio
Alpino Matteo Guazzelli, 21 anni di Piazza al Serchio
Alpino Antonio Linari, 21 anni di Castelnuovo Garfagnana
;corpo recuperato il 14 maggio.
Alpino Francesco Pioli, 21 anni di Castelnuovo Garfagnana
;corpo recuperato il 26 maggio.



Biblliografia:

  • "Val Mairo la nosto" Pietro Ponzo,editrice Brossura 
  • Articolo tratto da "Il Maira" gennaio 1998 a cura di Fabrizio Devalle e Mario Berardo
  • Stralcio di articolo di Pietro Ponzo del 2 agosto 1989 tratto da "Gent da ma valado- una voce dalla valle". Scritti per il "Drago" 1973-1992 edizioni il Drago e Comboscuro 

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