mercoledì 27 maggio 2020

Quando la storia la scrivono i vincitori... Quello che narrarono gli storici (romani) sui Liguri Apuani...

La frase "la storia la scrivono i vincitori" in effetti insinua un grosso dubbio sui libri di storia... lascia intendere che tutto quello(o in parte)di quello che è scritto su questi testi non sia del tutto vero... e allora mi domando io... ma quanto sappiamo in verità del nostro passato? Difficile da dire, specialmente quando ci si riferisce ad epoche molte lontane. Se ci pensiamo bene è perfino difficile capire la verità di quello che succede quotidianamente e a volte non si conoscono nemmeno le verità in ambito di storia familiare, quindi è veramente complicato comprendere quando un fatto storico è stato volontariamente distorto. Pensare di coloro che secoli o millenni fa avevano l'onere di scrivere resoconti di storia come di casti e puri tramandatori di eventi oggettivi è come credere oggi che tutti i giornalisti raccontino i fatti in maniera imparziale o senza un credo politico alle spalle. In questi ultimi decenni però, gli
storici stanno cercando di fare un grosso recupero di verità su determinati fatti, avvenuti in epoche lontane. Ad esempio mi viene in mente Nerone, l'imperatore romano sempre descritto come un pazzo incendiario a quanto pare era molto amato dai sudditi ed esistono prove che non fu lui ad incendiare la "città eterna"... Ma allora, in conclusione, se la storia la scrivono i vincitori, quante altre volte c'è stata tramandata in modo falsato? Probabilmente non lo sapremo mai. Figuriamoci poi se in un contesto simile fosse esistito un popolo che non sapeva nè leggere, nè scrivere e che quindi non poteva dire "la sua" ai posteri... Eppure un popolo così esisteva veramente... erano i nostri antichi antenati, erano i Liguri Apuani. Non sapremo mai nè dai loro scritti, nè dai loro disegni le loro vicende e le loro sorti. Gli Apuani di se stessi non scrissero mai niente, semplicemente perchè non sapevano scrivere, le loro notizie ci sono state tramandate dal suo più acerrimo nemico... i Romani...
Di loro nell'antichità hanno scritto storici, geografi e poeti di tutto rispetto e rinomata valenza, ma però in termini diversi; i primi a scrivere degli Apuani e dei Liguri in genere furono i greci già VII e VI secolo a.C, il loro giudizio su questo fiero popolo era indifferente e quindi (forse) il più fedele alla realtà. Poi
cominciarono proprio i romani a menzionare i Liguri Apuani nei loro scritti e qui l'apprezzamento sicuramente era meno lusinghiero. D'altronde la lunga e sanguinosa guerra fra questi popoli avrebbe lasciato il segno anche nelle future memorie, facendo nascere opinioni non obiettive e serene, come normalmente è la storia scritta dai vincitori. Gli avvenimenti narrati dai romani ci raccontano che questi uomini erano ribelli, trogloditi, bestie selvagge e crudeli e che non vollero mai piegarsi alla potenza di Roma e allora sta a noi tradurre queste parole: la loro malvagità probabilmente era dovuta ad uno spirito indomito e la loro ribellione la si può leggere in un desiderio di libertà. Altre descrizioni invece ci tramandano un quadro piuttosto fedele sul loro aspetto e sul loro stile di vita. Il greco Diodoro Siculo (90 a.C-27 a.C) nel suo libro "La Biblioteca Storica" così ce li descrive: "tenaci e rudi, piccoli di statura, asciutti, nervosi... Costoro abitano una terra sassosa e del tutto sterile e trascorrono un'esistenza faticosa ed infelice per gli sforzi e le
vessazioni sostenuti nel lavoro. E dal momento che la terra è coperta di alberi, alcuni di costoro per l'intera giornata, abbattono gli alberi, forniti di scuri affilati e pesanti, altri, avendo avuto l'incarico di lavorare la terra, non fanno altro che estrarre pietre... A causa del continuo lavoro fisico e della scarsezza di cibo, si mantengono nel corpo forti e vigorosi. In queste fatiche hanno le donne come aiuto, abituate a lavorare nel medesimo modo degli uomini. Vivendo di conseguenza sulle montagne coperte di neve ed essendo soliti affrontare dislivelli incredibili sono forti e muscolosi nei corpi... Trascorrono la notte nei campi, raramente in qualche semplice podere o capanna, più spesso in cavità della roccia o in caverne naturali... Generalmente le donne di questi luoghi sono forti come gli uomini e questi come le belve... essi sono coraggiosi e nobili non solo in guerra, ma anche in quelle condizioni della vita non scevre di pericolo". Il generale romano Porcio Catone (234 a.C- 149 a.C) invece ci narra della loro incompetenza e li definisce ignoranti e bugiardi ("inliterati mendasque"), parlandoci ancora di un popolo che ha perso la memoria delle proprie origini e della propria identità. Dall'altra parte lo storico greco Erodoto (484 a.C- 430 a.C) ci racconta dettagliatamente dove abitavano:"La parte convessa delle Alpi-che sono montagne molte alte e formano una
