mercoledì 5 ottobre 2016

L'incredibile viaggio degli emigranti garfagnini per le lontane Americhe. Storia di sacrificio e tribolazione

Emigranti Italiani arrivano a New York
"Li chiamano (e in effetti sono) i viaggi della disperazione, gente
che sfugge dalle miserie di una vita grama e che cerca per se e per la propria famiglia un po' di benessere. Sono viaggi talvolta fatti in condizioni miserevoli, su navi fatiscenti, l'igiene e la pulizia su queste navi sono costantemente in contrasto con la speculazione. Manca lo spazio, manca l'aria...". 
Può sembrare ma non è...Può sembrare uno stralcio d'articolo di qualsivoglia quotidiano comprato stamani in qualsiasi edicola della Garfagnana sulla condizione dei migranti odierni, ma appunto non è...Questo brano è tratto da una valutazione semestrale che il prefetto locale faceva sull'emigrazione garfagnina ad inizio del 1900 e che veniva poi inviata puntualmente al ministero dell'interno. Come si può vedere tali fenomeni non conoscono epoca, noi garfagnini ci siamo passati per primi da questi fenomeni migratori di massa, naturalmente le differenze ci sono e non starò qui ad elencarle, ma quello che a me interessa è sottolineare la voglia dell'uomo di migliorare la propria condizione di vita ed è questa la molla principale che muove
emigranti italiani in partenza.
Una mano la dava
l'opera assistenza
emigranti
un individuo ad abbandonare la propria casa e avventurarsi in una nuova nazione. Ma prima di arrivare nel nuovo Paese in cui sarebbe cominciata una nuova vita bisognava e bisogna affrontare un viaggio, lungo e terribile, oggi 
come allora. Ecco dunque come si accingevano al viaggio nelle lontane Americhe (o in Brasile, piuttosto che in Argentina) i garfagnini, un viaggio se si vuole non troppo diverso in tutto e per tutto da quello dei migranti di oggi.
La situazione era veramente disperata, la Garfagnana nei primi dieci anni del 1900 registrò una preoccupante decadenza demografica, in montagna la percentuale dei disoccupati saliva addirittura al 70% e come racconta sempre un rapporto del prefetto di quegli anni:-...il garfagnino cerca i mezzi minimi di esistenza nello sfruttamento del bosco e del sottobosco con la raccolta a seconda della stagione di legna, di funghi e di frutta(castagne,fragole, lamponi e mirtilli)- l'analisi si fa più profonda e continua dicendo che:-...come si può biasimarli, l'agricoltura è arretrata, le colture sono quelle
tradizionali e poi la sognata ferrovia Lucca- Modena sembra essersi fermata a Castelnuovo Garfagnana...- La conseguenza di tutto ciò
Un biglietto per le Americhe
porterà  i nostri nonni ancor di più ad emigrare nei paesi d'oltre mare. Ma il primo ostacolo che trovavano era la mancanza di soldi per comprare il biglietto per le lontane Americhe, allora in buona parte dei casi ci si indebitava già prima di partire. Molti garfagnini infatti si rivolgevano già nel 1874 al Banco di Anticipazioni e di Sconto di Castelnuovo che tramite l'ipoteca sui beni terreni concedeva il prestito per acquistare il biglietto, tale prestito veniva ripagato dalla famiglia dell'emigrante attraverso i primi guadagni del congiunto che ogni tanto inviava. La partenza spesso avveniva su richiamo dall'estero per bisogno vero e proprio di maestranze o era anche il parente stesso già partito in precedenza che richiamava i nipoti o altri familiari come in questo caso:

"San Paolo 5 maggio 1910
Carissimi genitori ringraziando il Signore e Maria Santissima si gode una buona e perfetta salute ...Sono a dirvi che Angiolino che se non ne cavate da niente se volesse venire con me e se avesse voglia di lavorare, meglio che stare a fare i vagamondi si sta sempre, oppure lo mando in San Paolo coi zii che incomincia guadagnare i primi soldi" (lettera di Amose Abrami di Chiozza che chiama il fratello). 
Ma prima di partire tutto passava da un librettino rosso che i
Un passaporto del tempo
garfagnini manco avevano mai visto:il passaporto. La procedura per l'espatrio prevedeva appunto la richiesta di tale documento. Per ottenerlo era necessario fare richiesta al sindaco del comune di residenza che a sua volta girava la domanda al ministero degli esteri. Sul passaporto venivano iscritti (se l'uomo aveva famiglia) la moglie, i figli e anche gli ascendenti conviventi. Naturalmente si pagava una tassa che era esente per le persone che andavano all'estero per lavorare. Fu un esodo epocale quello che accadde in Toscana nel decennio 1906-1916, le statistiche su base decennale parlano di ben 330.000 partenze e questo studio vide la Garfagnana e la Lucchesia al primo posto, avanti a tutti i comuni di Barga, Capannori e Castelnuovo. L'avventura per nostri conterranei cominciava quasi sempre nel porto di Genova a loro si mostravano davanti i più grossi transatlantici
Italiani in partenza mostrano
orgogliosamente il tricolore
che mai avevano solcato quei mari: il Rex o il Nastro Azzurro per

