mercoledì 17 giugno 2020

Apuane "letterarie"... Viaggio fra coloro che ne decantarono le sue bellezze

Basta alzare gli occhi verso le montagne per rendersi conto di
vivere dentro una culla. Del resto questa è la Garfagnana, uno scrigno racchiuso: da una parte gli Appennini e dall'altra le Alpi Apuane, un territorio appartato e orgoglioso, quasi isolato dal resto della Toscana, abitato da gente fiera delle sue millenarie tradizioni, fiera della propria storia e fiera sopratutto dei suoi monti: le Apuane. La loro bellezza ed unicità ha ispirato leggende, storie fantastiche, scritti e meravigliosi poemi, tramandati nei secoli nelle parole di nobili poeti, scienziati o semplici narratori, più o meno noti. La loro descrizione più alta la da il poeta e scrittore Tommaso Landolfi che le ha definite "I più bei monti formati da Dio". Il sommo poeta Dante Alighieri invece le nomina facendo riferimento agli inferi e nel XXXII canto dell'inferno de "La Divina Commedia"(1321) così dice: "E sotto i piedi un
32° canto dell'inferno
lago che, per gielo, avea di vetro e non d'acqua sembiante, Che se Tambernicchi vi fosse sù caduto o Pietrapana non avria pur dall'orlo fatto cricchi"
. Qui, in questo verso si parla del Cocito, un lago ghiacciato situato sul fondo dell'inferno, luogo dove vengono puniti i traditori. Si dice che lo spessore del ghiaccio di questo lago sia talmente alto che non avrebbe fatto nemmeno una crepa se sopra vi fossero crollate la Pania (Pietrapana) e la Tambura (Tambernicchi). Anche un suo contemporaneo Giovanni Boccaccio parla della Pania in una sua opera minore: "De montibus, silvis, fontibus, stagnis seu paludis et de nominibus maris liber". Siamo nel 1360 e l'opera non ha la bellezza dei danteschi versi, poichè vi vengono citate in un repertorio ordinato alfabeticamente, nomi geografici ricorrenti in opere
Giovanni Boccaccio
latine:
"Petra Appuana mons est olim Gallorum Frimenatum ab initio Apoenini in agrum Lucensium protensus, hinc Ligustinum Tuscumque mare et veterem Lunam civitatem, indi Pistoriensium et Florentinorum campos aspiciens et procurrentia in euroaustrum Apoenini iuga, rigens fere nive perpetua, et a quo quondam Apuani nominati sunt Galli", ossia: "il monte Pietra Apuana è proteso dall’inizio dell’Appennino dei già Liguri Friniati verso la pianura lucchese e da qua verso il mare Ligure e Tirreno e la vecchia città di Luni, quindi guarda verso la piana pistoiese e quella fiorentina e si avanza verso i gioghi dell’Appennino sud-orientale, è fredda quasi per neve perpetua e dal suo nome i Galli furono chiamati Apuani". Il passare dei secoli ci porta bensì in pieno rinascimento e a lui, il Governatore della Garfagnana per
Procinto
eccellenza, l'autore del "L'Orlando Furioso", Ludovico Ariosto: "La nuda Pania tra l'Aurora e il noto, da altre parti il giogo mi circonda che fa d'un pellegrin la gloria noto", così nella IV Satira. E' il 1523 e qui la Pania è descritta come se fosse un giogo sulle spalle del poeta, costretto a vivere confinato in una regione a lui ostile. Le sue inquietudini si riflettono anche su un monte della Apuane in particolare: il Procinto, tanto da definirlo "la dimora del sospetto": "Lo scoglio, ove 'l sospetto fa soggiorno e dal mar alto da seicento braccia di rovinose balze cinto intorno e da ogni canto di cader minaccia il più stretto sentier che vada al Forno la dove il Garfagnino il ferro caccia, la via Flaminia o l'Appia nomar voglio verso quel che dal mar in cima al scoglio" . Sempre nel medesimo periodo storico Michelangelo Buonarroti sta facendo "faville". Nel 1501 ha già creato opere d'arte di sublime bellezza: La Pietà e il David. Il marmo con cui vengono fatte queste immortali sculture viene dalle Apuane (Monte Altissimo), dove lì si dannerà l'anima per circa due anni a "domesticare i monti e
La Pietà
ammaestrare gli uomini".

Dopo il periodo degli artisti e dei poeti arrivò il momento di naturalisti e scienziati.
E' la fine del 1600 quando Pier Antonio Micheli (botanico italiano, la cui statua è situata fuori dagli Uffizi) arriva alle pendici della Pania e di li comincia la salita nei suoi versanti scoscesi alla ricerca dell'Elleboro, pianta considerata ottima come rimedio alla follia: "Colse adunque la congiuntura di tre giorni festivi di seguito nel mese d'agosto, e si portò velocissimamente a piedi, con solo cinque paoli in tasca, e pochi quaderni di carta sugante, fino alla più alta cima della scoscesa Pietra Pana, appena accessibile alle capre, ed ivi gli riuscì trovare in abbondanza il desiderato Elleboro". Nel 1743 è Lazzaro Spallanzani (colui a cui è stato dedicato il famoso
Pania della Croce
(foto Daniele Saisi)
ospedale di Roma, celebre per le note vicende del Coronavirus) ad arrivare sulle Apuane, lo scienziato è venuto a studiare la conformazione dei monti, per lui sembrano "delle ossa spolpate". Ma è il geografo Emanuele Repetti nel 1845 che ne da la similitudine più suggestiva definendole: "un mare in tempesta immediatamente pietrificato".

