Cucina, tradizione, storia e segreti: la "minestrella" ricetta gallicanese
Le chiamiamo con disprezzo "erbacce", ma forse tanto erbacce non
|
La minestrella |
sono...La storia su questo parla chiaro. Figuriamoci che per millenni le erbe selvatiche sono state la risorsa alimentare primaria per le popolazioni preistoriche che sapientemente sapevano sfruttare tutte le proprietà di queste erbe. In modo scaltro l'uomo antico osservando gli animali riuscì ad individuare tutte quelle erbe che potevano essere utilizzate per la propria alimentazione, e mentre l'uomo (inteso come maschio) era dedito alla caccia, alla donna era affidata la raccolta delle erbe. Ed è così, che prima oralmente e poi per scritto abbiamo imparato a sfruttare a scopo terapeutico ed alimentare le erbe che Madre Natura ci offre. Infatti le prime testimonianze scritte dell'uso delle erbe selvatiche in cucina ce lo da nel I secolo d.C Lucio Giunio Moderato Columella (il Carlo Cracco di duemila anni fa), autore del "De re rustica", che nella sua Roma antica mescola erbe tritate di campo con formaggio cremoso, creando di fatto una sorta di frittata, non da meno è Apicio che qualche
|
il "De re rustica" |
secolo dopo (IV secolo) raccoglie una serie di ricette sull'utilizzo delle "aròmate". Nel medioevo l'uso delle erbe si affinò e si andarono a cercare "erbe forestiere": cortecce, radici, fiori e bacche costosissime, che venivano dal lontano oriente. Alla fine del 1400 però ci fu un ritorno alle tradizioni, si iniziò un lungo percorso di riduzione dell'uso delle spezie che vennero sostituite con erbe aromatiche spontanee locali, via allora quei sapori speziati, forti, artificiosi, si riscoprirono le erbe nostrali dai sapori netti e precisi. Il Mastro cuoco Martino da Como utilizzò in molte ricette il succo di erbe, sminuzzando, pestando e passando erbe, come prezzemolo, borraggine, maggiorana e menta. Giacomo da Castelvetro nel 1614 invece offrì a tutti gli appassionati della cucina con le erbe il "Brieve racconto di tutte le radici, di tutte l'erbe e di tutti i frutti che crudi o cotti in Italia che si mangiano" e ricordò che "gl'italaini mangino più erbaggi e frutti che carne". Anche la Garfagnana rientrava nel novero di quest'ultima considerazione, sicuramente non per motivi di gusto o di scelta prettamente culinaria, ma per ovvia necessità... Un paese su tutti però seppe trarre maestria nell'uso delle erbe di campo, questo paese è Gallicano che con la sua "minestrella" riuscì a sfamare una comunità intera. D'altronde è proprio questo il periodo (così mi dicono le esperte massaie gallicanesi) della raccolta delle erbe per questo prelibato piatto, nato povero ma oggi fra i piatti più ricercati e apprezzati della cucina toscana. Questa è una ricetta particolare che fonde tradizione, storia e segreti;
|
Gallicano |
una ricetta riscontrabile solo a Gallicano e da nessuna altra parte. Il piatto ha una storia ultracentenaria, nata dai contadini che purtroppo non avevano grandi poderi da coltivare, per di più gli uomini partivano per andare a fare i carbonai in Corsica, sarebbero ritornati molto tempo dopo, e alle donne non rimaneva che farsi carico dell'intera famiglia, lavorare nei campi e sopratutto sfamare gli anziani e i bambini. Oltre a tutto questo ci si metteva la sfavorevole posizione geografica di Gallicano, gli altri paesi della Garfagnana potevano usufruire della vicinanza delle selve di castagno da cui trarre farina, il monte Palodina era ben lontano dal paese, allora alle donne non rimaneva altro che mettere in pratica la propria conoscenza delle erbe selvatiche, che così venivano cucinate in vari modi. Da uno di questi "modi" nacque la minestrella, una minestra fatta con un numero variabile di erbe che va da 15 a 30, i cosidetti "erbi boni"(come si dice in dialetto),