citarne alcuni, naturalmente per loro la prima e la seconda classe erano una lontana chimera, per i garfagnini (e per tutti gli emigranti in genere) si aprivano le porte della terza classe, un vero e proprio "carnaio" di persone stipate, buttate li, quasi come capitava, a questo proposito c'è un ricordo di un'illustre personaggio: Edmondo De Amicis(n.d.r::l'autore del libro "Cuore"). Il famoso scrittore s'imbarco sul "Galileo" a Genova diretto a Buenos Aires, un viaggio che durerà 22 giorni in compagnia di varia umanità e fra questa umanità incontrerà anche i garfagnini: "Chi parte? Il Galileo portava mille e seicento passeggeri di terza classe, dei quali più di quattrocento di donne e bambini[...] Tutti i posti erano occupati. La maggior parte degli emigranti, come sempre provenivano dall'Italia alta, e otto di dieci dalla
Edmondo De Amicis
campagna[...]. Di toscani un piccolo numero: qualche lavoratore d'alabastro di Volterra, fabbricatori di figurine di Lucca, agricoltori nei dintorni di Fiorenzuola, qualcuno dei quali, come accade spesso, avrebbe un giorno smesso la zappa per fare il suonatore ambulante[...] calzolai e sarti della Garfagnana"(brano tratto
dal libro di De Amicis "Sull'Oceano",1888). 

In che condizioni era la terza classe ve lo lascio immaginare. Augusta Molinari (storica contemporanea) le ebbe a chiamare "Le navi di Lazzaro". Fino al 1901 non esisteva alcuna norma che regolamentasse gli aspetti sanitari dell'emigrazione e da un rapporto medico del 1902 si deduce che: "Le cuccette degli emigranti vengono ricavate in due o tre corridoi e ricevono aria per lo più attraverso i boccaporti. L'altezza minima dei corridoi e di un metro e cinquanta centimetri. Nei dormitori così allestiti è frequente l'insorgenza di malattie, specialmente bronchiali e del'apparato respiratorio. Per sottolineare la mancanza delle più elementari norme igieniche si può fare riferimento al problema della conservazione e distribuzione dell'acqua che viene tenuta in casse di ferro rivestite di cemento. A causa del rollio della nave il cemento tende a sgretolarsi e intorbidire l'acqua che, venuta a contatto con il ferro ossidato assume un colore rossastro e viene consumata così dagli emigranti. Dal punto di vista dietetico la razione viveri giornaliera risulta sufficientemente ricca di elementi proteici. Sulla modalità di distribuzione del rancio viene segnalata la discriminante distribuzione del pasto da parte dei "capi rancio". Il cibo viene consumato nelle cuccette o sul ponte in quanto non previsti refettori". 
Il ponte stipato all'inverosimile
 di una terza classe
Per gli emigranti della terza classe veniva però anche il momento del divertimento. Il garfagnino Camillo Angelo Abrami ricordava così quei momenti: - Fra i pochi divertimenti vi era la tombola. Banchi di pesce a volte ci davano qualche allegra sorpresa, rari i delfini che per lungo tratto accompagnavano la nave[...] Il lavoro a bordo era andare a prendere il cibo, pane e vino mattina e sera, qualche partita a tombola e osservare lo spartiacque alla prua di bordo lungo la rotta-. Altro svago era la musica suonata con l'organetto a questo proposito basta ricordare la famosa canzone "Mamma mia dammi cento lire". Arrivava finalmente dopo lunghe ed estenuanti settimane il momento dello sbarco e qui i problemi non finivano, ma anzi cominciavano di nuovi e più grandi. Spesso capitava ai nostri emigranti di non sapere neanche in che parte di mondo erano capitati, tanto da non comprendere geograficamente parlando dove erano finiti. Una cartolina illustrata del 1902 del garfagnino Nicola Ambrogi ne è un fulgido e se si vuole simpatico esempio. Tale cartolina venne spedita dopo lo sbarco negli Stati Uniti e il nostro emigrante era deluso perchè il piroscafo non era passato da Parigi. Dispiaciuto se ne scusa con l'amico Enrico. Ma l'America allora dov'era? L'America intesa con l'A maiuscola era ancora ben lontana. Appena arrivati gli emigranti rimanevano esposti a rapine e a fregature varie, mancava infatti qualsiasi tipo di assistenza da parte del governo italiano, supplirono a ciò a partire dalla fine del 1800 istituzioni private: la Congregazione dei missionari scalabriniani che dava la sua assistenza sopratutto in Europa, nelle Americhe e in Australia, l'Opera Bonomelli (anch'essa cattolica)attiva in Europa e nel Mediterraneo e la Società
All'arrivo in America
Umanitaria
d'ispirazione laica. La vita all'interno delle strutture d'accoglienza per i garfagnini e non, era sempre traumatica. In Argentina esisteva "L'Hotel degli immigranti" un ampia struttura in pietra che aveva sostituito un fatiscente edificio nel porto di Buenos Aires, questa struttura serviva a coloro che non erano attesi da parenti e amici ed era utilizzata  come avviamento al lavoro, a tale scopo l'Oficina de trabajo (n.d.r:l'ufficio del lavoro) smistava le richieste di lavoro che venivano da tutto il paese. Cosa molto simile esisteva in Brasile. Dopo lo sbarco a Santos c'era il trasferimento nell'Hospedaria di San Paolo. Il peggio del peggio però accadeva negli Stati Uniti. Prima di Ellis Island a New York c'era il Castle Garden, nelle intenzioni era un centro a cui tutte le imprese che cercavano lavoratori dovevano far capo, ma non era proprio così. In pratica in questi locali gli emigranti italiani venivano ammassati come bestie e trattati proprio come se fossero a una fiera del bestiame o ad un mercato degli schiavi. Molti immigrati
Mulberry Street New York emigrati italiani
e non in posa
garfagnini caddero nelle maglie del rinomato "Padrone system", in pratica un boss, che in cambio di una tangente procurava a loro lavoro, ma non solo, si occupava anche dell'alloggio che di solito era in qualche lurida pensione a prezzi esorbitanti. Il lavoro era settimanale in modo che ad ogni rinnovo il boss riscuoteva la solita mazzetta, inoltre solitamente aveva in gestione anche uno spaccio in cui le merci costavano il doppio che da altre parti, d'altronde era difficile sottrarsi a questa ragnatela una volta caduti dentro, l'emigrato non conosceva la lingua e gli usi locali e dipendeva esclusivamente dal boss. Questo sfruttamento finalmente trovò un grosso argine nella cattolica St Raphael's Italian Benevolent Society. 

