mercoledì 27 ottobre 2021

I mille modi per cucinare farina di neccio e castagne. Storia e curiosità di ricette secolari

Fu lei la prima a capire tutto e fu sempre lei a comprendere l'importanza
fondamentale di quel frutto autunnale: la castagna. Matilde di Canossa la possiamo considerare senza dubbio alcuno un personaggio di assoluto rilievo, in un'epoca in cui le donne erano considerate di rango inferiore. Era lei la Grancontessa, la Vice Regina d'Italia, che nel 1076 entrò in possesso di uno dei più vasti feudi italiani che comprendeva la Lombardia, l'Emilia, la Romagna e la Toscana. In quei luoghi cominciò a governare con pugno fermo, saggezza e lungimiranza. Quella stessa lungimiranza che la portò ad intuire il valore che poteva avere la coltivazione del castagno, come base per la sopravvivenza alimentare di quelle popolazioni che vivevano sulla montagna, proprio com'era la nostra Garfagnana, terra sotto i suoi domini. A favore di questa coltivazione emanò una serie di regolamenti che portarono al disboscamento delle querce già esistenti, che vennero poi sostituite dai castagni e da veri e propri castagneti che fornirono agli abitanti dei suoi possedimenti una fonte di sostentamento certa. Ma non solo, la Grancontessa si affidò anche alla sapienza dei monaci che con il loro dotto sapere studiarono misure agronomiche per una maggior produttività del 
Matilde di Canossa
castagno stesso, un criterio che ancora oggi viene definito "sesto d'impianto matildico", dove le piante di castagno allevate in forma libera sono disposte a vertici di triangoli sfalsati ad una distanza di circa dieci metri. Con questo sistema si poteva anche sfruttare l'erba del sottobosco quale pascolo per i greggi, in questo modo le pecore avrebbero tenuto pulita la selva e la raccolta delle castagne sarebbe stato più agevole... come si suole dire due piccioni con una fava, ed eravamo nel XI secolo. Insomma, in questo caso Matilde di Canossa fu la spinta per altri politici e regnanti che nei secoli e nelle guerra a venire si insediarono al comando della Garfagnana. Difatti un altro sovrano (in tal senso) illuminato fu Paolo Guinigi, Signore di Lucca, che istituì nel 1487 "l'Offizio sopra le Selve", questo nuovo ente doveva vigilare sui castagneti e doveva far si che queste piante dovessero essere curate con ogni dovizia e sotto ogni aspetto, dato che, in questo modo il castagno avrebbe dato "
cultivazioni più idonee alla produzione di farina buona e serbevole", infatti si riteneva, a giusta ragione, che tale squisitezza avrebbe sfamato una famiglia per gran parte dell'anno. Tutto considerato, visto quello che abbiamo letto possiamo sgombrare il campo da ogni dubbio e dire che la moltitudine di ricette in cui viene impiegata la farina di castagne nacquero proprio in quel
Paolo Guinigi
lontano periodo storico. Le svariate maniere con cui veniva trattata la farina di neccio trovò il bisogno naturale nel garfagnino di diversificare il più possibile la dieta alimentare con i prodotti che la natura offriva, la base sarebbe sempre rimasta la castagna o la sua farina, ma le varianti culinarie diventarono un'infinità. Così, in questo modo, le tullore, i bollocciori, la vinata (e tante altre preparazioni ancora) sono arrivate sulle nostre tavole. Oggi queste bontà della nostra cucina le possiamo considerare senza dubbio un di più, uno sfizio, nonchè una vera e propria golosità, ma in quei tempi andati furono vero e proprio pane per la gente di Garfagnana. Guardiamo allora la storia e i mille modi in cui possiamo trasformare in vera prelibatezza la farina di neccio e le castagne. Innanzitutto andiamo ad indagare sul termine principe e guardiamo il significato della parola "Neccio", riferito proprio alla ghiotta farina. Dobbiamo dire che la derivazione è incerta, è credibile pensare che (così come dice il dizionario etimologico)il vocabolo abbia un etimo latino da "castanea" o da "castaneccio".