curva- è rivolta verso le pianure dei Celti di cui si è detto e verso il monte Cemmeno; la parte concava verso la Liguria e l'Italia. Molti popoli occupano questi monti, tutti Celtici tranne i Liguri; questi sono di stirpe diversa, ma simili per stile di vita; occupano la parte delle Alpi che si congiunge agli Appennini ed abitano anche una parte degli Appennini". Rimane il fatto che fra tutte queste parole quello che non lascia dubbio sono gli apprezzamenti non proprio benevoli della buona società romana del tempo nei confronti dei nostri lontani antenati...:"adsuetumque malo ligurem", così li definisce il sommo poeta Virgilio (70 a.C-19
Virgilio
a.C) nelle sue "Georgiche", ossia: "il Ligure avvezzo alla perfidia", non da meno il letterato Marco Terenzio Varrone (116 a.C-27 a.C): "Ligures Montane piratae, qui alpium asperrima colunt", "I Liguri sono predoni dei monti, che abitano i luoghi più inaccessibili delle Alpi", non la "tocca piano" nemmeno il famoso oratore Cicerone (106 a.C-43 a.C) definendoli rozzi ed incolti ("intonsi ed inculti"). Tito Livio (59 a.C- 17 d.C) invece merita una menzione a parte, lui è lo storico per eccellenza dei
Tito Livio
Liguri Apuani, è lui che racconta (anche) nella sua magna opera "Ab Urbe condita" (n.d.r:ben 142 libri che vanno dalla fondazione di Roma alla morte di Druso, figliastro di Augusto nel 9 a.C)
 le abitudini e le guerre contro Roma e a proposito di guerre ecco quello che riferì: "…entrambi i consoli conducevano una campagna nel territorio dei Liguri: un nemico che sembrava fatto apposta per tenere i Romani allenati alla disciplina militare durante gli intervalli tra i grandi conflitti perché non esisteva altra zona di operazioni in grado di stimolare maggiormente lo spirito combattivo dei soldati(…)nel territorio dei Liguri non mancava nulla di quello che serviva a tenere alta la tensione tra i soldati: territori montuosi e difficili; strade strette, anguste,
ostili per i possibili agguati; un nemico agile, svelto, pronto agli attacchi inattesi, che non consentiva quiete e tranquillità da nessuna parte e in nessun momento; l’obbligo di andare ad attaccare fortini ben difesi tra fatiche e rischi; un territorio povero di risorse che costringeva i soldati a una vita misera visto che si offriva scarsa possibilità di preda(…)e con i Liguri non mancavano mai né occasioni né motivi per combattere perché a causa della povertà dei loro territori compivano incursioni nelle campagne vicine e i combattimenti non arrivavano mai ad essere decisivi"... Ecco a voi, il più classico esempio tratto della celeberrima serie "la storia la fanno i vincitori". Per Tito Livio questi rudi uomini delle montagne erano avversari di poco conto, buoni per un semplice allenamento con i quali i romani stessi si tenevano in esercizio in vista dei grandi conflitti. Ma la storia dirà che il popolo apuano fu uno degli scogli più duri da superare per Roma, lo stesso Tito Livio si lasciò andare anche a parole sincere, tralasciando qualunque faziosità: "et Ligures durum in armi genus" ("popolo forte, tenace nell'uso delle armi")e rimase famosa nella storia la sua frase che racconta di quando gli Apuani sconfissero e misero in fuga i romani nella celeberrima battaglia del "Saltus Marcius": "Si stancarono prima gli Apuani di inseguire che i romani di fuggire".

Del resto, Giambattista Vico(filosofo del XVII secolo) ci insegna che la storia è fatta di corsi e di ricorsi. A conferma di ciò è evidente quello che capitò a Rutilio Namaziano (poeta e politico
romano)nel 410 d.C, quando era di ritorno a Roma, dopo che nella Gallia Narbonese (territorio romano) aveva assistito alla sconfitta dell'esercito romano da parte dei rivoltosi Goti. Il suo ritorno fu un mesto e malinconico rientro che fece imparare a lui e a Roma una grande lezione, tant'è che nel suo componimento "De reditu suo" ebbe a dire: "Quos timuit superat, quos superavit amat", ovvero: "Vincere chi si è temuto e amare chi si è vinto"...

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