Grazie a Dio, esisteva anche chi questo tribolato
Corfino
viaggio lo concludeva in maniera soddisfacente, lavorando duramente cominciava a farsi la sua nuova vita. 

Molti dei nostri emigranti oggi sono benestanti, grazie proprio ai sacrifici e ai patimenti dei loro nonni partiti oltre un secolo fa e per questo voglio raccontarvi quello che accadde a una comunità garfagnino-californiana. Tutto nacque nella contea di San Joaquin nella città Stockton (in California appunto) oltre un secolo fa. Eravamo negli anni compresi fra il 1880 e il 1905 quando un gruppo di soli uomini (circa 18) si insediò in questo luogo, lavorando come braccianti e operai in fabbriche di mattoni. Il tempo passava e una volta che finalmente fu raggiunta la stabilità economica questi uomini cominciarono a
Corfino Lane a Stockton
chiamare anche la loro famiglia e oggi se vi capita di passare da quelle parti leggete i nomi sui campanelli, possiamo notare cognomi a noi familiari: Nelli, Gregori, Manetti, Cecchini, Vergai, Pennacchi, Santi, Nicoli, sono tutti cognomi riconducibili alla 
Garfagnana e in particolar modo al paese di Corfino. Una vera e propria colonia di corfinesi  che attraverso un flusso emigratorio avvenuto a più riprese popolò questa ricca contea e fa una certa impressione passare per la via cittadina denominata Corfino Lane (n.d.r:Corso Corfino) e curiosità nella curiosità con ogni probabilità Corfino può contare oggi più oriundi negli States che residenti nella provincia di Lucca, anche se ad onor del vero è difficile quantificare il numero dei corfinesi a Stockton, molti hanno americanizzato il proprio cognome (da Lombardi a Lombard per esempio), ma comunque facendo un sommario calcolo sono 140 le famiglie di origine corfinese che hanno contribuito
La città di Stockton
fattivamente allo sviluppo di questa città lavorando
 come semplici manovali o braccianti, impiegati spesso nelle miniere, i pionieri garfagnini si sono integrati alla perfezione senza rinunciare alle proprie origini, facendo poi studiare i loro figli che adesso fanno i professionisti, i commercianti e gli operai specializzati. Quello che si dice un viaggio finito bene...


  • Notizie tratte da: Archivio Fondazione Paolo Cresci (Lucca)

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