Fatto il doveroso preambolo sulla provenienza di tale nome esaminiamo la preparazione per eccellenza: i
l Castagnaccio. Questa assoluta bontà è una fra le più diffuse in tutta Italia, ma è bene sottolineare che la paternità è nostrale. Di solito queste appartenenze culinarie ce le concediamo con "motu proprio", ma questa volta, questa ricetta ci venne attribuita nel 1553 dal frate agostiniano Ortensio Landi di Piacenza nel "Commentario delle più notabile et mostruose cose d'Italia e altri luoghi", infatti ci narra che "Pilade da Lucca fu il primo che facesse castagnazzi e di questo ne riporto loda". Quel Pilade il castagnaccio lo faceva sicuramente con la farina di castagne della vicina Garfagnana: stacciava un mezzo chilo di farina dolce (per una dose-famiglia) e la metteva in una zuppiera, aggiungeva un paio di
Castagnaccio
cucchiaiate d'olio d'oliva, un pizzico di sale e ci versava quasi un litro d'acqua fredda rimescolando sempre, fino ad ottenere una composto piuttosto liquido. Prendeva una teglia, l'ungeva d'olio e ci versava il suddetto composto. Generosa dose di zibibbo, pinoli e noci spezzettate e quindi in forno. Quando il colore era diventato di un bel "marrone castagnaccio" e la crosta croccante, il castagnaccio di Pilade era cotto. Diciamo che questo, come si direbbe oggi fu uno dei primi "street food", ossia del cibo da strada e a conferma di ciò Vincenzo Tanara (agronomo)nel 1644 ci parlava dei "castagnazzi da strada" 
elencando anche varianti oggi impossibili, che prevedevano l’aggiunta di grana grattugiato o di cacio grasso e tenero. Inoltre leggenda dice che lo stesso castagnaccio sia un dolce legato all'amore; che si comporti come un filtro magico e qualunque ragazza che lo porti in dono all'innamorato si assicuri il suo affetto e la sua fedeltà in eterno. Invece "Il Neccio", la classica frittellona arrotolata ripiena di ricotta, era il pasto freddo dei 
Il neccio
carbonai e dei boscaioli garfagnini. La più antica ricetta dei necci racconta che venivano cotti fra testi di pietra arenaria. Stessa finalità aveva "la Pattona di Trassilico", questa preparazione era la classica "merendina" dei trassilichini che andavano a lavorare nel bosco, la sua preparazione però differiva da quella dei necci, 
vedeva sempre un'impasto di farina di castagne, mele a pezzetti, noci, nocciole e fichi secchi sminuzzati. Del tutto si facevano delle palline che venivano poste dentro delle formine e infornate. Il giorno dopo sarebbero state pronte per la veloce merenda del taglialegna. Curiosa invece l'origine del vocabolo "pattona", pare che il nome derivi dal latino "pactus", ossia "compatto", compatte come le palline di questa ricetta. Questa invece è una ricetta per
La pattona
stomaci forti. Il nome è già un preludio: la Vinata. La sua preparazione è antichissima, di solito veniva offerta dopo cena quando gli amici venivano "a veglio" intorno al caminetto, serviva anche per combattere il freddo pungente della Garfagnana quando nelle case contadine il riscaldamento era una lontana chimera, ma non solo, i vecchi dicevano che avesse anche proprietà terapeutiche: "polpava (n.d.r: ammorbidiva) la tosse". Comunque sia l'antica ricetta diceva che nel paiolo bisognava fare una polenta "scria, scria" (n.d.r: molle, molle)di farina di neccio e vino picciolo (un vino rosso ottenuto 