Arriva poi il XIX secolo, il secolo degli alpinisti, delle prime risalite, il secolo della nascita del C.A.I (Club Alpino Italiano). Nel 1883 il celebre alpinista scozzese Francis Fox Tuckett sale sulla Pania e al riguardo scrive un articolo: "La descrizione molto affascinante di W. D. Freshfield riguardo alle “Alpi Apuane”, e alla scalata che egli ha compiuto sulla Pania della Croce... mi ha reso impaziente di curiosare su e giù per questo amabile massiccio..". Gustavo Dalgas ricorda in questo modo una delle sue cinque salite verso il medesimo monte: "...basta pensare che questo pizzo, unico fra i suoi anche un poco più elevati confratelli, si scorge contemporaneamente da Viareggio, da Lucca, da Pisa, da Livorno, da Volterra, da Siena, da Firenze, dalla valle
Pania della Croce
(foto di Maxzina)
inferiore dell’Arno e dalle pianure di Maremma fino al monte Argentaro, per farsi idea della vastità del panorama terrestre che esso domina, mentre gli si apre dinanzi vastissima distesa di mare, in cui si scorgono disseminate le isole dell’arcipelago Toscano fino alla Corsica, e l’osservatore mira ai suoi piedi, come una mappa dispiegata, il golfo della Spezia...".

Fra corsi e ricorsi storici ritornò poi anche il tempo dei poeti...e che poeti !!!
"Occhio l'amor delle Apuane cime Natie libere: ardea nobile augello, in tra le folgori a vol tender su' nembi". Il verso è tratto dalla raccolta di poesie "Levia Gravia" (1868) di Giosuè Carducci, d'altra parte il poeta quello che vede dalla sua finestra di casa(Valdicastello) sono proprio le Apuane. Carducci dunque vi nacque all'ombra di questi monti, lo studente e poi amico Giovanni Pascoli invece vi si trasferisce (Castelvecchio), scrivendo poi una poesia dal titolo "La Pania"(1907): "Su la nebbia che fuma dal sonoro/Serchio, leva la Pania alto la fronte/nel sereno: un aguzzo
La Pania dal giardino
di casa Pascoli
blocco d’oro, 
/su cui piovano petali di rose/appassite. Io che l’amo, il vecchio monte,/gli parlo ogni alba, e molte dolci cose/gli dico:/O monte, che regni tra il fumo/del nembo, e tra il lume degli astri,/tu nutri nei poggi il profumo/di timi, di mente e mentastri...". Nel suo villeggiare per la Versilia nemmeno il Vate,Gabriele D'Annunzio è potuto sfuggire alla loro bellezza. Diverse sono le citazioni che gli ha riservato, ma fra le più belle rimane questa:"Marmorea colonna di minaccevoli punte, le grandi Alpi Apuane regnano il regno amaro, dal loro orgoglio assunte" (Meriggio 1903).
In conclusione bisogna dire che furono in molti fra i personaggi illustri a scrivere di Alpi Apuane, impossibile citarli tutti, ma le ultime righe di questo articolo sono per Fosco Maraini, scrittore insigne, viaggiatore e profondo conoscitore delle culture di tutto il mondo. Era nato a Firenze, ma le sue estati le passava a Pasquigliora, quattro case nel comune di Molazzana. Li, nonostante che i suoi occhi avessero visto tutto il mondo, tornava sempre a
contemplare quei magnifici monti e ricordava sempre la prima volta che li conobbe, ed al suo accompagnatore così domandò: "Che sono quei monti?" chiesi molto incuriosito, quasi impaurito. "Sono le Alpi Apuane", mi fu spiegato. Ammirai a lungo lo spettacolo inconsueto che mi faceva pensare, non so perché, alla creazione del mondo, terre ancora da plasmare che emergevano da un vuoto sconfinato, color dell'incendio".

4 commenti:

  1. Mi permetto di riportare qualche tratto del mio romanzo "Ma'ecchia. L'ape regina":< A schiera le Alpi Apuane cambiavano il loro aspetto ad ogni cambio d’angolo, ad ogni curva, ad ogni pendio fino a quando arrivata la carrozza ai piedi di Metra le apparsero come un miraggio di eternità, estese verso l’infinito orizzonte ed incombenti come braccia materne ad accogliere e custodire la vita dell’uomo.>


    Grazie per l'ospitalità Corrado Leoni

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  2. Fosco Maraini è il padre di Dacia Maraini.

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  3. Mi permetto una seconda citazione da Ma'ecchia. L'ape regina. Grazie

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  4. La luna spaziava nel cielo ed aveva il volto di una maschera luminosa, che sprigionava una luce fredda, ma intensa da illuminare a giorno la maestosità delle Alpi Apuane, coperte dalla prima neve.
    Si distinguevano, in un susseguirsi familiare, il monte Sagro incurvato come un corno verso il Pizzo d’Uccello spoglio ed erto verso il cielo quasi a sfidarlo, mentre placido il Pisanino si estendeva ad abbracciare il Garderone fino al monte Cavallo e di lontano la Tambura imbiancata mandava messaggi glaciali. La loro maestosità richiamava l’eterno e un che di sovrannaturale, che incuteva timore come quello che un buon cristiano ha verso Dio. Dall’Appennino imbiancato scendeva un’aria gelida che spingeva ogni creatura a cercare rifugio.

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