un piatto esclusivamente fatto con quello che mette a disposizione la natura, niente prodotti coltivati, ma solo l'ingegno dei vecchi contadini. La ricetta si tramanda oralmente da secoli e da generazione in generazione, in teoria poi non esiste neanche una vera e propria ricetta, in quanto gli "erbi" non erano mai gli stessi da famiglia in famiglia, ognuno aveva i propri segreti e
|
Un campo di "erbi boni" |
ognuno usava le diverse erbe per renderla più amabile o più amara e per ogni gallicanese la sua minestrella era la più buona di tutto il paese. Proviamo comunque a dare la ricetta, tanto per render chiaro all'attento lettore di cosa si tratta. La ricetta che darò è presa dalla leggenda che narra la nascita di questo prelibato ed esclusivo piatto: "C’era
una volta, nel nostro paese piccolo di campagna, tanta miseria,
perché i lavori non esistevano e chi lo voleva doveva espatriare per
guadagnare qualche lira, e la maggioranza della popolazione faceva i
contadini e viveva con quello che la terra gli dava. Ed allora le
massaie tante volte dovevano inventare qualche cosa per variare quel
misero pasto del giorno che quasi sempre era polenta con salacchini.
Un giorno di primavera una massaia stanca di sentire dire "anche
oggi...", pensò di inventare qualche cosa di diverso. Prese un
paniere un coltellino, andò verso i prati che
|
contadini a tavola |
incominciavano a
inverdire, e china china guardava sceglieva e svelgeva delle erbette
che le guardava, le odorava, e diceva “questo è un piscialletto,
questo è un papavero, una lingua di vacca, ecco un cicerbita, ecco
una sporta vecchia, un ingrassaporci” e via via dava a tutte queste
nomi che lei coglieva e le metteva nel canestro. Quando ebbe fatto
assai di questo misto d’erbe se ne tornò a casa, le mise a mollo
nell’acqua per toglierle la terra, le lavò per bene e poi anche
lei non convinta disse “domani si vedrà”. La mattina di buon ora
mette al fuoco la pentola con i fagioli giallorini, qualche spicchio
d’aglio, un po’ di salvia e lascia che tutto cuocia a fuoco
lento. Quando i fagioli furono cotti li colò nel colino ed una parte
li strizzò bene con le mani (il passatutto allora non esisteva) poi
mise nel brodo quelli che restavano e rimise tutto sul fuoco per far
bollire ancora. Poi prese un bei pezzo di lardo e fece un bello
sfritto che poi mise nella pentola e quando incominciò a bollire
mise anche tutta quell’erba che aveva già cotto prima, e con la
mezzaluna l’aveva trinciata fina fina, e così tutto incominciò a
|
"gli erbi" commestibili |
bollire piano piano. La massaia era un po’ pessimista pensava:
“cosa verrà fuori?”. L’odor era buono, odorava ed assaggiava...un po’ di sale, un po’ di pepe. Però gli venne un dubbio: “se
io ci facessi delle focaccette di farina di granturco? Così se non
va mangiano quelle”. E così fece. Venne l’ora di mangiare, gli
uomini vennero a casa trovarono le scodelle piene di questa cosa
verde "oddio che hai fatto stamani?" chiesero, e la massaia
imbarazzata, disse a voce alta: "la minestrella" e da quel
giorno minestrella fu, e tutti mangiarono con appetito e curiosità
questa minestrella fatta di nulla con le sue focaccette, ed ancora è
rimasto il piatto tipico del mio paese, ma un piatto che tutti
chiedono e vorrebbero
mangiare, piatto povero fatto di nulla che però
ha il sapore della terra, della nostra terra che noi l’amiamo
perché i nostri vecchi ci hanno insegnato a amarla e rispettarla".
Bibliografia
- Leggenda tratta dall'Associazione "Buffardello Team" (http://lnx.buffardello.it/index.php?option=com_frontpage&Itemid=1)
Nessun commento:
Posta un commento