dopo una brevissima fermentazione, di colore molto chiaro). Si faceva cuocere per circa mezz'ora e si versava bella fumante nella scodella. Per capire meglio quando la vinata sarebbe stata pronta da servire ci si rifaceva ad un antico adagio:" quando fa plotta, plotta la vinata è bella e cotta". E se nella vinata l'ingrediente di spicco era ed è il vino, nei Manafregoli il componente principe è il latte. Questa preparazione assume svariati nomi (tutti d'incerta origine) nella Valle del Serchio e Garfagnana: manafregoli, brugiaioli o manufatoli, la ricetta tutta via è la solita in qualsiasi modo venga chiamata: si fa bollire l'acqua nel abituale paiolo, si aggiunge poi la farina di 
I manafregoli
castagne, si mescola in maniera continua fino ad ottenere anche qui un composto piuttosto morbido. Dopo circa mezz'ora si serve in una ciotola condita a piacere con latte, ricotta o panna liquida. Adesso guardiamo invece le ricette che riguardano la castagna vera e propria. Un altro antico processo che si faceva per mangiarle era quello di farle essiccare, ed ecco allora nascere la preparazione delle Tullore. Le tullore sono castagne secche ammollate nell'acqua per circa due ore (così perdono bene la pecchia), fatta questa operazione vanno fatte bollire sul fuoco lento con acqua, latte e foglia d'alloro per altre due ore ancora. Si servono calde, o anche fredde nel latte. Questo strano vocabolo (a quanto pare) prende fondamento da un'altra pianta: la canapa (presente in Garfagnana nei tempi antichi)e da una sua parte detta "tiglia", che altro non è che quell'elemento legnoso del fusto che veniva conciato per farne tela, è possibile quindi che per quanto riguarda le castagne tale vocabolo venga inteso come "acconciate", per far si, che poi in tal modo  diventino morbide. Il Balluccioro o
I ballucciori
 Ballotta che dir si voglia è invece la castagna (buccia compresa) lessata nell'acqua con foglie d'alloro e un pizzico di sale. La bizzarra parola si presta a una interpretazione piuttosto esotica, infatti può darsi che il termine derivi dall'arabo "ballut", ossia ghianda. E delle Mondine cosa dire? Le mondine non hanno bisogno di presentazioni, in tutta Italia sono conosciute come caldarroste e in Garfagnana vengono cotte al fuoco dei camini nella classica padella bucherellata a manico lungo. Prima di essere messa al fuoco la castagna deve essere incisa per far si che poi una volta messa sulla fiamma non scoppi; verso la fine della cottura le castagne vanno bagnate con un bicchiere di vino rosso. L'origine del classico nome garfagnino "mondina" è facile a dirsi, difatti trova fonte dalla stessa parola dialettale "mondare", ovvero pelare, sbucciare, proprio quello che si fa una volta che sono cotte. D'altronde è presto detto nel capire perchè storicamente le castagne hanno fatto da vero e proprio pane per la nostra gente. Il valore calorico di questo frutto è difatti piuttosto elevato (165 Kcal/100g) a causa dell'alto contenuto di carboidrati (36,7 Kcal/100g). Il suo beneficio principale da tenere
in considerazione per il fisico è l'alta carica energetica che dà alla persona, per di più sono consigliate per anemia, apatia e stanchezza, inoltre l'alto contenuto di fibre può contribuire a migliorare la funzionalità intestinale. Non a caso Giovanni Pascoli nel 1908 sulle pagine di un quotidiano argentino dedicato ai nostri emigrati ebbe a dire: "Il castagno è il nostro albero del pane. Ci andrebbe messa, in ogni castagno, una croce, come si fa per gli alberi divenuti sacri". 


Bibliografia

  • "Commentario delle più notabili et mostruose cose d'Italia et altri luoghi" di Landi Ortensio, anno 1550
  • "L'economia del cittadino in villa" Vincenzo Tanara , anno 1665
  • "Dizionario garfagnino" di Aldo Bertozzi, edizioni L.I.R, anno 2017 

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